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Home » Attualità » Arriva l’identità alias per i dipendenti statali transgender: “Eliminare le discriminazioni”

Arriva l’identità alias per i dipendenti statali transgender: “Eliminare le discriminazioni”

La novità nell'ultima bozza del contratto, ma ancora non c'è nulla di ufficiale. La nuova tutela permetterebbe a queste di utilizzare sul posto di lavoro la nuova identità scelta

Marianna Grazi
22 Dicembre 2021
Transgender flag, shadows and silhouettes of people on a road, conceptual picture about anonymous Transgender and Gay Lesbian in the World

Transgender flag, shadows and silhouettes of people on a road, conceptual picture about anonymous Transgender and Gay Lesbian in the World

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Non solo scuole e università, ma il tema dell’inclusione e della non discriminazione si fa largo anche sul posto di lavoro. La novità, non ancora ufficiale, è che nella nuova bozza del contratto degli statali ha fatto la su comparsa l’identità alias, ovvero un profilo burocratico temporaneo che permetterebbe alle persone trans* di utilizzare il loro nome scelto, alternativo a quello anagrafico  riportato sui documenti ufficiali e dato alla nascita in base al sesso biologico. Una misura che, in  realtà, già esiste all’interno di un’organo amministrativo importante, il ministero delle Infrastrutture guidato da Enrico Giovannini e che, come abbiamo detto, in ambito scolastico e universitario sta generando attenzione e sempre maggiori richieste di adesione da parte degli istituti.

Il simbolo transgender e quello della parità tra tutti i generi
Quello transgender è un simbolo di parità e di uguaglianza tra i generi. I diritti sessuali sono metafora della questione sociale

I licei che hanno introdotto la carriera alias su sollecitazione degli studenti non sono molti, ancora, nel nostro Paese, anche perché, come ci dimostra il caso di Geremia che vi abbiamo raccontato su Luce!, in Italia non è facile accettare il cambiamento, non è facile aprirsi a possibilità diverse, maggiormente inclusive, che nulla tolgono agli altri ma danno la possibilità a chi sente di non rispecchiarsi nell’identità biologica di essere accettato per quell* che è. Va meglio tra gli studenti più grandi, perché la carriera alias è attualmente in vigore in 32 atenei su 68. Riconoscere alle persone in transizione, con un percorso psicologico e medico in atto, la possibilità di vivere naturalmente l’identità che si sono scelte è qualcosa di fondamentale. Per loro e per l’intera società. E una volta acquisita questa possibilità anche nel settore pubblico rappresenterà un passo in avanti per la tutela sul lavoro di tutt* coloro che stanno cambiando sesso o genere.

“L’obiettivo è quello di eliminare situazioni di disagio ed evitare che possano verificarsi forme di discriminazione”, si legge nella bozza del testo contrattuale. Il lavoratore o lavoratrice che avvierà la transizione potrà fare richiesta della ‘identità alias’ presentando, come indicato, “adeguata documentazione medica”. Una volta che l’azienda della avrà accettato la richiesta fatta, il/la dipendente potrà avere, sul proprio fascicolo personale ma anche sul cartellino di riconoscimento, nelle credenziali di posta elettronica o nella targhetta sulla porta dell’ufficio, l’alias che deciderà al posto del suo nome di battesimo. “Il nome alternativo non verrà invece utilizzato per documenti strettamente personali come busta paga, matricola, provvedimenti disciplinari e sistemi per rilevare le presenze”, spiega ancora la bozza di contratto. A questo elenco si aggiungono anche tutti gli atti firmati dal/dalla dipendente che avranno quindi intestazione con il nome di battesimo.

Insomma si tratterebbe, se approvato, di un riconoscimento fortemente voluto in attesa che la legge 164 del 14 aprile 1982 (che contiene le norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso, relative cioè alla possibilità per la persona transessuale di modificare il proprio sesso anagrafico sulla base della propria identità di genere), venga finalmente aggiornata. Ad oggi, infatti, come più volte denunciato dal MIT, una persona trans* deve portare avanti un lungo procedimento giuridico prima di poter ottenere la rettifica del nome e del genere anagrafico e spetta ad un giudice stabilire che sia effettivamente compiuta una transizione sia a livello psicologico sia di riconoscimento sociale.

