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Home » HP Blocco Testo Destra » Cyberbullismo e conflitto intergenerazionale, Ferlito: “Giro film e corti per smuovere coscienze”

Cyberbullismo e conflitto intergenerazionale, Ferlito: “Giro film e corti per smuovere coscienze”

Il regista parla della sua scelta di dedicarsi a realizzare pellicole in cui racconta le tante contraddizioni del nostro tempo. Ha diretto grandi attori come Monica Guerritore e Remo Girone, nella sua scuola forma i giovani registi di domani e della sua vita racconta: “Tutto ebbe inizio in un paesino siciliano, come in Nuovo Cinema Paradiso"

Maurizio Costanzo
21 Gennaio 2022
Il regista Giuseppe Ferlito, 67 anni

Il regista Giuseppe Ferlito, 67 anni

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Quando il regista Giuseppe Ferlito accende la sua telecamera lo fa per puntare i riflettori su tematiche sociali odierne: il cyberbullismo, la violenza sulle donne, il conflitto intergenerazionale in epoca di pandemia, i rischi connessi a Internet che in alcuni casi diventa ‘Infernet’, i problemi di chi è rimasto senza lavoro, quelli dell’ambiente e della gestione dei rifiuti. C’è un copione che accomuna ogni suo ‘ciak’: raccontare dinamiche e difficoltà di esistenze quotidiane, su cui interrogare lo spettatore per spingerlo ad acquistarne consapevolezza. Il cinema di Ferlito restituisce dunque un ritratto della nostra società, per elaborare un discorso più ampio, universale: come in uno dei suoi ultimi mediometraggi, dove racconta la pena di morte unendo il Texas, luogo dell’esecuzione della condanna, alla Toscana, primo Stato al mondo in cui, nel 1786, la pena capitale venne abolita per opera del Granduca Pietro Leopoldo di Lorena.

Il regista Giuseppe Ferlito / Foto Rinaldo Serra

Sia i lungometraggi che i suoi corti si presentano come un’esperienza stimolante per dialoghi e confronti profondi. C’è sempre una narrativa lineare che struttura i suoi film: arrivare allo spettatore e innescare in lui una presa di coscienza dalla potenza disarmante. Un obiettivo condiviso da molti attori, che nel corso degli anni hanno sposato i vari progetti e i messaggi a scopo sociale proposti dai vari lavori di Ferlito, per cui hanno scelto di recitare gratuitamente. Tra gli altri, Katia Ricciarelli, Roberto Farnesi, Ricky Tognazzi e Remo Girone. Un’eredità che Ferlito, allievo di Eduardo de Filippo presso la Bottega Teatrale di Gassman, lascia ai giovani filmaker, che forma a Firenze  nelle stanze della sua Scuola di Cinema Immagina, attraverso vari corsi, tra cui regia, sceneggiatura, drammaturgia, recitazione  e montaggio. Qui, dal 1994, si insegna come trasformare le idee in cinema, come scriverle, come muovere la macchina da presa, come dirigere gli attori per esprimere compiutamente sensazioni, concetti, sentimenti. Non solo. Come insegnante e direttore artistico del laboratorio cinematografico Immagina, Ferlito coinvolge gli allievi nel cast tecnico e artistico delle sue numerosi produzioni indipendenti, per fargli sperimentare un vero e proprio set cinematografico. 

 Maestro Ferlito, come nasce la sua passione per il cinema? 

