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Home » HP Blocco Testo Destra » “Si spengono le luci, le strade son deserte…”: monumenti al buio per protesta contro il caro bollette

“Si spengono le luci, le strade son deserte…”: monumenti al buio per protesta contro il caro bollette

Molti comuni italiani il 10 febbraio spegneranno i simboli delle città: Anci Emilia-Romagna e i sindaci di Ali lanciano l'allarme sull'impatto che avrà l'impennata dei costi energetici. Chiusura dei bilanci a rischio, si temono aumento delle tasse e tagli ai servizi. Intanto è pronto il decreto straordinario del governo

Ettore Maria Colombo
9 Febbraio 2022
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Si spengono le luci delle città: appuntamento il 10 febbraio in molti comuni

“Si spengono i lampioni, le strade sono deserte, deserte e silenziose, va a letto piano piano tutta quanta la città”… Come nell’Uomo in frac, struggente canzone di Domenico Modugno, il 10 febbraio assisteremo a una scena spettacolare quanto triste. Si spegneranno le luci di molte città, almeno quelle dei maggiori monumenti, per ora. La protesta è eclatante, ma giusta, sacrosanta. Il caro energia, a partire dal caro bollette, e l’inflazione peserà per circa un miliardo di euro in più sui conti di Comuni e province italiane. I quali dovranno decidere se tagliare i servizi, aumentare le tasse o, in casi estremi, finire in default, allungano la lista dei Comuni in crisi. Persino l’attuazione del Pnrr finirebbe a rischio. Il governo, anche grazie a questa protesta così simbolica, forte, evocativa, ora pensa di intervenire con un nuovo decreto da 5 miliardi, ma per ora siamo ancora alle voci di corridoio.

La protesta dall’Emilia-Romagna si allarga 

Caro energia: scatta la protesta dei comuni

Ma come hanno deciso di protestare i comuni? Partito dal Comune di Cento, il flash mob anti-austerity lanciato da Anci Emilia-Romagna ha già visto l’adesione di molti comuni dell’Emilia-Romagna, come Bologna e Reggio Emilia, e ha già trovato il sostegno dell’associazione Ali, che raccoglie ben 1500 comuni di centrosinistra. Eclatanti anche le forme di protesta scelte. A Reggio Emilia giovedì sera calerà il buio sul ponte di Calatrava per mezz’ora, a partire dalle ore 20. A Bologna resteranno al buio il Nettuno e Palazzo Re Enzo, in piena piazza Maggiore. Imola oscurerà la facciata del palazzo comunale. Contemporaneamente si spegneranno le luci sui monumenti di molte città emiliano-romagnole per testimoniare le preoccupazioni di molti Comuni sulla tenuta dei bilanci di fronte all’impennata dei costi energetici, che sta creando una situazione paradossale: milioni di euro in arrivo grazie ai bandi del Pnrr, ma casse svuotate dai costi Covid e da quelli dell’energia, insostenibili per i Comuni. Così si mette a rischio la sostenibilità dei bilanci, col timore di dover tagliare i servizi.

L’appuntamento al buio è per giovedì 10 febbraio allo scoccare delle 20: in quel momento i monumenti simbolo delle città resteranno nell’oscurità per mezz’ora. Trenta minuti di austerity per sensibilizzare il governo a far qualcosa sull’impennata dei costi dell’energia.

L’iniziativa è nata nel comune di Cento 

Famiglie in crisi per l’impennata delle bollette energetiche

Una iniziativa cresciuta nel giro di poche ore e nata a Cento, cittadina sul confine tra Bologna e Ferrara. Il giovane sindaco Edoardo Accorsi (Pd) ha gettato l’idea, che si è propagata come un sasso nello stagno, due giorni fa, quando s’è accorto che i conti del bilancio non tornavano più. “Sono molto preoccupato – ammette – Ci troviamo di fronte a spese non previste e non prevedibili, che rischiano oltretutto di vanificare gli sforzi che stiamo facendo per il Pnrr”. Solo a Cento, per dire, le bollette rischiano di pesare per 350mila euro su un bilancio di 35milioni. 

