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Home » Attualità » Lo spiegone sui referendum bocciati: da Amato che vince e si difende a Cappato che grida al “furto di democrazia”

Lo spiegone sui referendum bocciati: da Amato che vince e si difende a Cappato che grida al “furto di democrazia”

Fuori dal palazzo della Consulta fioriscono già le polemiche: i giudici vengono accusati di essere stati "insensibili, freddi e bacchettoni". Ma il presidente replica: "A ognuno il suo mestiere"

Ettore Maria Colombo
19 Febbraio 2022
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I promotori dei due referendum bocciati su eutanasia e cannabis legali

Il risultato finale è presto detto. Quindici ermellini (giudici togati) della Consulta battono la volontà popolare (600mila firme sulla cannabis, di cui 500mila raccolte via Spid, e 1 milione e 200mila firme, di cui 400mila raccolte on-line, sull’eutanasia, in totale: 2 milioni e 300mila) 2 a 0. I due referendum frutto di una campagna appassionata – portata avanti da due comitati nati nella galassia radicale (Eutanasia legale e Meglio legale) e non appoggiati da alcun partito politico – e che riguardavano due temi etici molto importanti (fine vita e liberalizzazione cannabis) sono stati sonoramente bocciati dalla Consulta. Altro che “non cercate il pelo nell’uovo” come aveva esortato il presidente, Giuliano Amato, ai membri dell’organismo che presiede. Il pelo nell’uovo dagli ermellini è stato trovato eccome. E Amato, con una accorta e molto furba campagna mediatica, ha respinto le critiche.

Il protagonismo mediatico di Amato

Il presidente della Corte Costituzionale, Giuliano Amato, nella conferenza stampa post-bocciatura

Il primo referendum sui diritti civili che è stato bocciato è stato quello sull’eutanasia, già martedì. “Non mi pare che nessuno abbia cercato il pelo nell’uovo” chiosa Amato, riprendendo la sua stessa battuta anticipatoria del risultato di qualche giorno fa. Solo che poi, nella conferenza stampa (e già questo è un unicum: è la prima volta, nella sua lunga storia, che la Consulta e il suo presidente ne tengono una per motivare le loro decisioni e non si affidano ai soliti, freddi, comunicati) si mette a battibeccare con i promotori (in testa a tutti il radicale Marco Cappato, in prima fila nella battaglia per l’eutanasia legale) e richiama pure il Parlamento al suo dovere di fare le leggi, come quella in materia, su cui è in ballo una proposta di legge che, però, da mesi entra e esce dall’aula della Camera dei Deputati senza vedere mai la luce. Amato, dunque, è diventato interventista: parla, convoca conferenze stampa, fa inondare i social di comunicati della Consulta, rintuzza ogni accusa. In pratica, utilizza i media come – e, forse, meglio – degli stessi promotori dei referendum, oppone ragionamenti a giuste istanze e si pone – pur se resterà in carica solo un anno – come Molosso a difesa della Costituzione e, anche, del Potere costituito. Una triade formata, da lui, da Mattarella al Colle e Draghi a palazzo Chigi. Il ‘governo’ dei tre Presidenti contro l’afasia della Politica, contro la voce dei cittadini.

Cattolici, insensibili, bacchettoni: le accuse ai giudici

I quindici giudici della Corte Costituzionale

Fuori dall’antico palazzo della Consulta fioriscono già le polemiche e le accuse alla Corte. I giudici vengono accusati di essere stati “Insensibili, freddi e bacchettoni”, oltre che conservatori e cattolici, ma dentro, dopo due giorni di intenso lavoro, i giudici restano convinti di non aver avuto alcuna preclusione politica. Tutt’altro. L’invito a non cercare il “pelo nell’uovo” era un sincero segnale di apertura. Ma senza andare oltre il consentito: “Non possiamo correggere quesiti mal formulati” è la stilettata di Amato ai promotori di referendum. Molte saranno le conseguenze politiche e delle due sonore bocciature, che fanno il paio con cinque quesiti su sei sulla giustizia approvati e che erano stati promossi da Lega e Radicali, ma meglio procedere con ordine nell’analisi.

