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Home » Attualità » Svizzera, resta vedovo e perde la pensione: la storia di discriminazione al contrario

Svizzera, resta vedovo e perde la pensione: la storia di discriminazione al contrario

Dopo che la moglie di Max Peler è morta e i figli sono diventati grandi, l'uomo ha dovuto dire addio all'indennizzo. Ma la Corte europea dei diritti umani ha stabilito per lui un risarcimento

Nicolò Guelfi
15 Ottobre 2022
Alberto Sordi nel film "Il vedovo" di Dino Risi (1959)

Alberto Sordi nel film "Il vedovo" di Dino Risi (1959)

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Sembra strano dirlo, ma anche in Svizzera la legge discrimina le persone sulla base del genere. Fatto ancora più strano è che i discriminati in questo caso sono gli uomini, in particolare i vedovi, i quali fino ad oggi hanno ricevuto un trattamento differente rispetto alle donne nella stessa condizione, ma fortunatamente la storia ha avuto un lieto fine.

La legge in contrasto con la società di oggi

Antefatto: nel Paese elvetico una legge (ormai abbastanza datata) sancisce che alle donne che perdono il marito, anche in assenza di figli a carico, debba essere garantita una pensione a vita. Per gli uomini il caso è ben diverso: nel caso in cui fosse la moglie a mancare anzitempo, al vedovo può essere corrisposta una pensione, ma solo in caso di figli minorenni e solo finché questi non raggiungono la maggiore età. La ratio è chiara: un tempo era di per sé quasi scontato che fossero gli uomini a provvedere maggiormente al sostentamento economico tramite il lavoro, mentre le donne si dedicavano per lo più alla cura dei figli e della casa. Oggi la società è molto cambiata e a portare luce sull’argomento è stato il caso di Max Peler, uomo svizzero originario del cantone dell’Appenzello. L’uomo, oggi 69enne, è rimasto vedovo negli anni ’90 quando la moglie perse la vita in un incidente, lasciandolo solo con due figlie di neanche 2 e 4 anni. Peler decise di lasciare il lavoro per dedicarsi totalmente alla famiglia e colmare anche l’assenza di un altro genitore per le sue bambine. Tutto normale fino al 2010, quando una delle figlie diventa maggiorenne e i finanziamenti si arrestano.

La Corte europea dei Diritti dell’uomo ha dato ragione a Max Peler, il quale dovrà essere risarcito di 5mila euro

Il ricorso che ha portato alla vittoria

Peler decide di fare ricorso alla Corte federale svizzera, la quale però nel 2012 gli dà torto e lo ammonisce dicendo che avrebbe avuto il tempo necessario per trovare un altro impiego. Alla morte della moglie però l’uomo aveva già 41 anni, e all’epoca del ricorso 57. Non proprio l’età ideale per reinserirsi nel mercato del lavoro dopo tanti anni di stop. Max ha continuato a ritenere di aver subito un’ingiustizia e si è quindi rivolto alla Corte europea dei diritti umani.
Il caso è stato accolto e, dopo una sentenza del 2020 della Piccola Camera della Cedu, è stato riesaminato a Strasburgo su richiesta elvetica. Nel giudizio di seconda istanza della Corte pubblicato l’11 ottobre 2022 si sottolinea che il vedovo non riceveva più la rendita solo in base al sesso, in violazione del principio di non discriminazione sancito dall’articolo 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. La Svizzera sarà quindi tenuta a versare al vedovo 5mila euro a titolo di risarcimento e rimborsarne altri 16500 euro per le spese procedurali. Nel frattempo, il Parlamento elvetico ha iniziato a modificare la legislazione esistente. L’attuale disparità di trattamento tra vedove e vedovi dovrà essere eliminata. Il diritto limitato alla rendita per vedovo si basa sul concetto che il marito paga per le spese di sostentamento della moglie. Nel caso in cui questa si occupi per anni della cura dei figli, l’obbligo di rientrare nel mondo del lavoro è inesigibile, aveva ritenuto il legislatore elvetico.

