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Home » HP Blocco Testo Destra » Simone Biles e Naomi Osaka: quando la scelta di ritirarsi diventa un inno alla normalità. La rivoluzione “copernicana” delle due giovani fuoriclasse

Simone Biles e Naomi Osaka: quando la scelta di ritirarsi diventa un inno alla normalità. La rivoluzione “copernicana” delle due giovani fuoriclasse

Le due campionesse, dopo anni di successi, hanno fatto parlare di loro per la scelta di ritirarsi da tornei importanti. La motivazione, dare risalto e importanza ai disturbi mentali come la depressione. Un problema sempre più dilagante nel mondo dello spot professionistico.

Francesco Lommi
30 Luglio 2021
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Tutti, almeno una volta nella vita, abbiamo provato la paura di fallire sulla nostra pelle. A scuola, in ambito lavorativo ma anche in amore, il fallimento e la sconfitta fanno parte dell’equazione della vita: accettarli, affrontarli e, quando arrivano, accoglierli fa parte della normalità.

Il caso Simone Biles

La notizia però arriva quando persone, in questo caso atlete, straordinarie, che ci hanno abituato all’eccellenza o, comunque, a tutto tranne che alla normalità, mostrano il loro lato umano, fatto anche di dubbi e fragilità. L’ultima in ordine di tempo è stata Simone Biles, campionessa della ginnastica artistica a stelle e strisce. La rinuncia di Simone alle finali olimpiche dell’all around (sia a squadra che individuale) ha straziato il cuore di tutti gli appassionati e ha (speriamo definitivamente) aperto gli occhi su un problema sempre più comune: l’enorme pressione psicologica a cui sono soggetti atleti e atlete.

La Biles, dopo i quattro ori a Rio 2016, era chiamata a gran voce da una nazione intera a ripetere le sue gesta, se non migliorarle: l’obiettivo più o meno dichiarato dalla fuoriclasse americana erano i cinque ori nelle altrettante gare previste nella programmazione olimpica della ginnastica (a squadre, individuale, volteggio, corpo libero e trave), un’impresa mai riuscita a nessuno.
Durante la prova di volteggio nella gara a squadre però, la pressione e l’ansia le hanno attanagliato la testa. Lei li ha definiti “twisties“, ovvero una sorta di blocco mentale che non le farebbe mantenere un’adeguata concentrazione durante l’esecuzione dei complessissimi esercizi aerei. Tutto sarebbe nato durante da un salto con due avvitamenti e mezzo, in gergo “Amanar“. Un’acrobazia molto complessa, ma da sempre nelle corde di Simone, tanto che difficilmente la escludeva dalle sue routine. Ma questa volta non è riuscita a chiudere il salto come invece l’abbiamo sempre vista fare e, in quell’istante, tutte le sue sicurezze si sono sgretolate.

“Non appena metto piede sul tappeto siamo solo io e la mia testa e ho a che fare con i demoni… Devo fare ciò che è giusto per me e devo concentrarmi sulla mia salute mentale. Dobbiamo proteggere la nostra mente e il nostro corpo piuttosto che fare ciò che il mondo si aspetta da noi”, si è sfogata la fuoriclasse americana dopo la prova a squadre. Oltre ai tormenti psicologici, Biles ha invocato quella che i ginnasti chiamano “perdita di figura”, una perdita di punti di riferimento nello spazio che può essere rinforzata o causata dallo stress e soprattutto mettere in pericolo un atleta. I famosi “twisties”. Quindi la decisione di lasciare la finale (chiusa al secondo posto dalle compagne di squadra) per “non rischiare di farsi male o fare qualcosa di stupido partecipando a questa competizione”.

La fuoriclasse di Columbus ha vinto tutto nel mondo della ginnastica a soli 24 anni. Pressioni e aspettative l’accompagnano costantemente nel quotidiano da quando ne aveva appena 16: è da tutta la vita che deve fare i conti con l’etichetta di predestinata appiccicate sulle spalle, un’ansia che ti logora lentamente. In più, non bisogna mai dimenticare da dove viene Simone e quante avversità la vita le abbia riservato: l’affidamento a 6 anni a causa di una madre che faceva dentro e fuori dalla prigione con problemi di alcolismo e droga. Poi come se non bastasse, nel 2018, gli abusi sessuali di Larry Nasser, fisioterapista della nazionale statunitense (condannato a oltre 100 anni di carcere) ad ingigantire i problemi di una ragazza tanto forte nel fisico quanto fragile emotivamente.

