Main Partner

main partnermain partnermain partner

Partner

main partner

Cyberbullismo e conflitto intergenerazionale, Ferlito: "Giro film e corti per smuovere coscienze"

di MAURIZIO COSTANZO -
21 gennaio 2022
Giuseppe Ferlito

Giuseppe Ferlito

Quando il regista Giuseppe Ferlito accende la sua telecamera lo fa per puntare i riflettori su tematiche sociali odierne: il cyberbullismo, la violenza sulle donneil conflitto intergenerazionale in epoca di pandemia, i rischi connessi a Internet che in alcuni casi diventa ‘Infernet’, i problemi di chi è rimasto senza lavoro, quelli dell’ambiente e della gestione dei rifiuti. C’è un copione che accomuna ogni suo ‘ciak’: raccontare dinamiche e difficoltà di esistenze quotidiane, su cui interrogare lo spettatore per spingerlo ad acquistarne consapevolezza. Il cinema di Ferlito restituisce dunque un ritratto della nostra società, per elaborare un discorso più ampio, universale: come in uno dei suoi ultimi mediometraggi, dove racconta la pena di morte unendo il Texas, luogo dell’esecuzione della condanna, alla Toscana, primo Stato al mondo in cui, nel 1786, la pena capitale venne abolita per opera del Granduca Pietro Leopoldo di Lorena.

Il regista Giuseppe Ferlito / Foto Rinaldo Serra

Sia i lungometraggi che i suoi corti si presentano come un’esperienza stimolante per dialoghi e confronti profondi. C’è sempre una narrativa lineare che struttura i suoi film: arrivare allo spettatore e innescare in lui una presa di coscienza dalla potenza disarmante. Un obiettivo condiviso da molti attori, che nel corso degli anni hanno sposato i vari progetti e i messaggi a scopo sociale proposti dai vari lavori di Ferlito, per cui hanno scelto di recitare gratuitamente. Tra gli altri, Katia Ricciarelli, Roberto Farnesi, Ricky Tognazzi e Remo Girone. Un’eredità che Ferlito, allievo di Eduardo de Filippo presso la Bottega Teatrale di Gassman, lascia ai giovani filmaker, che forma a Firenze  nelle stanze della sua Scuola di Cinema Immagina, attraverso vari corsi, tra cui regia, sceneggiatura, drammaturgia, recitazione  e montaggio. Qui, dal 1994, si insegna come trasformare le idee in cinema, come scriverle, come muovere la macchina da presa, come dirigere gli attori per esprimere compiutamente sensazioni, concetti, sentimenti. Non solo. Come insegnante e direttore artistico del laboratorio cinematografico Immagina, Ferlito coinvolge gli allievi nel cast tecnico e artistico delle sue numerosi produzioni indipendenti, per fargli sperimentare un vero e proprio set cinematografico. 

 Maestro Ferlito, come nasce la sua passione per il cinema? 

 “Sono nato a Burgio, un piccolo paese nell’agrigentino che aveva un’unica sala cinematografica dove andavo tutti i giorni. Proprio come il piccolo Totò di ‘Nuovo Cinema Paradiso’, anche io guardavo lo schermo e sognavo a occhi aperti. Mi piaceva evadere, nascondermi nella sala buia. All’epoca era un paesino molto povero e non sempre c’erano i soldi per il biglietto. E allora spesso andavo all’uscita di sicurezza, mettevo l’orecchio sulla porta e mi accontentavo di sentire solo il suono, i rumori, i dialoghi: il film, le scene, gli attori e le atmosfere me le immaginavo. Da lì in poi, tutto è venuto naturale. Sono approdato a Firenze per studiare architettura e questo percorso di studi mi ha fornito il metodo: un film infatti, si progetta proprio come un palazzo, solo che invece dei mattoni, la struttura è data dai fotogrammi. Mi hanno insegnato che quando si progetta un ponte, su quel ponte ci passano tutti, anche tu: quindi il calcolo, l’aspetto statico, la stabilità, la struttura sono fondamentali. Con Gaudì ho capito però che quello che conta è anche la sensazione che ti dà una struttura, l’immagine, l’estetica. Può diventare un percorso che si lega all’anima e alla spiritualità, quando è materia che si sublima. Lo stesso vale per il cinema, perché un film non lo fai per te stesso, ma per gli altri. E nel comunicare appieno contenuti e messaggi, il regista deve perciò acquistare un grande senso di responsabilità morale”. 

Quali tematiche le stanno più a cuore? 