 “Sono nato a Burgio, un piccolo paese nell’agrigentino che aveva un’unica sala cinematografica dove andavo tutti i giorni. Proprio come il piccolo Totò di ‘Nuovo Cinema Paradiso’, anche io guardavo lo schermo e sognavo a occhi aperti. Mi piaceva evadere, nascondermi nella sala buia. All’epoca era un paesino molto povero e non sempre c’erano i soldi per il biglietto. E allora spesso andavo all’uscita di sicurezza, mettevo l’orecchio sulla porta e mi accontentavo di sentire solo il suono, i rumori, i dialoghi: il film, le scene, gli attori e le atmosfere me le immaginavo. Da lì in poi, tutto è venuto naturale. Sono approdato a Firenze per studiare architettura e questo percorso di studi mi ha fornito il metodo: un film infatti, si progetta proprio come un palazzo, solo che invece dei mattoni, la struttura è data dai fotogrammi. Mi hanno insegnato che quando si progetta un ponte, su quel ponte ci passano tutti, anche tu: quindi il calcolo, l’aspetto statico, la stabilità, la struttura sono fondamentali. Con Gaudì ho capito però che quello che conta è anche la sensazione che ti dà una struttura, l’immagine, l’estetica. Può diventare un percorso che si lega all’anima e alla spiritualità, quando è materia che si sublima. Lo stesso vale per il cinema, perché un film non lo fai per te stesso, ma per gli altri. E nel comunicare appieno contenuti e messaggi, il regista deve perciò acquistare un grande senso di responsabilità morale”. 

Quali tematiche le stanno più a cuore? 

Roberto Farnesi durante le riprese

“Uno dei film che mi ha dato più soddisfazioni è stato il lungometraggio ‘Né terra né cielo’, finanziato dal Ministero dei Beni Culturali come film di interesse culturale nazionale. Il film, pluripremiato, aveva come sfondo la crisi dell’individuo e del nostro sistema. Racconta di un operaio che improvvisamente viene licenziato e contemporaneamente scopre che la moglie lo tradisce. In preda alla disperazione, sale per protesta sulla ciminiera della fabbrica diventando un caso nazionale. Col suo silenzio riesce a far emergere tutte le contraddizioni della nostra società. In ‘Infernet’ ho indagato poi le problematiche legate al web, rischi e pericoli della rete a danno dei ragazzi che spesso ne sono vittime. Interpretato tra gli altri da Remo Girone, Roberto Farnesi, Katia Ricciarelli e Ricky Tognazzi, trasmesso dalla Rai nel 2017 , ora è su Rai Play”. 

Amazon Prime ha messo a disposizione del suo pubblico il suo mediometraggio ‘Greg’, dedicato alla storia drammatica di un condannato a morte negli Stati Uniti. Come sta reagendo il pubblico? 

“Sta avendo un ottimo riscontro. Si tratta di un mediometraggio liberamente ispirato alla storia di Gregory Summers, un condannato a morte del Texas al quale fu respinta la richiesta di grazia e finì nel braccio della morte nel 2006. Fu sostenuto dagli studenti e da un’insegnante di una scuola media di Novacchio, in provincia di Pisa, coi quali intrattenne un rapporto epistolare. Per sua volontà è stato sepolto nel cimitero di Cascina, in terra Toscana, che per prima abolì la pena capitale. Penso che lo Stato debba essere migliore dell’uomo, però non entro nel merito della sua colpevolezza o innocenza: ciò che mi interessa è parlare di valori sociali, far emergere tutte le contraddizioni della nostra società, senza sostenere nessuna parte politica. Ho messo in relazione questa storia che avveniva in Texas con la scolaresca toscana, immaginando i ragazzi che prendono a dialogare con lui. Legare la fantasia alla storia reale mi ha permesso di costruire un discorso narrativo emotivamente avvincente. Non mi fermo a descrivere la realtà, altrimenti farei documentari. Ciò che mi preme è far riflettere sulla condizione dell’uomo, lasciare spazio alla filosofia, alla psicologia, alla sociologia, all’antropologia. I miei film sono un’esperienza che parla per emozioni, non per spiegazioni: per questo il cinema è meraviglioso”. 

Tra gli altri temi ha trattato anche il cyberbullismo e la violenza sulle donne. 

