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Home » Attualità » Turchia, Erdogan vieta il Pride Lgtbqia+per il settimo anno di fila, in Israele sventato un attentato con i droni

Turchia, Erdogan vieta il Pride Lgtbqia+per il settimo anno di fila, in Israele sventato un attentato con i droni

La kermesse proibita a Istanbul per prevenire "eventi ed azioni provocatori". Fermate sette persone a Tel Aviv dove i festeggiamenti sono iniziati al venerdì. In 69 paesi del mondo l'omosessualità è ancora considerata reato

Domenico Guarino
26 Giugno 2021
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I diritti civili sono sempre più la ‘linea di faglia’ che divide due modi di intendere la società e l’esercizio delle libertà. Anzi, potremmo dire che rappresentano di fatto una delle spie più sensibili attraverso cui  determinare il livello di democrazia presente in un determinato Paese. Al punto tale che potremmo parlare legittimamente non di due ‘modi’, ma di due ‘mondi’.

I diritti delle comunità Legbtqi diventano così, in maniera prepotente, una cartina di tornasole che ci rimanda a tutta un’ulteriore serie di considerazioni. E questo è tanto più evidente nel giorno dell’Orgoglio gay: la data, celebrata in (quasi) tutto il mondo che ricorda i moti di Stonewall -dal nome del bar Stonewall Inn, nel Greenwich Village, a New York- dei quali per altro  proprio quest’anno ricorre il cinquantenario, funziona come  uno spartiacque di civiltà.

Non sono pochi infatti i paesi in cui celebrare il 28 giugno è ancora  un tabù. Se non peggio.

E’ di poche ore fa, ad esempio, la notizia  che la  Turchia, di cui si discute l’ingresso nell’Unione Europea, ha deciso di vietare  il Pride per il settimo anno consecutivo. La marcia che si sarebbe dovuta svolgere  nel quartiere di Maltepe,  è stata definita dalle autorità “non appropriata” per ragioni di sicurezza e ordine pubblico, in quanto  avrebbe potuto portare ad “eventi ed azioni provocatori”.

 

Istanbul, stop per sicurezza e ordine pubblico

La Prefettura di Istanbul spiega di non ritenere la manifestazione del  Pride “appropriata” per ragioni di sicurezza e ordine pubblico, sostenendo che l’evento potrebbe portare ad “azioni ed eventi provocatori“.

La buona notizia è che Il corteo di Istanbul si terrà comunque: “Non potranno impedire alle persone Lgbt di riunirsi e rendersi visibili” dicono gli organizzatori. Del resto  fino al 2014 il Pride ha portato in piazza migliaia di persone pacificamente, ma dall’anno successivo la marcia è stata messa al bando e la repressione delle forze dell’ordine è stata durissima.

E già negli scorsi giorni, la polizia è intervenuta per disperdere cittadini e fermare alcuni degli attivisti.

 

È reato in 69 paesi del mondo

Del resto, nel 2020 l’omosessualità è ancora un reato in ben 69 Paesi del mondo, sarebbero 70 di fatto ma il Gabon ha annunciato pochi mesi gfa di volerlo depenalizzare. In alcuni stati viene punita soltanto l’omosessualità maschile, mentre quella femminile viene accettata. Le pene vanno, generalmente, dai 2 ai 15 anni di carcere, ma si può arrivare all’ergastolo o addirittura alla pena di morte.

La decisione delle autorità turche appare dunque tanto più grave ed incomprensibile se si considera che la Turchia è uno dei pochi stati dell’area mediorientale a considerare legale l’omosessualità (tra di  loro anche alcuni importanti partner politici e commerciali dell’occidente, come Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti).

Perfino nella nostra Europa, del resto, non mancano esempi di Paesi in cui celebrare il Pride non è scontato. Accadeva anche in  Polonia ma il  divieto, imposto a Varsavia nel 2005, è stato dichiarato illegale. In Ungheria, nonostante la discussa legge anti Lgbti+ da poco approvata e l’atteggiamento conservatore del governo Orbàn, le manifestazioni si svolgono regolarmente. In Russia invece,  nonostante i ripetuti appelli della Corte europea dei diritti dell’uomo, il tribunale di Mosca nel 2012 ha proibito la marcia Lgbti+  per i successivi 100 anni. Il Pride è illegale anche a San Pietroburgo.

