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Home » Attualità » Vicenza, Stefano Gheller chiede il suicidio assistito: “Voglio avere il diritto di scegliere quando morire”

Vicenza, Stefano Gheller chiede il suicidio assistito: “Voglio avere il diritto di scegliere quando morire”

Il 49enne, affetto da una grave forma di distrofia muscolare e costretto su una sedia a rotelle, è tra i primi a fare una richiesta ufficiale sul tema fine vita in Veneto

Marianna Grazi
3 Luglio 2022
Stefano Gheller

Stefano Gheller, 49enne di Cassola (Vicenza) chiede il suicidio assistito

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Il suo sogno più grande? Incontrare Madonna “la mia cantante preferita fin da quanto ero un ragazzino”. Se si guarda invece a qualcosa che lo riguarda più strettamente da vicino gli piacerebbe “conoscere di persona il presidente Luca Zaia, per dirgli di farsi parte attiva affinché la politica metta finalmente mano ad una legge seria sul fine vita“. In effetti il tema gli sta particolarmente a cuore, visto che si tratta di una volontà che porta avanti personalmente. Il 49enne Stefano Gheller, di Cassola (Vicenza), è affetto dalla nascita da una grave forma di distrofia muscolare. La sua vita è limitata, quasi da altrettanto tempo, nello spazio di una carrozzina. Ma quando il corpo diventa un peso, un’ancora inamovibile, la mente si fa luogo dove spaziare, da cui far volare lontani i propri sogni.

Stefano chiede il suicidio assistito

fine vita luca coscioni
Un manifesto sul fine vita dell’associazione Luca Coscioni

Ha anche un terzo desiderio, Stefano, e lo ha messo nero su bianco nella lettera che ha inviato all’Usl 7 Pedemontana. “Con la presente – ha scritto – chiedo di attivare con urgenza la procedura prevista per l’accesso legale al suicidio medicalmente assistito“. Gheller vuole seguire la strada di Federico Carboni, alias Mario, primo paziente in Italia che si era visto autorizzare ufficialmente a ricorrere alla procedura e che proprio poche settimane fa è stato accompagnato ad una “dolce morte” dopo aver ottenuto il via libera dal Comitato etico dell’Azienda sanitaria delle Marche. Certo, una morte tanto attesa quanto sofferta, fatta di battaglie ospedaliere e legali, ma soprattutto di appelli disperati e inascoltati per anni. In risposta alla missiva del vicentino, tra i primi in Veneto ad avanzare la domanda ufficiale, il direttore generale dell’Usl 7 gli ha fatto sapere che verrà nominata una commissione per “verificare l’effettiva sussistenza dei motivi alla base della richiesta”. Intanto però al fianco di Stefano si è schierata l’Associazione Luca Coscioni: “Dal punto di vista giuridico, il caso di Federico Carboni ha dimostrato che, laddove verificate le condizioni stabilite dalla Corte costituzionale, il suicidio assistito è praticabile in Italia – sostiene Marco Cappato -. Abbiamo fiducia che il processo di verifica possa avvenire in tempi adeguati“.

“Voglio avere il diritto di morire quando sentirò che è il momento”

Stefano Gheller
Stefano Gheller, 49enne di Cassola

In realtà Stefano Gheller non ha ancora deciso quando sarà il tempo giusto per lasciarsi andare. “Io non desidero morire in questo istante – racconta – ma voglio avere il diritto di farlo appena sentirò che è arrivato il momento“. Quello che prova, al momento, è di essere al limite delle forze, fisiche e mentali: “Vivo su una sedia a rotelle da quando avevo 15 anni, sono attaccato ad un respiratore 24 ore su 24 – spiega -. Quando la mattina mi sveglio so che potrei morire soffocato dal cibo o da un sorso d’acqua”. Poi ammette: “Qualche anno fa avevo deciso di andare in Svizzera, dove l’eutanasia è già regolamentata. Ma ho pensato che avrei potuto dare un senso alla mia morte se fossi rimasto qui, a lottare con l’associazione Luca Coscioni affinché anche in Italia si possa esercitare il suicidio medicalmente assistito”. Racconta che in molti stanno cercando di fargli cambiare idea. A partire dal vescovo di Vicenza, Beniamino Pizziol: “Mi ha chiesto come stavo e se ero convinto della mia scelta, gli ho risposto di sì; poi mi ha domandato se mi avrebbe fatto piacere una sua visita e quindi tra qualche giorno verrà a trovarmi – confida -. Sapeva che ad agosto volevo andare in vacanza a Bibione e così si è perfino offerto di pagarmi il soggiorno”. Gheller vorrebbe che tutte le persone fossero come il suo vescovo. “Non giudica – conclude – mi ha fatto sentire compreso“.