Roberto Farnesi durante le riprese

Uno dei film che mi ha dato più soddisfazioni è stato il lungometraggio ‘Né terra né cielo’, finanziato dal Ministero dei Beni Culturali come film di interesse culturale nazionale. Il film, pluripremiato, aveva come sfondo la crisi dell’individuo e del nostro sistema. Racconta di un operaio che improvvisamente viene licenziato e contemporaneamente scopre che la moglie lo tradisce. In preda alla disperazione, sale per protesta sulla ciminiera della fabbrica diventando un caso nazionale. Col suo silenzio riesce a far emergere tutte le contraddizioni della nostra società. In ‘Infernet’ ho indagato poi le problematiche legate al web, rischi e pericoli della rete a danno dei ragazzi che spesso ne sono vittime. Interpretato tra gli altri da Remo Girone, Roberto Farnesi, Katia Ricciarelli e Ricky Tognazzi, trasmesso dalla Rai nel 2017 , ora è su Rai Play”. 

Amazon Prime ha messo a disposizione del suo pubblico il suo mediometraggio ‘Greg’, dedicato alla storia drammatica di un condannato a morte negli Stati Uniti. Come sta reagendo il pubblico? 

Sta avendo un ottimo riscontro. Si tratta di un mediometraggio liberamente ispirato alla storia di Gregory Summers, un condannato a morte del Texas al quale fu respinta la richiesta di grazia e finì nel braccio della morte nel 2006. Fu sostenuto dagli studenti e da un’insegnante di una scuola media di Novacchio, in provincia di Pisa, coi quali intrattenne un rapporto epistolare. Per sua volontà è stato sepolto nel cimitero di Cascina, in terra Toscana, che per prima abolì la pena capitale. Penso che lo Stato debba essere migliore dell’uomo, però non entro nel merito della sua colpevolezza o innocenza: ciò che mi interessa è parlare di valori sociali, far emergere tutte le contraddizioni della nostra società, senza sostenere nessuna parte politica. Ho messo in relazione questa storia che avveniva in Texas con la scolaresca toscana, immaginando i ragazzi che prendono a dialogare con lui. Legare la fantasia alla storia reale mi ha permesso di costruire un discorso narrativo emotivamente avvincente. Non mi fermo a descrivere la realtà, altrimenti farei documentari. Ciò che mi preme è far riflettere sulla condizione dell’uomo, lasciare spazio alla filosofia, alla psicologia, alla sociologia, all’antropologia. I miei film sono un’esperienza che parla per emozioni, non per spiegazioni: per questo il cinema è meraviglioso”. 

Tra gli altri temi ha trattato anche il cyberbullismo e la violenza sulle donne. 

Le riprese del regista Giuseppe Ferlito

Per ‘Ti accorgi di me?’ mi sono ispirato a un fatto di cronaca vera: una ragazza si era suicidata dopo essere stata bullizzata sulla rete. Paolo Conticini insieme a Pino Ammendola si sono prestati gratuitamente al progetto. Ho anche affrontato un tema forte come il femminicidio in ‘Jackpot’, e tra i tanti altri, nel medio metraggio ‘Non buttarti via’ punto a sensibilizzare i giovani sulla tematica della gestione dei rifiuti domestici. Il cinema è un’arma potentissima che, se ben utilizzata, arriva al cuore delle gente e può cambiare la vita. Com’è cambiata la mia vita di spettatore prima, e come regista poi. La magia del cinema sta in questo: allargare lo sguardo dello spettatore su cose nuove, far emergere contraddizioni, spronare ad una riflessione”. 

Cosa l’ha spinta a scegliere il cortometraggio su tematiche sociali come espressione del suo lavoro? 

Lo dico sempre ai miei allievi: ci sono pubblicità di 7 secondi più incisive di film che durano 5 ore. Nel corto, che si svolge in uno spazio temporale più ristretto e intimo, si è chiamati a operare una sintesi, in cui il messaggio deve essere forte, chiaro, preciso, sintetico, senza tempi morti. In linea di massima è utilissimo anche come esercizio per affinare la tecnica e le scelte registiche. E ovviamente per familiarizzare con la sintassi cinematografica, che non può prescindere da un certo gusto estetico oltre che da un importante valore espressivo”. 

Come nasce la sua scuola laboratorio cinematografica? 

La mia esperienza didattica inizia al Cinema Spazio Uno di Firenze. Qui ho creato e diretto nel 1990 un laboratorio cinematografico, dove i ragazzi imparavano a costruire concretamente un film a partire dalla sceneggiatura fino al montaggio. Ho poi ampliato l’esperienza del Laboratorio di Spazio Uno, costituendo nel 1994 l’Associazione Culturale Immagina, il cui asse portante è una vera e propria scuola di cinema con corsi di recitazione, regia, sceneggiatura, doppiaggio, riprese e montaggio, che garantiscono tra loro un interscambio di esperienze e di lavoro. La particolarità sta nel fatto che la scuola, oltre a fare didattica, fa anche produzione: quindi i ragazzi oltre a studiare, vengono coinvolti anche nelle grosse produzioni che spesso abbiamo. A loro insegniamo tutti i trucchi del mestiere: i principi della persistenza dell’immagine sullo schermo, cos’è il montaggio, l’importanza della musica e della letteratura; come dirigere i dialoghi e gli attori, come creare le atmosfere e come spiazzare lo spettatore. In un film ci deve essere spazio anche per il dialogo con chi guarda: il regista non può dire tutto, deve lasciare allo spettatore anche la libertà di immaginarsi il ‘suo’ film. La magia del cinema sta anche nelle ellissi temporali che si vengono a creare, in cui chi guarda deve aver modo di poter riflettere. In questo mio percorso di regista e docente, negli anni le soddisfazioni sono state tante: formo i talenti del futuro che, oggi grazie alle piattaforme, hanno l’opportunità di rendere visibili i loro prodotti. Non solo registi: dalla mia scuola sono nati artisticamente anche attori di fama come Roberto Farnesi e Martina Stella”. 

