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Home » Attualità » Torino, 13enni aggredite. Eva: “Ci hanno chiamate lesbiche schifose e minacciato di bruciarci”

Torino, 13enni aggredite. Eva: “Ci hanno chiamate lesbiche schifose e minacciato di bruciarci”

Picchiate e insultate per una borsa arcobaleno. In un video si ripercorre l'aggressione subita all'uscita di scuola il penultimo giorno prima delle vacanze. "Una banda che terrorizzava da tempo i ragazzi con insulti omofobi e razzisti"

Camilla Prato
12 Giugno 2021
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A 13 anni ha già vissuto un’esperienza che la segnerà per il resto della vita. E non per le ferite fisiche, quelle con il tempo guariranno. Ma ci sono colpi che fanno più male di una gomitata che ti spacca il naso. E che restano impressi. “Mi hanno chiamata cagna. Mi hanno detto che dovevo bruciare viva, io e le mie amiche. Ci hanno urlato che siamo delle lesbiche schifose e un sacco di altre cose”.

Accade a Torino. Penultimo giorno prima delle vacanze estive. Eva, 13 anni, sta uscendo dalla scuola media Rosselli con due amiche. Con sé ha una borsa con i colori della bandiera arcobaleno, in tinta coi calzini che indossa, e al collo un cinturino di pelle rosa con un cuore. È una ragazza come un’altra, ferma davanti alla scuola insieme alle compagne. È li che vengono aggredite. Prese a schiaffi e a pugni, tanto che alla fine la ragazza si ritrova al pronto soccorso con il naso rotto. Un dolore indicibile, aggravato dalle parole che hanno accompagnato le botte. È lei stessa a raccontarlo: “All’uscita ci sono spesso dei ragazzi di altre scuole, che hanno amici che frequentano la Rosselli. Sono aggressivi. Qualche giorno fa facevano commenti omofobi, forse anche razzisti”. E sua mamma Tiziana, che ha denunciato l’aggressione ai Carabinieri, aggiunge: “Questa è l’omofobia che serpeggia tra i ragazzi. Chi non la pensa così è da massacrare di botte”.

Ma, dicevamo, non bastano i segni sulla pelle a ricordare quanto accaduto alle 13enni. C’è anche un video di un minuto e mezzo che racconta istante per istante l’accaduto, le percosse, le grida di dolore che si mischiano agli insulti e alle incitazioni che corrono tra i membri della banda. Anche questa prova, ulteriore, dell’evento è stata consegnata alle autorità. Come allegato alla denunciata che Tiziana ha firmato insieme alla mamma dell’altra ragazza presa a ceffoni dal branco. Un filmato girato con il cellulare da uno degli aggressori. Si vedono Eva e un’amica che litigano con un gruppo di altri, poi parte un primo schiaffo. In sottofondo, agghiaccianti, le risate. Le ragazzine si allontanano, ma non ci stanno a andarsene via sconfitte. Si voltano e dicono: “Adesso ti senti migliore?“. Iniziano gli insulti, loro si allontanano mentre una donna, dal balcone di una casa, le osserva. Il gruppo riparte all’assalto, la telecamera inquadra la strada: “Corri Fra…”, urla qualcuno, perché il reporter non si perda il meglio. “Wow wow: la sta spaccando“. Un’altra voce: “Lasciatela”. Poi la botta finale, a freddo. Un pugno, forse. E la telecamera si spegne.

I ragazzi delle scuole medie di Torino che dimostrano la loro solidarietà a Eva e alle ragazze aggredite dal branco. Foto: La Stampa

I nomi e cognomi dei bulli sono noti. Una, ad esempio, è una compagna di scuola della giovane e della sua amica, quella schiaffeggiata. Esiste anche un esposto, su di loro, firmato dal preside della Rosselli, Oscar Maroni e inviato ai carabinieri della zona qualche tempo fa. Si parlava di una banda che si faceva vedere, minacciosa, davanti alla scuola, oltre ad avere il “dominio” sui giardinetti limitrofi. “Usano il linguaggio dell’omofobia perché è quello più facile per fare i furbi. Violenti? Forse. Ma sono tutte cose che accadono fuori da scuola. Noi abbiamo segnalato perché abbiamo compreso che questa situazione poteva diventare pericolosa”. Eventi che accadono fuori dal perimetro scolastico, almeno per quello che si sa. Ma che riguardano studenti e addirittura familiari di questi. Circolano voci una mamma minacciata dai genitori di una delle ragazzine della banda: “Se fai denuncia è peggio per te”. Racconti di violenze che si moltiplicano, incontrollate, che non si fermano nemmeno di fronte all’intervento delle forze dell’ordine allertate per placare gli animi.

Ma in mezzo a questa violenza, a questa omofobia, al razzismo, all’odio c’è spazio anche per una luce di speranza. Che ha il colore di quell’arcobaleno che  costato caro a Eva e alle amiche. L’ultimo giorno di scuola, quello dopo l’aggressione, centinaia di ragazzi si sono presentati all’uscita delle aule con le bandiere arcobaleno, disegnate in classe, sulle spalle o sventolate. “Oggi siamo tutti Eva: oggi se la prendano con tutti noi», urla qualcuno. Sembra quasi una festa. E per un po’ forse, quel dolore, per Eva, è stato alleviato.