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  • Era il 1° febbraio 1945, quando la lotta per la conquista di questo diritto, partita tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, sulla scorta dei movimenti degli altri Paesi europei, raggiunse il suo obiettivo. Con un decreto legislativo, il Consiglio dei Ministri presieduto da Ivanoe Bonomi riconobbe il voto alle donne, su proposta di Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi. 

Durante la prima guerra mondiale le donne avevano sostituito al lavoro gli uomini che erano al fronte. La consapevolezza di aver assunto un ruolo ancora più centrale all’interno società oltre che della famiglia, crebbe e con essa la volontà di rivendicare i propri diritti. Già nel 1922 un deputato socialista, Emanuele Modigliani aveva presentato una proposta di legge per il diritto di voto femminile, che però non arrivò a essere discussa, per la Marcia su Roma. Mussolini ammise le donne al voto amministrativo nel 1924, ma per pura propaganda, poiché in seguito all’emanazione delle cosiddette “leggi fascistissime” tra il 1925 ed il 1926, le elezioni comunali vennero, di fatto, soppresse. Bisognerà aspettare la fine della guerra perché l’Italia affronti concretamente la questione.

Costituito il governo di liberazione nazionale, le donne si attivarono per entrare a far parte del corpo elettorale: la prima richiesta dell’ottobre 1944, venne avanzata dalla Commissione per il voto alle donne dell’Unione Donne Italiane (Udi), che si mobilitò per ottenere anche il diritto di eleggibilità (sancito da un successivo decreto datato 10 marzo 1946). Si arrivò così, dopo anni di battaglie per il suffragio universale, al primo febbraio 1945, data storica per l’Italia. Il decreto prevedeva la compilazione di liste elettorali femminili distinte da quelle maschili, ed escludeva però dal diritto le prostitute schedate che esercitavano “il meretricio fuori dei locali autorizzati”.

Le elezioni dell’esordio furono le amministrative tra marzo e aprile del 1946 e l’affluenza femminile superò l’89%. 

#lucenews #lucelanazione #dirittodivoto #womenrights #1febbraio1945
  • La regina del pulito Marie Kondo ha dichiarato di aver “un po’ rinunciato” a riordinare casa dopo la nascita del suo terzo figlio. La 38enne giapponese, considerata una "Dea dell’ordine", con i suoi best seller sull’economia domestica negli ultimi anni ha incitato e sostenuto gli sforzi dei comuni mortali di rimettere in sesto case e armadi all’insegna del cosa “provoca dentro una scintilla di gioia”. Ma l’esperta di decluttering, famosa in tutto il mondo, ha ammesso che con tre figli da accudire, la sua casa è oggi “disordinata”, ma ora il riordino non è più una priorità. 

Da quando è diventata madre di tre bambini, ha dichiarato che il suo stile di vita è cambiato e che la sua attenzione si è spostata dall’organizzazione alla ricerca di modi semplici per rendere felici le abitudini di tutti i giorni: "Fino a oggi sono stata una organizzatrice di professione e ho dunque fatto il mio meglio per tenere in ordine la mia casa tutto il tempo”, e anche se adesso “ci ho rinunciato, il modo in cui trascorro il mio tempo è quello giusto per me in questo momento, in questa fase della mia vita”.