Le riprese del regista Giuseppe Ferlito

“Per ‘Ti accorgi di me?’ mi sono ispirato a un fatto di cronaca vera: una ragazza si era suicidata dopo essere stata bullizzata sulla rete. Paolo Conticini insieme a Pino Ammendola si sono prestati gratuitamente al progetto. Ho anche affrontato un tema forte come il femminicidio in ‘Jackpot’, e tra i tanti altri, nel medio metraggio ‘Non buttarti via’ punto a sensibilizzare i giovani sulla tematica della gestione dei rifiuti domestici. Il cinema è un’arma potentissima che, se ben utilizzata, arriva al cuore delle gente e può cambiare la vita. Com’è cambiata la mia vita di spettatore prima, e come regista poi. La magia del cinema sta in questo: allargare lo sguardo dello spettatore su cose nuove, far emergere contraddizioni, spronare ad una riflessione”. 

Cosa l’ha spinta a scegliere il cortometraggio su tematiche sociali come espressione del suo lavoro? 

“Lo dico sempre ai miei allievi: ci sono pubblicità di 7 secondi più incisive di film che durano 5 ore. Nel corto, che si svolge in uno spazio temporale più ristretto e intimo, si è chiamati a operare una sintesi, in cui il messaggio deve essere forte, chiaro, preciso, sintetico, senza tempi morti. In linea di massima è utilissimo anche come esercizio per affinare la tecnica e le scelte registiche. E ovviamente per familiarizzare con la sintassi cinematografica, che non può prescindere da un certo gusto estetico oltre che da un importante valore espressivo”. 

Come nasce la sua scuola laboratorio cinematografica? 

“La mia esperienza didattica inizia al Cinema Spazio Uno di Firenze. Qui ho creato e diretto nel 1990 un laboratorio cinematografico, dove i ragazzi imparavano a costruire concretamente un film a partire dalla sceneggiatura fino al montaggio. Ho poi ampliato l’esperienza del Laboratorio di Spazio Uno, costituendo nel 1994 l’Associazione Culturale Immagina, il cui asse portante è una vera e propria scuola di cinema con corsi di recitazione, regia, sceneggiatura, doppiaggio, riprese e montaggio, che garantiscono tra loro un interscambio di esperienze e di lavoro. La particolarità sta nel fatto che la scuola, oltre a fare didattica, fa anche produzione: quindi i ragazzi oltre a studiare, vengono coinvolti anche nelle grosse produzioni che spesso abbiamo. A loro insegniamo tutti i trucchi del mestiere: i principi della persistenza dell’immagine sullo schermo, cos’è il montaggio, l’importanza della musica e della letteratura; come dirigere i dialoghi e gli attori, come creare le atmosfere e come spiazzare lo spettatore. In un film ci deve essere spazio anche per il dialogo con chi guarda: il regista non può dire tutto, deve lasciare allo spettatore anche la libertà di immaginarsi il ‘suo’ film. La magia del cinema sta anche nelle ellissi temporali che si vengono a creare, in cui chi guarda deve aver modo di poter riflettere. In questo mio percorso di regista e docente, negli anni le soddisfazioni sono state tante: formo i talenti del futuro che, oggi grazie alle piattaforme, hanno l’opportunità di rendere visibili i loro prodotti. Non solo registi: dalla mia scuola sono nati artisticamente anche attori di fama come Roberto Farnesi e Martina Stella”. 

Come riesce a sostenere i costi di produzione dei suoi lavori a scopo sociale? 

“Il nostro lavoro è fatto di film sostenuti da grandi produzioni, ma anche di cinema indipendente. In quest’ultimo caso riusciamo a sostenere i costi grazie alle nostre risorse, realizzando produzioni a basso budget in cui coinvolgo tutti coloro che credono nel progetto. E così troviamo le location che vengono messe a disposizione gratuitamente, così come nel corso degli anni vari attori, credendo nei messaggi e nel valore sociale dei progetti, hanno scelto di prestarsi gratuitamente: penso a Katia Ricciarelli, Roberto Farnesi, Ricky Tognazzi e Remo Girone, solo per fare alcuni nomi. Mi colpiscono le tante persone che si mettono a disposizione e scelgono di aiutarci, solo perché condividono lo stesso nostro obiettivo di sensibilizzazione su determinate tematiche sociali”. 