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  • Nino Gennaro cresce in un paese complesso, difficile, famigerato per essere stato il regno del boss Liggio, impegnandosi attivamente in politica; nel 1975 è infatti responsabile dell’organizzazione della prima Festa della Donna, figura tra gli animatori del circolo Placido Rizzotto, presto chiuso e, sempre più emarginato dalla collettività, si trova poi coinvolto direttamente nel caso di una sua amica, percossa dal padre perché lo frequentava e che sporse denuncia contro il genitore, fatto che ebbe grande risonanza sui media. Con lei si trasferì poi a Palermo e qui comincia la sua attività pubblica come scrittore; si tratta di una creatività onnivora, che si confronta in diretta con la cronaca, lasciando però spazio alla definizione di mitologie del corpo e del desiderio, in una dimensione che vuole comunque sempre essere civile, di testimonianza.

Nel 1980 a Palermo si avviano le attività del suo gruppo teatrale “Teatro Madre”, che sceglie una dimensione urbana, andando in scena nei luoghi più diversi e spesso con attori non professionisti (i testi si intitolano “Bocca viziosa”, “La faccia è erotica”, “Il tardo mafioso Impero”), all’inseguimento di un cortocircuito scena/vita. Già il logo della compagnia colpisce l’attenzione: un cuore trafitto da una svastica, che vuole alludere alla pesantezza dei legami familiari, delle tradizioni vissute come gabbia. Le sue attività si inscrivono, quindi, in uno dei periodi più complessi della storia della città siciliana, quando una sequenza di delitti efferati ne sconvolge la quotidianità e Gennaro non è mai venuto meno al suo impegno, fondando nel 1986 il Comitato Cittadino di Informazione e Partecipazione e legandosi al gruppo che gestiva il centro sociale San Saverio, dedicandosi quindi a numerosi progetti sociali fino alla morte per Aids nel 1995.

La sua drammaturgia si alimenta di una poetica del frammento, del remix, con brani che spesso vengono montati in modo diverso rispetto alla loro prima stesura.

Luca Scarlini ✍

#lucenews #lucelanazione #ninogennaro #queer
  • -6 a Sanremo 2023!

Questo Festival ha però un sapore dolceamaro per l
  • Era il 1° febbraio 1945, quando la lotta per la conquista di questo diritto, partita tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, sulla scorta dei movimenti degli altri Paesi europei, raggiunse il suo obiettivo. Con un decreto legislativo, il Consiglio dei Ministri presieduto da Ivanoe Bonomi riconobbe il voto alle donne, su proposta di Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi. 

Durante la prima guerra mondiale le donne avevano sostituito al lavoro gli uomini che erano al fronte. La consapevolezza di aver assunto un ruolo ancora più centrale all’interno società oltre che della famiglia, crebbe e con essa la volontà di rivendicare i propri diritti. Già nel 1922 un deputato socialista, Emanuele Modigliani aveva presentato una proposta di legge per il diritto di voto femminile, che però non arrivò a essere discussa, per la Marcia su Roma. Mussolini ammise le donne al voto amministrativo nel 1924, ma per pura propaganda, poiché in seguito all’emanazione delle cosiddette “leggi fascistissime” tra il 1925 ed il 1926, le elezioni comunali vennero, di fatto, soppresse. Bisognerà aspettare la fine della guerra perché l’Italia affronti concretamente la questione.

Costituito il governo di liberazione nazionale, le donne si attivarono per entrare a far parte del corpo elettorale: la prima richiesta dell’ottobre 1944, venne avanzata dalla Commissione per il voto alle donne dell’Unione Donne Italiane (Udi), che si mobilitò per ottenere anche il diritto di eleggibilità (sancito da un successivo decreto datato 10 marzo 1946). Si arrivò così, dopo anni di battaglie per il suffragio universale, al primo febbraio 1945, data storica per l’Italia. Il decreto prevedeva la compilazione di liste elettorali femminili distinte da quelle maschili, ed escludeva però dal diritto le prostitute schedate che esercitavano “il meretricio fuori dei locali autorizzati”.

Le elezioni dell’esordio furono le amministrative tra marzo e aprile del 1946 e l’affluenza femminile superò l’89%. 

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  • La regina del pulito Marie Kondo ha dichiarato di aver “un po’ rinunciato” a riordinare casa dopo la nascita del suo terzo figlio. La 38enne giapponese, considerata una "Dea dell’ordine", con i suoi best seller sull’economia domestica negli ultimi anni ha incitato e sostenuto gli sforzi dei comuni mortali di rimettere in sesto case e armadi all’insegna del cosa “provoca dentro una scintilla di gioia”. Ma l’esperta di decluttering, famosa in tutto il mondo, ha ammesso che con tre figli da accudire, la sua casa è oggi “disordinata”, ma ora il riordino non è più una priorità. 