✍ Marianna Grazi 

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  • La second hand, ossia l’oggetto di seconda mano, è una moda che negli ultimi anni sta diventando sempre più un’abitudine dei consumatori. Accumulare roba negli armadi, nei cassetti, in cantina, non è più un disagio che riguarda soltanto chi soffre di disposofobia, ossia di chi è affetto da sindrome dell’accumulatore compulsivo. Se l’acquisto è l’unica azione che rende felice l’uomo moderno, non riuscire a liberarsene è la condanna di molti.

Secondo quanto emerge dall’Osservatorio Second-hand Economy 2021, realizzato da BVA Doxa per Subito.it, sono 23 milioni gli italiani che, nel 2021, hanno fatto ricorso alla compravendita di oggetti usati grazie alle piattaforme online. Il 52% degli italiani ha comprato e/o venduto oggetti usati, tra questi il 15% lo ha fatto per la prima volta. L’esperienza di compravendita online di second hand è quella preferita, quasi il 50% degli affari si conclude online anche perché il sistema di vendita è simile a un comune eCommerce: internet è il canale più veloce per quasi la metà dei rispondenti (49%), inoltre offre una scelta più ampia (43%) e si può gestire comodamente da casa (41%). Comprare second hand diventa una sana abitudine che attrae ogni anno nuove persone, è al terzo posto tra i comportamenti sostenibili più messi in atto dagli italiani (52%) – preceduto sempre dalla raccolta differenziata (94%) e l’acquisto di lampadine a LED (71%) –, con picchi ancora più alti di adozione nel 2021 da parte dei laureati (68%), di chi appartiene alla generazione Z (66%), di chi ha 35-44 anni (70%) e delle famiglie con bambini (68%). 

Ma perché concretamente si acquista l’usato? Nel 2021 le prime tre motivazioni che inducono a comprare beni usati sono: il risparmio (56%, in crescita di 6 punti percentuali rispetto al 2020), l’essere contrari agli sprechi e credere nel riuso (49%) e la convinzione che la second hand sia un modo intelligente di fare economia e che rende molti oggetti più accessibili (43%). 

✍E tu? Hai mai comprato accessori oppure oggetti di seconda mano? Cosa ne pensi?

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  • È iniziata come una sorta di sfida personale, come spesso accade tra i ragazzi della sua età, per testare le proprie capacità e resistenza in modo divertente. Poi però, per Isaac Ortman, adolescente del Minnesota, dormire nel cortile della sua casa è diventata una missione. 

“Non credo che la cosa finisca presto, potrei anche continuare fino all’università – ha detto il 14enne di Duluth -. È molto divertente e non sono pronto a smettere”. 

Tanto che ormai ha trascorso oltre 1.000 notti sotto le stelle. Il giovane, che fa il boy scout, come una specie di moderno Barone Rampante ha scoperto per caso il piacere di trascorrere le ore di sonno fuori dalle mura di casa, persino quando la temperatura è scesa a quadi 40 gradi sotto lo zero. Tutto è iniziato circa tre anni fa, nella baita della sua famiglia a 30 miglia da casa, diventando ben presto una routine notturna. Il giovane Ortman ricorda bene il giorno in cui ha abbandonato la sua camera da letto per un’amaca e un sacco a pelo, il 17 aprile 2020, quando era appena in prima media: “Stavo dormendo fuori dalla nostra baita e ho pensato: ‘Wow, potrei provare a dormire all’aperto per una settimana’. Così ho fatto e ho deciso di continuare”. 

“Non si stanca mai: ogni notte è una nuova avventura“, ha detto il padre Andrew Ortman, 48 anni e capo del suo gruppo scout. 

Sua mamma Melissa era un po’ preoccupata quella notte, lei e il padre gli hanno permesso di continuare la sua routine. “Sa che deve entrare in casa se qualcosa non va bene. Dopo 1.000 notti, ha la nostra fiducia. Da quando ha iniziato a farlo, è cresciuto sotto molti aspetti, e non solo in termini di statura”, dice orgogliosa. 

“Non lo sto facendo per nessun record o per una causa, mi sto solo divertendo. Ma con il ragazzo che dorme in Inghilterra, credo si possa dire che si tratta di una gara non ufficiale”, ha detto Isaac riferendosi all’adolescente inglese Max Woosey, che ha iniziato la sua maratona di sonno all’aperto il 29 marzo 2020, con l’obiettivo di raccogliere fondi per un ospedale che cura un suo anziano amico.