Tra i suoi ultimi lavori? 

“‘Re minore’ vincitore della 74ma edizione del Festival Internazionale di Salerno, e ‘Vecchio Mondo’, su un’idea di Roberto Farnesi in cui affronto la tematica del Covid ma da un punto di vista inedito, controcorrente. Anche in questo caso, in ‘Vecchio Mondo’ tratto una tematica sociale, quella del conflitto generazionale ‘giovani-vecchi’ che la pandemia ha acuito. In particolare indago un aspetto che mette in luce il declino della nostra società, venuto allo scoperto in questo periodo segnato dal virus. Mi riferisco a quello che riguarda alcuni giovani, che stanchi delle restrizioni, finiscono per affibbiare la responsabilità dei loro ‘sacrifici’ ai vecchi, colpevoli, secondo loro, anche di scelte scellerate negli anni ’60, che avrebbero portato alla distruzione dell’ecosistema. Vi recitano, gratuitamente, Roberto Farnesi, Enrica Pintore e Sergio Forconi, che per il suo ruolo ha ricevuto il Premio Miglior attore non protagonista al Festival del Cinema Indipendente di Caorle. Il 9 dicembre scorso ho presentato al Cinema Odeon di Firenze “Re minore” e in quell’occasione ho annunciato l’istituzione di un Festival internazionale del cinema tutto fiorentino, che è già in programmazione per ottobre 2022 e per il quale ho già ricevuto diverse richieste di partecipazione. Attraverso iniziative come questa spero di contribuire a realizzare il sogno di trasformare Firenze in una protagonista del cinema a livello internazionale”. 

 Quali sono i riconoscimenti più importanti ottenuti dai suoi lavori? 

“Ne ho vinti tanti, ma il primo ha certamente lasciato il segno. Lo vinsi quando ero giovane, quando nell’89 primeggiai al Bellaria Film Festival, ottenendo il Gabbiano d’oro. I riconoscimenti non sono fondamentali, ci sono grandissimi maestri che non hanno vinto nemmeno un Oscar: ma ti aiutano a credere di più nel tuo percorso. Con ‘Infernet’ ho vinto il Premio Apoxiomeno 2016 come miglior film dell’anno, il Grifo d’Oro al Love Film Festival 2016 ed è stato insignito del Log To Green Movie Award alla 72° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. L’ultimo, in ordine di tempo, in piena pandemia con relativo collegamento via web, al 74° Festival Internazionale del Cinema di Salerno, dove ‘Re Minore’ è stato molto apprezzato da pubblico e critica, che mi hanno conferito i premi più prestigiosi”. 

Federico Fellini sosteneva che “Il cinema è il modo più diretto per entrare in competizione con Dio”. Quanto ritiene che accendere i riflettori su determinate tematiche sociali, aiuti a proporre una riflessione su ciò che ci circonda? 

“È vero che il cinema non fa la rivoluzione, però è in grado di smuovere le coscienze, incidere in profondità. Per questo a me piacciono i temi sociali, che hanno una valenza sociologica e antropologica. Al centro delle mie storie c’è sempre l’uomo, inserito però nella società che diventa elemento narrativo, il coro, il contesto in cui muovono i personaggi. E da dove emergono contraddizioni e valori”.

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  • "Ora dobbiamo fare di meno, per il futuro".

Torna anche quest’anno l
  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
  • Presidi psicologici, psicoterapeutici e di counselling per tutti gli studenti universitari e scolastici. Lo chiedono l’Udu, Unione degli universitari, e la Rete degli studenti medi nella proposta di legge ‘Chiedimi come sto’ consegnata a una delegazione di parlamentari nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.

