“Se sei in un gruppo che ride di te e non con te, devi solo cambiare gruppo”: la lezione che Teresa Manes ha imparato suo malgrado

La mamma di Andrea Spezzacatena, il “ragazzo dai pantaloni rosa”, che si è tolto la vita a 15 anni nel 2012 perché bullizzato dai compagni, ha parlato al Maggio musicale fiorentino per il Next Generation Fest. E ai giovani ha detto: “Ad ammazzare mio figlio è stato il pregiudizio”

di GIOVANNI BOGANI
4 giugno 2025
Andrea Spezzacatena e la mamma Teresa Manes

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Teresa Manes è una signora dalla voce minuta. Lunedì 2 giugno era sul palco dell’auditorium del Maggio musicale fiorentino, per il Next Generation Fest. Con calma, senza enfasi, ha detto delle cose potenti. “Io il bullismo non l’avevo preso in considerazione, perché non avevo il figlio che tornava a casa con l’occhio pesto o con gli occhiali rotti. No, mio figlio soffriva, ma era di quelli che ridono di se stessi, pur di far parte del gruppo. Siccome vedo qui, davanti a me, molti ragazzi, ecco cosa voglio dirvi: se ti trovi in un gruppo che ride di te, e non con te, devi solo cambiare gruppo. E abbattiamo il muro del silenzio”. Un silenzio abbattuto, nel teatro del Maggio, da una standing ovation enorme. Probabilmente Teresa Manes sarebbe stata molto felice di continuare una vita invisibile ai più, ma serena. Con un figlio che adesso avrebbe ventisette anni, e starebbe disegnando la sua vita. Invece, si è ritrovata al centro di un palco, e prima ancora a scrivere un libro, e ad ispirare un film. A dare voce e forza a ragazze e ragazzi la cui vita viene resa buia da chi dice loro: tu non sei come noi, tu non vali quanto noi, tu sei ridicolo, sgraziato, sfigato, diverso. È questo il veleno vero del bullismo. Un veleno che ha lacerato la vita di Teresa Manes. È lei la madre di Andrea Spezzacatena, il ragazzo che a quindici anni si tolse la vita, nel 2012, dopo essere stato preso di mira dai compagni di scuola. Un giorno era arrivato in classe con i jeans stinti, colpa di un lavaggio maldestro. Da quel giorno, Andrea divenne “il ragazzo dai pantaloni rosa”, protagonista suo malgrado di una pagina social che lo ridicolizzava, lo metteva alla gogna.

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La storia di Andrea, Teresa Manes aveva trovato la forza per raccontarla, in un libro – “Andrea. Oltre il pantalone rosa” – da cui il film prende le mosse. Dalla sua storia è nato un film, “Il ragazzo dai pantaloni rosa”, che è stato l’evento cinematografico più sorprendente dell’anno passato, con i suoi 9 milioni di incassi. Non c’è bisogno di partire per fare del male. Ci si può ritrovare a farlo, piano piano. E a subirlo, scivolando giorno dopo giorno nella posizione della vittima.

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“Non sapevo niente di quella pagina Facebook che avevano chiamato ‘Il ragazzo dai pantaloni rosa’, una pagina che poi è stata chiusa per disposizione dell’Oscad, che vigila contro le discriminazioni di genere”, dice Teresa. “Quando, dopo la tragedia, sono entrata in quella pagina e ho letto quelle chat, ho trovato l’inconsapevolezza che ha governato i compagni, che piano piano si sono trasformati in bulli. E di mio figlio che stava diventando una vittima senza rendersene conto”. Nella pagina era già tutto annunciato, tutto chiaro, tutto evidente. Se solo qualcuno avesse detto, se solo qualcuno avesse parlato. “Quel disagio che Andrea non era riuscito a esprimere con me, non so se per vergogna o altro, lo aveva espresso con i suoi compagni”, dice Teresa. “Andrea parla di atti di autolesionismo, di tagli; di un tentativo di suicidio per impiccagione che non gli era riuscito, perché la cintura con cui aveva cercato di impiccarsi si era rotta. I compagni lo sapevano, ma non ce lo hanno riferito”. Teresa Manes, alle centinaia di ragazze e ragazzi sulle poltrone del teatro del Maggio, dice: “A distanza di tredici anni, questa non è solo la storia di tanti ragazzi e ragazze. Io ho sentito il dovere di portarla agli altri, perché il dolore possa servire”. “Mio figlio non era omosessuale, e questo lo dico non perché diversamente mi sarei vergognata di lui o per lui. Lo dico perché chi ha ammazzato mio figlio è stato il pregiudizio. Che riguarda l’altro, perché è gay, ha un diverso colore della pelle, è alto o magro. Ma può riguardare tutti noi, riguarda tutti noi, che dobbiamo imparare il rispetto dell’altro in quanto persona, punto e basta”.