Da quando è diventata madre di tre bambini, ha dichiarato che il suo stile di vita è cambiato e che la sua attenzione si è spostata dall’organizzazione alla ricerca di modi semplici per rendere felici le abitudini di tutti i giorni: "Fino a oggi sono stata una organizzatrice di professione e ho dunque fatto il mio meglio per tenere in ordine la mia casa tutto il tempo”, e anche se adesso “ci ho rinunciato, il modo in cui trascorro il mio tempo è quello giusto per me in questo momento, in questa fase della mia vita”.

✍ Marianna Grazi 

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A 13 anni ha già vissuto un'esperienza che la segnerà per il resto della vita. E non per le ferite fisiche, quelle con il tempo guariranno. Ma ci sono colpi che fanno più male di una gomitata che ti spacca il naso. E che restano impressi. "Mi hanno chiamata cagna. Mi hanno detto che dovevo bruciare viva, io e le mie amiche. Ci hanno urlato che siamo delle lesbiche schifose e un sacco di altre cose". Accade a Torino. Penultimo giorno prima delle vacanze estive. Eva, 13 anni, sta uscendo dalla scuola media Rosselli con due amiche. Con sé ha una borsa con i colori della bandiera arcobaleno, in tinta coi calzini che indossa, e al collo un cinturino di pelle rosa con un cuore. È una ragazza come un'altra, ferma davanti alla scuola insieme alle compagne. È li che vengono aggredite. Prese a schiaffi e a pugni, tanto che alla fine la ragazza si ritrova al pronto soccorso con il naso rotto. Un dolore indicibile, aggravato dalle parole che hanno accompagnato le botte. È lei stessa a raccontarlo: "All’uscita ci sono spesso dei ragazzi di altre scuole, che hanno amici che frequentano la Rosselli. Sono aggressivi. Qualche giorno fa facevano commenti omofobi, forse anche razzisti". E sua mamma Tiziana, che ha denunciato l'aggressione ai Carabinieri, aggiunge: "Questa è l’omofobia che serpeggia tra i ragazzi. Chi non la pensa così è da massacrare di botte". Ma, dicevamo, non bastano i segni sulla pelle a ricordare quanto accaduto alle 13enni. C'è anche un video di un minuto e mezzo che racconta istante per istante l'accaduto, le percosse, le grida di dolore che si mischiano agli insulti e alle incitazioni che corrono tra i membri della banda. Anche questa prova, ulteriore, dell'evento è stata consegnata alle autorità. Come allegato alla denunciata che Tiziana ha firmato insieme alla mamma dell’altra ragazza presa a ceffoni dal branco. Un filmato girato con il cellulare da uno degli aggressori. Si vedono Eva e un’amica che litigano con un gruppo di altri, poi parte un primo schiaffo. In sottofondo, agghiaccianti, le risate. Le ragazzine si allontanano, ma non ci stanno a andarsene via sconfitte. Si voltano e dicono: "Adesso ti senti migliore?". Iniziano gli insulti, loro si allontanano mentre una donna, dal balcone di una casa, le osserva. Il gruppo riparte all’assalto, la telecamera inquadra la strada: "Corri Fra...", urla qualcuno, perché il reporter non si perda il meglio. "Wow wow: la sta spaccando". Un’altra voce: "Lasciatela". Poi la botta finale, a freddo. Un pugno, forse. E la telecamera si spegne.
I ragazzi delle scuole medie di Torino che dimostrano la loro solidarietà a Eva e alle ragazze aggredite dal branco. Foto: La Stampa
I nomi e cognomi dei bulli sono noti. Una, ad esempio, è una compagna di scuola della giovane e della sua amica, quella schiaffeggiata. Esiste anche un esposto, su di loro, firmato dal preside della Rosselli, Oscar Maroni e inviato ai carabinieri della zona qualche tempo fa. Si parlava di una banda che si faceva vedere, minacciosa, davanti alla scuola, oltre ad avere il "dominio" sui giardinetti limitrofi. "Usano il linguaggio dell’omofobia perché è quello più facile per fare i furbi. Violenti? Forse. Ma sono tutte cose che accadono fuori da scuola. Noi abbiamo segnalato perché abbiamo compreso che questa situazione poteva diventare pericolosa". Eventi che accadono fuori dal perimetro scolastico, almeno per quello che si sa. Ma che riguardano studenti e addirittura familiari di questi. Circolano voci una mamma minacciata dai genitori di una delle ragazzine della banda: "Se fai denuncia è peggio per te". Racconti di violenze che si moltiplicano, incontrollate, che non si fermano nemmeno di fronte all'intervento delle forze dell'ordine allertate per placare gli animi. Ma in mezzo a questa violenza, a questa omofobia, al razzismo, all'odio c'è spazio anche per una luce di speranza. Che ha il colore di quell'arcobaleno che  costato caro a Eva e alle amiche. L'ultimo giorno di scuola, quello dopo l'aggressione, centinaia di ragazzi si sono presentati all’uscita delle aule con le bandiere arcobaleno, disegnate in classe, sulle spalle o sventolate. "Oggi siamo tutti Eva: oggi se la prendano con tutti noi», urla qualcuno. Sembra quasi una festa. E per un po' forse, quel dolore, per Eva, è stato alleviato.
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