La proposta è stata redatta secondo le conclusioni di una ricerca condotta da Spi-Cgil e Istituto Ires, che ha evidenziato come, su un campione di 50mila risposte, il 28 per cento abbia avuto esperienze di disturbi alimentari e oltre il 14 di autolesionismo.

“Nella nostra generazione è ancora forte lo stigma verso chi sta male ed è difficile chiedere aiuto - spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu - l’interesse effettivo della politica si è palesato solo dopo il 15esimo suicidio di studenti universitari in un anno e mezzo. Ci sembra assurdo che la politica si interessi solamente dopo che si supera il limite, con persone che arrivano a scegliere di togliersi la vita.

Dall’altro lato, è positivo che negli ultimi mesi si sia deciso di chiedere a noi studenti come affrontare e come risolvere, il problema. Non è scontato e non è banale, perché siamo abituati a decenni in cui si parla di nuove generazioni senza parlare alle nuove generazioni”.

#luce #lucenews #università
  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere

Quando il regista Giuseppe Ferlito accende la sua telecamera lo fa per puntare i riflettori su tematiche sociali odierne: il cyberbullismo, la violenza sulle donne, il conflitto intergenerazionale in epoca di pandemia, i rischi connessi a Internet che in alcuni casi diventa ‘Infernet’, i problemi di chi è rimasto senza lavoro, quelli dell’ambiente e della gestione dei rifiuti. C’è un copione che accomuna ogni suo ‘ciak’: raccontare dinamiche e difficoltà di esistenze quotidiane, su cui interrogare lo spettatore per spingerlo ad acquistarne consapevolezza. Il cinema di Ferlito restituisce dunque un ritratto della nostra società, per elaborare un discorso più ampio, universale: come in uno dei suoi ultimi mediometraggi, dove racconta la pena di morte unendo il Texas, luogo dell’esecuzione della condanna, alla Toscana, primo Stato al mondo in cui, nel 1786, la pena capitale venne abolita per opera del Granduca Pietro Leopoldo di Lorena.

Il regista Giuseppe Ferlito / Foto Rinaldo Serra

Sia i lungometraggi che i suoi corti si presentano come un’esperienza stimolante per dialoghi e confronti profondi. C’è sempre una narrativa lineare che struttura i suoi film: arrivare allo spettatore e innescare in lui una presa di coscienza dalla potenza disarmante. Un obiettivo condiviso da molti attori, che nel corso degli anni hanno sposato i vari progetti e i messaggi a scopo sociale proposti dai vari lavori di Ferlito, per cui hanno scelto di recitare gratuitamente. Tra gli altri, Katia Ricciarelli, Roberto Farnesi, Ricky Tognazzi e Remo Girone. Un’eredità che Ferlito, allievo di Eduardo de Filippo presso la Bottega Teatrale di Gassman, lascia ai giovani filmaker, che forma a Firenze  nelle stanze della sua Scuola di Cinema Immagina, attraverso vari corsi, tra cui regia, sceneggiatura, drammaturgia, recitazione  e montaggio. Qui, dal 1994, si insegna come trasformare le idee in cinema, come scriverle, come muovere la macchina da presa, come dirigere gli attori per esprimere compiutamente sensazioni, concetti, sentimenti. Non solo. Come insegnante e direttore artistico del laboratorio cinematografico Immagina, Ferlito coinvolge gli allievi nel cast tecnico e artistico delle sue numerosi produzioni indipendenti, per fargli sperimentare un vero e proprio set cinematografico. 

 Maestro Ferlito, come nasce la sua passione per il cinema? 