Come riesce a sostenere i costi di produzione dei suoi lavori a scopo sociale? 

Il nostro lavoro è fatto di film sostenuti da grandi produzioni, ma anche di cinema indipendente. In quest’ultimo caso riusciamo a sostenere i costi grazie alle nostre risorse, realizzando produzioni a basso budget in cui coinvolgo tutti coloro che credono nel progetto. E così troviamo le location che vengono messe a disposizione gratuitamente, così come nel corso degli anni vari attori, credendo nei messaggi e nel valore sociale dei progetti, hanno scelto di prestarsi gratuitamente: penso a Katia Ricciarelli, Roberto Farnesi, Ricky Tognazzi e Remo Girone, solo per fare alcuni nomi. Mi colpiscono le tante persone che si mettono a disposizione e scelgono di aiutarci, solo perché condividono lo stesso nostro obiettivo di sensibilizzazione su determinate tematiche sociali”. 

Tra i suoi ultimi lavori?  “‘Re minore’ vincitore della 74ma edizione del Festival Internazionale di Salerno, e ‘Vecchio Mondo’, su un’idea di Roberto Farnesi in cui affronto la tematica del Covid ma da un punto di vista inedito, controcorrente. Anche in questo caso, in ‘Vecchio Mondo’ tratto una tematica sociale, quella del conflitto generazionale ‘giovani-vecchi’ che la pandemia ha acuito. In particolare indago un aspetto che mette in luce il declino della nostra società, venuto allo scoperto in questo periodo segnato dal virus. Mi riferisco a quello che riguarda alcuni giovani, che stanchi delle restrizioni, finiscono per affibbiare la responsabilità dei loro ‘sacrifici’ ai vecchi, colpevoli, secondo loro, anche di scelte scellerate negli anni ’60, che avrebbero portato alla distruzione dell’ecosistema. Vi recitano, gratuitamente, Roberto Farnesi, Enrica Pintore e Sergio Forconi, che per il suo ruolo ha ricevuto il Premio Miglior attore non protagonista al Festival del Cinema Indipendente di Caorle. Il 9 dicembre scorso ho presentato al Cinema Odeon di Firenze "Re minore" e in quell'occasione ho annunciato l'istituzione di un Festival internazionale del cinema tutto fiorentino, che è già in programmazione per ottobre 2022 e per il quale ho già ricevuto diverse richieste di partecipazione. Attraverso iniziative come questa spero di contribuire a realizzare il sogno di trasformare Firenze in una protagonista del cinema a livello internazionale”.   Quali sono i riconoscimenti più importanti ottenuti dai suoi lavori?  Ne ho vinti tanti, ma il primo ha certamente lasciato il segno. Lo vinsi quando ero giovane, quando nell’89 primeggiai al Bellaria Film Festival, ottenendo il Gabbiano d’oro. I riconoscimenti non sono fondamentali, ci sono grandissimi maestri che non hanno vinto nemmeno un Oscar: ma ti aiutano a credere di più nel tuo percorso. Con ‘Infernet’ ho vinto il Premio Apoxiomeno 2016 come miglior film dell’anno, il Grifo d’Oro al Love Film Festival 2016 ed è stato insignito del Log To Green Movie Award alla 72° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. L’ultimo, in ordine di tempo, in piena pandemia con relativo collegamento via web, al 74° Festival Internazionale del Cinema di Salerno, dove ‘Re Minore’ è stato molto apprezzato da pubblico e critica, che mi hanno conferito i premi più prestigiosi”. 

Federico Fellini sosteneva che “Il cinema è il modo più diretto per entrare in competizione con Dio”. Quanto ritiene che accendere i riflettori su determinate tematiche sociali, aiuti a proporre una riflessione su ciò che ci circonda? 

È vero che il cinema non fa la rivoluzione, però è in grado di smuovere le coscienze, incidere in profondità. Per questo a me piacciono i temi sociali, che hanno una valenza sociologica e antropologica. Al centro delle mie storie c’è sempre l’uomo, inserito però nella società che diventa elemento narrativo, il coro, il contesto in cui muovono i personaggi. E da dove emergono contraddizioni e valori”.