Il testo di legge sotto accusa è chiaramente figlio di un’epoca diversa, le società però evolvono più velocemente dei codici. Si può dire che Peler abbia vinto la sua battaglia e forse il suo caso porterà un miglioramento nella vita di tanti. La notizia fa molto discutere in Svizzera non solo per il tema delle discriminazioni di genere, ma anche perché il Paese discute spesso con i tribunali europei e per la loro tendenza a esprimersi su questioni che loro reputano di competenza statale.

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  • Era il 1° febbraio 1945, quando la lotta per la conquista di questo diritto, partita tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, sulla scorta dei movimenti degli altri Paesi europei, raggiunse il suo obiettivo. Con un decreto legislativo, il Consiglio dei Ministri presieduto da Ivanoe Bonomi riconobbe il voto alle donne, su proposta di Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi. 

Durante la prima guerra mondiale le donne avevano sostituito al lavoro gli uomini che erano al fronte. La consapevolezza di aver assunto un ruolo ancora più centrale all’interno società oltre che della famiglia, crebbe e con essa la volontà di rivendicare i propri diritti. Già nel 1922 un deputato socialista, Emanuele Modigliani aveva presentato una proposta di legge per il diritto di voto femminile, che però non arrivò a essere discussa, per la Marcia su Roma. Mussolini ammise le donne al voto amministrativo nel 1924, ma per pura propaganda, poiché in seguito all’emanazione delle cosiddette “leggi fascistissime” tra il 1925 ed il 1926, le elezioni comunali vennero, di fatto, soppresse. Bisognerà aspettare la fine della guerra perché l’Italia affronti concretamente la questione.

Costituito il governo di liberazione nazionale, le donne si attivarono per entrare a far parte del corpo elettorale: la prima richiesta dell’ottobre 1944, venne avanzata dalla Commissione per il voto alle donne dell’Unione Donne Italiane (Udi), che si mobilitò per ottenere anche il diritto di eleggibilità (sancito da un successivo decreto datato 10 marzo 1946). Si arrivò così, dopo anni di battaglie per il suffragio universale, al primo febbraio 1945, data storica per l’Italia. Il decreto prevedeva la compilazione di liste elettorali femminili distinte da quelle maschili, ed escludeva però dal diritto le prostitute schedate che esercitavano “il meretricio fuori dei locali autorizzati”.

Le elezioni dell’esordio furono le amministrative tra marzo e aprile del 1946 e l’affluenza femminile superò l’89%. 

#lucenews #lucelanazione #dirittodivoto #womenrights #1febbraio1945
  • La regina del pulito Marie Kondo ha dichiarato di aver “un po’ rinunciato” a riordinare casa dopo la nascita del suo terzo figlio. La 38enne giapponese, considerata una "Dea dell’ordine", con i suoi best seller sull’economia domestica negli ultimi anni ha incitato e sostenuto gli sforzi dei comuni mortali di rimettere in sesto case e armadi all’insegna del cosa “provoca dentro una scintilla di gioia”. Ma l’esperta di decluttering, famosa in tutto il mondo, ha ammesso che con tre figli da accudire, la sua casa è oggi “disordinata”, ma ora il riordino non è più una priorità. 

Da quando è diventata madre di tre bambini, ha dichiarato che il suo stile di vita è cambiato e che la sua attenzione si è spostata dall’organizzazione alla ricerca di modi semplici per rendere felici le abitudini di tutti i giorni: "Fino a oggi sono stata una organizzatrice di professione e ho dunque fatto il mio meglio per tenere in ordine la mia casa tutto il tempo”, e anche se adesso “ci ho rinunciato, il modo in cui trascorro il mio tempo è quello giusto per me in questo momento, in questa fase della mia vita”.

✍ Marianna Grazi 

#lucenews #lucelanazione #mariekondo
  • La second hand, ossia l’oggetto di seconda mano, è una moda che negli ultimi anni sta diventando sempre più un’abitudine dei consumatori. Accumulare roba negli armadi, nei cassetti, in cantina, non è più un disagio che riguarda soltanto chi soffre di disposofobia, ossia di chi è affetto da sindrome dell’accumulatore compulsivo. Se l’acquisto è l’unica azione che rende felice l’uomo moderno, non riuscire a liberarsene è la condanna di molti.

