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Home » HP Blocco Testo Destra » Alba Donati, poetessa nella libreria più piccola del mondo: “Le donne sono state zitte per troppo tempo”

Alba Donati, poetessa nella libreria più piccola del mondo: “Le donne sono state zitte per troppo tempo”

A Lucignana, in provincia di Lucca, ha costruito il suo "castello" dove poter rinascere da una vita che le si è accanita più volte contro, tra malattia, depressione e mancanza di risorse. Ora racconta la sua storia ne “La libreria sulla collina”

Geraldina Fiechter
10 Maggio 2022
Alba Donati e la poesia nella libreria più piccola del mondo

Alba Donati e la poesia nella libreria più piccola del mondo

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Ha fatto molti giri di giostra, Alba Donati, prima di tornare a se stessa. Ed è questa epifania, questa invidiabile novella, ad attrarre come api sul miele lo sciame di pellegrini che da ogni dove la raggiungono sul cucuzzolo di un monte, dove ha costruito il più piccolo e il più lucente dei castelli che un essere umano possa edificare. Sembra la casa di una bambola, la sua libreria, uno di quei giochi rimasti intrappolati nella fantasia quando lei povera, lei bambina, lei orfana di un padre da cui si sentiva abbandonata, sognava e ri-sognava nella soffitta del paesello a cui ha fatto ritorno. Tutto vero, tutto maledettamente vero, in questa fiaba raccontata nel libro appena uscito per Enaudi, “La libreria sulla collina”. Nella vita di Alba c’è stato tutto: il lupo, i tre porcellini, Cappuccetto rosso, Cenerentola, poi di nuovo il lupo e li lieto fine. O un nuovo inizio? Da qui, comunque, noi partiamo.

Alba Donati
Alba Donati, autrice del libro “La libreria sulla collina”, Einaudi

Alba, come sta in cima al cucuzzolo?
“Mi diverto, mi riposo, ho una vita nuova”.

Vogliamo il segreto: come si arriva a una decisione così forte, lasciare tutto per aprire una libreria in un paesino di 180 anime?
“Ero stanca. Tutto qui. Stanca della vita che avevo fatto fino a quel momento”.

Sembrava una buona vita: prendersi cura degli scrittori e promuovere i libri. Era stancante?
“Molto. È un lavoro che dissipa le energie, sempre stretti fra gli scrittori e i giornalisti, gli uni stressati e gli altri in cerca di un’identità in crisi, un continuo lavoro di mediazione che mi stava consumando. Dopo essermi tanto presa cura degli altri, volevo occuparmi di me stessa, trovare le risorse per farmi stare bene”.

Aveva avuto segnali che stava tirando troppo la corda?
“Più che altro ho pensato a quegli amici che, una volta andati in pensione, hanno avuto gravi contraccolpi di salute. Come se il corpo si fosse ribellato alle sofferenze imposte per una vita. E allora ho detto no, devo correre ai ripari prima di tirare troppo la corda”.

Se la sarebbe aspettata da se stessa, una scelta così radicale?
“No, non credevo di andare fino in fondo, pensavo che sarei rimasta nel paese non più di due o tre mesi. Ma una volta qui mi sono resa conto che la vita mi piaceva, per molti motivi”.

Provi ad elencare questi motivi
“I rapporti con le persone, intanto. Ho scritto più di una poesia su questo, ma provarlo sulla propria pelle è stata una cosa incredibile: vivere qui è come stare non in un paese ma in una stanza di una grande casa. Se apri la finestra qualcuno ti saluta, ti interpella, se hai fame ti porta da mangiare, se hai bisogno apri la porta e sei in una famiglia. C’è un filo che tiene insieme i giovani e i meno giovani, una coesione di cui poi è difficile non sentire la mancanza”.

