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Ddl Zan, Ius Scholae, Fine Vita: ecco perché le leggi sui diritti civili difficilmente vedranno la luce

di ETTORE MARIA COLOMBO -
26 aprile 2022
Ddl Zan, Ius Scholae, Fine Vita: ecco perché le leggi sui diritti civili difficilmente vedranno la luce

Ddl Zan, Ius Scholae, Fine Vita: ecco perché le leggi sui diritti civili difficilmente vedranno la luce

Parliamoci chiaro. La possibilità che una qualsiasi delle leggi sui diritti civili (eutanasia, Ius soli pur se sotto forma di Ius scholae, ddl Zan) riesca a vedere la luce prima della fine della legislatura (probabilmente a febbraio 2023) è una speranza flebile e assai lontana dal concretizzarsi. Sia per la strenua opposizione del centrodestra (di governo, come la Lega, e di opposizione, come Fratelli d'Italia) sia per le contraddizioni insite nella ex coalizione giallorossa (Pd-Movimento 5 Stelle-Liberi e Uguali), sia per i distinguo e le obiezioni di coscienza su questi temi, dei centristi (Italia Viva, Cambiamo!) sia anche perché, sui temi dei diritti civili, il governo Draghi non intende prendere posizione e, tantomeno, usare l’arma finale della fiducia. Insomma, parliamo di un tenue filo pronto a spezzarsi su tutti e tre i fronti (fine vita, diritti dei cittadini immigrati, diritti della comunità Lbgtq+) e di iter legislativi che si stanno per infrangere contro mille problemi, ostacoli (e, anche, trucchetti) regolamentari e procedurali. Ma, come si dice, solo chi non prova non riesce. Quindi, il fronte dei sostenitori dei diritti civili preferisce tentare. Meglio, però, analizzare ognuna di queste leggi, e di questi fronti, per capire a che punto è la notte.

Alessandro Zan, 48 anni, ha annunciato che mercoledì 27 aprile il ddl Zan sarà ripresentato in Senato (Foto Ansa)

Ddl Zan

Pochi giorni fa il deputato del Pd, Alessandro Zan, ha annunciato che vuole riprendere la battaglia contro la omotransfobia, ripresentando il ddl che porta il suo nome (ddl Zan, appunto), la legge che punisce penalmente i reati di omotransfobia e i crimini d’odio che sembrava essersi arenata al Senato, sei mesi fa, il 27 ottobre 2021, con un voto procedurale a scrutinio segreto. L’ultima immagine è quella dell’applauso – sgangherato e violento – delle destre in Aula. Ma il 27 aprile scadono i sei mesi di embargo forzoso che prevedono che non possa essere ripresentato un testo identico a quello bocciato. Il testo del ddl verrà ripresentato dai senatori del Pd e ricalca alla perfezione quello bocciato, ma che, alla Camera, era passato a larga maggioranza (Pd-M5s-LeU-Iv). Messa così, la mossa pare poco lungimirante, ma Zan assicura che “il contesto è radicalmente cambiato, il Parlamento è del tutto inadempiente, le persone continuano a essere oggetto di violenza e discriminazione per quello che sono”. Allo stato, Zan non sembra propenso ad accettare modifiche (sull’identità di genere, ad esempio) sul cuore della legge, su altri articoli sì (giornata contro l’omofobia nelle scuole, etc). Onestamente, data la fine che ha fatto lo Zan 1.0, in un Senato dove centrodestra e centristi da quest’orecchio non ci sentono, è difficile prevedere migliore fortuna al ddl Zan 2.0, ma il gruppo del Pd ci proverà e cercherà di coagulare il massimo del consenso sul nuovo testo. Anche qui la scelta dei senatori di Iv sarà decisiva, ma si dubita che accetterà di far passare anche questo nuovo testo. Volendo vedere il bicchiere, al ddl Zan manca solo l’approvazione del Senato perché quella della Camera è già stata incassata nel 2021.