Cappato: “Furto di democrazia inaccettabile”

Marco Cappato durante un comizio per rendere l’eutanasia legale

Il promotore del referendum sull’eutanasia Marco Cappato ha rimproverato la Consulta per la doppia bocciatura, sull’eutanasia e sulla cannabis, equiparandoli a un “furto di democrazia inaccettabile” (2 milioni e 300mila firme ndr). Amato, esondando dal suo ruolo di – teoricamente imparziale – presidente dell’ufficio che presiede, nato a garanzia della Costituzione, non si tiene e contrattacca: “Da parte di Cappato, che deve la giusta assoluzione nel processo che ha avuto per il caso del dj Fabo anche per la sentenza di questa Corte, dire che la Corte era maldisposta significa dire una cattiveria mentre doveva riflettere su cosa stava facendo. Lui parla di eutanasia, ma si tratta di omicidio del consenziente, e formulato in modo da estendersi a situazioni del tutto diverse da quelle per cui pensiamo possa applicarsi l’eutanasia. Un risultato costituzionalmente inammissibile”.

 

Gli iter di Eutanasia e Cannabis

Un’attivista di Meglio legale

Amato, dunque, ora ributta la palla al Parlamento, che “deve esprimersi”, lo critica perché “non dedica abbastanza tempo a cercare di trovare soluzione a temi che possono alimentare dissensi corrosivi per la coesione sociale”, dice che “lavora” ma che “ha grosse difficoltà a mettersi d’accordo su questi temi”. Come dimostra proprio la storia infinita dell’eutanasia che non a caso ha portato i promotori a scegliere la via referendaria, ieri sonoramente bocciata. La decisione di bloccare il referendum sull’eutanasia è stata comunque travagliata e non unanime; qualche giudice (cinque su quindici, secondo le indiscrezioni trapelate) riteneva possibile l’ammissibilità, ma ha prevalso il rigetto. Che non significa che tutto debba restare com’è, ma per cambiare attraverso un referendum ci voleva un quesito diverso. Poi arriva il no della Consulta anche al quesito sulla cannabis perché il suo via libera porterebbe a “violare obblighi internazionali” in materia di droghe. Allo stesso modo di quello riguardante l’eutanasia, Amato fa il filologo, dice che avrebbe dovuto chiamarsi, secondo un corretto utilizzo delle parole, “legalizzazione della coltivazione delle sostanze stupefacenti” perché, per come era scritta, la proposta da sottoporre ai cittadini, la vittoria dei ‘sì’ avrebbe esteso la legalizzazione anche a eroina e cocaina, con conseguente violazioni di obblighi internazionali e andando oltre l’obiettivo sottinteso al referendum. La delusione dei promotori, anche qui, è cocente. 600mila firme raccolte in un amen, con una campagna – soprattutto on line, con le firme digitali o Spid – popolarissima tra i giovani, non sono bastate a modificare una legge sulle droghe che risale al Testo unico del 1990, cui poi sono intervenuti diversi correttivi, un coacervo di norme cui i promotori hanno dovuto districarsi.