I borghi si spopolano, ma non il suo. A Lucignana (provincia di Lucca, ndr) c’è ancora una comunità viva, perché?
“È un mistero. Anche Tereglio, qui vicino, si era spopolato, e le persone che lo stanno ripopolando sono turisti, spesso stranieri. Lucignana, invece, è abitata dai locali, chi si sposa o si fidanza vuole restare qui, cerca casa qui, e se proprio è costretto a emigrare poi torna almeno per l’intera estate”.

Ha avuto una vita difficile, faticosa e con molti ostacoli, come racconta nel libro, fra cui anche una violenza sessuale, l’incontro con la malattia di sua figlia operata due volte al cuore, e una importante depressione. Cosa l’ha salvata?
“Ognuno si salva da solo, e se lo vuole. I libri, intanto, mi hanno salvato molto. Poi Lucia, la psicoanalista. E sì, la vita del paese. Perché come dice un mio amico poeta, ci si salva solo se si è avuto una famiglia unita oppure origini umili e contadine. Io la seconda”.

alba donati
Alba Donati è un mamma, poetessa, libraia, addetta stampa: nella sua vita è stata ed è tutto questo, ma se le si chiede come si definisce risponde “fioraia, accudire i fiori è una delle cose che mi piace di più”

La poesia non salva?
“Certo, scrivere e trovare le parole per raccontare quello che ci succede è sempre salvifico. Scrivere lo paragono spesso a un parto, un figlio, qualcosa che si muove dentro di te e che partendo da un’immagine o una parola esce come qualcosa di strutturato senza che te ne accorga. E quando metti fuori quel masso che ti stava dentro, sei già su un percorso di guarigione”.

Professione poetessa: cosa significa?
“Trovare le parole giuste per descrivere l’altra faccia della medaglia, per scendere nell’esperienza che prende valore proprio perché tu la stai riscrivendo. Come ha detto Seamus Heaney, premio Nobel per la poesia, un fatto accade due volte, quando succede e quando lo riscrivi. Gli occhi di una persona che scrive sono occhi che riescono a raccontare quello che non viene visto, che rimane fra le pieghe delle cose”.

C’è una differenza di genere, uomini e donne, in poesia?
“Una differenza c’è, le donne sono state zitte per tanto tempo, sono state destinate ad altro, e quando si sono messe a scrivere hanno cominciato a raccontare un mondo nascosto, un punto di vista fino a quel momento sconosciuto. In questo senso sì, c’è uno specifico femminile. Mi viene in mente Il Canto di Penelope, il libro di Margherita Atwood: siamo abituati al punto di vista di Ulisse, ma c’è anche quello di Penelope che dice ma come, sono stata sola trent’anni, ho creato le mie relazioni, il mio mondo, e tu Ulisse torni e uccidi tutti?”.

Tutta la storia è stata raccontata dagli uomini. Ci vorranno secoli per bilanciare i punti di vista fra uomini e donne?
“Sì, dopo secoli di mutismo la storia andava riscritta: le donne hanno molto da raccontare. Alla fine di questo percorso, forse, non ci sarà più una questione di genere”.

Alba Donati nella sua libreria di Lucignana
Alba Donati nella sua libreria di Lucignana (LU): più volte colpita dalla malattia, sua e della figlia, dalla depressione, a un certo punto ha deciso di mollare tutto e ritirarsi su un ‘cucuzzolo’ dove ha aperto la sua attività

La poesia ha sempre dato voce alle diversità: si può dire che abbatte tutti gli stereotipi?
“Certo, la poesia è sempre stata la voce dei diversi, mi viene in mente Alda Merini: “L’altra verità, diario di una diversa”. La poesia ha sempre dato voce e sostenuto qualsiasi forma di diversità: il colore della pelle, le identità sessuali, penso a Sandro Penna, a Carol Duffy, ma anche a Saffo, andando alle origini”.