 “Sono nato a Burgio, un piccolo paese nell’agrigentino che aveva un’unica sala cinematografica dove andavo tutti i giorni. Proprio come il piccolo Totò di ‘Nuovo Cinema Paradiso’, anche io guardavo lo schermo e sognavo a occhi aperti. Mi piaceva evadere, nascondermi nella sala buia. All’epoca era un paesino molto povero e non sempre c’erano i soldi per il biglietto. E allora spesso andavo all’uscita di sicurezza, mettevo l’orecchio sulla porta e mi accontentavo di sentire solo il suono, i rumori, i dialoghi: il film, le scene, gli attori e le atmosfere me le immaginavo. Da lì in poi, tutto è venuto naturale. Sono approdato a Firenze per studiare architettura e questo percorso di studi mi ha fornito il metodo: un film infatti, si progetta proprio come un palazzo, solo che invece dei mattoni, la struttura è data dai fotogrammi. Mi hanno insegnato che quando si progetta un ponte, su quel ponte ci passano tutti, anche tu: quindi il calcolo, l’aspetto statico, la stabilità, la struttura sono fondamentali. Con Gaudì ho capito però che quello che conta è anche la sensazione che ti dà una struttura, l’immagine, l’estetica. Può diventare un percorso che si lega all’anima e alla spiritualità, quando è materia che si sublima. Lo stesso vale per il cinema, perché un film non lo fai per te stesso, ma per gli altri. E nel comunicare appieno contenuti e messaggi, il regista deve perciò acquistare un grande senso di responsabilità morale”. 

Quali tematiche le stanno più a cuore? 

Roberto Farnesi durante le riprese

“Uno dei film che mi ha dato più soddisfazioni è stato il lungometraggio ‘Né terra né cielo’, finanziato dal Ministero dei Beni Culturali come film di interesse culturale nazionale. Il film, pluripremiato, aveva come sfondo la crisi dell’individuo e del nostro sistema. Racconta di un operaio che improvvisamente viene licenziato e contemporaneamente scopre che la moglie lo tradisce. In preda alla disperazione, sale per protesta sulla ciminiera della fabbrica diventando un caso nazionale. Col suo silenzio riesce a far emergere tutte le contraddizioni della nostra società. In ‘Infernet’ ho indagato poi le problematiche legate al web, rischi e pericoli della rete a danno dei ragazzi che spesso ne sono vittime. Interpretato tra gli altri da Remo Girone, Roberto Farnesi, Katia Ricciarelli e Ricky Tognazzi, trasmesso dalla Rai nel 2017 , ora è su Rai Play”. 

Amazon Prime ha messo a disposizione del suo pubblico il suo mediometraggio ‘Greg’, dedicato alla storia drammatica di un condannato a morte negli Stati Uniti. Come sta reagendo il pubblico? 

“Sta avendo un ottimo riscontro. Si tratta di un mediometraggio liberamente ispirato alla storia di Gregory Summers, un condannato a morte del Texas al quale fu respinta la richiesta di grazia e finì nel braccio della morte nel 2006. Fu sostenuto dagli studenti e da un’insegnante di una scuola media di Novacchio, in provincia di Pisa, coi quali intrattenne un rapporto epistolare. Per sua volontà è stato sepolto nel cimitero di Cascina, in terra Toscana, che per prima abolì la pena capitale. Penso che lo Stato debba essere migliore dell’uomo, però non entro nel merito della sua colpevolezza o innocenza: ciò che mi interessa è parlare di valori sociali, far emergere tutte le contraddizioni della nostra società, senza sostenere nessuna parte politica. Ho messo in relazione questa storia che avveniva in Texas con la scolaresca toscana, immaginando i ragazzi che prendono a dialogare con lui. Legare la fantasia alla storia reale mi ha permesso di costruire un discorso narrativo emotivamente avvincente. Non mi fermo a descrivere la realtà, altrimenti farei documentari. Ciò che mi preme è far riflettere sulla condizione dell’uomo, lasciare spazio alla filosofia, alla psicologia, alla sociologia, all’antropologia. I miei film sono un’esperienza che parla per emozioni, non per spiegazioni: per questo il cinema è meraviglioso”. 