Brindisi dei Pro Vita e dei cattolici

La Consulta ha usato proprio questo grimaldello, rivoltandolo contro i promotori: Amato spiega che “il quesito era articolato in tre sotto quesiti, in una confusione di tabelle che ci ha portati a constatare l’inidoneità dello scopo perseguito”. Ma i promotori non ci stanno. “Motivazioni intollerabili”, ribattono, e parlano di “sconfitta delle istituzioni, del Parlamento, dei partiti che hanno messo la testa sotto la sabbia, non delle migliaia di cittadini che hanno firmato la proposta”. Lo scopo della consultazione popolare sarebbe stato da un lato la depenalizzazione della coltivazione di qualsiasi pianta per uso personale, mantenendo le pene legate alla detenzione, alla produzione e alla fabbricazione di sostanze. E, dall’altro, sul piano amministrativo, l’eliminazione della sospensione della patente di guida per uso di stupefacenti. Per farlo, per i promotori, l’unico modo era sbianchettare la parola ‘coltiva’ dal testo sugli stupefacenti, solo che gli articoli in cui si elencano altre droghe diverse dalla cannabis sono legate a doppio filo. Proprio la strategia che ha affossato il quesito. “Amato ha fatto quello che aveva detto di non voler fare”, denuncia Riccardo Magi (+Europa), “ha cercato il pelo nell’uovo. La bocciatura è incredibile”. Denuncia Luigi Manconi: “La sentenza rischia di produrre un arretramento nella partecipazione politica, specie dei più giovani”. Brindano, invece, i movimenti Pro Vita, i cattolici e tutte le destre, come già fatto sull’eutanasia. Anche qui si dovrebbe e potrebbe ripartire dal Parlamento, dove una proposta di legge che depenalizza i fatti di lieve entità legati alla cannabis (e inasprisce gli altri) è, però, ferma da mesi in commissione Giustizia e da lì non esce.

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  • Sono tre, per il momento, gli istituti superiori che si sono candidati ad accogliere Nina Rosa Sorrentino, la studentessa disabile di 19 anni che non può sostenere la maturità al liceo Sabin di Bologna (indirizzo Scienze umane) e che i genitori hanno per questo motivo ritirato da scuola.

La storia è nota: la studentessa ha cominciato il suo percorso di studi nel liceo di via Matteotti seguendo il programma differenziato. Già al terzo anno i genitori avevano chiesto di passare al programma degli obiettivi minimi che si può concludere con l’Esame di Stato, mentre quello differenziato ha solo la "certificazione delle competenze".

Il Consiglio di classe aveva respinto la richiesta della famiglia, anche perché passare agli obiettivi minimi avrebbe implicato esami integrativi. Da qui la decisione della famiglia, avvenuta giusto una settimana fa, di ritirare Nina da scuola – esattamente un giorno prima che i giorni di frequenza potessero essere tali da farle comunque ottenere la "certificazione delle competenze" – in modo tale che possa provare a sostenere la Maturità in un altro istituto del capoluogo emiliano.

Sulla storia di Nina, ieri, è tornata anche la ministra per la Disabilità, Alessandra Locatelli, che alla Camera ha risposto, durante il question time, a una domanda sulle iniziative volte a garantire l’inclusione sociale e lavorativa delle persone con sindrome di Down presentata dal capogruppo di FdI, Tommaso Foti.

"C’è ancora un po’ di strada da fare se una ragazza con la sindrome di Down non viene ammessa all’esame di maturità – ha detto la ministra –. Se non si è stati in grado di usare tutte le strategie possibili e l’accomodamento ragionevole, come previsto dalla Convenzione Onu per i diritti delle persone disabili che in Italia è legge; se non si è stati in grado di valorizzare i punti di forza dei ragazzi che non chiedono di essere promossi automaticamente ma di avere un’occasione e un’opportunità."

#lucenews #lucelanazione #ninasorentino #disabilityinclusion #bologna
  • “Ho fatto la storia”. Con queste parole Alex Roca Campillo ha postato sul suo account Twitter il video degli ultimi, emozionanti, metri della maratona di Barcellona.

Ed effettivamente un record Alex l’ha scritto: è la prima persona al mondo con una disabilità al 76 per cento a riuscire a percorrere la distanza di 42 km e 195 metri.
Alex ha concluso la sua gara in 5 ore 50 minuti e 51 secondi, ma il cronometro in questa situazione è passato decisamente in secondo piano. “tutto questo è stato possibile grazie alle mia squadra. Grazie a tutti quelli che dal bordo della strada mi hanno spinto fino al traguardo. Non ho parole”.