Lo Ius Schoale è ancora fermo in commissione Affari costituzionali della Camera. Lega e Fratelli d'Italia hanno presentato oltre 600 emendamenti (Foto Ansa)

Ius scholae

Molto più indietro, invece, si trova la sola legge che, dopo decenni, potrebbe dare finalmente il giusto riconoscimento almeno ai bambini figli di immigrati residenti in Italia per accelerare, almeno per loro, le pratiche della cittadinanza. La legge, ribattezzata Ius scholae, è ancora ferma in commissione Affari costituzionali di Montecitorio, dove sono ancora sottoposti al voto gli emendamenti al testo per dare la cittadinanza italiana ai ragazzi figli di stranieri che abbiano completato un ciclo di 5 anni di scuola. Una legge attesa da decenni, che nella passata legislatura era arrivata a un passo dall'approvazione, per poi inabissarsi nel porto delle nebbie del Senato. Riguarda circa 800 mila giovanissimi italiani di fatto, ma non di diritto. Il problema sono le oltre 600 modifiche presentate dai leghisti e da Fratelli d'Italia, tra cui le più strambe - come sostenere esami d'italiano sulle sagre regione per regione o avere il massimo dei voti scolastici per presentare la richiesta di cittadinanza – presentate a puri fini ostruzionistici. La destra, cioè, di maggioranza e di governo, non entra neppure nel merito di quello che bolla come "Ius soli" camuffato.

La proposta, scritta dal pentastellato Giuseppe Brescia, presidente della Prima commissione della Camera, prevede due soli articoli ed è molto ragionevole. Ma l'intenzione di FdI e Lega è fare ostruzionismo, picconando la legge e sostenendo che la cittadinanza ai figli comporti come conseguenza la cittadinanza anche per i genitori stranieri (falso). La novità politica è che Forza Italia si è dissociata dai partiti di Salvini e Meloni e ha annunciato che voterà a favore dello Ius scholae. Renata Polverini, che aveva presentato una legge simile, ha convinto il suo partito. Per il Pd è la battaglia di sempre. Afferma Matteo Mauri, a cui Enrico Letta ha affidato il dossier cittadinanza: "Noi dem andremo avanti, nonostante le difficoltà, per portare a casa il risultato entro la fine della legislatura, perché i diritti sono una priorità".

La strada, però, resta in salita. Se le destre continueranno a fare ostruzionismo, il centrosinistra, appoggiati da FI, potrebbero tentare di portare la legge direttamente in aula. Altrimenti non basterebbero gli undici mesi che restano alla legislatura, per completarne l'esame. Francamente, la possibilità che, anche andando dritta in Aula e vincendo lì la prova, poi passi indenne l’esame del Senato, ove mai vi arrivasse e comunque non prima dell’estate, dove siedono i centristi meno liberal è una speranza peregrina. Il facile vaticinio è che neppure una legge di buon senso, e minimale, come lo Ius scholae, vedrà la luce entro il 2023.

Una manifestazione di protesta per il fine vita dell'Associazione Luca Coscioni

Fine vita

Il paradosso è che l’ultima delle leggi in questione, quella sul fine vita (che non va confusa con l’eutanasia legale, oggetto di referendum promosso dai Radicali e bocciato, pochi mesi fa, dalla Corte costituzionale) o suicidio medicalmente assistito, e cioè una legge difficile, complicata – tecnicamente – e ostica – intellettualmente – perché comporta infinite discussioni e diatribe, da parte di credenti e laici, sul diritto alla vita e sul diritto alla morte, è quella che ha più chanche di essere approvata realmente. Certo, non è detta l’ultima parola, ma le cose stanno proprio così. Innanzitutto, va ricordato che la legge sul fine vita è stata, miracolosamente, approvata dall’aula della Camera dei Deputati il 10 marzo 2022 e che è già stata trasmessa al Senato e iscritta nelle commissioni competenti. Alla Camera è passata, peraltro, a larga maggioranza, con 253 voti a favore (tra cui quelli degli azzurri Polverini, Vito e Baldelli) e 117 contrari (tra cui i deputati di Iv Toccafondi, Baldini e Ferri), più un solo voto di astensione.