E il mondo, nonostante una capacità di ascolto sempre più ridotta, sembra riscoprire la poesia: ne abbiamo bisogno?
“In questo momento storico sembra che stiamo facendo tutti un passo indietro, forse la pandemia ha aperto domande nuove: perché andiamo così di fretta? Perché questo bisogno di aumentare la velocità, di essere multitasking, di risparmiare tempo? A che pro? Mi sembra che le persone stiano riscoprendo quei valori che la poesia ha fatto sempre suoi, una certa calma, la riflessione, la lentezza, togliere i piedi dall’acceleratore per riuscire a soffermarsi sulle cose. Secondo me questo è un bisogno planetario, oggi. Non per caso, il giorno che la libreria ha aperto sono venute da tutt’Italia, è diventata un po’ il simbolo di questa alterativa. Sa quanta gente mi ha scritto per chiedere come fare a cambiare vita?”.

Quindi lei ha una grande responsabilità, con l’uscita di questo libro. Se la sente addosso?
“Sì, la sento. E lo dico onestamente: non è facile, un po’ di conti in tasca bisogna farseli”.

Lei riesce a sostenersi economicamente?
“Beh, io ho speso molto nelle case. Nel libro lo dico bene. Sono nata in una casa abbandonata prima da mio fratello e poi da mio padre, quindi ho la fissa delle case. Su questo ho scialato, ne sono consapevole. Ma l’ho detto: voglio vivere con mille euro al mese, voglio che mi bastino, voglio una vita tranquilla, che mi piace, che mi consenta solo di comprare qualcosa che abbellisca la casa o il giardino o la libreria. I ricavi dai libri? Sono presto detti: come tutti i librai, guadagno il 30 per cento. Se vendo 1000 euro di libri, me ne restano 300”.

alba donati
Donati circondata da giovanissimi ascoltatori e lettori

Possiamo dire che dopo il premio Nobel a Bob Dylan e dopo la riscoperta dei testi nelle canzoni giovanili, anche la musica stia virando verso la poesia?
“Questo non mi trova molto d’accordo. C’è una differenza fondamentale fra la poesia e la musica. La poesia è in grado di creare la musica, c’è quella di Eliot, della Szymborska, di Montale, e se la sono fatta con le parole, si sono trovati la loro musica. E riconosci Sandro Penna da Montale proprio per la musica creata dalle loro poesie. Ma se dalle canzoni togli la musica, quasi mai il testo regge da solo. I rapper poi non c’entrano nulla con la poesia: la parola iterativa, quasi meccanica, il bisogno della rima a tutti i costi, è sempre un po’ infantile. Poi se mi chiede di Achille Lauro, per esempio, le dico che l’adoro”.

E glielo chiedo: perché l’adora?
“Perché mi piace la musica che fa, mi piace il personaggio, questo suo modo di non saper cantare, di cantare come per caso, le scivolate di tono, come se dicesse mi fa un po’ fatica ma canto. E questa sua distrazione rispetto all’ego, al cantante pieno di sé, mi piace tantissimo”.

Libraia, madre, poetessa, addetta stampa, presidente del Viesseux. Come definirebbe se stessa?
“Una fioraia. Accudire i fiori è una delle cose che mi piace di più. Faccio la regina: ho inventato questo castello e cerco di farlo sempre più bello affinché le persone siano felici di venire a vederlo”.

Ha avuto una vita complessa, dicevamo. Ha tirato su una figlia da sola, ha incontrato più volte la malattia, la tristezza, la mancanza di risorse, eppure è sempre ripartita con nuove energie e progetti. È la forza delle madri, delle donne? 
“Nel mio caso credo che la forza venga da mio padre, il suo essere stato positivo sempre, anche nella tragedia. Nel libro lo racconto. Mio padre non ha mai chiuso la portiera di una macchina in vita sua. Mia madre chiudeva la porta di casa alle cinque del pomeriggio. Due visioni del mondo”.

La libreria è il paradiso, comincia quel capitolo…
“E io il paradiso lo lascio sempre aperto, non chiudo i cancelli”.

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  • "Ora dobbiamo fare di meno, per il futuro".

Torna anche quest’anno l
  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
  • Presidi psicologici, psicoterapeutici e di counselling per tutti gli studenti universitari e scolastici. Lo chiedono l’Udu, Unione degli universitari, e la Rete degli studenti medi nella proposta di legge ‘Chiedimi come sto’ consegnata a una delegazione di parlamentari nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.

