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Home » Attualità » La body positivity nasce negli anni ’70 come questione femminista e ancora oggi dice che ogni corpo è valido

La body positivity nasce negli anni ’70 come questione femminista e ancora oggi dice che ogni corpo è valido

"Nata dalla seconda ondata femminista, non si è mai rivolta al singolo dandogli la responsabilità di amarsi, come accade ora con il self-love, ma era un movimento politico e sociale per l'accettazione di tutti i corpi" dicono dal 2008 @Belledifaccia. Mentre in edicola spunta Dàme, la rivista che rappresenta i corpi femminili e delle persone Lgbtq+ in maniera più inclusiva

Sofia Francioni
21 Dicembre 2021
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La body positivity è ovunque, ma la conosciamo davvero? La Treccani registra il neologismo l’anno scorso in un articolo di D repubblica datato 31 marzo 2020. Tanti lo ritengono un fenomeno nato tra il 2008 e il 2010, al massimo 12 anni fa, ma sbagliano perché – come spiega l’attivista esperta di body positivity  Mara Mibelli di @Belledifaccia – la sua storia prende la rincorsa dagli anni Sessanta. “La body positive deriva dal movimento della Fat acceptance che nasce nel 1967, quando la donna rotonda ha iniziato a rappresentare il modello della madre, dell’angelo del focolare, della vittima del patriarcato per eccellenza in opposizione alla donna indipendente, che era invece rappresentata snella”. Ed è per questo che: “Fat is a feminist issue”: il grasso è una questione femminista”.

“La body positive è una questione femminista”

È negli anni Novanta che nasce il Body positive movement. Fondato da Connie Sobczak and Elizabeth Scott (in foto), si occupava di sensibilizzare riguardo ai disturbi del comportamento alimentare. Anche perché la sorella di Connie Sobczak morì di un disturbo alimentare. “Dopo gli anni Novanta arriviamo al concetto che ogni corpo è valido, che devi rispettare il tuo corpo a prescindere dagli standard di bellezza. E non è valido solo ogni corpo grasso, ma è valido anche ogni corpo che metta in discussione gli standard etero patriarcali, i ruoli di genere, la norma“. Arriviamo così al Duemila, quando la body positivity diventa mainstream. “Nel 2004 – spiega sempre Mara di @Belledifaccia – la Dove è il primo brand che si appropria della body positivity, e così nasce la narrativa dell’ amati con le tue imperfezioni”. Un cambiamento cruciale perché “da essere individuato come stigma sociale, la body positivity si rivolge all’individuo dicendogli amati, prenditi cura del tuo corpo, in qualche caso provando a vendere, a speculare, attraverso lo strumento del self-love”. 

 

“Body positivity è non giudicare i corpi degli altri”

“La body positivity è un inno alla libertà. Nel caso dell’abbigliamento significa mettersi quello che ti fa sentire te stessa, senza fartelo dire da nessuno: youtuber, influencer, passerelle eccetera. Ognuno ha il suo stile e può mettersi quello che vuole – dalle pancere agli short agli abiti vintage ai look da maschiaccio ai vestiti attillati – l’importante è che il vostro modo di vestire non sia condizionato da persone che pensano che essere voi non sia inaccettabile, non vada bene“. Chiara Meloni e Mara Mibelli nel 2008 hanno fondato Belle di Faccia, che – prima come account Instagram che ora conta oltre 67mila follower, poi come pagina e community Facebook – è nato con lo scopo di sensibilizzare sulle tematiche della body positivity e della fat acceptance, nel tentativo di andare oltre gli slogan su self-love e autostima che la versione mainstream del movimento in Italia proponeva. “La body positivity, nata dalla seconda ondata femminista, non è mai stata rivolta al singolo dandogli la responsabilità di amarsi, ma era un movimento politico e sociale per l’accettazione di tutti i corpi”. Nelle loro story Belle di faccia fanno ordine: “Non giudiciamo e non consideriamo traditori le persone che dimagriscono, che si sottongonpono a interventi di bypass gastrico, è una questione personale e queste persone hanno tutta la nostra empatia”. Per loro “l’unico traditore della causa è una persona che cavalca la body positivity ma da un giorno all’altro vuole vendermi cose per dimagrire, tisane, prodotti. Body positive è non giudicare il corpo degli altri: ognuno fa quello che vuole con il suo corpo. E va bene se come icona di stile ho Jumbolo o Kim Kardashian“.