Il problema, una volta arrivata al Senato, in commissione Giustizia, è stato però il relatore. Matteo Salvini e il capogruppo leghista Massimiliano Romeo hanno puntato tutto su Simone Pillon. Pillon, ultra-cattolico, promotore della battaglia contro il ddl Zan sull'omofobia e della campagna contro la maternità surrogata per punire le coppie che vi fanno ricorso all'estero, dal momento che in Italia è una pratica vietata, se n’è detto entusiasta, ma è lo stesso che ha attaccato a fondo il ddl fine vita. Formalmente, la decisione spettava al presidente della commissione Giustizia, il leghista Andrea Ostellari decidere. Mentre Annamaria Parente, (Iv), presidente dell'altra commissione competente, Salute, voleva scegliere due relatori.

Il leghista Simone Pillon, 50 anni, è promotore della battaglia contro il ddl Zan e della campagna contro la maternità surrogata per punire le coppie che vi fanno ricorso all'estero (Foto Ansa)

Quattro relatori sul fine vita

Alla fine, dopo un lungo scontro a colpi di regolamento, il leghista Pillon sarà solo uno dei quattro relatori del ddl sul suicidio assistito, la cui discussione, in commissione, è già ripresa. La Lega l'ha spuntata, dopo diverse riunioni di maggioranza, ma a metà. Alle barricate contro il nome di Pillon, infatti, i giallo-rossi hanno rinunciato solo dopo avere raggiunto un accordo su ben quattro relatori, due per ciascuna delle commissioni interessate all'esame, ovvero la commissione Giustizia e quella Sanità. E quindi nella quadriga dei relatori, oltre al leghista Pillon, ci saranno la grillina Alessandra Maiorino (in commissione Giustizia) più altre due, la dem Caterina Biti e la forzista Mariella Rizzotti.

Insomma, una decisione salomonica. E dato che spetta ai presidenti delle commissioni indicare i relatori, che sono nella prima linea dell'esame di un provvedimento. Annamaria Parente, renziana, alla guida della commissione Sanità, ha scelto Biti e Rizzotti, che è anche medico mentre Andrea Ostellari, leghista, presidente della Giustizia, ha puntato su Pillon e ha acconsentito alla nomina del pentastellato Maiorino. La sfida adesso è non rallentare l'iter della legge sul suicidio assistito. La Parente mira ad accelerare: "Va garantito un iter ordinato e senza forzature da nessuna parte: i quattro relatori possono assicurare sensibilità diverse con l'unico obiettivo si condurre in porto la legge" ha spiegato.

Franco Mirabelli, 62 anni, vice capogruppo dei senatori del Pd, ha avvertito: "Spero che le discussioni non rallentino il percorso di approvazione definitiva della legge sul fine vita"

Per il Pd anche i temi bioetici sono prioritari, tanto che  Franco Mirabelli, vice capogruppo dei senatori democratici, avverte: "Spero che le discussioni non rallentino il percorso, che deve essere rapido, di approvazione definitiva della legge sul fine vita. Dobbiamo dimostrare che il Parlamento è in grado di fare le riforme e non possiamo lasciare sia la Consulta a decidere". La strada per il fine vita, però, resta tutta in salita. Al Senato i numeri dei giallo-rossi sono ben più risicati che a Montecitorio, come si è visto sullo Zan. Inoltre, qui Forza Italia è contraria, sia pure tra molti mal di pancia. In otto articoli, la legge sul suicidio assistito riprende le indicazioni della Consulta dopo la sentenza del 2019 sul caso Cappato, processato e poi assolto per avere aiutato nel suicidio medicalmente assistito Dj Fabo. Sono stati previsti molti paletti, tra cui il passaggio attraverso le cure palliative e il requisito di potere accedere al suicidio assistito solo se attaccati a macchine di sostegno vitale.

Paradossalmente, una legge così delicata e ispida per tutti – laici e credenti, destra e sinistra – una volta superato lo scoglio dell’esame nelle due commissioni competenti, potrebbe arrivare in Aula blindata anche perché, su questo tema, l’ostruzionismo di Lega e FdI è meno feroce. È solo una speranza, ma potrebbe essere questa la sola legge sui diritti civili che questo Parlamento riuscirebbe ad approvare entro fine legislatura.