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In Italia sempre meno sindache alla guida delle grandi città

di SOFIA FRANCIONI -
28 dicembre 2021
sindacheDX

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Valeria Mancinelli sindaca di Ancona

L'Italia non è un paese per sindache e l'ultima tornata elettorale di ottobre ce lo conferma. Prima delle elezioni erano 10 i comuni capoluogo di provincia con una donna alla guida della giunta comunale. Una quota decisamente bassa, il 9,26%, come registra Open polis, che dopo le elezioni si è ulteriormente ridotta al 5,56% con 6 sindache su 108 primi cittadini di comuni capoluogo di provincia. In più, tra i 6 territori amministrati attualmente da una donna solo uno, Ancona, è capoluogo di regione, amministrato dalla sindaca Valeria Mancinelli (Pd), in carica dal 2013. Negli altri casi si tratta di Andria, Lodi,  Piacenza, Verbania e Vibo Valentia. A Roma l'ex sindaca pentastellata Virginia Raggi si è ricandidata ma è stata sconfitta da Roberto Gualtieri del Partito democratico (Pd). A Torino invece Chiara Appendino, sempre M5s, non si è ricandidata e al suo posto il movimento ha schierato un'altra donna, Valentina Sganga, che è stata però superata dal candidato Pd, Stefano Lo Russo. A Carbonia, invece, la sindaca uscente del M5s Paola Massidda non si è ricandidata. Il movimento infatti ha sostenuto Luca Pizzuto in coalizione con Articolo 1, il Partito comunista e il Partito socialista. In ogni caso però le elezioni sono state vinte da Pietro Morittu (Pd). Infine anche Ilaria Caprioglio, sindaca di Savona sostenuta dal centro-destra, non si è ricandidata. Al suo posto la coalizione ha schierato Angelo Schirru, ma anche in questo caso a uscire vincitore è stato il candidato del centro-sinistra Marco Russo.

Non sindache, ma vicesindache

È interessante comunque notare che, soprattutto nei capoluoghi di regione, tutti i nuovi sindaci hanno scelto come proprio vice una donna: 6 su 6 i comuni capoluogo di regione andati al voto alle ultime amministrative in cui è stata scelta una donna come vicesindaca. Una prassi consolidata per bilanciare, senza riuscirci, lo squilibrio evidente nelle giunte dei grandi comuni. È la legge Delrio a prevedere che in questo organo uomini e donne debbano essere rappresentati in misura non inferiore al 40%. Come si legge nella legga 56 del 2014, all'articolo 1 comma 137: "Nelle giunte dei comuni con popolazione superiore a 3mila abitanti, nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura inferiore al 40 per cento, con arrotondamento aritmetico". Inoltre, una circolare interpretativa del ministero dell'interno specifica che per rispettare il principio di parità di genere debba essere considerato anche il sindaco nel conteggio dei membri della giunta. La legge Delrio, dunque, non lascia spazio a discrezionalità, né a equivoci, ma non sempre viene applicata. Dopo l'ultima tornata, come riporta Open polis, l'unica città ad aver raggiunto la completa parità in giunta (almeno in termini numerici) è stata Torino, dato che il sindaco Stefano Lo Russo (Pd) ha nominato più assessori donne (6) che assessori uomini (5), attestandosi al 50% di donne presenti in giunta, sindaco incluso. A seguire poi i comuni di Milano, Roma e Bologna: in tutte e 3 le città infatti è stato nominato un numero uguale di assessori di entrambi i sessi ed è solo la presenza del sindaco in giunta a squilibrare il dato a favore della componente maschile. A Roma e Milano la percentuale di donne in giunta si attesta circa al 46,15%, leggermente superiore a Bologna che si ferma poco sotto, al 45,45%. Una differenza dovuta solo al diverso numero di componenti dell'organo. Infatti mentre le prime 2 città hanno una giunta composta complessivamente di 13 persone a Bologna questo numero si ferma a 11. Dodici invece i componenti della giunta di Napoli incluso il sindaco. Per raggiungere la parità quindi il sindaco Manfredi avrebbe dovuto nominare più assessori donne che uomini, come avvenuto a Torino. Ma, nonostante non lo abbia fatto, il primo cittadino di Napoli è comunque rientrato nei limiti previsti dalla legge, dato che si è fermato al 41,67% di donne in giunta.

"Non è solo un problema numerico"

Paola Profeta, docente ed economista

"Nell’ambito del divario di genere la politica è una delle dimensioni più cruciali, forse la più critica, perché nel mondo, a livello di rappresentanza femminile, il divario tra uomini e donne è stato chiuso solo al 23%", spiegò a Luce! Paola Profeta, docente di Scienza delle finanze all’Università Bocconi, economista e autrice del libro Parità di genere e politiche pubbliche. Misurare il progresso in Europa. "Il problema però – continuò – non è solo descrittivo ma anche sostanziale, perché di fatto la presenza delle donne nelle cariche politiche può portare a una diversa agenda decisionale. Lo abbiamo visto a livello locale, guardando all’allocazione della spesa pubblica nei comuni: le amministrazioni guidate da donne mostrano una differenza rispetto a quelle dirette da uomini: le prime infatti investono maggiormente nell’istruzione, in misure a favore dell’uguaglianza di genere, negli asili nido e in politiche più a lungo termine, che daranno risultati non nell’immediato, ma negli anni successivi".