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Home » Attualità » Suicidio assistito, Romano è morto. Marco Cappato lo aveva accompagnato in Svizzera

Suicidio assistito, Romano è morto. Marco Cappato lo aveva accompagnato in Svizzera

"La persona non è tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale, quindi non rientra nei casi per l'accesso al suicidio assistito in Italia"

Edoardo Martini
25 Novembre 2022
Romano, 82enne, con Marco Cappato nella clinica svizzera dove si è sottoposto a suicidio assistito

Romano, 82enne, con Marco Cappato nella clinica svizzera dove si è sottoposto a suicidio assistito

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È morto in una clinica svizzera, grazie al suicidio medicalmente assistito, Romano, 82 anni, di origini toscane e residente a Peschiera Borromeo, nel Milanese, accompagnato nel Paese elvetico da Marco Cappato. Il tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, tra i premiati del 2022 con l’Ambrogino d’Oro del Comune di Milano, era andato in Svizzera per dare seguito alla richiesta d’aiuto ricevuta dal malato, affetto da parkinsonismo atipico ma non dipendente da trattamenti di sostegno vitale, che aveva scelto di porre fine legalmente alla sua vita senza aspettare i lunghi tempi della burocrazia italiana.

 

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Un post condiviso da Associazione Luca Coscioni (@associazione_luca_coscioni)

“Sono di nuovo in Svizzera per far valere quello che dovrebbe essere un diritto fondamentale”

La moglie dell’uomoha spiegato che “la scelta del fine vita è un diritto fondamentale dell’uomo” e che suo marito “in queste ore, se confermerà la sua decisione consapevole e responsabile, sarà libero di porre fine alle sue sofferenze. Romano, infatti, è affetto da una grave malattia neurodegenerativa, una forma di parkinson molto aggressiva che lo ha paralizzato completamente, causandogli una disfagia molto severa che lo porterà a breve a un’alimentazione forzata”. A confermare il viaggio in Svizzera è stato lo stesso Cappato: “Sono di nuovo in Svizzera per fare valere quello che dovrebbe essere un diritto fondamentale. Si tratta di una nuova disobbedienza civile, dal momento che la persona accompagnata non è ‘tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale’, quindi non rientra nei casi previsti dalla sentenza 242/2019 della Corte costituzionale sul caso Cappato-dj Fabo per l’accesso al suicidio assistito in Italia”.

 

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A seguito della battaglia legale di Cappato per l’aiuto fornito a Dj Fabo, all’anagrafe Fabiano Antoniani, e grazie alla sentenza 242/19 della Corte costituzionale che ne è scaturita, il suicidio assistito in Italia “è possibile e legale quando la persona malata che ne fa richiesta è affetta da una patologia irreversibile, fonte di intollerabili sofferenze fisiche o psicologiche, pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli e tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e queste condizioni siano state verificate dal Ssn”. Una condizione, l’ultima, che in questo caso non sussiste. Per questo, come ha spiegato Cappato, il viaggio in Svizzera è “una nuova disobbedienza con l’obiettivo di superare le attuali discriminazioni tra persone malate e consentire il pieno rispetto della volontà anche delle persone affette da patologie irreversibili, fonte di sofferenza, pienamente capaci ma non ancora tenute in vita da trattamenti di sostegno vitale.”

Le richieste d’aiuto precedenti

Marco Cappato
Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni

Per il caso di Elena, donna veneta di 69 anni affetta da un tumore al polmone con metastasi che come in questo caso non era tenuta in vita da sostegni vitali e dunque non rientrava tra i casi previsti dalla sentenza della Corte costituzionale, per cui Cappato si è autodenunciato ai carabinieri come avvenuto per quello di dj Fabo, il tesoriere è indagato a Milano per aiuto al suicidio ed è stato interrogato dai pm nelle scorse settimane. Nel 2020 Cappato era stato assolto a Massa per avere aiutato a morire Davide Trentini, malato di sclerosi multipla, non tenuto in vita da macchinari ma che riceveva medicine di sostegno.

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  • Nicoletta Sipos, giornalista e scrittrice, ha vissuto in Ungheria, in Germania e negli Stati Uniti, prima di raggiungere Milano e lì restare. Il suo romanzo “La guerra di H”, un romanzo fortemente ispirato a fatti realmente accaduti.

L’autrice indaga in maniera del tutto nuova e appassionante un momento drammatico, decisivo della storia del nostro continente: la Seconda guerra mondiale. A raccontare l’ascesa e la disfatta del Nazismo è stavolta la voce di un bambino tedesco, che riporta con semplicità e veracità le molte sofferenze patite dal suo popolo durante il conflitto scatenato da Hitler, focalizzando l’attenzione del lettore sul drammatico paradigma che accomuna chiunque si trovi a vivere sulla propria pelle una guerra: la sofferenza. Pagine toccanti, le sue, tanto più intense perché impregnate di fatti reali, emozioni provate e sentite dai protagonisti e condivise da quanti, tuttora, si trovano coinvolti in un conflitto armato. La memoria collettiva è uno strumento potente per non commettere gli stessi errori. 

