I diritti civili sono sempre più la ‘linea di faglia’ che divide due modi di intendere la società e l’esercizio delle libertà. Anzi, potremmo dire che rappresentano di fatto una delle spie più sensibili attraverso cui determinare il livello di democrazia presente in un determinato Paese. Al punto tale che potremmo parlare legittimamente non di due ‘modi’, ma di due ‘mondi’.
I diritti delle comunità Legbtqi diventano così, in maniera prepotente, una cartina di tornasole che ci rimanda a tutta un’ulteriore serie di considerazioni. E questo è tanto più evidente nel giorno dell’Orgoglio gay: la data, celebrata in (quasi) tutto il mondo che ricorda i moti di Stonewall -dal nome del bar Stonewall Inn, nel Greenwich Village, a New York- dei quali per altro proprio quest’anno ricorre il cinquantenario, funziona come uno spartiacque di civiltà.
Non sono pochi infatti i paesi in cui celebrare il 28 giugno è ancora un tabù. Se non peggio.
E’ di poche ore fa, ad esempio, la notizia che la Turchia, di cui si discute l’ingresso nell’Unione Europea, ha deciso di vietare il Pride per il settimo anno consecutivo. La marcia che si sarebbe dovuta svolgere nel quartiere di Maltepe, è stata definita dalle autorità “non appropriata” per ragioni di sicurezza e ordine pubblico, in quanto avrebbe potuto portare ad “eventi ed azioni provocatori”.
Istanbul, stop per sicurezza e ordine pubblico
La Prefettura di Istanbul spiega di non ritenere la manifestazione del Pride “appropriata” per ragioni di sicurezza e ordine pubblico, sostenendo che l’evento potrebbe portare ad “azioni ed eventi provocatori“.
La buona notizia è che Il corteo di Istanbul si terrà comunque: “Non potranno impedire alle persone Lgbt di riunirsi e rendersi visibili” dicono gli organizzatori. Del resto fino al 2014 il Pride ha portato in piazza migliaia di persone pacificamente, ma dall’anno successivo la marcia è stata messa al bando e la repressione delle forze dell’ordine è stata durissima.
E già negli scorsi giorni, la polizia è intervenuta per disperdere cittadini e fermare alcuni degli attivisti.
È reato in 69 paesi del mondo
Del resto, nel 2020 l’omosessualità è ancora un reato in ben 69 Paesi del mondo, sarebbero 70 di fatto ma il Gabon ha annunciato pochi mesi gfa di volerlo depenalizzare. In alcuni stati viene punita soltanto l’omosessualità maschile, mentre quella femminile viene accettata. Le pene vanno, generalmente, dai 2 ai 15 anni di carcere, ma si può arrivare all’ergastolo o addirittura alla pena di morte.
La decisione delle autorità turche appare dunque tanto più grave ed incomprensibile se si considera che la Turchia è uno dei pochi stati dell’area mediorientale a considerare legale l’omosessualità (tra di loro anche alcuni importanti partner politici e commerciali dell’occidente, come Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti).
Perfino nella nostra Europa, del resto, non mancano esempi di Paesi in cui celebrare il Pride non è scontato. Accadeva anche in Polonia ma il divieto, imposto a Varsavia nel 2005, è stato dichiarato illegale. In Ungheria, nonostante la discussa legge anti Lgbti+ da poco approvata e l’atteggiamento conservatore del governo Orbàn, le manifestazioni si svolgono regolarmente. In Russia invece, nonostante i ripetuti appelli della Corte europea dei diritti dell’uomo, il tribunale di Mosca nel 2012 ha proibito la marcia Lgbti+ per i successivi 100 anni. Il Pride è illegale anche a San Pietroburgo.
La contrarietà della Sharia
Diritti negati ‘ovviamente’ in Iran, Afghanistan e Yemen, Paesi in cui vige la Sharia, la legge sacra islamica, che vieta ogni tipo di comportamento omosessuale. Contrario anche il regime militare del Myanmar e quello nordcoreano di Kim Jong-un.
In Africa la situazione è a macchia di leopardo: in 37 stati la partecipazione al Pride è fortemente contrastata, con repressioni anche sanguinose in Nigeria, Kenya e Uganda. In alcuni Paesi, come in Tunisia, invece, il divieto è di fatto una formalità e le manifestazioni si tengono comunque.
Caso a sé fa la Cina dove, fino al 2019, per dieci anni, si è tenuto uno dei cortei più rappresentativi al mondo, lo Shangai Pride, ma lo scorso anno la manifestazione del 2020 e quella di quest’anno sono state annullate. Ufficialmente per il covid
Israele, sventato un attentato con i droni
Per fortuna nel resto del mondo oggi sarà un giorno di festa e di affermazione dei diritti di tutti e di tutte.
Anzi, qualcuno ha già cominciato: decine di migliaia di persone si sono infatti riunite ieri a Tel Aviv in Israele (dove da ieri sera è iniziato lo shabbat), per la grande parata del gay pride, iniziata a mezzogiorno di ieri, venerdì, con la tradizionale sfilata, accompagnata da danze e musica. Il Pride di Tel Aviv, che si svolge nel rispetto delle misure anti-contagio, è uno dei più famosi del mondo ed è frequentato anche da tanti stranieri che vengono appositamente qui per celebrarlo.
Tuttavia anche in Israele tenere il Pride non è così scontato: la polizia ieri ha fermato sette persone che prevedevano di attaccare i partecipanti, due dei quali muniti di droni, secondo quanto riferisce Times of Israel. Andò peggio nel 2015, quando una giovane donna, la 16enne Shira Banki, fu accoltellata a morte da un estremista ultraortodosso al gay pride di Gerusalemme.