La proposta è stata redatta secondo le conclusioni di una ricerca condotta da Spi-Cgil e Istituto Ires, che ha evidenziato come, su un campione di 50mila risposte, il 28 per cento abbia avuto esperienze di disturbi alimentari e oltre il 14 di autolesionismo.

“Nella nostra generazione è ancora forte lo stigma verso chi sta male ed è difficile chiedere aiuto - spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu - l’interesse effettivo della politica si è palesato solo dopo il 15esimo suicidio di studenti universitari in un anno e mezzo. Ci sembra assurdo che la politica si interessi solamente dopo che si supera il limite, con persone che arrivano a scegliere di togliersi la vita.

Dall’altro lato, è positivo che negli ultimi mesi si sia deciso di chiedere a noi studenti come affrontare e come risolvere, il problema. Non è scontato e non è banale, perché siamo abituati a decenni in cui si parla di nuove generazioni senza parlare alle nuove generazioni”.

#luce #lucenews #università
  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere
Ha fatto molti giri di giostra, Alba Donati, prima di tornare a se stessa. Ed è questa epifania, questa invidiabile novella, ad attrarre come api sul miele lo sciame di pellegrini che da ogni dove la raggiungono sul cucuzzolo di un monte, dove ha costruito il più piccolo e il più lucente dei castelli che un essere umano possa edificare. Sembra la casa di una bambola, la sua libreria, uno di quei giochi rimasti intrappolati nella fantasia quando lei povera, lei bambina, lei orfana di un padre da cui si sentiva abbandonata, sognava e ri-sognava nella soffitta del paesello a cui ha fatto ritorno. Tutto vero, tutto maledettamente vero, in questa fiaba raccontata nel libro appena uscito per Enaudi, “La libreria sulla collina”. Nella vita di Alba c’è stato tutto: il lupo, i tre porcellini, Cappuccetto rosso, Cenerentola, poi di nuovo il lupo e li lieto fine. O un nuovo inizio? Da qui, comunque, noi partiamo.
Alba Donati
Alba Donati, autrice del libro "La libreria sulla collina", Einaudi
Alba, come sta in cima al cucuzzolo? "Mi diverto, mi riposo, ho una vita nuova". Vogliamo il segreto: come si arriva a una decisione così forte, lasciare tutto per aprire una libreria in un paesino di 180 anime? "Ero stanca. Tutto qui. Stanca della vita che avevo fatto fino a quel momento". Sembrava una buona vita: prendersi cura degli scrittori e promuovere i libri. Era stancante? "Molto. È un lavoro che dissipa le energie, sempre stretti fra gli scrittori e i giornalisti, gli uni stressati e gli altri in cerca di un’identità in crisi, un continuo lavoro di mediazione che mi stava consumando. Dopo essermi tanto presa cura degli altri, volevo occuparmi di me stessa, trovare le risorse per farmi stare bene". Aveva avuto segnali che stava tirando troppo la corda? "Più che altro ho pensato a quegli amici che, una volta andati in pensione, hanno avuto gravi contraccolpi di salute. Come se il corpo si fosse ribellato alle sofferenze imposte per una vita. E allora ho detto no, devo correre ai ripari prima di tirare troppo la corda". Se la sarebbe aspettata da se stessa, una scelta così radicale? "No, non credevo di andare fino in fondo, pensavo che sarei rimasta nel paese non più di due o tre mesi. Ma una volta qui mi sono resa conto che la vita mi piaceva, per molti motivi". Provi ad elencare questi motivi "I rapporti con le persone, intanto. Ho scritto più di una poesia su questo, ma provarlo sulla propria pelle è stata una cosa incredibile: vivere qui è come stare non in un paese ma in una stanza di una grande casa. Se apri la finestra qualcuno ti saluta, ti interpella, se hai fame ti porta da mangiare, se hai bisogno apri la porta e sei in una famiglia. C’è un filo