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Difficoltà economiche, aumenta il divario tra generazioni in Europa. A pagare sono gli under 30

di DOMENICO GUARINO -
26 dicembre 2021
PovertàScuola

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Sappiamo che negli ultimi anni, e ancor di più in conseguenza delle politiche adottate per contenere la pandemia, la povertà assoluta (chi non può permettersi le spese essenziali per condurre uno standard di vita minimamente accettabile) e relativa (le difficoltà economiche nella fruizione di beni e servizi in rapporto al livello economico medio di vita dell’ambiente o della nazione) è aumentata tanto in Italia quanto nel resto dell’Europa. Conosciamo il gap che sussiste anche nei Paesi evoluti tra la condizione maschile e quella femminile, in termini di diritti e condizioni materiali. Ma esiste un altro divario di cui nessuno o quasi parla e che non è meno drammatico. Soprattutto, ci restituisce il quadro esatto di quello che sta avvenendo nelle economie e nelle società, misurando nella concretezza delle condizioni di vita, le dinamiche che hanno preso forma in questi anni, non solo a causa della pandemia. Stiamo parlando dell’allargamento del divario tra generazioni rispetto alla povertà assoluta. Un dato che è cresciuto in maniera drammatica, tanto che oggi in Italia più una persona è giovane, più è probabile che affronti una deprivazione sociale .Un fenomeno tanto più preoccupante in quanto inedito: fino alla fine degli anni 2000 c’era infatti molta meno distanza tra la povertà assoluta delle diverse fasce d’età. Anzi, ipiù in difficoltà erano gli over-65 (4,5% in povertà assoluta), mentre nella fascia 35-64 anni eranop iù o meno la metà, ovvero circa il 2,7%. Con la recessione di fine anni 2000 si è verificato un vero e proprio capovolgimento della situazione, con allargamento delle distanzeche ha penalizzato soprattutto le giovani generazioni. Una tendenza che si è rafforzata durante l’emergenza Covid. Nel 2020, in Italia, la quota di minori in povertà assoluta è arrivata a superare il 13%. I secondi più colpiti sono i giovani adulti: nella fascia tra 18 e 34 anni la quota di poveri è infatti salita all’11,3%. A passarsela peggio sono le famiglie con figli. Più un nucleo familiare è numeroso, più è probabile infatti che si trovi in povertà, tanto che, nel primo anno della pandemia, l’incidenza della povertà assoluta familiare è passata dal 6,4 al 7,7%, in media. Tra i nuclei con 1 figlio minore, l’incremento è stato di quasi 3 punti percentuali, passando dal 6,5 al 9,3%. Con due figli, la quota è salita al 12,5%. Tra le famiglie con 3 o più figli, la percentuale è arrivata a sfiorare il 23%. Un aggravamento che riguarda l’intero Paese, senza le consuete distinzioni tra aree geografiche: le famiglie con almeno un figlio minore che si trovano in povertà assoluta sono l’11,7% nel nord (erano l’8,4% nel 2019), l’8,1% nel centro Italia (dal 5,9% dell’anno precedente) e il 13,2% nel mezzogiorno (dal 12,2%), (fonte: elaborazione openpolis -Con i Bambini su dati Istat, ultimo aggiornamento: mercoledì 16 Giugno 2021). Dati che fanno riflettere e che dovranno essere alla base delle scelte politiche future, anche in vista della ripresa del Paese dopo l’emergenza. Tema che riguarda tutti i Paesi europei. In media, l’UE destina alle funzioni relative a famiglie e minori solo l’ 1,8% del Pil, 246,76 miliardi di euro, con un quadro molto variabile tra gli stati membri. Raggiungono la soglia del 3% paesi come Finlandia (3%), Lussemburgo (3,5%) e Danimarca (4,2%), nonché un paese europeo non membro Ue come la Norvegia (3,4%). L’Italia si trova invece ben al di sotto di quella soglia, destinando solo l’1% del proprio Pil a famiglie e minori. In questa poco edificante classifica, il nostro Paese si trova in compagnia di Malta, Spagna e Grecia, Stati che offrono più o meno il medesimo standard. Anche in questo caso assistiamo ad una tendenza di lungo corso che riguarda almeno l’ultimo decennio: dal 2010 in poi il dato nazionale si è attestato sempreattorno a questa soglia, con un valore inferiore se confrontato con gli altri maggiori paesi dell’Unione. Il dato francese infatti si attesta sul 2,3% del Pil nel 2019, quello tedesco (1,7%) invece è leggermente inferiore alla media Ue di quell’anno.