Rappresentare il corpo femminile in maniera inclusiva

Per portare sulla carta stampata una rappresentazione del femminile più inclusiva, che comprenda anche la comunita Lgbtq+, in Italia l’11 dicembre è nata Dàme, rivista indipendente e femminista che mira a stimolare un dibattito sull’autoconsapevolezza, la normalizzazione e l’accettazione di sé partendo proprio dal corpo delle donne. Distribuita da Frabs Publishing e fondata da Sara Augugliaro, la rivista in ogni numero affronterà una singola parte del corpo. Prima protagonista è la pancia, il “luogo” in cui si sentono le emozioni, simbolo di accoglienza, metafora di fertilità, ma anche motivo di “vergogna” per tante donne che non rispondono ai canoni estetici imperanti. Nelle pagine del primo numero, il focus è dunque sulla diversità delle pance, da quelle morbide a quelle scolpite, ma non solo: ampio spazio è infatti riservato ad approfondimenti e interviste a donne comuni, designers ad artisti, che riflettono su tematiche come la grassofobia, l’endometriosi, la fluidità di genere e la gravidanza. “Noi donne viviamo sotto la costante pressione di essere e apparire in un certo modo per essere accettate e apprezzate; continuamente insoddisfatte del nostro aspetto fisico e desiderose di raggiungere quell’aspettativa irrealistica di essere perfette“, afferma Sara Augugliaro, motivando la scelta di dedicare il primo numero alla pancia perché “negli anni ci sono stati studi che ricostruivano i significati sociali e culturali legati a parti del corpo come il seno femminile e la vagina, ma finora nessuno si è concentrato sulla pancia perché non è mai stata presente nell’immaginario collettivo, se non come utero. Perciò, si è voluto esplorare questa parte del corpo altrettanto densa di rimandi. Inoltre, una nostra ricerca interna ha dimostrato che l’89% degli intervistati si vergogna della propria pancia e indovinate un pò? È la parte del corpo che più odiano”.

 

 

 

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Instagram

  • Numerosi attori e musicisti di alto profilo si sono recati in Ucraina da quando è scoppiata la guerra con la Russia nel febbraio 2022. L’ultimo in ordine di tempo è stato l’attore britannico Orlando Bloom, che ieri ha visitato un centro per bambini e ha incontrato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a Kiev.

“Non mi sarei mai aspettato che la guerra si sarebbe intensificata in tutto il Paese da quando sono stato lì”, ha detto Bloom su Instagram, “Ma oggi ho avuto la fortuna di ascoltare le risate dei bambini in un centro del programma Spilno sostenuto dall’Unicef, uno spazio sicuro, caldo e accogliente dove i bambini possono giocare, imparare e ricevere supporto psicosociale”.

Bloom è un ambasciatore di buona volontà per l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef). Il centro di Splino, che è uno dei tanti in Ucraina, offre sostegno ai bambini sfollati e alle loro famiglie, con più di mezzo milione di bambini che ne hanno visitato uno nell’ultimo anno.

La star hollywoodiana ha poi incontrato il presidente Zelensky, con cui ha trattato temi tra cui il ritorno dei bambini ucraini deportati in Russia, la creazione di rifugi antiatomici negli istituti scolastici e il supporto tecnico per l’apprendimento a distanza nelle aree in cui è impossibile studiare offline a causa della guerra. L’attore britannico aveva scritto ieri su Instagram, al suo arrivo a Kiev, che i «bambini in Ucraina hanno bisogno di riavere la loro infanzia».

#lucelanazione #lucenews #zelensky #orlandobloom
  • “La vita che stavo conducendo mi rendeva particolarmente infelice e se all’inizio ero entrata in terapia perché volevo accettare il fatto che mi dovessi nascondere, ho avuto poi un’evoluzione e questo percorso è diventato di accettazione di me stessa."

✨Un sorriso contagioso, la spensieratezza dei vent’anni e la bellezza di chi si piace e non può che riflettere quella luce anche al di fuori. La si potrebbe definire una Mulan nostrana Carlotta Bertotti, 23 anni, una ragazza torinese come tante, salvo che ha qualcosa di speciale. E non stiamo parlano del Nevo di Ota che occupa metà del suo volto. Ecco però spiegato un primo punto di contatto con Mulan: l’Oriente, dove è più diffusa (insieme all’Africa) quell’alterazione di natura benigna della pigmentazione della cute intorno alla zona degli occhi (spesso anche la sclera si presenta scura). Quella che appare come una chiazza grigio-bluastra su un lato del volto (rarissimi i casi bilaterali), colpisce prevalentemente persone di sesso femminile e le etnie asiatiche (1 su 200 persone in Giappone), può essere presente alla nascita o apparire durante la pubertà. E come la principessa Disney “fin da piccola ho sempre sentito la pressione di dover salvare tutto, ma forse in realtà dovevo solo salvare me stessa. Però non mi piace stare troppo alle regole, sono ribelle come lei”.