Secondo quanto emerge dall’Osservatorio Second-hand Economy 2021, realizzato da BVA Doxa per Subito.it, sono 23 milioni gli italiani che, nel 2021, hanno fatto ricorso alla compravendita di oggetti usati grazie alle piattaforme online. Il 52% degli italiani ha comprato e/o venduto oggetti usati, tra questi il 15% lo ha fatto per la prima volta. L’esperienza di compravendita online di second hand è quella preferita, quasi il 50% degli affari si conclude online anche perché il sistema di vendita è simile a un comune eCommerce: internet è il canale più veloce per quasi la metà dei rispondenti (49%), inoltre offre una scelta più ampia (43%) e si può gestire comodamente da casa (41%). Comprare second hand diventa una sana abitudine che attrae ogni anno nuove persone, è al terzo posto tra i comportamenti sostenibili più messi in atto dagli italiani (52%) – preceduto sempre dalla raccolta differenziata (94%) e l’acquisto di lampadine a LED (71%) –, con picchi ancora più alti di adozione nel 2021 da parte dei laureati (68%), di chi appartiene alla generazione Z (66%), di chi ha 35-44 anni (70%) e delle famiglie con bambini (68%). 

Ma perché concretamente si acquista l’usato? Nel 2021 le prime tre motivazioni che inducono a comprare beni usati sono: il risparmio (56%, in crescita di 6 punti percentuali rispetto al 2020), l’essere contrari agli sprechi e credere nel riuso (49%) e la convinzione che la second hand sia un modo intelligente di fare economia e che rende molti oggetti più accessibili (43%). 

✍E tu? Hai mai comprato accessori oppure oggetti di seconda mano? Cosa ne pensi?

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  • È iniziata come una sorta di sfida personale, come spesso accade tra i ragazzi della sua età, per testare le proprie capacità e resistenza in modo divertente. Poi però, per Isaac Ortman, adolescente del Minnesota, dormire nel cortile della sua casa è diventata una missione. 

“Non credo che la cosa finisca presto, potrei anche continuare fino all’università – ha detto il 14enne di Duluth -. È molto divertente e non sono pronto a smettere”. 

Tanto che ormai ha trascorso oltre 1.000 notti sotto le stelle. Il giovane, che fa il boy scout, come una specie di moderno Barone Rampante ha scoperto per caso il piacere di trascorrere le ore di sonno fuori dalle mura di casa, persino quando la temperatura è scesa a quadi 40 gradi sotto lo zero. Tutto è iniziato circa tre anni fa, nella baita della sua famiglia a 30 miglia da casa, diventando ben presto una routine notturna. Il giovane Ortman ricorda bene il giorno in cui ha abbandonato la sua camera da letto per un’amaca e un sacco a pelo, il 17 aprile 2020, quando era appena in prima media: “Stavo dormendo fuori dalla nostra baita e ho pensato: ‘Wow, potrei provare a dormire all’aperto per una settimana’. Così ho fatto e ho deciso di continuare”. 

“Non si stanca mai: ogni notte è una nuova avventura“, ha detto il padre Andrew Ortman, 48 anni e capo del suo gruppo scout. 

Sua mamma Melissa era un po’ preoccupata quella notte, lei e il padre gli hanno permesso di continuare la sua routine. “Sa che deve entrare in casa se qualcosa non va bene. Dopo 1.000 notti, ha la nostra fiducia. Da quando ha iniziato a farlo, è cresciuto sotto molti aspetti, e non solo in termini di statura”, dice orgogliosa. 

“Non lo sto facendo per nessun record o per una causa, mi sto solo divertendo. Ma con il ragazzo che dorme in Inghilterra, credo si possa dire che si tratta di una gara non ufficiale”, ha detto Isaac riferendosi all’adolescente inglese Max Woosey, che ha iniziato la sua maratona di sonno all’aperto il 29 marzo 2020, con l’obiettivo di raccogliere fondi per un ospedale che cura un suo anziano amico.