La denuncia dell’Anci Emilia-Romagna 

“Nei prossimi giorni come Comuni dell’Emilia-Romagna dobbiamo chiudere i bilanci, ma abbiamo un’impennata dei costi Covid e di quelli legati crisi energetica che fanno paura”, avverte Luca Vecchi, sindaco di Reggio Emilia e presidente regionale dell’Anci. “Qualcuno – è la facile quanto triste previsione – taglia qualche servizio ed esternalizza un po’, magari cercando di non dare nell’occhio, qualcun altro mette mano alla pressione fiscale”. “Io non toccherò l’Irpef, ma oggi non so se riuscirò a chiudere il bilancio del Comune di Reggio Emilia senza mettere mano alle entrate. Andremo dritti in quella direzione se non ci sarà la possibilità dello Stato centrale di venirci incontro”, ammette Vecchi. “Rischiamo di chiudere servizi e aumentare la pressione fiscale per trovare i necessari equilibri di bilancio. Questo accadrà certamente in tantissimi Comuni” aggiunge Vecchi. “Spegnere una città non è una cosa bella. Lo spazio pubblico nutre le relazioni tra le persone e la sicurezza percepita anche nella misura in cui viene vissuto nella sua bellezza e nella sua luminosità. Per questo siamo preoccupati. Perché le nostre città hanno bisogno di essere aiutate”, conclude il sindaco di Reggio Emilia.

Ricci e l’associazione Ali rilanciano l’idea

Anci Emilia Romagna e Ali denunciano: comuni in difficoltà nella chiusura dei bilanci

Il grido di dolore dei sindaci emiliani viene immediatamente raccolto da Ali (Autonomie Locali italiane), l’associazione dei comuni italiani di area del centrosinistra, che aderisce all’iniziativa lanciata da Anci Emilia-Romagna e invita tutte le amministrazioni italiane a spegnere, per trenta minuti, le luci di uno o più monumenti simbolo delle proprie città, giovedì 10 febbraio alle ore 20. Lo scopo è sempre quello di spingere il Governo a fare qualcosa di concreto contro l’impatto della crisi energetica sui costi di gestione delle famiglie, delle imprese, delle grandi strutture pubbliche e sui bilanci delle Autonomie Locali. L’annuncio è del presidente di Ali, Matteo Ricci, che spiega: “Il 12 gennaio scorso abbiamo chiesto al governo un immediato ristoro di un miliardo a Comuni e Province, per l’impatto che l’inflazione avrà sui bilanci. L’intervento messo in campo dal governo per contrastare il caro bollette è stato un passo avanti, ma non è sufficiente”. “L’inflazione – continua Ricci – è una vera e propria emergenza – che molti Comuni non riusciranno ad arginare, rischiando di non chiudere i bilanci. Ma anche per i comuni più virtuosi, la prospettiva sarà drammatica e per far fronte all’inflazione saranno costretti ad aumentare le tasse ed inevitabilmente a tagliare fondi ai servizi, da quelli essenziali, quali servizi educativi e welfare, oltre che cultura, turismo, lavori di manutenzione. Scelte che ricadranno in maniera drammatica sui cittadini e non solo perché, a causa dell’inflazione, il rischio è che non si riesca a gestire le risorse del Pnrr”.

L’impatto, drammatico, sui piccoli comuni: la denuncia del direttore di Ali, Lucciarini

Il direttore generale di Ali, Valerio Lucciarini, spiega che, “nei comuni più piccoli, quelli delle aree interne, con un territorio vasto, ma un basso numero di abitanti, il problema rischia di assumere dimensioni ancora più drammatiche. La pubblica illuminazione delle strade, ad esempio, rappresenta una spesa corrente molto onerosa. Quando vai a intaccare una voce di bilancio che è, per forza di cose, una partita corrente di bilancio, saltano tutti gli equilibri e vanno ristrette, per forza di cose, le spese e i fondi per la manutenzione stradale, ma anche per la cultura, per lo sport, per il sociale, a partire dalle convenzioni con il privato sociale che, a loro volto, si ritrovano costi energetici spropositati. Quindi, il caro bollette, tema vero e scottante per tutti, incide di più sui comuni più piccoli e squilibra in modo drammatico i loro bilanci, finendo per tagliare altre voci di spesa. Se non vogliamo che i sindaci vengano esautorati del tutto dalle loro funzioni, serve un immediato aumento dei trasferimenti ai comuni e, in quota parte, ai più piccoli, ristori per fronteggiare il caro bollette. Il governo deve intervenire e subito”, conclude Lucciarini, “altrimenti tanto vale affidare i nostri comuni a commissari prefettizi”.

