Main Partner

main partnermain partnermain partner

Partner

main partner

Inclusione in azienda: le linee guida di Global compact network per un'economia sostenibile

di DOMENICO GUARINO -
12 gennaio 2022
Tuttavia l'Italia risulta ancora lontana dagli standard europei, dove più del 70% delle imprese ha a cuore il tema dell'inclusione

Tuttavia l'Italia risulta ancora lontana dagli standard europei, dove più del 70% delle imprese ha a cuore il tema dell'inclusione

L’inclusione, ovvero il riconoscimento e la valorizzazione della diversità, delle differenze tra gruppi e individui, al contrario di quanto si pensi, non è un orpello inutile o addirittura un limite all’attività delle imprese ed al loro business. Anzi, per le aziende rappresenta una grande opportunità, in quanto contribuisce “al rafforzamento della motivazione e soddisfazione dei lavoratori, al miglioramento della reputazione dell’impresa e all’aumento della creatività e innovazione interna”. La valutazione arriva dal Global compact network Italia, che è la costola tricolore del Global Compact delle Nazioni Unite, l’iniziativa strategica di cittadinanza d’impresa più ampia al mondo. 

Il GCN nasce dalla volontà di promuovere un’economia globale sostenibile: rispettosa dei diritti umani e del lavoro, della salvaguardia dell’ambiente e della lotta alla corruzione. È stata proposta, per la prima volta nel 1999, presso il World Economic Forum di Davos, dall’ex segretario delle Nazioni Unite Kofi Annan, il quale, in quell'occasione, ha invitato i leader dell'economia mondiale presenti all'incontro a sottoscrivere con le Nazioni Unite un "Patto Globale", al fine di affrontare in una logica di collaborazione gli aspetti più critici della globalizzazione. Al network, a partire dal luglio del 2000, hanno aderito oltre 18.000 aziende provenienti da 160 paesi nel mondo.

Pochi giorni fa Il GCNI ha presentato le nuove “Linee guida diversity & inclusion in azienda” (per scaricarle clicca qui), prodotte in partnership con l’Organizzazione internazionale del lavoro (Ufficio per l’Italia) e l’Associazione italiana direzione personale (Aidp). Dal documento, che è il risultato del primo anno di attività dell’Osservatorio Diversity & Inclusion, non emerge una situazione rosea: nonostante infatti il quadro normativo, italiano e internazionale, abbia l’obiettivo di tutelare le persone disabili, migranti, giovani e le donne, le disuguaglianze emergono fortissime sin dalle prime fasi di selezione, a causa di radicati  pregiudizi, fino poi a concretizzarsi in contratti precari e divari salariali. Non a caso, secondo recenti dati Istat, in Italia solo il 32% delle persone con disabilità nella fascia 15-64 anni è attualmente occupato. La situazione è stata inoltre aggravata dalla pandemia da Covid-19: l’Istat ha rilevato che il 70% delle persone che hanno perso il lavoro nel 2021 sono donne, più esposte a causa della precarietà dei contratti e il carico del lavoro domestico e di cura.

Esistono però anche realtà virtuose (su Luce! avevamo parlato di Tim, di Gucci e Ferragamo ad esempio). Nel documento, infatti, si prendono in esame i comportamenti adottati da 14 grandi aziende, che hanno lavorato sul concetto di inclusione, ad esempio attraverso l’introduzione di corsi sulla lingua dei segni, la mappatura delle lingue parlate dai lavoratori e momenti di formazioni sulle competenze interculturali, e sulla lotta contro ogni forma di discriminazione in materia di impiego e occupazione. Dall’analisi emerge che il riconoscimento delle disabilità, anche di quelle invisibili, l’utilizzo di un linguaggio inclusivo, la formazione continua, l’attenzione all’equità salariale e all’equilibrio tra vita e lavoro, l’eliminazione di ostacoli strutturali e la tolleranza zero sulla violenza di genere, rappresentano un fattore decisivo di crescita professionale ed economico.