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Home » Attualità » Giulia Grasso, la studentessa dedica la tesi di laurea a chi si è tolto la vita per l’università

Giulia Grasso, la studentessa dedica la tesi di laurea a chi si è tolto la vita per l’università

Giulia Grasso, neolaureata all'Università di Bari, mette nero su bianco le difficoltà e lancia un messaggio: "Non siete il voto assegnato da un docente"

Ilaria Vallerini
16 Giugno 2022
Giulia Grasso dedica la sua tesi di laurea a chi si è tolto la vita per l'università

Giulia Grasso dedica la sua tesi di laurea a chi si è tolto la vita per l'università

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Una dedica speciale, in un giorno altrettanto speciale. Per ricordare tutte le vittime di un sistema che loda le eccellenze (una minoranza) a discapito di chi, invece, per un motivo o per un altro non riesce a concludere gli studi. Giulia Grasso, neolaureata dell’Università di Bari, ha deciso di dedicare la sua tesi di laurea in Lettere antiche a tutti gli studenti universitari che non sono riusciti a raggiungere questo traguardo, ma soprattutto a chi non ha retto il peso del “fallimento” e ha deciso di smettere di vivere. “A chi non ce l’ha fatta, a chi ha mollato, a chi non si è sentito all’altezza e a chi ha trovato solo porte chiuse – ha scritto Giulia nella sua dedica -. A chi non crede più in se stesso, a chi ha pianto notti intere pensando un esame e a chi si è dato la colpa di ogni fallimento”.

La dedica di Giulia Grasso

“Non siete il voto assegnato da un docente”

“Perché ogni giorno sentiamo notizie riguardanti studenti che si laureano in tempo record, di ragazzi che frequentano due facoltà, e chi più ne ha più ne metta. Io invece ho voluto dedicare tutti i miei sforzi, e solo chi mi ha accompagnata in questo percorso sa quanto a volte sia stato difficile, a quelle persone che hanno preferito rinunciare, che sono state soffocate dall’ansia, che sono arrivate a preferire la morte piuttosto che a dover dire di non riuscire ad affrontare l’università italiana”. Questo è un estratto del post pubblicato su Instagram dalla neolaureata Giulia Grasso. Un messaggio che in poche ore è diventato virale sulla piattaforma social. Nella sua dedica, Giulia fa un esplicito riferimento anche alle numerose morti a causa di un risultato non ottenuto.  “Perché nessuno parla mai di loro. Perché nessuno pensa mai a chi non ce la fa più, a chi si porta quell’esame dietro per anni e non perché non studia, ma perché qualcuno ha deciso che quella domanda sulla nota a piè di pagina di uno dei tre libri da 500 pagine a cui non ha saputo rispondere, vale la bocciatura”. Anche lei stessa, come molti colleghi, ha attraversato momenti difficili durante il suo percorso di studi: “La mia tesi, la mia laurea, tutti i miei sacrifici, li ho dedicati a chi ha passato notti intere a piangere, notti insonne a domandarsi: “ne vale davvero la pena?”, giornate a studiare sui libri per poi sentirsi dire che non era abbastanza. Ma non è così. Non siete l’opinione di uno sconosciuto. Non siete il voto che vi dà un docente che arriva stanco alla fine dell’appello e vuole tornare a casa”.

Ansia e stress da competizione, paura del giudizio, aspettative alte: ecco sintomi più diffusi tra gli studenti

 Università, quando il “fallimento” non lascia scampo

In Italia nel 2019, i giovani  tra i 15 e i 34 anni che si sono tolti la vita sono stati quasi 500 (dati Istat). Un gesto estremo che, ad un certo punto, diventa l’unica via d’uscita. Nelle pagine di cronaca nera si legge spesso di casi di studenti universitari che compiono questo gesto per motivi legati allo studio. Delle tragedie che nascono dalla paura di ammettere a se stessi e agli altri (famiglia, amici ecc…) un ritardo negli studi, un esame che non è andato bene, una bocciatura. Tragedie che segnano la vita di famiglie intere. Sono numerose le storie in cui il timore e lo sgomento di ammettere di non aver terminato in tempo gli studi induce gli studenti al suicidio. E il modus operandi in molti casi è lo stesso: l’invito recapitato a genitori e amici ad una presunta discussione della tesi di laurea, seguito dalla scomparsa, dal silenzio e dall’agonia delle famiglie. Un caso terribilmente straziante fu quello di Francesco Pantaleo, il 23enne di Marsala, studente fuorisede dell’Università di Pisa, che circa un anno fa si tolse la vita in un campo nei pressi di San Giuliano Terme, a pochi chilometri da Pisa, dove fu ritrovato il corpo carbonizzato.  Ma prima e dopo di lui tanti altri. Come L.N., 29enne abruzzese, iscritto alla Facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Bologna che, subito dopo aver invitato i genitori alla discussione di laurea, si tolse la vita buttandosi dal ponte di Stalingrado a Bologna.

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  • "Ora dobbiamo fare di meno, per il futuro".

Torna anche quest’anno l
  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
  • Presidi psicologici, psicoterapeutici e di counselling per tutti gli studenti universitari e scolastici. Lo chiedono l’Udu, Unione degli universitari, e la Rete degli studenti medi nella proposta di legge ‘Chiedimi come sto’ consegnata a una delegazione di parlamentari nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.