Tra gli altri temi ha trattato anche il cyberbullismo e la violenza sulle donne. 

Le riprese del regista Giuseppe Ferlito

“Per ‘Ti accorgi di me?’ mi sono ispirato a un fatto di cronaca vera: una ragazza si era suicidata dopo essere stata bullizzata sulla rete. Paolo Conticini insieme a Pino Ammendola si sono prestati gratuitamente al progetto. Ho anche affrontato un tema forte come il femminicidio in ‘Jackpot’, e tra i tanti altri, nel medio metraggio ‘Non buttarti via’ punto a sensibilizzare i giovani sulla tematica della gestione dei rifiuti domestici. Il cinema è un’arma potentissima che, se ben utilizzata, arriva al cuore delle gente e può cambiare la vita. Com’è cambiata la mia vita di spettatore prima, e come regista poi. La magia del cinema sta in questo: allargare lo sguardo dello spettatore su cose nuove, far emergere contraddizioni, spronare ad una riflessione”. 

Cosa l’ha spinta a scegliere il cortometraggio su tematiche sociali come espressione del suo lavoro? 

“Lo dico sempre ai miei allievi: ci sono pubblicità di 7 secondi più incisive di film che durano 5 ore. Nel corto, che si svolge in uno spazio temporale più ristretto e intimo, si è chiamati a operare una sintesi, in cui il messaggio deve essere forte, chiaro, preciso, sintetico, senza tempi morti. In linea di massima è utilissimo anche come esercizio per affinare la tecnica e le scelte registiche. E ovviamente per familiarizzare con la sintassi cinematografica, che non può prescindere da un certo gusto estetico oltre che da un importante valore espressivo”. 

Come nasce la sua scuola laboratorio cinematografica? 

“La mia esperienza didattica inizia al Cinema Spazio Uno di Firenze. Qui ho creato e diretto nel 1990 un laboratorio cinematografico, dove i ragazzi imparavano a costruire concretamente un film a partire dalla sceneggiatura fino al montaggio. Ho poi ampliato l’esperienza del Laboratorio di Spazio Uno, costituendo nel 1994 l’Associazione Culturale Immagina, il cui asse portante è una vera e propria scuola di cinema con corsi di recitazione, regia, sceneggiatura, doppiaggio, riprese e montaggio, che garantiscono tra loro un interscambio di esperienze e di lavoro. La particolarità sta nel fatto che la scuola, oltre a fare didattica, fa anche produzione: quindi i ragazzi oltre a studiare, vengono coinvolti anche nelle grosse produzioni che spesso abbiamo. A loro insegniamo tutti i trucchi del mestiere: i principi della persistenza dell’immagine sullo schermo, cos’è il montaggio, l’importanza della musica e della letteratura; come dirigere i dialoghi e gli attori, come creare le atmosfere e come spiazzare lo spettatore. In un film ci deve essere spazio anche per il dialogo con chi guarda: il regista non può dire tutto, deve lasciare allo spettatore anche la libertà di immaginarsi il ‘suo’ film. La magia del cinema sta anche nelle ellissi temporali che si vengono a creare, in cui chi guarda deve aver modo di poter riflettere. In questo mio percorso di regista e docente, negli anni le soddisfazioni sono state tante: formo i talenti del futuro che, oggi grazie alle piattaforme, hanno l’opportunità di rendere visibili i loro prodotti. Non solo registi: dalla mia scuola sono nati artisticamente anche attori di fama come Roberto Farnesi e Martina Stella”. 

Come riesce a sostenere i costi di produzione dei suoi lavori a scopo sociale? 

