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Home » HP Blocco Testo Destra » Le putte di Vivaldi sul palco a Pisa: “Così riscattiamo le voci angeliche delle orfane”

Le putte di Vivaldi sul palco a Pisa: “Così riscattiamo le voci angeliche delle orfane”

Le giovani eseguirono l'oratorio della Juditha nascoste dietro ad una fitta trama di grate. Ora torna in scena l'opera tutta al femminile. La regista: "Un gesto simbolico"

Ilaria Vallerini
17 Marzo 2023
"Juditha Triumphans devicta Holofernis barbarie" al Teatro Verdi di Pisa

"Juditha Triumphans devicta Holofernis barbarie" al Teatro Verdi di Pisa

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Erano chiamate le “putte di choro”, giovani donne orfani dal canto soave. Ed è proprio nel Pio Ospedale della Pietà di Venezia, che per la prima volta nel novembre 1716, eseguirono l’oratorio della Juditha celate dietro una fitta trama di grate. Sì perché a loro fu imposto il divieto di esporsi davanti al folto pubblico proveniente da ogni angolo d’Europa per ascoltare le voci angeliche delle ragazze. Oltretutto furono costrette a rinunciare alla   carriera nei teatri d’opera anche una volta uscite dall’ospedale. A distanza di secoli, torna in scena la “Juditha Triumphans devicta Holofernis barbarie” di Antonio Lucio Vivaldi (Venezia 1678 – 1741) per la prima volta sul palco del Teatro Verdi di Pisa. La prima sarà venerdì 17 marzo alle 20.30 e in replica domenica 19 marzo alle 15.30. Composto da Vivaldi su Libretto in versi tardo latini di Giacomo Cassetti. Una Produzione del teatro in un nuovo allestimento firmato da Deda Cristina Colonna (regia), Manuela Gasperoni (scene e costumi) e Michele Della Mea (disegno luci); coproduzione Teatro Amilcare Ponchielli. Sul podio dell’orchestra Auser Musici il Maestro Carlo Ipata, dirige il coro Arché il Maestro Marco Bargagna. Sonia Prina è Juditha, mentre Francesca Ascioti è Holofernes; negli altri ruoli: Miriam Carsana è Abra, Shakèd Bar è Vagaus, lo scudiero di Holofernes, Federica Moi è il sommo sacerdote Ozias. Anche il Coro dei soldati e il Coro delle Vergini sono composti da voci femminili.

“Juditha Triumphans devicta Holofernis barbarie” al Teatro Verdi di Pisa

Deda Cristina Colonna (regista e sceneggiatrice), perché riportare sulla scena le putte del ‘700?

“La predominanza di costumi rossi in scena sarà un omaggio alle “putte”, le quali pur essendo cantanti e musiciste eccellenti, ammirate da un vasto pubblico europeo, non poterono esibirsi in pubblico né impegnarsi a intraprendere una carriera nei teatri d’opera, perché orfane. Il nostro gesto simbolico è di riscatto per queste donne restituendo loro la scena facendole rivivere nei corpi delle nostre interpreti”.

La stessa Juditha punta i riflettori sul tema del corpo femminile…

“Esatto, sono i due estremi della crudeltà inflitta alle donne: da un lato le putte che non potevano mostrarsi in pubblico perché orfane, dall’altro lato c’è una donna, Juditha, di cui viene strumentalizzata la bellezza attraverso il rapporto di dipendenza con la sua fida ancella Abra. Abra è più esperta, la incita, istruisce e guida proprio come si istruisce un kamikaze dandole istruzioni precise su come usare la propria bellezza per ammaliare Holofernis per poi decapitarlo, riportando così una vittoria per vendicare le sorti del suo popolo. Juditha si insanguinerà le mani e le costerà molto, sarà lei stessa vittima di questa tragedia, anche se non immolata. Una rappresentazione che restituisce una riflessione tanto profonda quanto attuale: quando c’è violenza non ci può essere vittoria“.

La regista e sceneggiatrice Deda Cristina Colonna

La bellezza di Juditha quindi viene utilizzata come un’arma?

“Sì. Purtroppo l’insistenza di Abra sul valore strategico della bellezza di Juditha è ancora cosa attuale. Oggi parliamo di mercificazione del corpo femminile“.

Anche nel mondo dello spettacolo?