I comuni, soprattutto quelli piccoli, rischiano il defaul. Le alternative sono i tagli ai servizi e l’aumento dell’imposizione fiscale

Cosa sta facendo il governo Draghi. Pronto un nuovo decreto sui costi dell’energia da 1-5 mld

Ma cosa sta facendo il governo Draghi, sul tema? Il premier esclude uno scostamento di bilancio, che fra l’altro richiederebbe il via libera della Commissione europea, non solo l’approvazione del Parlamento, per il caro energia, nonostante la pressione in tal senso degli stessi partiti di governo, anche perché lo scostamento di bilancio, anche solo per il problema del costo dell’energia, aprirebbe immediatamente altre richieste su altri temi da parte dei partiti di maggioranza. Si va, dunque, verso un intervento limitato alle attuali poste di bilancio. Si parla di un decreto che può variare da 1 miliardo minimo a 5 massimi. Secondo il Centro Studi di Confindustria l’aumento dell’energia dovrebbe pesare per lo 0,8% del Pil (tra i 15-16 miliardi). Se si considera che il governo ha già dato aiuti per 12 miliardi da settembre 2021, ne dovrebbero servire un’altra decina. Saranno quindi stanziati altri soldi ma senza un nuovo scostamento di bilancio. Non sarà fatto altro debito – da giustificare con Bruxelles – ma saranno date risposte a famiglie e aziende restando con il deficit al 5,6% indicato in legge di bilancio. Questa la ricetta e la risposta del premier Draghi e del ministro Franco al pressing di tutti i partiti (tranne Iv e Pd) che invece pensano di risolvere la crisi energetica e la conseguente esplosione dei prezzi facendo ulteriore debito.  

Mario Draghi, presidente del Consiglio. Il governo studia un decreto per far fronte all’aumento dei costi energetici

La trattativa su un nuovo decreto è in corso e coinvolge sia il capo del Mef, Daniele Franco che i ministri Giancarlo Giorgetti, titolare dello Sviluppo economico, e Roberto Cingolani, Transizione ecologica. Che fare, dunque? Il bilancio in Italia ha sempre margini che permettono di centrare gli obiettivi anche in caso di spese non previste. Resta da capire se in questo caso siano di uno o due miliardi o, meno probabile, si possa arrivare a cinque come chiede per esempio la Lega. Ma è difficile – scriveva ieri il Corriere della Sera – che il Tesoro si precipiti da subito a decidere nuovi sussidi a valere da aprile in poi. Prima si cercherà di capire in quale direzione stiano andando le quotazioni del gas nei prossimi mesi, perché si pensa che i ribassi degli ultimi giorni proseguano almeno fino all’estate.

Il lavoro su un nuovo testo è già in fase avanzata (e su cui bisogna decidere, in base alle intenzioni del governo, se farlo diventare un emendamento al decreto Sostegni o un decreto ad hoc) e sarà dedicato all’aumento della produzione di gas nazionale e a interventi fiscali per contrastare l’aumento dei prezzi dell’energia. Si tratterebbe di una misura ritenuta strutturale, per arrivare a quasi 10 miliardi di metri cubi di gas, con l’obiettivo di medio lungo termine. L’importante – dicono fonti del Mef – è che le eventuali misure di sostegno restino entro un deficit pari al 5,6%”, che è la linea Maginot della finanza pubblica italiana di fronte a quella che è una nuova minaccia economica dopo quella del Covid.