 

L’esempio di Osaka

Simone però non è la prima atleta a fare un passo indietro per problemi psicologici. Infatti quando ha spiegato le ragioni che l’hanno spinta a tirarsi momentaneamente fuori da questi Giochi, non ha fatto mistero di essersi ispirata ad un’altra giovane campionessa, coetanea, recentemente celebre per le sue scelte coraggiose: Naomi Osaka. Naomi è una delle tenniste migliori del circuito Wta (attualmente è seconda nel ranking mondiale) e da sempre rientra in quella stessa stretta cerchia di predestinati della Biles, come testimoniano i 4 trofei Slam (Us Open nel 2018 e nel 2020, Australian Open nel 2019 e nel 2021) già messi in bacheca. Naomi qualche mese fa, durante il Roland Garros, uno degli appuntamenti più importanti della stagione tennistica, ha comunicato in un primo post Instagram che non avrebbe parlato con nessun giornalista in conferenza stampa e, in seguito, il suo ritiro dal torneo parigino. Nessuna squalifica o gesto polemico, solamente una ragazza di 24 anni che non riesce a trovare pace con sé stessa e non ha le forze per affrontare un’orda di giornalisti affamati di click, pronti a scavare negli angoli più remoti del suo io per ritagliarsi la notizia. Un problema, quello delle conferenze, lamentato da tanti altri colleghi, come Gael Monfils che, all’Australian Open, in uno dei confronti con la stampa, si era lamentato per il trattamento ricevuto dai giornalisti: “”Mi sento giudicato. Sono già a terra, così mi sparate”. Anche il numero 1 al mondo del circuito maschile, Novak Djokovic, si era espresso in favore della scelta di Naomi: “La capisco bene. Sono stato sotto il tiro dei media diverse volte nella mia carriera2.

Simone e Naomi sono all’apice nei rispetti sport di competenza e, entrambe, hanno deciso di lanciare un segnale durante due degli eventi più importanti nella stagione delle loro discipline, il Roland Garros una e le Olimpiadi l’altra, sfruttandoli comecassa di risonanza per parlare di un tema così importante ma allo stesso tempo trascurato come la depressione e la salute mentale. Le testimonianze di atlete di questo calibro (anche se altri grandi campioni del calibro di Micheal Phelps, l’uomo che detiene il maggior numero di medaglie olimpiche, 28, o dei giocatori Nba Kevin Love e Demar Derozan avevano pubblicamente ammesso di avere problemi di salute mentale) fanno capire che questo tipo di malattia colpisce chiunque, indistintamente. A poco servono i soldi, il successo, o la fama, la depressione può colpire in ogni momento e tutto quello che di bello si è costruito negli anni viene spazzato via con un solo colpo di spugna. Del resto, spesso eleviamo lo sport a modello valoriale da cui attingere a piene mani. Uomini e donne all’apparenza senza macchia, programmati come macchine per competere e rendere nei momenti di massima tensione, la gara.

L'”ammutinamento” di Osaka e Biles è il naturale approdo della piccola rivoluzione copernicana in atto nel mondo dello sport ormai da qualche anno: non è più accettabile sacrificare corpo e stabilità mentale sull’altare della prestazione, gli atleti sono persone con sentimenti ed emozioni uguali a tutti noi che ammiriamo le loro gesta da dietro uno schermo. La scelta di condividere le loro difficoltà con il mondo ha fatto scendere le due ragazze dal piedistallo delle icone irraggiungibili dello sport contemporaneo, riportandole su un piano molto più umano, quasi come due giovani donne qualsiasi: la cultura della perfezione e della vittoria ad ogni costo ha lasciato spazio ad un fantastico inno alla “normalità”.

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  • Numerosi attori e musicisti di alto profilo si sono recati in Ucraina da quando è scoppiata la guerra con la Russia nel febbraio 2022. L’ultimo in ordine di tempo è stato l’attore britannico Orlando Bloom, che ieri ha visitato un centro per bambini e ha incontrato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a Kiev.

“Non mi sarei mai aspettato che la guerra si sarebbe intensificata in tutto il Paese da quando sono stato lì”, ha detto Bloom su Instagram, “Ma oggi ho avuto la fortuna di ascoltare le risate dei bambini in un centro del programma Spilno sostenuto dall’Unicef, uno spazio sicuro, caldo e accogliente dove i bambini possono giocare, imparare e ricevere supporto psicosociale”.

Bloom è un ambasciatore di buona volontà per l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef). Il centro di Splino, che è uno dei tanti in Ucraina, offre sostegno ai bambini sfollati e alle loro famiglie, con più di mezzo milione di bambini che ne hanno visitato uno nell’ultimo anno.