#lucenews #alexrocacampillo #maratonadibarcellona #barcellona
  • In Uganda dirsi gay potrà costare l’ergastolo. Il Parlamento dell’Uganda ha appena approvato una legge che propone nuove e severe sanzioni per le relazioni tra persone dello stesso sesso. Al termine di una sessione molto movimentata e caotica, la speaker del Parlamento Annet Anita Among, dopo il voto finale ha detto: “È stata approvata a tempo record”. La legge, che passa ora nelle mani del presidente Yoweri Museveni, che potrà scegliere se porre il veto o firmarla, propone nuove e molto dure sanzioni per le relazioni omosessuali in un Paese in cui l’omosessualità è già illegale.

La versione finale non è ancora stata pubblicata ufficialmente, ma gli elementi discussi in Parlamento includono che una persona condannata per adescamento o traffico di bambini allo scopo di coinvolgerli in attività omosessuali, rischia l’ergastolo; individui o istituzioni che sostengono o finanziano attività o organizzazioni per i diritti Lgbt, oppure pubblicano, trasmettono e distribuiscono materiale mediatico e testuale a favore degli omosessuali, rischiano di essere perseguiti e incarcerati. 

“Questa proposta di legge – ha detto Asuman Basalirwa, membro del Parlamento che l’ha presentata – è stata concepita per proteggere la nostra cultura, i valori legali, religiosi e familiari tradizionali degli ugandesi e gli atti che possono promuovere la promiscuità sessuale in questo Paese”. Il parlamentare ha poi aggiunto: “Mira anche a proteggere i nostri bambini e giovani che sono resi vulnerabili agli abusi sessuali attraverso l’omosessualità e gli atti correlati”.

Secondo la legge amici, familiari e membri della comunità avrebbero il dovere di denunciare alle autorità le persone omosessuali. Nello stesso disegno di legge, tra l’altro, si introduce la pena di morte per chi abusa dei bambini o delle persone vulnerabili. 

#lucenews #lucelanazione #uganda #lgbtrights
  • Un’altra pagina di storia del calcio femminile è stata scritta. Non tanto per il risultato della partita ma per il record di spettatori presenti. All’Olimpico di Roma andava in scena il match di andata dei quarti di finale di Champions League tra Roma e Barcellona quando si è stabilito un nuovo record: sono state 39.454 infatti le persone che hanno incoraggiato le ragazze fin dal primo minuto superando il precedente di 39.027 stabilito in Juventus-Fiorentina del 24 marzo 2019.

Era l’andata dei quarti di finale che la Roma ha raggiunto alla sua prima partecipazione alla Champions League, ottenuta grazie al secondo posto nell’ultimo campionato. Il Barcellona, campione di Spagna e d’Europa due anni fa, era favorito e in campo lo ha dimostrato, soprattutto nel primo tempo, riuscendo a vincere 1-0. La squadra di casa è stata tenuta a galla dalle parate di Ceasar, migliore in campo, ma ha provato a impensierire la corazzata spagnola nella ripresa dove più a volte ha sfiorato la rete con le conclusioni di Haavi, Giacinti e Giugliano, il primo “numero 10” a giocare all’Olimpico per la Roma dopo il ritiro di Francesco Totti.

✍ Edoardo Martini

#lucenews #lucelanazione #calciofemminile #championsleague
I promotori dei due referendum bocciati su eutanasia e cannabis legali
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Il protagonismo mediatico di Amato

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Cattolici, insensibili, bacchettoni: le accuse ai giudici

I quindici giudici della Corte Costituzionale
Fuori dall’antico palazzo della Consulta fioriscono già le polemiche e le accuse alla Corte. I giudici vengono accusati di essere stati "Insensibili, freddi e bacchettoni", oltre che conservatori e cattolici, ma dentro, dopo due giorni di intenso lavoro, i giudici restano convinti di non aver avuto alcuna preclusione politica. Tutt’altro. L’invito a non cercare il "pelo nell’uovo" era un sincero segnale di apertura. Ma senza andare oltre il consentito: "Non possiamo correggere quesiti mal formulati" è la stilettata di Amato ai promotori di referendum. Molte saranno le conseguenze politiche e delle due sonore bocciature, che fanno il paio con cinque quesiti su sei sulla giustizia approvati e che erano stati promossi da Lega e Radicali, ma meglio procedere con ordine nell’analisi.