🗣Cosa diresti a una ragazza che ha una macchia come la tua e ti chiede come riuscire a conviverci?�
“Che sono profondamente fiera della persona che vedo riflessa allo specchio tutto i giorni e sono arrivata a questa fierezza dopo che ho scoperto e ho accettato tutti i miei lati, sia positivi che negativi. È molto autoreferenziale, quindi invece se dovessi dare un consiglio è quello che alla fine della fiera il giudizio altrui è momentaneo e tutto passa. L’unica persona che resta e con cui devi convivere tutta la vita sei tu, quindi le vere battaglie sono quelle con te stessa, quelle che vale la pena combattere”.

L’intervista a cura di Marianna Grazi �✍ 𝘓𝘪𝘯𝘬 𝘪𝘯 𝘣𝘪𝘰

#lucenews #lucelanazione #carlottabertotti #nevodiota
  • La salute mentale al centro del podcast di Alessia Lanza. Come si supera l’ansia sociale? Quanto è difficile fare coming out? Vado dallo psicologo? Come trovo la mia strada? La popolare influencer, una delle creator più note e amate del web con 1,4 milioni di followers su Instagram e 3,9 milioni su TikTok, Alessia Lanza debutta con “Mille Pare”, il suo primo podcast in cui affronta, in dieci puntate, una “para” diversa e cerca di esorcizzare le sue fragilità e, di riflesso, quelle dei suoi coetanei.

“Ho deciso di fare questo podcast per svariati motivi: io sono arrivata fin qui anche grazie alla mia immagine, ma questa volta vorrei che le persone mi ascoltassero e basta. Quando ho cominciato a raccontare le mie fragilità un sacco di persone mi hanno detto ‘Anche io ho quella para lì!’. Perciò dico parliamone, perché in un mondo in cui sembra che dobbiamo farcela da soli, io credo nel potere della condivisione”.

#lucenews #lucelanazione #millepare #alessialanza #podcast
  • Si è laureata in Antropologia, Religioni e Civiltà Orientali indossando un abito tradizionale Crow, tribù della sua famiglia adottiva in Montana. Eppure Raffaella Milandri è italianissima e ha conseguito il titolo nella storica università Alma Mater di Bologna, lo scorso 17 marzo. 

La scrittrice e giornalista nel 2010 è diventata membro adottivo della famiglia di nativi americani Black Eagle. Da quel momento quella che era una semplice passione per i popoli indigeni si è focalizzata sullo studio degli aborigeni Usa e sulla divulgazione della loro cultura.

Un titolo di studio specifico, quello conseguito dalla Milandri, “Che ho ritenuto oltremodo necessario per coronare la mia attività di studiosa e attivista per i diritti dei Nativi Americani e per i Popoli Indigeni. La prima forma pacifica di attivismo è divulgare la cultura nativa”. L’abito indossato durante cerimonia di laurea appartiene alla tribù della sua famiglia adottiva. Usanza che è stata istituzionalizzata solo dal 2017 in Montana, Stato d’origine del suo popolo, quando è stata approvata una legge (la SB 319) che permette ai nativi e loro familiari di laurearsi con il “tribal regalia“. 

In virtù di questa norma, il Segretario della Crow Nation, Levi Black Eagle, a maggio 2022 ha ricordato la possibilità di indossare l’abito tradizionale Crow in queste occasioni e così Milandri ha chiesto alla famiglia d’adozione se anche lei, in quanto membro acquisito della tribù, avrebbe potuto indossarlo in occasione della sua discussione.

La scrittrice, ricordando il momento della laurea a Bologna, racconta che è stata “Una grandissima emozione e un onore poter rappresentare la Crow Nation e la mia famiglia adottiva. Ho dedicato la mia laurea in primis alle vittime dei collegi indiani, istituti scolastici, perlopiù a gestione cattolica, di stampo assimilazionista. Le stesse vittime per le quali Papa Francesco, lo scorso luglio, si è recato in Canada in viaggio penitenziale a chiedere scusa  Ho molto approfondito questo tema controverso e presto sarà pubblicato un mio studio sull’argomento dalla Mauna Kea Edizioni”.

#lucenews #raffaellamilandri #antropologia
La body positivity è ovunque, ma la conosciamo davvero? La Treccani registra il neologismo l’anno scorso in un articolo di D repubblica datato 31 marzo 2020. Tanti lo ritengono un fenomeno nato tra il 2008 e il 2010, al massimo 12 anni fa, ma sbagliano perché - come spiega l'attivista esperta di body positivity  Mara Mibelli di @Belledifaccia - la sua storia prende la rincorsa dagli anni Sessanta. "La body positive deriva dal movimento della Fat acceptance che nasce nel 1967, quando la donna rotonda ha iniziato a rappresentare il modello della madre, dell’angelo del focolare, della vittima del patriarcato per eccellenza in opposizione alla donna indipendente, che era invece rappresentata snella". Ed è per questo che: "Fat is a feminist issue": il grasso è una questione femminista".