La star hollywoodiana ha poi incontrato il presidente Zelensky, con cui ha trattato temi tra cui il ritorno dei bambini ucraini deportati in Russia, la creazione di rifugi antiatomici negli istituti scolastici e il supporto tecnico per l’apprendimento a distanza nelle aree in cui è impossibile studiare offline a causa della guerra. L’attore britannico aveva scritto ieri su Instagram, al suo arrivo a Kiev, che i «bambini in Ucraina hanno bisogno di riavere la loro infanzia».

#lucelanazione #lucenews #zelensky #orlandobloom
  • “La vita che stavo conducendo mi rendeva particolarmente infelice e se all’inizio ero entrata in terapia perché volevo accettare il fatto che mi dovessi nascondere, ho avuto poi un’evoluzione e questo percorso è diventato di accettazione di me stessa."

✨Un sorriso contagioso, la spensieratezza dei vent’anni e la bellezza di chi si piace e non può che riflettere quella luce anche al di fuori. La si potrebbe definire una Mulan nostrana Carlotta Bertotti, 23 anni, una ragazza torinese come tante, salvo che ha qualcosa di speciale. E non stiamo parlano del Nevo di Ota che occupa metà del suo volto. Ecco però spiegato un primo punto di contatto con Mulan: l’Oriente, dove è più diffusa (insieme all’Africa) quell’alterazione di natura benigna della pigmentazione della cute intorno alla zona degli occhi (spesso anche la sclera si presenta scura). Quella che appare come una chiazza grigio-bluastra su un lato del volto (rarissimi i casi bilaterali), colpisce prevalentemente persone di sesso femminile e le etnie asiatiche (1 su 200 persone in Giappone), può essere presente alla nascita o apparire durante la pubertà. E come la principessa Disney “fin da piccola ho sempre sentito la pressione di dover salvare tutto, ma forse in realtà dovevo solo salvare me stessa. Però non mi piace stare troppo alle regole, sono ribelle come lei”.

🗣Cosa diresti a una ragazza che ha una macchia come la tua e ti chiede come riuscire a conviverci?�
“Che sono profondamente fiera della persona che vedo riflessa allo specchio tutto i giorni e sono arrivata a questa fierezza dopo che ho scoperto e ho accettato tutti i miei lati, sia positivi che negativi. È molto autoreferenziale, quindi invece se dovessi dare un consiglio è quello che alla fine della fiera il giudizio altrui è momentaneo e tutto passa. L’unica persona che resta e con cui devi convivere tutta la vita sei tu, quindi le vere battaglie sono quelle con te stessa, quelle che vale la pena combattere”.

L’intervista a cura di Marianna Grazi �✍ 𝘓𝘪𝘯𝘬 𝘪𝘯 𝘣𝘪𝘰

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  • La salute mentale al centro del podcast di Alessia Lanza. Come si supera l’ansia sociale? Quanto è difficile fare coming out? Vado dallo psicologo? Come trovo la mia strada? La popolare influencer, una delle creator più note e amate del web con 1,4 milioni di followers su Instagram e 3,9 milioni su TikTok, Alessia Lanza debutta con “Mille Pare”, il suo primo podcast in cui affronta, in dieci puntate, una “para” diversa e cerca di esorcizzare le sue fragilità e, di riflesso, quelle dei suoi coetanei.

“Ho deciso di fare questo podcast per svariati motivi: io sono arrivata fin qui anche grazie alla mia immagine, ma questa volta vorrei che le persone mi ascoltassero e basta. Quando ho cominciato a raccontare le mie fragilità un sacco di persone mi hanno detto ‘Anche io ho quella para lì!’. Perciò dico parliamone, perché in un mondo in cui sembra che dobbiamo farcela da soli, io credo nel potere della condivisione”.

#lucenews #lucelanazione #millepare #alessialanza #podcast
  • Si è laureata in Antropologia, Religioni e Civiltà Orientali indossando un abito tradizionale Crow, tribù della sua famiglia adottiva in Montana. Eppure Raffaella Milandri è italianissima e ha conseguito il titolo nella storica università Alma Mater di Bologna, lo scorso 17 marzo. 

La scrittrice e giornalista nel 2010 è diventata membro adottivo della famiglia di nativi americani Black Eagle. Da quel momento quella che era una semplice passione per i popoli indigeni si è focalizzata sullo studio degli aborigeni Usa e sulla divulgazione della loro cultura.