Cappato: “Furto di democrazia inaccettabile”

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Gli iter di Eutanasia e Cannabis

Un'attivista di Meglio legale
Amato, dunque, ora ributta la palla al Parlamento, che "deve esprimersi", lo critica perché “non dedica abbastanza tempo a cercare di trovare soluzione a temi che possono alimentare dissensi corrosivi per la coesione sociale", dice che "lavora" ma che "ha grosse difficoltà a mettersi d’accordo su questi temi". Come dimostra proprio la storia infinita dell’eutanasia che non a caso ha portato i promotori a scegliere la via referendaria, ieri sonoramente bocciata. La decisione di bloccare il referendum sull’eutanasia è stata comunque travagliata e non unanime; qualche giudice (cinque su quindici, secondo le indiscrezioni trapelate) riteneva possibile l’ammissibilità, ma ha prevalso il rigetto. Che non significa che tutto debba restare com’è, ma per cambiare attraverso un referendum ci voleva un quesito diverso. Poi arriva il no della Consulta anche al quesito sulla cannabis perché il suo via libera porterebbe a “violare obblighi internazionali” in materia di droghe. Allo stesso modo di quello riguardante l’eutanasia, Amato fa il filologo, dice che avrebbe dovuto chiamarsi, secondo un corretto utilizzo delle parole, “legalizzazione della coltivazione delle sostanze stupefacenti” perché, per come era scritta, la proposta da sottoporre ai cittadini, la vittoria dei ‘sì’ avrebbe esteso la legalizzazione anche a eroina e cocaina, con conseguente violazioni di obblighi internazionali e andando oltre l’obiettivo sottinteso al referendum. La delusione dei promotori, anche qui, è cocente. 600mila firme raccolte in un amen, con una campagna – soprattutto on line, con le firme digitali o Spid – popolarissima tra i giovani, non sono bastate a modificare una legge sulle droghe che risale al Testo unico del 1990, cui poi sono intervenuti diversi correttivi, un coacervo di norme cui i promotori hanno dovuto districarsi.

Brindisi dei Pro Vita e dei cattolici

La Consulta ha usato proprio questo grimaldello, rivoltandolo contro i promotori: Amato spiega che "il quesito era articolato in tre sotto quesiti, in una confusione di tabelle che ci ha portati a constatare l’inidoneità dello scopo perseguito". Ma i promotori non ci stanno. "Motivazioni intollerabili", ribattono, e parlano di "sconfitta delle istituzioni, del Parlamento, dei partiti che hanno messo la testa sotto la sabbia, non delle migliaia di cittadini che hanno firmato la proposta". Lo scopo della consultazione popolare sarebbe stato da un lato la depenalizzazione della coltivazione di qualsiasi pianta per uso personale, mantenendo le pene legate alla detenzione, alla produzione e alla fabbricazione di sostanze. E, dall’altro, sul piano amministrativo, l’eliminazione della sospensione della patente di guida per uso di stupefacenti. Per farlo, per i promotori, l’unico modo era sbianchettare la parola ‘coltiva’ dal testo sugli stupefacenti, solo che gli articoli in cui si elencano altre droghe diverse dalla cannabis sono legate a doppio filo. Proprio la strategia che ha affossato il quesito. "Amato ha fatto quello che aveva detto di non voler fare", denuncia Riccardo Magi (+Europa), "ha cercato il pelo nell’uovo. La bocciatura è incredibile". Denuncia Luigi Manconi: "La sentenza rischia di produrre un arretramento nella partecipazione politica, specie dei più giovani". Brindano, invece, i movimenti Pro Vita, i cattolici e tutte le destre, come già fatto sull’eutanasia. Anche qui si dovrebbe e potrebbe ripartire dal Parlamento, dove una proposta di legge che depenalizza i fatti di lieve entità legati alla cannabis (e inasprisce gli altri) è, però, ferma da mesi in commissione Giustizia e da lì non esce.
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