"Imparai poco alla volta – scrive il piccolo Heinrich Stein, protagonista del romanzo – che nel nostro strano Paese la verità aveva più volti con infinite sfumature”.

👉Perché una storia così e perché ora?
“Ho incontrato il protagonista di questa mia storia molto tempo fa, addirittura negli anni ’50, ossia in un’epoca che portava ancora gli strascichi della guerra. Diventammo amici, parlammo di Hitler e della miseria della Germania. Poco per volta, via via che ci incontravamo, lui aggiungeva ricordi, dettagli, confessioni. Per anni ho portato dentro di me la testimonianza di questa storia che si arricchiva sempre più di dettagli. Molte volte avrei voluto scriverla, magari a quattro mani con il mio amico, ma lui non se la sentiva. Io stessa esitavo ad affrontare questa storia che racconta una famiglia tedesca in forte sofferenza in una Germania ferita e umiliata. La gente ha etichettato tutto il popolo tedesco durante il nazismo come crudele per antonomasia. Non si pensa mai a quanto la gente comune abbia sofferto, alla fame e al freddo che anche il popolo tedesco ha patito”.

✍ Caterina Ceccuti

#lucenews #giornodellamemoria #27gennaio
  • È dalla sua camera con vista affacciata sull’Arno che Ornella Vanoni accetta di raccontare un po’ di sé ai lettori di Luce!, in attesa di esibirsi, sabato 28 gennaio sul palco della Tuscany Hall di Firenze, dov’è in programma una nuova tappa della nuova tournée Le Donne e la Musica. Un ritorno atteso per Ornella Vanoni, che in questo tour è accompagnata da un quintetto di sole donne.

Innanzitutto come sta, signora Vanoni?
“Stanca, sono partita due mesi dopo l’intervento al femore che mi sono rotto cadendo per una buca proprio davanti a casa mia. Ma l’incidente non mi ha impedito di intraprendere un progetto inaspettato che, sin da subito, mi è stato molto a cuore. Non ho perso la volontà di andare avanti. Anche se il tempo per prepararlo e provare è stato pochissimo. E poi sono molto dispiaciuta“.

Per cosa?
“La morte dell’orso Juan Carrito, travolto e ucciso da un’auto cercava bacche e miele: la mia carissima amica Dacia (Maraini, ndr) l’altro giorno ha scritto una cosa molto bella dedicata a lui. Dovrò scrollarmi di dosso la malinconia e ricaricarmi in vista del concerto“.

Con lei sul palco ci sarà una jazz band al femminile con Sade Mangiaracina al pianoforte, Eleonora Strino alla chitarra, Federica Michisanti al contrabbasso, Laura Klain alla batteria e Leila Shirvani. Perché questa scelta?
“Perché sono tutte bravissime, professioniste davvero eccezionali. Non è una decisione presa sulla spinta di tematiche legate al genere o alle quote rosa, ma nata grazie a Paolo Fresu, amico e trombettista fantastico del quale sono innamorata da sempre. Tempo fa, durante una chiacchierata, Paolo mi raccontò che al festival jazz di Berchidda erano andate in scena tante musiciste bravissime. E allora ho pensato: ’Se sono così brave perché non fare un gruppo di donne? Certo, non l’ha fatto mai nessuno. Bene, ora lo faccio io“.

Il fatto che siano tutte donne è un valore aggiunto?
“In realtà per me conta il talento, ma sono felice della scelta: è bellissimo sentire suonare queste artiste, vederle sul palco intorno a me mi emoziona“.

L
  • Devanshi Sanghvi è una bambina di otto anni che sarebbe potuta crescere e studiare per gestire l’attività di diamanti multimilionaria appartenente alla sua facoltosissima famiglia, con un patrimonio stimato di 60 milioni di dollari.

Ma la piccola ha scelto di farsi suora, vivendo così una vita spartana, vestita con sari bianchi, a piedi nudi e andando di porta in porta a chiedere l’elemosina. Si è unita ai “diksha” alla presenza di anziani monaci giainisti. La bimba è arrivata alla cerimonia ingioiellata e vestita di sete pregiate. Sulla sua testa poggiava una corona tempestata di diamanti. Dopo la cerimonia, a cui hanno partecipato migliaia di persone, è rimasta in piedi con altre suore, vestita con un sari bianco che le copriva anche la testa rasata. Nelle fotografie, la si vede con in mano una scopa che ora dovrà usare per spazzare via gli insetti dal suo cammino per evitare di calpestarli accidentalmente.