La storia di Frida

Frida, transgender 57enne che vive e lavora a Torino
Frida, transgender 57enne che vive e lavora a Torino al Ministero delle Infrastrutture (Gay.it)

Lo scorso giugno, Gay.it aveva raccontato la storia di Frida, 57enne originaria della Puglia e residente a Torino da circa 30 anni. Dal 2019 aveva iniziato un percorso di transizione, da maschio a femmina, dopo un precedente tentativo – non riuscito – cinque anni prima. Frida era sposata con una donna e lavorava presso un ente ministeriale e al sito aveva spiegato: “La mia paura più grande era quella di perdere mia moglie e il lavoro. Ero spaventata dalla possibile reazione della società, e anche per la salute. Perché può essere rischioso fare un tale passo alla mia età”. L’incontro prodigioso con una psicologa e l’affetto, l’appoggio ricevuto da  parte dei colleghi al momento del coming out l’hanno spinta a fare quindi un passo ulteriore. “A novembre scorso ho inviato una richiesta al mio Ministero, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. È una cosa importante per me e per tante persone che non vogliono cambiare legalmente nome, per non far sciogliere il matrimonio (che verrebbe declassato a unione civile, in quanto in Italia il matrimonio tra persone dello stesso sesso non è riconosciuto, ndr) – ha detto Frida durante l’intervista – Il Ministero ha preso a cuore la cosa, ma non sapevano da dove iniziare perché non ci sono precedenti presso nessun altro ministero. Così, hanno creato da zero un protocollo con le pari opportunità“. Ma non solo, perché all’interno dell’edificio dove lavora Frida è stato anche istallato un bagno per le persone transgender e le è stato concesso – come sarà previsto dal nuovo contratto – di indossare il cartellino con il nome di elezione, che è stato posto anche nella targhetta del suo ufficio. “È una cosa veramente forte. Ora do consigli ad altre persone per seguire la stessa trafila. Io non vado a fare i cortei, ma mi piace creare precedenti. Le mie lotte sono non solo per me stessa ma per le altre persone“. E chissà che la sua storia, tra poco, non diventi semplicemente una – la prima – tra tante altre.

 

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  • Stando alle ultime stime, in Italia vivono almeno 88mila donne vittima di mutilazioni genitali femminili, con tutti i gravi problemi fisici, funzionali, psicologici che ne derivano. In base ai dati diffusi dal Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione (Unfpa) e dall’Unicef, nel mondo ammonterebbero ad almeno 200 milioni donne e ragazze che hanno subito mutilazioni genitali. Nel 2023, circa 4,2 milioni di bambine e ragazze nel mondo sono a rischio di subire queste pratiche.

Attraverso la testimonianza di Ayaan Hirsi Ali, autrice de “L’infedele", proviamo a spiegare con le giuste parole in tutta la sua cruda realtà cosa racchiuda veramente:

“Mi afferrò e mi bloccò la parte superiore del corpo… Altre due donne mi tennero le gambe divaricate. L’uomo che era un cinconcisore tradizionale appartenente al clan dei fabbri, prese un paio di forbici. Con l’altra mano afferrò quel punto misterioso e cominciò a tirare… Sentii il rumore, come un macellaio che rifila il grasso da un pezzo di carne.”

Nella Giornata Internazionale contro le mutilazioni genitali femminili il presidente della Società italiana di chirurgia plastica ricostruttiva-rigenerativa ed estetica Sicpre, il professor Francesco Stagno d’Alcontres, dichiara: 

“Spesso l’evento della mutilazione viene rimosso dai ricordi, mentre restano i dolori nei rapporti sessuali, le difficoltà nella minzione e durante il parto. La mutilazione genitale è un evento che modifica il corso della vita e noi lo dobbiamo contrastare sul piano della cultura e affrontare sul piano medico e scientifico”.

