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Home » Attualità » Uccise il padre violento per difendere la madre. Assolto perché “il fatto non costituisce reato”

Uccise il padre violento per difendere la madre. Assolto perché “il fatto non costituisce reato”

Alex Pompa aveva solo 19 anni quando decise di porre fine alla violenza, continua, assillante, di suo padre Giuseppe. Ma la giustizia gli ha dato ragione. La mamma: "La sua condanna l'ha già scontata"

Marianna Grazi
25 Novembre 2021
Alex Pompa con il suo avvocato Claudio Strata (S) ha sostenuto questa mattina l'esame di maturità all'Iis Prever di Pinerolo (Torino), 22 giugno 2020.
ANSA/PER GENTILE CONCESSIONE CLAUDIO STRATA EDITORIAL USE ONLY NO SALES

Alex Pompa con il suo avvocato Claudio Strata (S) ha sostenuto questa mattina l'esame di maturità all'Iis Prever di Pinerolo (Torino), 22 giugno 2020. ANSA/PER GENTILE CONCESSIONE CLAUDIO STRATA EDITORIAL USE ONLY NO SALES

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La notizia è arrivata poche ore prima della Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne e non poteva essere migliore. Alex Pompa, il 20enne che uccise il padre violento a Collegno, comune nel torinese, è stato assolto in primo grado dall’accusa di omicidio volontario. “Il fatto non costituisce reato”. Questa la decisione della Corte d’Assise di Torino. E questa la decisione più logica, agli occhi della società, che nel guardare al giovane non poteva vedere certo un assassino, ma un uomo che ha agito in difesa della madre, contro il suo stesso padre, un uomo violento, ossessivo, che minacciava quotidianamente la moglie e i due figli. L’opinione pubblica, infatti, è sempre stata dalla sua parte, tanto che per questa profonda convinzione della sue innocenza un imprenditore edile del Trevigiano, l’80enne Paolo Fassa si è addirittura impegnato a sostenere le spese legali di Pompa. “Avevo sentito questa storia al telegiornale ed ero rimasto impressionato dal fatto che gli insegnanti spendessero tante buone parole per lui – ha commentato Fassa -. Così ho chiesto di parlargli. E ho avuto la conferma che è davvero un bravo ragazzo”.

La madre Maria Cutoia con il figlio Alex Pompa dopo la sua assoluzione (Ansa)

Il sangue versato, quel sangue che scorre anche nelle vene di Alex, non determina chi è. È l’educazione che gli è stata data, il suo carattere, la sua personalità a determinarlo. E ad avergli fatto scegliere di prendere in mano il coltello (anzi sei coltelli da cucina diversi), quella sera del 30 aprile 2020, per porre fine alla vita dell’uomo che stava distruggendo la sua famiglia. Trentaquattro fendenti per fermare Giuseppe Pompa, operaio di 52 anni che già diverse volte aveva alzato le mani sulla sua mamma e su suo fratello. Il pubblico ministero Alessandro Aghemo, colpito dalla vicenda, durante il processo aveva esternato la sua perplessità e si era infine dichiarato costretto chiedere la condanna a 14 anni di carcere, con l’accusa di omicidio volontario. Allo stesso tempo però aveva anche invitato i giudici a interpellare la Corte Costituzionale per una questione legata all’impossibilità di concedere la prevalenza delle attenuanti rispetto all’aggravante del vincolo di parentela. L’avvocato del 20enne, Claudio Strata, invece, ha respinto l’accusa parlando di chiara legittima difesa e portando a sostegno dell’assoluzione un messaggio del fratello di Alex, Loris Pompa, in cui già nel 2018 scriveva, riferendosi al padre: “prima o poi ci ammazza tutti”.

Dopo l’assoluzione in Corte d’Assise, Pompa, circondato dai familiari e dal legale, ha rilasciato alcune dichiarazioni ai giornalisti. “Ci tengo a ringraziare questa corte” ha detto, dichiarandosi poi felice ma frastornato: “È tutto così strano, non ho avuto ancora il tempo per metabolizzare, voglio solo andare a casa, è stata una giornata intensa, pesante, solo a casa saprò metabolizzare”. La madre, Maria Cutoia, in lacrime ha detto di essere “contentissima” e ha aggiunto: “Finalmente, ce lo meritiamo, grazie a tutti”. Anche il fratello Loris ha voluto esternare la propria gioia, sottolineando quanto fossero stati difficili i mesi precedenti alla sentenza e gli anni vissuti accanto a quell’uomo violento, che difficilmente si poteva definire un padre: “Sappiamo quello che abbiamo vissuto, abbiamo visto l’inferno e la morte in faccia“.

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Instagram

  • Numerosi attori e musicisti di alto profilo si sono recati in Ucraina da quando è scoppiata la guerra con la Russia nel febbraio 2022. L’ultimo in ordine di tempo è stato l’attore britannico Orlando Bloom, che ieri ha visitato un centro per bambini e ha incontrato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a Kiev.