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Il suo sogno più grande? Incontrare Madonna "la mia cantante preferita fin da quanto ero un ragazzino". Se si guarda invece a qualcosa che lo riguarda più strettamente da vicino gli piacerebbe "conoscere di persona il presidente Luca Zaia, per dirgli di farsi parte attiva affinché la politica metta finalmente mano ad una legge seria sul fine vita". In effetti il tema gli sta particolarmente a cuore, visto che si tratta di una volontà che porta avanti personalmente. Il 49enne Stefano Gheller, di Cassola (Vicenza), è affetto dalla nascita da una grave forma di distrofia muscolare. La sua vita è limitata, quasi da altrettanto tempo, nello spazio di una carrozzina. Ma quando il corpo diventa un peso, un'ancora inamovibile, la mente si fa luogo dove spaziare, da cui far volare lontani i propri sogni.

Stefano chiede il suicidio assistito

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Ha anche un terzo desiderio, Stefano, e lo ha messo nero su bianco nella lettera che ha inviato all'Usl 7 Pedemontana. "Con la presente - ha scritto - chiedo di attivare con urgenza la procedura prevista per l'accesso legale al suicidio medicalmente assistito". Gheller vuole seguire la strada di Federico Carboni, alias Mario, primo paziente in Italia che si era visto autorizzare ufficialmente a ricorrere alla procedura e che proprio poche settimane fa è stato accompagnato ad una "dolce morte" dopo aver ottenuto il via libera dal Comitato etico dell'Azienda sanitaria delle Marche. Certo, una morte tanto attesa quanto sofferta, fatta di battaglie ospedaliere e legali, ma soprattutto di appelli disperati e inascoltati per anni. In risposta alla missiva del vicentino, tra i primi in Veneto ad avanzare la domanda ufficiale, il direttore generale dell'Usl 7 gli ha fatto sapere che verrà nominata una commissione per "verificare l'effettiva sussistenza dei motivi alla base della richiesta". Intanto però al fianco di Stefano si è schierata l'Associazione Luca Coscioni: "Dal punto di vista giuridico, il caso di Federico Carboni ha dimostrato che, laddove verificate le condizioni stabilite dalla Corte costituzionale, il suicidio assistito è praticabile in Italia - sostiene Marco Cappato -. Abbiamo fiducia che il processo di verifica possa avvenire in tempi adeguati".

"Voglio avere il diritto di morire quando sentirò che è il momento"

Stefano Gheller
Stefano Gheller, 49enne di Cassola
In realtà Stefano Gheller non ha ancora deciso quando sarà il tempo giusto per lasciarsi andare. "Io non desidero morire in questo istante - racconta - ma voglio avere il diritto di farlo appena sentirò che è arrivato il momento". Quello che prova, al momento, è di essere al limite delle forze, fisiche e mentali: "Vivo su una sedia a rotelle da quando avevo 15 anni, sono attaccato ad un respiratore 24 ore su 24 - spiega -. Quando la mattina mi sveglio so che potrei morire soffocato dal cibo o da un sorso d'acqua". Poi ammette: "Qualche anno fa avevo deciso di andare in Svizzera, dove l'eutanasia è già regolamentata. Ma ho pensato che avrei potuto dare un senso alla mia morte se fossi rimasto qui, a lottare con l'associazione Luca Coscioni affinché anche in Italia si possa esercitare il suicidio medicalmente assistito". Racconta che in molti stanno cercando di fargli cambiare idea. A partire dal vescovo di Vicenza, Beniamino Pizziol: "Mi ha chiesto come stavo e se ero convinto della mia scelta, gli ho risposto di sì; poi mi ha domandato se mi avrebbe fatto piacere una sua visita e quindi tra qualche giorno verrà a trovarmi - confida -. Sapeva che ad agosto volevo andare in vacanza a Bibione e così si è perfino offerto di pagarmi il soggiorno". Gheller vorrebbe che tutte le persone fossero come il suo vescovo. "Non giudica - conclude - mi ha fatto sentire compreso".
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