L’edizione 2023 del Summit Itinerante contro la mutilazioni genitali femminili, l’evento che si svolge in data odierna a Roma, presso la Sala Zuccari di Palazzo Giustininani, sede della Presidenza del Senato della Repubblica, vede il saluto di esponenti del Governo, la testimonianza di una vittima e la partecipazione di importanti personalità, tra cui gli esperti della chirurgia plastica italiana chiamati a raccolta dalla Sicpre.

Letizia Cini ✨

#lucenews #lucelanazione #giornatamutilazionigenitalifemminili #linfedele
  • "Vorrei ringraziare la comunità queer per il vostro amore e per aver inventato un genere". 👑

Con queste parole di ringraziamento, Queen Bay riscrive la storia dei Grammy Awards. Beyoncé ier sera ha battuto tutti i record: con la 32esima vittoria incassata, è la star più premiata della storia degli Oscar della musica.

Con altri quattro grammofoni d’oro, la star americana, icona mondiale e paladina dei diritti civili e della body positivity, ha così superato il primato del direttore d’orchestra Georg Solti scomparso nel ‘97 e che, fino a stanotte, era rimasto imbattuto per due decenni con 31 vittorie. Queen Bay ha voluto dedicare la vittoria alla comunità Lgbtq+.

#lucenews #lucelanazione #qn #beyoncé #grammyawards2023
  • Stava regalando libri alle ragazze quando è stato arrestato a Kabul, giovedì 3 febbraio. Ismail Mashal, un professore universitario afghano, 37 anni, in aperta critica con il bando posto dai Talebani all’istruzione femminile, andava in giro con un carretto pieno di volumi gratuiti che distribuiva a donne e bambine, quando le forze di sicurezza lo hanno accusato di “azioni provocatorie” dalle autorità che lo hanno portato in carcere. Lo riferisce la Bbc.

Alcuni testimoni hanno riferito che il professore è stato schiaffeggiato, preso a pugni e a calci dalle forze di sicurezza locali durante l’arresto. Tuttavia Abdul Haq Hammad, un funzionario del ministero dell’Informazione e della Cultura talebani, ha dichiarato che il docente è stato trattato bene mentre era in custodia. 

Mashal è salito alla ribalta dopo aver strappato i documenti accademici in diretta tv per protestare contro il divieto dei talebani all’istruzione universitaria e secondaria per le donne. Il video in diretta televisiva è diventato virale. 

Ex giornalista, il 37enne dirigeva un’università privata a Kabul, frequentata da 450 studentesse che seguivano i corsi di giornalismo, ingegneria e informatica, tutte discipline che il ministro dell’Istruzione afghano sosteneva non dovessero essere insegnate alle ragazze in quanto contrarie all’islam e la cultura afghana. Quando a dicembre i Talebani hanno annunciato che alle studentesse universitarie non sarebbe più stato permesso di tornare a studiare fino a nuovo ordine, il professor Mashal ha chiuso definitivamente la sua scuola, affermando che “l’istruzione o si offre a tutti o a nessuno“.

“L’unico potere che ho è la mia penna, anche se mi uccidono, anche se mi fanno a pezzi, non resterò in silenzio“, ha dichiarato il mese scorso il professore. Ha anche affermato che un maggior numero di uomini deve insorgere per protestare contro le restrizioni imposte alle donne. Durante il loro incontro a Kabul, Mahsal, padre di due figli, ha precisato che non temeva di essere arrestato o ucciso. Si è detto invece certo che alla fine i Talebani avrebbero cercato di metterlo a tacere, ma è rimasto convinto che fosse un prezzo onesto da pagare.

#lucenews #kabul
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La storia di Frida

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Frida, transgender 57enne che vive e lavora a Torino al Ministero delle Infrastrutture (Gay.it)
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