“Non mi sarei mai aspettato che la guerra si sarebbe intensificata in tutto il Paese da quando sono stato lì”, ha detto Bloom su Instagram, “Ma oggi ho avuto la fortuna di ascoltare le risate dei bambini in un centro del programma Spilno sostenuto dall’Unicef, uno spazio sicuro, caldo e accogliente dove i bambini possono giocare, imparare e ricevere supporto psicosociale”.

Bloom è un ambasciatore di buona volontà per l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef). Il centro di Splino, che è uno dei tanti in Ucraina, offre sostegno ai bambini sfollati e alle loro famiglie, con più di mezzo milione di bambini che ne hanno visitato uno nell’ultimo anno.

La star hollywoodiana ha poi incontrato il presidente Zelensky, con cui ha trattato temi tra cui il ritorno dei bambini ucraini deportati in Russia, la creazione di rifugi antiatomici negli istituti scolastici e il supporto tecnico per l’apprendimento a distanza nelle aree in cui è impossibile studiare offline a causa della guerra. L’attore britannico aveva scritto ieri su Instagram, al suo arrivo a Kiev, che i «bambini in Ucraina hanno bisogno di riavere la loro infanzia».

#lucelanazione #lucenews #zelensky #orlandobloom
  • “La vita che stavo conducendo mi rendeva particolarmente infelice e se all’inizio ero entrata in terapia perché volevo accettare il fatto che mi dovessi nascondere, ho avuto poi un’evoluzione e questo percorso è diventato di accettazione di me stessa."

✨Un sorriso contagioso, la spensieratezza dei vent’anni e la bellezza di chi si piace e non può che riflettere quella luce anche al di fuori. La si potrebbe definire una Mulan nostrana Carlotta Bertotti, 23 anni, una ragazza torinese come tante, salvo che ha qualcosa di speciale. E non stiamo parlano del Nevo di Ota che occupa metà del suo volto. Ecco però spiegato un primo punto di contatto con Mulan: l’Oriente, dove è più diffusa (insieme all’Africa) quell’alterazione di natura benigna della pigmentazione della cute intorno alla zona degli occhi (spesso anche la sclera si presenta scura). Quella che appare come una chiazza grigio-bluastra su un lato del volto (rarissimi i casi bilaterali), colpisce prevalentemente persone di sesso femminile e le etnie asiatiche (1 su 200 persone in Giappone), può essere presente alla nascita o apparire durante la pubertà. E come la principessa Disney “fin da piccola ho sempre sentito la pressione di dover salvare tutto, ma forse in realtà dovevo solo salvare me stessa. Però non mi piace stare troppo alle regole, sono ribelle come lei”.

🗣Cosa diresti a una ragazza che ha una macchia come la tua e ti chiede come riuscire a conviverci?�
“Che sono profondamente fiera della persona che vedo riflessa allo specchio tutto i giorni e sono arrivata a questa fierezza dopo che ho scoperto e ho accettato tutti i miei lati, sia positivi che negativi. È molto autoreferenziale, quindi invece se dovessi dare un consiglio è quello che alla fine della fiera il giudizio altrui è momentaneo e tutto passa. L’unica persona che resta e con cui devi convivere tutta la vita sei tu, quindi le vere battaglie sono quelle con te stessa, quelle che vale la pena combattere”.

L’intervista a cura di Marianna Grazi �✍ 𝘓𝘪𝘯𝘬 𝘪𝘯 𝘣𝘪𝘰

#lucenews #lucelanazione #carlottabertotti #nevodiota
  • La salute mentale al centro del podcast di Alessia Lanza. Come si supera l’ansia sociale? Quanto è difficile fare coming out? Vado dallo psicologo? Come trovo la mia strada? La popolare influencer, una delle creator più note e amate del web con 1,4 milioni di followers su Instagram e 3,9 milioni su TikTok, Alessia Lanza debutta con “Mille Pare”, il suo primo podcast in cui affronta, in dieci puntate, una “para” diversa e cerca di esorcizzare le sue fragilità e, di riflesso, quelle dei suoi coetanei.

“Ho deciso di fare questo podcast per svariati motivi: io sono arrivata fin qui anche grazie alla mia immagine, ma questa volta vorrei che le persone mi ascoltassero e basta. Quando ho cominciato a raccontare le mie fragilità un sacco di persone mi hanno detto ‘Anche io ho quella para lì!’. Perciò dico parliamone, perché in un mondo in cui sembra che dobbiamo farcela da soli, io credo nel potere della condivisione”.

#lucenews #lucelanazione #millepare #alessialanza #podcast
  • Si è laureata in Antropologia, Religioni e Civiltà Orientali indossando un abito tradizionale Crow, tribù della sua famiglia adottiva in Montana. Eppure Raffaella Milandri è italianissima e ha conseguito il titolo nella storica università Alma Mater di Bologna, lo scorso 17 marzo. 

La scrittrice e giornalista nel 2010 è diventata membro adottivo della famiglia di nativi americani Black Eagle. Da quel momento quella che era una semplice passione per i popoli indigeni si è focalizzata sullo studio degli aborigeni Usa e sulla divulgazione della loro cultura.