"La body positive è una questione femminista"

È negli anni Novanta che nasce il Body positive movement. Fondato da Connie Sobczak and Elizabeth Scott (in foto), si occupava di sensibilizzare riguardo ai disturbi del comportamento alimentare. Anche perché la sorella di Connie Sobczak morì di un disturbo alimentare. "Dopo gli anni Novanta arriviamo al concetto che ogni corpo è valido, che devi rispettare il tuo corpo a prescindere dagli standard di bellezza. E non è valido solo ogni corpo grasso, ma è valido anche ogni corpo che metta in discussione gli standard etero patriarcali, i ruoli di genere, la norma". Arriviamo così al Duemila, quando la body positivity diventa mainstream. "Nel 2004 - spiega sempre Mara di @Belledifaccia - la Dove è il primo brand che si appropria della body positivity, e così nasce la narrativa dell’ amati con le tue imperfezioni". Un cambiamento cruciale perché "da essere individuato come stigma sociale, la body positivity si rivolge all'individuo dicendogli amati, prenditi cura del tuo corpo, in qualche caso provando a vendere, a speculare, attraverso lo strumento del self-love".   

"Body positivity è non giudicare i corpi degli altri"

"La body positivity è un inno alla libertà. Nel caso dell'abbigliamento significa mettersi quello che ti fa sentire te stessa, senza fartelo dire da nessuno: youtuber, influencer, passerelle eccetera. Ognuno ha il suo stile e può mettersi quello che vuole - dalle pancere agli short agli abiti vintage ai look da maschiaccio ai vestiti attillati - l'importante è che il vostro modo di vestire non sia condizionato da persone che pensano che essere voi non sia inaccettabile, non vada bene". Chiara Meloni e Mara Mibelli nel 2008 hanno fondato Belle di Faccia, che - prima come account Instagram che ora conta oltre 67mila follower, poi come pagina e community Facebook - è nato con lo scopo di sensibilizzare sulle tematiche della body positivity e della fat acceptance, nel tentativo di andare oltre gli slogan su self-love e autostima che la versione mainstream del movimento in Italia proponeva. "La body positivity, nata dalla seconda ondata femminista, non è mai stata rivolta al singolo dandogli la responsabilità di amarsi, ma era un movimento politico e sociale per l'accettazione di tutti i corpi". Nelle loro story Belle di faccia fanno ordine: "Non giudiciamo e non consideriamo traditori le persone che dimagriscono, che si sottongonpono a interventi di bypass gastrico, è una questione personale e queste persone hanno tutta la nostra empatia". Per loro "l'unico traditore della causa è una persona che cavalca la body positivity ma da un giorno all'altro vuole vendermi cose per dimagrire, tisane, prodotti. Body positive è non giudicare il corpo degli altri: ognuno fa quello che vuole con il suo corpo. E va bene se come icona di stile ho Jumbolo o Kim Kardashian".

Rappresentare il corpo femminile in maniera inclusiva

Per portare sulla carta stampata una rappresentazione del femminile più inclusiva, che comprenda anche la comunita Lgbtq+, in Italia l'11 dicembre è nata Dàme, rivista indipendente e femminista che mira a stimolare un dibattito sull'autoconsapevolezza, la normalizzazione e l'accettazione di sé partendo proprio dal corpo delle donne. Distribuita da Frabs Publishing e fondata da Sara Augugliaro, la rivista in ogni numero affronterà una singola parte del corpo. Prima protagonista è la pancia, il "luogo" in cui si sentono le emozioni, simbolo di accoglienza, metafora di fertilità, ma anche motivo di "vergogna" per tante donne che non rispondono ai canoni estetici imperanti. Nelle pagine del primo numero, il focus è dunque sulla diversità delle pance, da quelle morbide a quelle scolpite, ma non solo: ampio spazio è infatti riservato ad approfondimenti e interviste a donne comuni, designers ad artisti, che riflettono su tematiche come la grassofobia, l'endometriosi, la fluidità di genere e la gravidanza. "Noi donne viviamo sotto la costante pressione di essere e apparire in un certo modo per essere accettate e apprezzate; continuamente insoddisfatte del nostro aspetto fisico e desiderose di raggiungere quell'aspettativa irrealistica di essere perfette", afferma Sara Augugliaro, motivando la scelta di dedicare il primo numero alla pancia perché "negli anni ci sono stati studi che ricostruivano i significati sociali e culturali legati a parti del corpo come il seno femminile e la vagina, ma finora nessuno si è concentrato sulla pancia perché non è mai stata presente nell'immaginario collettivo, se non come utero. Perciò, si è voluto esplorare questa parte del corpo altrettanto densa di rimandi. Inoltre, una nostra ricerca interna ha dimostrato che l'89% degli intervistati si vergogna della propria pancia e indovinate un pò? È la parte del corpo che più odiano".      
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