 

La contrarietà della Sharia

Diritti negati ‘ovviamente’  in  Iran, Afghanistan e Yemen, Paesi in cui vige la Sharia, la legge sacra islamica, che vieta ogni tipo di comportamento omosessuale. Contrario anche il regime militare del Myanmar e quello nordcoreano di Kim Jong-un.

In Africa la situazione è a macchia di leopardo: in 37 stati  la partecipazione al Pride è fortemente contrastata, con repressioni anche sanguinose in  Nigeria, Kenya e Uganda. In alcuni Paesi, come in Tunisia, invece, il divieto è di fatto  una formalità e le manifestazioni si tengono comunque.

Caso a sé fa la Cina dove, fino al 2019, per dieci anni, si è tenuto uno dei cortei più rappresentativi al mondo, lo Shangai Pride, ma lo scorso anno la manifestazione del 2020 e quella di quest’anno sono state annullate. Ufficialmente per il covid

 

Israele, sventato un attentato con i droni

Per fortuna nel resto del mondo oggi sarà un giorno di festa e di affermazione dei diritti di tutti e di tutte.

Anzi, qualcuno ha già cominciato: decine di migliaia di persone si sono infatti riunite ieri  a Tel Aviv in Israele (dove da ieri sera è iniziato lo shabbat), per la grande parata del gay pride, iniziata a mezzogiorno di ieri, venerdì, con la tradizionale sfilata, accompagnata da  danze e musica.  Il Pride di Tel Aviv, che si svolge nel rispetto delle misure anti-contagio,  è uno dei più famosi del mondo ed è frequentato anche da tanti stranieri che  vengono appositamente qui per celebrarlo.

Tuttavia anche in Israele tenere il Pride non è così scontato: la polizia ieri  ha fermato  sette persone che prevedevano di attaccare i partecipanti, due dei quali muniti di droni, secondo quanto riferisce Times of Israel. Andò peggio nel  2015, quando  una giovane donna, la 16enne Shira Banki, fu accoltellata a morte da un estremista ultraortodosso al gay pride di Gerusalemme.

 

 

 

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  • "Ora dobbiamo fare di meno, per il futuro".

Torna anche quest’anno l
  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
  • Presidi psicologici, psicoterapeutici e di counselling per tutti gli studenti universitari e scolastici. Lo chiedono l’Udu, Unione degli universitari, e la Rete degli studenti medi nella proposta di legge ‘Chiedimi come sto’ consegnata a una delegazione di parlamentari nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.

La proposta è stata redatta secondo le conclusioni di una ricerca condotta da Spi-Cgil e Istituto Ires, che ha evidenziato come, su un campione di 50mila risposte, il 28 per cento abbia avuto esperienze di disturbi alimentari e oltre il 14 di autolesionismo.

“Nella nostra generazione è ancora forte lo stigma verso chi sta male ed è difficile chiedere aiuto - spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu - l’interesse effettivo della politica si è palesato solo dopo il 15esimo suicidio di studenti universitari in un anno e mezzo. Ci sembra assurdo che la politica si interessi solamente dopo che si supera il limite, con persone che arrivano a scegliere di togliersi la vita.

Dall’altro lato, è positivo che negli ultimi mesi si sia deciso di chiedere a noi studenti come affrontare e come risolvere, il problema. Non è scontato e non è banale, perché siamo abituati a decenni in cui si parla di nuove generazioni senza parlare alle nuove generazioni”.

#luce #lucenews #università
  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere
I diritti civili sono sempre più la ‘linea di faglia’ che divide due modi di intendere la società e l'esercizio delle libertà. Anzi, potremmo dire che rappresentano di fatto una delle spie più sensibili attraverso cui  determinare il livello di democrazia presente in un determinato Paese. Al punto tale che potremmo parlare legittimamente non di due ‘modi’, ma di due ‘mondi’. I diritti delle comunità Legbtqi diventano così, in maniera prepotente, una cartina di tornasole che ci rimanda a tutta un’ulteriore serie di considerazioni. E questo è tanto più evidente nel giorno dell’Orgoglio gay: la data, celebrata in (quasi) tutto il mondo che ricorda i moti di Stonewall -dal nome del bar Stonewall Inn, nel Greenwich Village, a New York- dei quali per altro  proprio quest’anno ricorre il cinquantenario, funziona come  uno spartiacque di civiltà. Non sono pochi infatti i paesi in cui celebrare il 28 giugno è ancora  un tabù. Se non peggio. E’ di poche ore fa, ad esempio, la notizia  che la  Turchia, di cui si discute l’ingresso nell’Unione Europea, ha deciso di vietare  il Pride per il settimo anno consecutivo. La marcia che si sarebbe dovuta svolgere  nel quartiere di Maltepe,  è stata definita dalle autorità "non appropriata" per ragioni di sicurezza e ordine pubblico, in quanto  avrebbe potuto portare ad "eventi ed azioni provocatori".  