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Sembra strano dirlo, ma anche in Svizzera la legge discrimina le persone sulla base del genere. Fatto ancora più strano è che i discriminati in questo caso sono gli uomini, in particolare i vedovi, i quali fino ad oggi hanno ricevuto un trattamento differente rispetto alle donne nella stessa condizione, ma fortunatamente la storia ha avuto un lieto fine.

La legge in contrasto con la società di oggi

Antefatto: nel Paese elvetico una legge (ormai abbastanza datata) sancisce che alle donne che perdono il marito, anche in assenza di figli a carico, debba essere garantita una pensione a vita. Per gli uomini il caso è ben diverso: nel caso in cui fosse la moglie a mancare anzitempo, al vedovo può essere corrisposta una pensione, ma solo in caso di figli minorenni e solo finché questi non raggiungono la maggiore età. La ratio è chiara: un tempo era di per sé quasi scontato che fossero gli uomini a provvedere maggiormente al sostentamento economico tramite il lavoro, mentre le donne si dedicavano per lo più alla cura dei figli e della casa. Oggi la società è molto cambiata e a portare luce sull’argomento è stato il caso di Max Peler, uomo svizzero originario del cantone dell’Appenzello. L’uomo, oggi 69enne, è rimasto vedovo negli anni ’90 quando la moglie perse la vita in un incidente, lasciandolo solo con due figlie di neanche 2 e 4 anni. Peler decise di lasciare il lavoro per dedicarsi totalmente alla famiglia e colmare anche l’assenza di un altro genitore per le sue bambine. Tutto normale fino al 2010, quando una delle figlie diventa maggiorenne e i finanziamenti si arrestano.

La Corte europea dei Diritti dell'uomo ha dato ragione a Max Peler, il quale dovrà essere risarcito di 5mila euro

Il ricorso che ha portato alla vittoria

Peler decide di fare ricorso alla Corte federale svizzera, la quale però nel 2012 gli dà torto e lo ammonisce dicendo che avrebbe avuto il tempo necessario per trovare un altro impiego. Alla morte della moglie però l’uomo aveva già 41 anni, e all’epoca del ricorso 57. Non proprio l’età ideale per reinserirsi nel mercato del lavoro dopo tanti anni di stop. Max ha continuato a ritenere di aver subito un’ingiustizia e si è quindi rivolto alla Corte europea dei diritti umani. Il caso è stato accolto e, dopo una sentenza del 2020 della Piccola Camera della Cedu, è stato riesaminato a Strasburgo su richiesta elvetica. Nel giudizio di seconda istanza della Corte pubblicato l’11 ottobre 2022 si sottolinea che il vedovo non riceveva più la rendita solo in base al sesso, in violazione del principio di non discriminazione sancito dall’articolo 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. La Svizzera sarà quindi tenuta a versare al vedovo 5mila euro a titolo di risarcimento e rimborsarne altri 16500 euro per le spese procedurali. Nel frattempo, il Parlamento elvetico ha iniziato a modificare la legislazione esistente. L’attuale disparità di trattamento tra vedove e vedovi dovrà essere eliminata. Il diritto limitato alla rendita per vedovo si basa sul concetto che il marito paga per le spese di sostentamento della moglie. Nel caso in cui questa si occupi per anni della cura dei figli, l’obbligo di rientrare nel mondo del lavoro è inesigibile, aveva ritenuto il legislatore elvetico.

Il testo di legge sotto accusa è chiaramente figlio di un’epoca diversa, le società però evolvono più velocemente dei codici. Si può dire che Peler abbia vinto la sua battaglia e forse il suo caso porterà un miglioramento nella vita di tanti. La notizia fa molto discutere in Svizzera non solo per il tema delle discriminazioni di genere, ma anche perché il Paese discute spesso con i tribunali europei e per la loro tendenza a esprimersi su questioni che loro reputano di competenza statale.

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