Un titolo di studio specifico, quello conseguito dalla Milandri, “Che ho ritenuto oltremodo necessario per coronare la mia attività di studiosa e attivista per i diritti dei Nativi Americani e per i Popoli Indigeni. La prima forma pacifica di attivismo è divulgare la cultura nativa”. L’abito indossato durante cerimonia di laurea appartiene alla tribù della sua famiglia adottiva. Usanza che è stata istituzionalizzata solo dal 2017 in Montana, Stato d’origine del suo popolo, quando è stata approvata una legge (la SB 319) che permette ai nativi e loro familiari di laurearsi con il “tribal regalia“. 

In virtù di questa norma, il Segretario della Crow Nation, Levi Black Eagle, a maggio 2022 ha ricordato la possibilità di indossare l’abito tradizionale Crow in queste occasioni e così Milandri ha chiesto alla famiglia d’adozione se anche lei, in quanto membro acquisito della tribù, avrebbe potuto indossarlo in occasione della sua discussione.

La scrittrice, ricordando il momento della laurea a Bologna, racconta che è stata “Una grandissima emozione e un onore poter rappresentare la Crow Nation e la mia famiglia adottiva. Ho dedicato la mia laurea in primis alle vittime dei collegi indiani, istituti scolastici, perlopiù a gestione cattolica, di stampo assimilazionista. Le stesse vittime per le quali Papa Francesco, lo scorso luglio, si è recato in Canada in viaggio penitenziale a chiedere scusa  Ho molto approfondito questo tema controverso e presto sarà pubblicato un mio studio sull’argomento dalla Mauna Kea Edizioni”.

#lucenews #raffaellamilandri #antropologia
La notizia è arrivata poche ore prima della Giornata Internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne e non poteva essere migliore. Alex Pompa, il 20enne che uccise il padre violento a Collegno, comune nel torinese, è stato assolto in primo grado dall'accusa di omicidio volontario. "Il fatto non costituisce reato". Questa la decisione della Corte d'Assise di Torino. E questa la decisione più logica, agli occhi della società, che nel guardare al giovane non poteva vedere certo un assassino, ma un uomo che ha agito in difesa della madre, contro il suo stesso padre, un uomo violento, ossessivo, che minacciava quotidianamente la moglie e i due figli. L'opinione pubblica, infatti, è sempre stata dalla sua parte, tanto che per questa profonda convinzione della sue innocenza un imprenditore edile del Trevigiano, l'80enne Paolo Fassa si è addirittura impegnato a sostenere le spese legali di Pompa. "Avevo sentito questa storia al telegiornale ed ero rimasto impressionato dal fatto che gli insegnanti spendessero tante buone parole per lui - ha commentato Fassa -. Così ho chiesto di parlargli. E ho avuto la conferma che è davvero un bravo ragazzo".
La madre Maria Cutoia con il figlio Alex Pompa dopo la sua assoluzione (Ansa)
Il sangue versato, quel sangue che scorre anche nelle vene di Alex, non determina chi è. È l'educazione che gli è stata data, il suo carattere, la sua personalità a determinarlo. E ad avergli fatto scegliere di prendere in mano il coltello (anzi sei coltelli da cucina diversi), quella sera del 30 aprile 2020, per porre fine alla vita dell'uomo che stava distruggendo la sua famiglia. Trentaquattro fendenti per fermare Giuseppe Pompa, operaio di 52 anni che già diverse volte aveva alzato le mani sulla sua mamma e su suo fratello. Il pubblico ministero Alessandro Aghemo, colpito dalla vicenda, durante il processo aveva esternato la sua perplessità e si era infine dichiarato costretto chiedere la condanna a 14 anni di carcere, con l'accusa di omicidio volontario. Allo stesso tempo però aveva anche invitato i giudici a interpellare la Corte Costituzionale per una questione legata all'impossibilità di concedere la prevalenza delle attenuanti rispetto all'aggravante del vincolo di parentela. L'avvocato del 20enne, Claudio Strata, invece, ha respinto l'accusa parlando di chiara legittima difesa e portando a sostegno dell'assoluzione un messaggio del fratello di Alex, Loris Pompa, in cui già nel 2018 scriveva, riferendosi al padre: "prima o poi ci ammazza tutti". Dopo l'assoluzione in Corte d'Assise, Pompa, circondato dai familiari e dal legale, ha rilasciato alcune dichiarazioni ai giornalisti. "Ci tengo a ringraziare questa corte" ha detto, dichiarandosi poi felice ma frastornato: "È tutto così strano, non ho avuto ancora il tempo per metabolizzare, voglio solo andare a casa, è stata una giornata intensa, pesante, solo a casa saprò metabolizzare". La madre, Maria Cutoia, in lacrime ha detto di essere "contentissima" e ha aggiunto: "Finalmente, ce lo meritiamo, grazie a tutti". Anche il fratello Loris ha voluto esternare la propria gioia, sottolineando quanto fossero stati difficili i mesi precedenti alla sentenza e gli anni vissuti accanto a quell'uomo violento, che difficilmente si poteva definire un padre: "Sappiamo quello che abbiamo vissuto, abbiamo visto l'inferno e la morte in faccia".
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