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È reato in 69 paesi del mondo

Del resto, nel 2020 l’omosessualità è ancora un reato in ben 69 Paesi del mondo, sarebbero 70 di fatto ma il Gabon ha annunciato pochi mesi gfa di volerlo depenalizzare. In alcuni stati viene punita soltanto l’omosessualità maschile, mentre quella femminile viene accettata. Le pene vanno, generalmente, dai 2 ai 15 anni di carcere, ma si può arrivare all’ergastolo o addirittura alla pena di morte. La decisione delle autorità turche appare dunque tanto più grave ed incomprensibile se si considera che la Turchia è uno dei pochi stati dell'area mediorientale a considerare legale l'omosessualità (tra di  loro anche alcuni importanti partner politici e commerciali dell'occidente, come Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti). Perfino nella nostra Europa, del resto, non mancano esempi di Paesi in cui celebrare il Pride non è scontato. Accadeva anche in  Polonia ma il  divieto, imposto a Varsavia nel 2005, è stato dichiarato illegale. In Ungheria, nonostante la discussa legge anti Lgbti+ da poco approvata e l'atteggiamento conservatore del governo Orbàn, le manifestazioni si svolgono regolarmente. In Russia invece,  nonostante i ripetuti appelli della Corte europea dei diritti dell'uomo, il tribunale di Mosca nel 2012 ha proibito la marcia Lgbti+  per i successivi 100 anni. Il Pride è illegale anche a San Pietroburgo.  

La contrarietà della Sharia

Diritti negati ‘ovviamente’  in  Iran, Afghanistan e Yemen, Paesi in cui vige la Sharia, la legge sacra islamica, che vieta ogni tipo di comportamento omosessuale. Contrario anche il regime militare del Myanmar e quello nordcoreano di Kim Jong-un. In Africa la situazione è a macchia di leopardo: in 37 stati  la partecipazione al Pride è fortemente contrastata, con repressioni anche sanguinose in  Nigeria, Kenya e Uganda. In alcuni Paesi, come in Tunisia, invece, il divieto è di fatto  una formalità e le manifestazioni si tengono comunque. Caso a sé fa la Cina dove, fino al 2019, per dieci anni, si è tenuto uno dei cortei più rappresentativi al mondo, lo Shangai Pride, ma lo scorso anno la manifestazione del 2020 e quella di quest’anno sono state annullate. Ufficialmente per il covid  

Israele, sventato un attentato con i droni

Per fortuna nel resto del mondo oggi sarà un giorno di festa e di affermazione dei diritti di tutti e di tutte. Anzi, qualcuno ha già cominciato: decine di migliaia di persone si sono infatti riunite ieri  a Tel Aviv in Israele (dove da ieri sera è iniziato lo shabbat), per la grande parata del gay pride, iniziata a mezzogiorno di ieri, venerdì, con la tradizionale sfilata, accompagnata da  danze e musica.  Il Pride di Tel Aviv, che si svolge nel rispetto delle misure anti-contagio,  è uno dei più famosi del mondo ed è frequentato anche da tanti stranieri che  vengono appositamente qui per celebrarlo. Tuttavia anche in Israele tenere il Pride non è così scontato: la polizia ieri  ha fermato  sette persone che prevedevano di attaccare i partecipanti, due dei quali muniti di droni, secondo quanto riferisce Times of Israel. Andò peggio nel  2015, quando  una giovane donna, la 16enne Shira Banki, fu accoltellata a morte da un estremista ultraortodosso al gay pride di Gerusalemme.      
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