La proposta è stata redatta secondo le conclusioni di una ricerca condotta da Spi-Cgil e Istituto Ires, che ha evidenziato come, su un campione di 50mila risposte, il 28 per cento abbia avuto esperienze di disturbi alimentari e oltre il 14 di autolesionismo.

“Nella nostra generazione è ancora forte lo stigma verso chi sta male ed è difficile chiedere aiuto - spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu - l’interesse effettivo della politica si è palesato solo dopo il 15esimo suicidio di studenti universitari in un anno e mezzo. Ci sembra assurdo che la politica si interessi solamente dopo che si supera il limite, con persone che arrivano a scegliere di togliersi la vita.

Dall’altro lato, è positivo che negli ultimi mesi si sia deciso di chiedere a noi studenti come affrontare e come risolvere, il problema. Non è scontato e non è banale, perché siamo abituati a decenni in cui si parla di nuove generazioni senza parlare alle nuove generazioni”.

#luce #lucenews #università
  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere
Una dedica speciale, in un giorno altrettanto speciale. Per ricordare tutte le vittime di un sistema che loda le eccellenze (una minoranza) a discapito di chi, invece, per un motivo o per un altro non riesce a concludere gli studi. Giulia Grasso, neolaureata dell'Università di Bari, ha deciso di dedicare la sua tesi di laurea in Lettere antiche a tutti gli studenti universitari che non sono riusciti a raggiungere questo traguardo, ma soprattutto a chi non ha retto il peso del "fallimento" e ha deciso di smettere di vivere. "A chi non ce l'ha fatta, a chi ha mollato, a chi non si è sentito all'altezza e a chi ha trovato solo porte chiuse – ha scritto Giulia nella sua dedica -. A chi non crede più in se stesso, a chi ha pianto notti intere pensando un esame e a chi si è dato la colpa di ogni fallimento".
La dedica di Giulia Grasso

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"Perché ogni giorno sentiamo notizie riguardanti studenti che si laureano in tempo record, di ragazzi che frequentano due facoltà, e chi più ne ha più ne metta. Io invece ho voluto dedicare tutti i miei sforzi, e solo chi mi ha accompagnata in questo percorso sa quanto a volte sia stato difficile, a quelle persone che hanno preferito rinunciare, che sono state soffocate dall'ansia, che sono arrivate a preferire la morte piuttosto che a dover dire di non riuscire ad affrontare l'università italiana". Questo è un estratto del post pubblicato su Instagram dalla neolaureata Giulia Grasso. Un messaggio che in poche ore è diventato virale sulla piattaforma social. Nella sua dedica, Giulia fa un esplicito riferimento anche alle numerose morti a causa di un risultato non ottenuto.  "Perché nessuno parla mai di loro. Perché nessuno pensa mai a chi non ce la fa più, a chi si porta quell'esame dietro per anni e non perché non studia, ma perché qualcuno ha deciso che quella domanda sulla nota a piè di pagina di uno dei tre libri da 500 pagine a cui non ha saputo rispondere, vale la bocciatura". Anche lei stessa, come molti colleghi, ha attraversato momenti difficili durante il suo percorso di studi: "La mia tesi, la mia laurea, tutti i miei sacrifici, li ho dedicati a chi ha passato notti intere a piangere, notti insonne a domandarsi: "ne vale davvero la pena?", giornate a studiare sui libri per poi sentirsi dire che non era abbastanza. Ma non è così. Non siete l'opinione di uno sconosciuto. Non siete il voto che vi dà un docente che arriva stanco alla fine dell'appello e vuole tornare a casa".
Ansia e stress da competizione, paura del giudizio, aspettative alte: ecco sintomi più diffusi tra gli studenti

 Università, quando il "fallimento" non lascia scampo

In Italia nel 2019, i giovani  tra i 15 e i 34 anni che si sono tolti la vita sono stati quasi 500 (dati Istat). Un gesto estremo che, ad un certo punto, diventa l'unica via d'uscita. Nelle pagine di cronaca nera si legge spesso di casi di studenti universitari che compiono questo gesto per motivi legati allo studio. Delle tragedie che nascono dalla paura di ammettere a se stessi e agli altri (famiglia, amici ecc...) un ritardo negli studi, un esame che non è andato bene, una bocciatura. Tragedie che segnano la vita di famiglie intere. Sono numerose le storie in cui il timore e lo sgomento di ammettere di non aver terminato in tempo gli studi induce gli studenti al suicidio. E il modus operandi in molti casi è lo stesso: l'invito recapitato a genitori e amici ad una presunta discussione della tesi di laurea, seguito dalla scomparsa, dal silenzio e dall'agonia delle famiglie. Un caso terribilmente straziante fu quello di Francesco Pantaleo, il 23enne di Marsala, studente fuorisede dell'Università di Pisa, che circa un anno fa si tolse la vita in un campo nei pressi di San Giuliano Terme, a pochi chilometri da Pisa, dove fu ritrovato il corpo carbonizzato.  Ma prima e dopo di lui tanti altri. Come L.N., 29enne abruzzese, iscritto alla Facoltà di Economia e Commercio dell'Università di Bologna che, subito dopo aver invitato i genitori alla discussione di laurea, si tolse la vita buttandosi dal ponte di Stalingrado a Bologna.
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