“Per me le cose sono migliorate quando sono invecchiata. Avere i capelli bianchi mi ha regalato più tranquillità. Non sono mai stata oggetto di attenzioni troppo spinte. Ma il mio peso in termini di responsabilità è stato più semplice quando raggiunti limiti di età ho potuto essere bella o brutta come sono, ma non dovendomi incaricare di una zona seduttiva non necessariamente gestita da me, ma dal contesto. Il binomio donna e giovane non è mai disgiunto dalla valutazione della bellezza, e se una donna è anche bella purtroppo spesso perde di credibilità”.

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  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
  • Presidi psicologici, psicoterapeutici e di counselling per tutti gli studenti universitari e scolastici. Lo chiedono l’Udu, Unione degli universitari, e la Rete degli studenti medi nella proposta di legge ‘Chiedimi come sto’ consegnata a una delegazione di parlamentari nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.

La proposta è stata redatta secondo le conclusioni di una ricerca condotta da Spi-Cgil e Istituto Ires, che ha evidenziato come, su un campione di 50mila risposte, il 28 per cento abbia avuto esperienze di disturbi alimentari e oltre il 14 di autolesionismo.

“Nella nostra generazione è ancora forte lo stigma verso chi sta male ed è difficile chiedere aiuto - spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu - l’interesse effettivo della politica si è palesato solo dopo il 15esimo suicidio di studenti universitari in un anno e mezzo. Ci sembra assurdo che la politica si interessi solamente dopo che si supera il limite, con persone che arrivano a scegliere di togliersi la vita.

Dall’altro lato, è positivo che negli ultimi mesi si sia deciso di chiedere a noi studenti come affrontare e come risolvere, il problema. Non è scontato e non è banale, perché siamo abituati a decenni in cui si parla di nuove generazioni senza parlare alle nuove generazioni”.

#luce #lucenews #università
  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere
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"Juditha Triumphans devicta Holofernis barbarie" al Teatro Verdi di Pisa
Deda Cristina Colonna (regista e sceneggiatrice), perché riportare sulla scena le putte del '700? “La predominanza di costumi rossi in scena sarà un omaggio alle “putte”, le quali pur essendo cantanti e musiciste eccellenti, ammirate da un vasto pubblico europeo, non poterono esibirsi in pubblico né impegnarsi a intraprendere una carriera nei teatri d’opera, perché orfane. Il nostro gesto simbolico è di riscatto per queste donne restituendo loro la scena facendole rivivere nei corpi delle nostre interpreti". La stessa Juditha punta i riflettori sul tema del corpo femminile... "Esatto, sono i due estremi della crudeltà inflitta alle donne: da un lato le putte che non potevano mostrarsi in pubblico perché orfane, dall'altro lato c'è una donna, Juditha, di cui viene strumentalizzata la bellezza attraverso il rapporto di dipendenza con la sua fida ancella Abra. Abra è più esperta, la incita, istruisce e guida proprio come si istruisce un kamikaze dandole istruzioni precise su come usare la propria bellezza per ammaliare Holofernis per poi decapitarlo, riportando così una vittoria per vendicare le sorti del suo popolo. Juditha si insanguinerà le mani e le costerà molto, sarà lei stessa vittima di questa tragedia, anche se non immolata. Una rappresentazione che restituisce una riflessione tanto profonda quanto attuale: quando c'è violenza non ci può essere vittoria".
La regista e sceneggiatrice Deda Cristina Colonna
La bellezza di Juditha quindi viene utilizzata come un'arma? "Sì. Purtroppo l'insistenza di Abra sul valore strategico della bellezza di Juditha è ancora cosa attuale. Oggi parliamo di mercificazione del corpo femminile". Anche nel mondo dello spettacolo? “Per me le cose sono migliorate quando sono invecchiata. Avere i capelli bianchi mi ha regalato più tranquillità. Non sono mai stata oggetto di attenzioni troppo spinte. Ma il mio peso in termini di responsabilità è stato più semplice quando raggiunti limiti di età ho potuto essere bella o brutta come sono, ma non dovendomi incaricare di una zona seduttiva non necessariamente gestita da me, ma dal contesto. Il binomio donna e giovane non è mai disgiunto dalla valutazione della bellezza, e se una donna è anche bella purtroppo spesso perde di credibilità”.
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