Di Barbara Berti ✍

#lucenews #lucelanazione #india #DevanshiSanghvi
  • Settanta giorni trascorsi in un mondo completamente bianco, la capitana dell’esercito britannico Harpreet Chandi, che già lo scorso anno si era distinta per un’impresa tra i ghiacci, è una fisioterapista che lavora in un’unità di riabilitazione regionale nel Buckinghamshire, fornendo supporto a soldati e ufficiali feriti. 

Ha dimostrato che i record sono fatti per essere battuti e, soprattutto, i limiti personali superabili grazie alla forza di volontà e alla preparazione. E ora è diventata una vera leggenda vivente, battendo il record del mondo femminile per la più lunga spedizione polare – sola e senza assistenza – della storia.

Il 9 gennaio scorso, 57esimo giorno del viaggio che era cominciato lo scorso 14 novembre, la 34enne inglese ha raggiunto il centro del Polo Sud dopo aver percorso circa 1100 chilometri. Quando è arrivata a destinazione nel bel mezzo della calotta polare era felice, pura e semplice gioia di aver raggiunto l’agognato traguardo: “Il Polo Sud è davvero un posto incredibile dove stare. Non mi sono fermata molto a lungo perché ho ancora un lungo viaggio da fare. È stato davvero difficile arrivare qui, sciando tra le 13 e le 15 ore al giorno con una media di 5 ore di sonno”.

Di Irene Carlotta Cicora ✍

#lucenews #lucelanazione #polosud #HarpreetChandi #polarpreet
È morto in una clinica svizzera, grazie al suicidio medicalmente assistito, Romano, 82 anni, di origini toscane e residente a Peschiera Borromeo, nel Milanese, accompagnato nel Paese elvetico da Marco Cappato. Il tesoriere dell'Associazione Luca Coscioni, tra i premiati del 2022 con l'Ambrogino d'Oro del Comune di Milano, era andato in Svizzera per dare seguito alla richiesta d'aiuto ricevuta dal malato, affetto da parkinsonismo atipico ma non dipendente da trattamenti di sostegno vitale, che aveva scelto di porre fine legalmente alla sua vita senza aspettare i lunghi tempi della burocrazia italiana.
 
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"Sono di nuovo in Svizzera per far valere quello che dovrebbe essere un diritto fondamentale"

La moglie dell'uomoha spiegato che "la scelta del fine vita è un diritto fondamentale dell'uomo" e che suo marito "in queste ore, se confermerà la sua decisione consapevole e responsabile, sarà libero di porre fine alle sue sofferenze. Romano, infatti, è affetto da una grave malattia neurodegenerativa, una forma di parkinson molto aggressiva che lo ha paralizzato completamente, causandogli una disfagia molto severa che lo porterà a breve a un’alimentazione forzata". A confermare il viaggio in Svizzera è stato lo stesso Cappato: "Sono di nuovo in Svizzera per fare valere quello che dovrebbe essere un diritto fondamentale. Si tratta di una nuova disobbedienza civile, dal momento che la persona accompagnata non è 'tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale', quindi non rientra nei casi previsti dalla sentenza 242/2019 della Corte costituzionale sul caso Cappato-dj Fabo per l'accesso al suicidio assistito in Italia".
 
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A seguito della battaglia legale di Cappato per l'aiuto fornito a Dj Fabo, all'anagrafe Fabiano Antoniani, e grazie alla sentenza 242/19 della Corte costituzionale che ne è scaturita, il suicidio assistito in Italia "è possibile e legale quando la persona malata che ne fa richiesta è affetta da una patologia irreversibile, fonte di intollerabili sofferenze fisiche o psicologiche, pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli e tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e queste condizioni siano state verificate dal Ssn". Una condizione, l'ultima, che in questo caso non sussiste. Per questo, come ha spiegato Cappato, il viaggio in Svizzera è "una nuova disobbedienza con l'obiettivo di superare le attuali discriminazioni tra persone malate e consentire il pieno rispetto della volontà anche delle persone affette da patologie irreversibili, fonte di sofferenza, pienamente capaci ma non ancora tenute in vita da trattamenti di sostegno vitale."

Le richieste d'aiuto precedenti

Marco Cappato
Marco Cappato, tesoriere dell'Associazione Luca Coscioni
Per il caso di Elena, donna veneta di 69 anni affetta da un tumore al polmone con metastasi che come in questo caso non era tenuta in vita da sostegni vitali e dunque non rientrava tra i casi previsti dalla sentenza della Corte costituzionale, per cui Cappato si è autodenunciato ai carabinieri come avvenuto per quello di dj Fabo, il tesoriere è indagato a Milano per aiuto al suicidio ed è stato interrogato dai pm nelle scorse settimane. Nel 2020 Cappato era stato assolto a Massa per avere aiutato a morire Davide Trentini, malato di sclerosi multipla, non tenuto in vita da macchinari ma che riceveva medicine di sostegno.
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