“Il nostro lavoro è fatto di film sostenuti da grandi produzioni, ma anche di cinema indipendente. In quest’ultimo caso riusciamo a sostenere i costi grazie alle nostre risorse, realizzando produzioni a basso budget in cui coinvolgo tutti coloro che credono nel progetto. E così troviamo le location che vengono messe a disposizione gratuitamente, così come nel corso degli anni vari attori, credendo nei messaggi e nel valore sociale dei progetti, hanno scelto di prestarsi gratuitamente: penso a Katia Ricciarelli, Roberto Farnesi, Ricky Tognazzi e Remo Girone, solo per fare alcuni nomi. Mi colpiscono le tante persone che si mettono a disposizione e scelgono di aiutarci, solo perché condividono lo stesso nostro obiettivo di sensibilizzazione su determinate tematiche sociali”. 

Tra i suoi ultimi lavori?  “‘Re minore’ vincitore della 74ma edizione del Festival Internazionale di Salerno, e ‘Vecchio Mondo’, su un’idea di Roberto Farnesi in cui affronto la tematica del Covid ma da un punto di vista inedito, controcorrente. Anche in questo caso, in ‘Vecchio Mondo’ tratto una tematica sociale, quella del conflitto generazionale ‘giovani-vecchi’ che la pandemia ha acuito. In particolare indago un aspetto che mette in luce il declino della nostra società, venuto allo scoperto in questo periodo segnato dal virus. Mi riferisco a quello che riguarda alcuni giovani, che stanchi delle restrizioni, finiscono per affibbiare la responsabilità dei loro ‘sacrifici’ ai vecchi, colpevoli, secondo loro, anche di scelte scellerate negli anni ’60, che avrebbero portato alla distruzione dell’ecosistema. Vi recitano, gratuitamente, Roberto Farnesi, Enrica Pintore e Sergio Forconi, che per il suo ruolo ha ricevuto il Premio Miglior attore non protagonista al Festival del Cinema Indipendente di Caorle. Il 9 dicembre scorso ho presentato al Cinema Odeon di Firenze "Re minore" e in quell'occasione ho annunciato l'istituzione di un Festival internazionale del cinema tutto fiorentino, che è già in programmazione per ottobre 2022 e per il quale ho già ricevuto diverse richieste di partecipazione. Attraverso iniziative come questa spero di contribuire a realizzare il sogno di trasformare Firenze in una protagonista del cinema a livello internazionale”.   Quali sono i riconoscimenti più importanti ottenuti dai suoi lavori?  “Ne ho vinti tanti, ma il primo ha certamente lasciato il segno. Lo vinsi quando ero giovane, quando nell’89 primeggiai al Bellaria Film Festival, ottenendo il Gabbiano d’oro. I riconoscimenti non sono fondamentali, ci sono grandissimi maestri che non hanno vinto nemmeno un Oscar: ma ti aiutano a credere di più nel tuo percorso. Con ‘Infernet’ ho vinto il Premio Apoxiomeno 2016 come miglior film dell’anno, il Grifo d’Oro al Love Film Festival 2016 ed è stato insignito del Log To Green Movie Award alla 72° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. L’ultimo, in ordine di tempo, in piena pandemia con relativo collegamento via web, al 74° Festival Internazionale del Cinema di Salerno, dove ‘Re Minore’ è stato molto apprezzato da pubblico e critica, che mi hanno conferito i premi più prestigiosi”. 

Federico Fellini sosteneva che “Il cinema è il modo più diretto per entrare in competizione con Dio”. Quanto ritiene che accendere i riflettori su determinate tematiche sociali, aiuti a proporre una riflessione su ciò che ci circonda? 

“È vero che il cinema non fa la rivoluzione, però è in grado di smuovere le coscienze, incidere in profondità. Per questo a me piacciono i temi sociali, che hanno una valenza sociologica e antropologica. Al centro delle mie storie c’è sempre l’uomo, inserito però nella società che diventa elemento narrativo, il coro, il contesto in cui muovono i personaggi. E da dove emergono contraddizioni e valori”.

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