che tiene insieme i giovani e i meno giovani, una coesione di cui poi è difficile non sentire la mancanza". I borghi si spopolano, ma non il suo. A Lucignana (provincia di Lucca, ndr) c’è ancora una comunità viva, perché? "È un mistero. Anche Tereglio, qui vicino, si era spopolato, e le persone che lo stanno ripopolando sono turisti, spesso stranieri. Lucignana, invece, è abitata dai locali, chi si sposa o si fidanza vuole restare qui, cerca casa qui, e se proprio è costretto a emigrare poi torna almeno per l’intera estate". Ha avuto una vita difficile, faticosa e con molti ostacoli, come racconta nel libro, fra cui anche una violenza sessuale, l’incontro con la malattia di sua figlia operata due volte al cuore, e una importante depressione. Cosa l’ha salvata? "Ognuno si salva da solo, e se lo vuole. I libri, intanto, mi hanno salvato molto. Poi Lucia, la psicoanalista. E sì, la vita del paese. Perché come dice un mio amico poeta, ci si salva solo se si è avuto una famiglia unita oppure origini umili e contadine. Io la seconda".
alba donati
Alba Donati è un mamma, poetessa, libraia, addetta stampa: nella sua vita è stata ed è tutto questo, ma se le si chiede come si definisce risponde "fioraia, accudire i fiori è una delle cose che mi piace di più"
La poesia non salva? "Certo, scrivere e trovare le parole per raccontare quello che ci succede è sempre salvifico. Scrivere lo paragono spesso a un parto, un figlio, qualcosa che si muove dentro di te e che partendo da un’immagine o una parola esce come qualcosa di strutturato senza che te ne accorga. E quando metti fuori quel masso che ti stava dentro, sei già su un percorso di guarigione".
Professione poetessa: cosa significa? "Trovare le parole giuste per descrivere l’altra faccia della medaglia, per scendere nell’esperienza che prende valore proprio perché tu la stai riscrivendo. Come ha detto Seamus Heaney, premio Nobel per la poesia, un fatto accade due volte, quando succede e quando lo riscrivi. Gli occhi di una persona che scrive sono occhi che riescono a raccontare quello che non viene visto, che rimane fra le pieghe delle cose". C’è una differenza di genere, uomini e donne, in poesia? "Una differenza c’è, le donne sono state zitte per tanto tempo, sono state destinate ad altro, e quando si sono messe a scrivere hanno cominciato a raccontare un mondo nascosto, un punto di vista fino a quel momento sconosciuto. In questo senso sì, c’è uno specifico femminile. Mi viene in mente Il Canto di Penelope, il libro di Margherita Atwood: siamo abituati al punto di vista di Ulisse, ma c’è anche quello di Penelope che dice ma come, sono stata sola trent’anni, ho creato le mie relazioni, il mio mondo, e tu Ulisse torni e uccidi tutti?".
Tutta la storia è stata raccontata dagli uomini. Ci vorranno secoli per bilanciare i punti di vista fra uomini e donne? "Sì, dopo secoli di mutismo la storia andava riscritta: le donne hanno molto da raccontare. Alla fine di questo percorso, forse, non ci sarà più una questione di genere".
Alba Donati nella sua libreria di Lucignana
Alba Donati nella sua libreria di Lucignana (LU): più volte colpita dalla malattia, sua e della figlia, dalla depressione, a un certo punto ha deciso di mollare tutto e ritirarsi su un 'cucuzzolo' dove ha aperto la sua attività
La poesia ha sempre dato voce alle diversità: si può dire che abbatte tutti gli stereotipi? "Certo, la poesia è sempre stata la voce dei diversi, mi viene in mente Alda Merini: “L’altra verità, diario di una diversa”. La poesia ha sempre dato voce e sostenuto qualsiasi forma di diversità: il colore della pelle, le identità sessuali, penso a Sandro Penna, a Carol Duffy, ma anche a Saffo, andando alle origini".