Un titolo di studio specifico, quello conseguito dalla Milandri, “Che ho ritenuto oltremodo necessario per coronare la mia attività di studiosa e attivista per i diritti dei Nativi Americani e per i Popoli Indigeni. La prima forma pacifica di attivismo è divulgare la cultura nativa”. L’abito indossato durante cerimonia di laurea appartiene alla tribù della sua famiglia adottiva. Usanza che è stata istituzionalizzata solo dal 2017 in Montana, Stato d’origine del suo popolo, quando è stata approvata una legge (la SB 319) che permette ai nativi e loro familiari di laurearsi con il “tribal regalia“. 

In virtù di questa norma, il Segretario della Crow Nation, Levi Black Eagle, a maggio 2022 ha ricordato la possibilità di indossare l’abito tradizionale Crow in queste occasioni e così Milandri ha chiesto alla famiglia d’adozione se anche lei, in quanto membro acquisito della tribù, avrebbe potuto indossarlo in occasione della sua discussione.

La scrittrice, ricordando il momento della laurea a Bologna, racconta che è stata “Una grandissima emozione e un onore poter rappresentare la Crow Nation e la mia famiglia adottiva. Ho dedicato la mia laurea in primis alle vittime dei collegi indiani, istituti scolastici, perlopiù a gestione cattolica, di stampo assimilazionista. Le stesse vittime per le quali Papa Francesco, lo scorso luglio, si è recato in Canada in viaggio penitenziale a chiedere scusa  Ho molto approfondito questo tema controverso e presto sarà pubblicato un mio studio sull’argomento dalla Mauna Kea Edizioni”.

#lucenews #raffaellamilandri #antropologia
Tutti, almeno una volta nella vita, abbiamo provato la paura di fallire sulla nostra pelle. A scuola, in ambito lavorativo ma anche in amore, il fallimento e la sconfitta fanno parte dell’equazione della vita: accettarli, affrontarli e, quando arrivano, accoglierli fa parte della normalità.

Il caso Simone Biles

La notizia però arriva quando persone, in questo caso atlete, straordinarie, che ci hanno abituato all'eccellenza o, comunque, a tutto tranne che alla normalità, mostrano il loro lato umano, fatto anche di dubbi e fragilità. L’ultima in ordine di tempo è stata Simone Biles, campionessa della ginnastica artistica a stelle e strisce. La rinuncia di Simone alle finali olimpiche dell'all around (sia a squadra che individuale) ha straziato il cuore di tutti gli appassionati e ha (speriamo definitivamente) aperto gli occhi su un problema sempre più comune: l'enorme pressione psicologica a cui sono soggetti atleti e atlete. La Biles, dopo i quattro ori a Rio 2016, era chiamata a gran voce da una nazione intera a ripetere le sue gesta, se non migliorarle: l'obiettivo più o meno dichiarato dalla fuoriclasse americana erano i cinque ori nelle altrettante gare previste nella programmazione olimpica della ginnastica (a squadre, individuale, volteggio, corpo libero e trave), un'impresa mai riuscita a nessuno. Durante la prova di volteggio nella gara a squadre però, la pressione e l'ansia le hanno attanagliato la testa. Lei li ha definiti "twisties", ovvero una sorta di blocco mentale che non le farebbe mantenere un'adeguata concentrazione durante l’esecuzione dei complessissimi esercizi aerei. Tutto sarebbe nato durante da un salto con due avvitamenti e mezzo, in gergo "Amanar". Un'acrobazia molto complessa, ma da sempre nelle corde di Simone, tanto che difficilmente la escludeva dalle sue routine. Ma questa volta non è riuscita a chiudere il salto come invece l'abbiamo sempre vista fare e, in quell'istante, tutte le sue sicurezze si sono sgretolate. "Non appena metto piede sul tappeto siamo solo io e la mia testa e ho a che fare con i demoni... Devo fare ciò che è giusto per me e devo concentrarmi sulla mia salute mentale. Dobbiamo proteggere la nostra mente e il nostro corpo piuttosto che fare ciò che il mondo si aspetta da noi", si è sfogata la fuoriclasse americana dopo la prova a squadre. Oltre ai tormenti psicologici, Biles ha invocato quella che i ginnasti chiamano "perdita di figura", una perdita di punti di riferimento nello spazio che può essere rinforzata o causata dallo stress e soprattutto mettere in pericolo un atleta. I famosi "twisties". Quindi la decisione di lasciare la finale (chiusa al secondo posto dalle compagne di squadra) per "non rischiare di farsi male o fare qualcosa di stupido partecipando a questa competizione". La fuoriclasse di Columbus ha vinto tutto nel mondo della ginnastica a soli 24 anni. Pressioni e aspettative l'accompagnano costantemente nel quotidiano da quando ne aveva appena 16: è da tutta la vita che deve fare i conti con l'etichetta di predestinata appiccicate sulle spalle, un'ansia che ti logora lentamente. In più, non bisogna mai dimenticare da dove viene Simone e quante avversità la vita le abbia riservato: l’affidamento a 6 anni a causa di una madre che faceva dentro e fuori dalla prigione con problemi di alcolismo e droga. Poi come se non bastasse, nel 2018, gli abusi sessuali di Larry Nasser, fisioterapista della nazionale statunitense (condannato a oltre 100 anni di carcere) ad ingigantire i problemi di una ragazza tanto forte nel fisico quanto fragile emotivamente.  