Caro bollette e contributo straordinario

Il presidente del Consiglio Draghi e il ministro della Transizione ecologica Cingolani

C’è poi l’ipotesi di tassare i profitti straordinari delle compagnie energetiche, con un “contributo di solidarietà”, beneficia di un appoggio politico largo, ma ci sono difficoltà applicative. Il taglio dell’Iva, costoso, produrrebbe i suoi effetti troppo tardi. Più facile allora ridurre ancora, tramite decreto – come già fatto in parte – gli oneri di sistema che gravano sulle bollette, come il contributo per lo smantellamento delle centrali nucleari. Il governo starebbe valutando anche l’uso dell’extra-gettito delle accise e dei fondi delle aste Ets (il sistema Ue che permette alle aziende di comprare i diritti a emettere anidride carbonica, ci torniamo tra un attimo), ma anche qui la strada non è in discesa. E oltre all’accantonamento di scorte di gas per le imprese, si pensa di aumentare la produzione nazionale di metano (da 4,5 miliardi di metri cubi all’anno, a 8). Ma sono tutti progetti a lunga scadenza.
Intanto, però, i comuni italiani – tutti, grandi e piccoli, specie i più piccoli – soffrono e non riescono a fare fronte ai problemi del caro bollette. Ecco perché, giovedì 10 febbraio, in tante città italiane
si ‘spegneranno’ tante luci. In segno di protesta per aumenti che li strozzano e per un governo ancora indeciso sul da farsi. 

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  • "Ora dobbiamo fare di meno, per il futuro".

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  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
  • Presidi psicologici, psicoterapeutici e di counselling per tutti gli studenti universitari e scolastici. Lo chiedono l’Udu, Unione degli universitari, e la Rete degli studenti medi nella proposta di legge ‘Chiedimi come sto’ consegnata a una delegazione di parlamentari nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.

La proposta è stata redatta secondo le conclusioni di una ricerca condotta da Spi-Cgil e Istituto Ires, che ha evidenziato come, su un campione di 50mila risposte, il 28 per cento abbia avuto esperienze di disturbi alimentari e oltre il 14 di autolesionismo.

“Nella nostra generazione è ancora forte lo stigma verso chi sta male ed è difficile chiedere aiuto - spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu - l’interesse effettivo della politica si è palesato solo dopo il 15esimo suicidio di studenti universitari in un anno e mezzo. Ci sembra assurdo che la politica si interessi solamente dopo che si supera il limite, con persone che arrivano a scegliere di togliersi la vita.

Dall’altro lato, è positivo che negli ultimi mesi si sia deciso di chiedere a noi studenti come affrontare e come risolvere, il problema. Non è scontato e non è banale, perché siamo abituati a decenni in cui si parla di nuove generazioni senza parlare alle nuove generazioni”.

#luce #lucenews #università
  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere

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La denuncia dell’Anci Emilia-Romagna 

“Nei prossimi giorni come Comuni dell'Emilia-Romagna dobbiamo chiudere i bilanci, ma abbiamo un'impennata dei costi Covid e di quelli legati crisi energetica che fanno paura”, avverte Luca Vecchi, sindaco di Reggio Emilia e presidente regionale dell’Anci. “Qualcuno – è la facile quanto triste previsione - taglia qualche servizio ed esternalizza un po’, magari cercando di non dare nell'occhio, qualcun altro mette mano alla pressione fiscale”. “Io non toccherò l'Irpef, ma oggi non so se riuscirò a chiudere il bilancio del Comune di Reggio Emilia senza mettere mano alle entrate. Andremo dritti in quella direzione se non ci sarà la possibilità dello Stato centrale di venirci incontro”, ammette Vecchi. “Rischiamo di chiudere servizi e aumentare la pressione fiscale per trovare i necessari equilibri di bilancio. Questo accadrà certamente in tantissimi Comuni” aggiunge Vecchi. “Spegnere una città non è una cosa bella. Lo spazio pubblico nutre le relazioni tra le persone e la sicurezza percepita anche nella misura in cui viene vissuto nella sua bellezza e nella sua luminosità. Per questo siamo preoccupati. Perché le nostre città hanno bisogno di essere aiutate”, conclude il sindaco di Reggio Emilia.

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