E il mondo, nonostante una capacità di ascolto sempre più ridotta, sembra riscoprire la poesia: ne abbiamo bisogno? "In questo momento storico sembra che stiamo facendo tutti un passo indietro, forse la pandemia ha aperto domande nuove: perché andiamo così di fretta? Perché questo bisogno di aumentare la velocità, di essere multitasking, di risparmiare tempo? A che pro? Mi sembra che le persone stiano riscoprendo quei valori che la poesia ha fatto sempre suoi, una certa calma, la riflessione, la lentezza, togliere i piedi dall’acceleratore per riuscire a soffermarsi sulle cose. Secondo me questo è un bisogno planetario, oggi. Non per caso, il giorno che la libreria ha aperto sono venute da tutt’Italia, è diventata un po’ il simbolo di questa alterativa. Sa quanta gente mi ha scritto per chiedere come fare a cambiare vita?". Quindi lei ha una grande responsabilità, con l’uscita di questo libro. Se la sente addosso? "Sì, la sento. E lo dico onestamente: non è facile, un po’ di conti in tasca bisogna farseli".
Lei riesce a sostenersi economicamente? "Beh, io ho speso molto nelle case. Nel libro lo dico bene. Sono nata in una casa abbandonata prima da mio fratello e poi da mio padre, quindi ho la fissa delle case. Su questo ho scialato, ne sono consapevole. Ma l’ho detto: voglio vivere con mille euro al mese, voglio che mi bastino, voglio una vita tranquilla, che mi piace, che mi consenta solo di comprare qualcosa che abbellisca la casa o il giardino o la libreria. I ricavi dai libri? Sono presto detti: come tutti i librai, guadagno il 30 per cento. Se vendo 1000 euro di libri, me ne restano 300".
alba donati
Donati circondata da giovanissimi ascoltatori e lettori
Possiamo dire che dopo il premio Nobel a Bob Dylan e dopo la riscoperta dei testi nelle canzoni giovanili, anche la musica stia virando verso la poesia? "Questo non mi trova molto d’accordo. C’è una differenza fondamentale fra la poesia e la musica. La poesia è in grado di creare la musica, c’è quella di Eliot, della Szymborska, di Montale, e se la sono fatta con le parole, si sono trovati la loro musica. E riconosci Sandro Penna da Montale proprio per la musica creata dalle loro poesie. Ma se dalle canzoni togli la musica, quasi mai il testo regge da solo. I rapper poi non c’entrano nulla con la poesia: la parola iterativa, quasi meccanica, il bisogno della rima a tutti i costi, è sempre un po’ infantile. Poi se mi chiede di Achille Lauro, per esempio, le dico che l’adoro". E glielo chiedo: perché l’adora? "Perché mi piace la musica che fa, mi piace il personaggio, questo suo modo di non saper cantare, di cantare come per caso, le scivolate di tono, come se dicesse mi fa un po’ fatica ma canto. E questa sua distrazione rispetto all’ego, al cantante pieno di sé, mi piace tantissimo". Libraia, madre, poetessa, addetta stampa, presidente del Viesseux. Come definirebbe se stessa? "Una fioraia. Accudire i fiori è una delle cose che mi piace di più. Faccio la regina: ho inventato questo castello e cerco di farlo sempre più bello affinché le persone siano felici di venire a vederlo". Ha avuto una vita complessa, dicevamo. Ha tirato su una figlia da sola, ha incontrato più volte la malattia, la tristezza, la mancanza di risorse, eppure è sempre ripartita con nuove energie e progetti. È la forza delle madri, delle donne?  "Nel mio caso credo che la forza venga da mio padre, il suo essere stato positivo sempre, anche nella tragedia. Nel libro lo racconto. Mio padre non ha mai chiuso la portiera di una macchina in vita sua. Mia madre chiudeva la porta di casa alle cinque del pomeriggio. Due visioni del mondo". La libreria è il paradiso, comincia quel capitolo… "E io il paradiso lo lascio sempre aperto, non chiudo i cancelli".
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