L’esempio di Osaka

Simone però non è la prima atleta a fare un passo indietro per problemi psicologici. Infatti quando ha spiegato le ragioni che l’hanno spinta a tirarsi momentaneamente fuori da questi Giochi, non ha fatto mistero di essersi ispirata ad un'altra giovane campionessa, coetanea, recentemente celebre per le sue scelte coraggiose: Naomi Osaka. Naomi è una delle tenniste migliori del circuito Wta (attualmente è seconda nel ranking mondiale) e da sempre rientra in quella stessa stretta cerchia di predestinati della Biles, come testimoniano i 4 trofei Slam (Us Open nel 2018 e nel 2020, Australian Open nel 2019 e nel 2021) già messi in bacheca. Naomi qualche mese fa, durante il Roland Garros, uno degli appuntamenti più importanti della stagione tennistica, ha comunicato in un primo post Instagram che non avrebbe parlato con nessun giornalista in conferenza stampa e, in seguito, il suo ritiro dal torneo parigino. Nessuna squalifica o gesto polemico, solamente una ragazza di 24 anni che non riesce a trovare pace con sé stessa e non ha le forze per affrontare un’orda di giornalisti affamati di click, pronti a scavare negli angoli più remoti del suo io per ritagliarsi la notizia. Un problema, quello delle conferenze, lamentato da tanti altri colleghi, come Gael Monfils che, all’Australian Open, in uno dei confronti con la stampa, si era lamentato per il trattamento ricevuto dai giornalisti: “"Mi sento giudicato. Sono già a terra, così mi sparate". Anche il numero 1 al mondo del circuito maschile, Novak Djokovic, si era espresso in favore della scelta di Naomi: "La capisco bene. Sono stato sotto il tiro dei media diverse volte nella mia carriera2. Simone e Naomi sono all’apice nei rispetti sport di competenza e, entrambe, hanno deciso di lanciare un segnale durante due degli eventi più importanti nella stagione delle loro discipline, il Roland Garros una e le Olimpiadi l'altra, sfruttandoli comecassa di risonanza per parlare di un tema così importante ma allo stesso tempo trascurato come la depressione e la salute mentale. Le testimonianze di atlete di questo calibro (anche se altri grandi campioni del calibro di Micheal Phelps, l’uomo che detiene il maggior numero di medaglie olimpiche, 28, o dei giocatori Nba Kevin Love e Demar Derozan avevano pubblicamente ammesso di avere problemi di salute mentale) fanno capire che questo tipo di malattia colpisce chiunque, indistintamente. A poco servono i soldi, il successo, o la fama, la depressione può colpire in ogni momento e tutto quello che di bello si è costruito negli anni viene spazzato via con un solo colpo di spugna. Del resto, spesso eleviamo lo sport a modello valoriale da cui attingere a piene mani. Uomini e donne all’apparenza senza macchia, programmati come macchine per competere e rendere nei momenti di massima tensione, la gara. L'"ammutinamento" di Osaka e Biles è il naturale approdo della piccola rivoluzione copernicana in atto nel mondo dello sport ormai da qualche anno: non è più accettabile sacrificare corpo e stabilità mentale sull’altare della prestazione, gli atleti sono persone con sentimenti ed emozioni uguali a tutti noi che ammiriamo le loro gesta da dietro uno schermo. La scelta di condividere le loro difficoltà con il mondo ha fatto scendere le due ragazze dal piedistallo delle icone irraggiungibili dello sport contemporaneo, riportandole su un piano molto più umano, quasi come due giovani donne qualsiasi: la cultura della perfezione e della vittoria ad ogni costo ha lasciato spazio ad un fantastico inno alla "normalità".
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