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Home » Attualità » Vanessa Bryant, lacrime al processo: “Choc per le foto dell’incidente in cui morì Kobe”

Vanessa Bryant, lacrime al processo: “Choc per le foto dell’incidente in cui morì Kobe”

La vedova del giocatore ha fatto causa a 8 funzionari della contea accusati di aver condiviso in privato immagini delle vittime dell’incidente in elicottero del 26 gennaio del 2020

Letizia Cini
20 Agosto 2022
Vanessa Bryant (37 anni) in un momento di felicità insieme con il marito Kobe

Vanessa Bryant (37 anni) in un momento di felicità insieme con il marito Kobe

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Vanessa Bryant, vedova della star del basket Kobe Bryant, ha ripercorso in tribunale il suo dolore quando scoprì che funzionari della contea di Los Angeles avevano condiviso in privato foto dei resti delle vittime dell’incidente in cui erano morti il marito e la figlia. La testimonianza della donna è riportata dal New York Times. “Avrei voluto correre giù dall’isolato e urlare, ma non potevo scappare. Non potevo fuggire via, non potevo sfuggire al mio corpo”, ha spiegato in aula. Kobe Bryant e la figlia Gianna Maria, con altre sette persone sono le vittime di un incidente in elicottero causato da un errore del pilota. Le foto di quei corpi straziati, mostrate in ambiti non professionali, hanno spinto Vanessa Bryant a citare in giudizio la contea di Los Angeles.

Il processo

La vedova del giocatore ha fatto causa a 8 funzionari della contea accusati di aver condiviso in privato immagini delle vittime dell’incidente in elicottero del 26 gennaio del 2020
La vedova del giocatore ha fatto causa a 8 funzionari della contea accusati di aver condiviso in privato immagini delle vittime dell’incidente in elicottero del 26 gennaio del 2020

Vanessa Bryant, piangendo, ha aggiunto che vive nel terrore che le foto appaiano in Internet. “Una volta che sono diffuse, non puoi tornare indietro”, ha sottolineato. E ha spiegato di aver subito uno stress emozionale sapendo che personale del dipartimento dello sceriffo di Los Angeles e dei vigili del fuoco fecero fotografie sulla scena e se le scambiarono, e di come fosse scappata di casa per trovare un luogo in cui piangere e urlare lontano dalle sue altre tre figlie quando apprese della loro esistenza. “Non voglio che si imbattano in quelle immagini mai”, ha ripetuto. La vedova della stella dell’Nba sta facendo causa alla contea di Los Angeles per un milione di dollari di danni.

Vanessa Bryant in una foto del febbraio 2022
Vanessa Bryant consegna il premio Kobe a  Chris Paul nel febbraio 2022 a Phoenix

Prosegue il processo per le foto shock scattate dalla polizia di Los Angeles dopo lo schianto dell’elicottero nel 2020 nel quale morirono Koby Bryant, la figlia Gianna e altre sette persone. Vanessa Bryant, che ha avviato la causa due anni fa, ritiene che con gli scatti sarebbe stata commessa una violazione della privacy in quanto gli agenti avrebbero mostrato le foto in contesti non legati ad un’indagine, come in un bar ad esempio. Il legale di Bryant ha dichiarato che quelle foto sono state condivise per “una risata“. All’apertura del processo era presente la stessa Vanessa, in lacrime secondo quanto scrive il New York Post. Da parte sua la contea di Los Angeles sostiene che “le ferite mentali ed emotive“ non sono state causate dalle foto bensì dall’incidente mortale in sé. Si stima che il processo dovrebbe durare circa due settimane. Tra i membri della giuria anche una suora.

Il fatto

Il 26 gennaio 2020 Kobe Bryant, sua figlia Gianna Maria e altre sette persone morirono in un incidente in elicottero avvenuto nella contea di Los Angeles e causato da un errore del pilota
Il 26 gennaio 2020 Kobe Bryant, sua figlia Gianna Maria e altre sette persone morirono in un incidente in elicottero avvenuto nella contea di Los Angeles e causato da un errore del pilota

A raccontarlo è stata la stessa vedova della leggenda del basket mondiale nella sua deposizione alle autorità della contea di Los Angeles, alle quali la donna ha fatto causa per le foto scattate sul luogo dell’incidente e poi condivise. Alla signora Bryant era stato infatti assicurato che l’area dell’incidente sarebbe stata messa sotto stretto controllo in modo da evitare che nessuno potesse fare foto. Una promessa però disattesa che l’ha esposta a un forte stress emotivo: le foto infatti sono state diffuse online finendo più volte sotto gli occhi della donna. Da qui la decisione della causa. Lo scontro legale è ormai entrato nel vivo e si sta consumando sulla richiesta di perizia psichiatrica chiesta dalle autorità di Los Angeles nei confronti di Vanessa.

 

Tutta la famiglia Bryant felice solo qualche settimana fa, prima della terribile tragedia che ha sconvolto il mondo
Tutta la famiglia Bryant felice solo qualche settimana prima della terribile tragedia che ha sconvolto il mondo

Esami ai quali i legali della donna si oppongono definendoli “una crudeltà”, come hanno spiegato nel corso di un’udienza nei giorni scorsi durante la quale la vedova ha testimoniato raccontando il giorno più brutto della sua vita, quel 26 gennaio 2020.

Vanessa Bryant in una foto di archivio
Vanessa Bryant in una foto di archivio

La notizia e il trauma

Era domenica ed era a casa con due dei figli quando intorno alle 11.30 del mattino un assistente familiare bussò alla porta e le comunicò l’incidente precisando però che c’erano cinque sopravvissuti. Vanessa chiese se Kobe e Gianna erano fra questi ma l’assistente le rispose di non sapere nulla al riguardo.

Mentre cercava di contattare il marito iniziò a ricevere notifiche sul cellulare con ‘R.I.P. Kobe’, riposa in pace Kobe. Prima ancora che la notizia le fosse comunicata ufficialmente, la signora Bryant corse in aeroporto nel tentativo di salire su un elicottero che la portasse sul luogo dell’incidente, ma non ci riuscì perché le condizioni meteorologiche non garantivano la sicurezza del volo.

I resti dell'elicottero: il 26 gennaio 2020 Kobe Bryant, sua figlia Gianna Maria e altre sette persone morirono in un incidente
I resti dell’elicottero: il 26 gennaio 2020 Kobe Bryant, sua figlia Gianna Maria e altre sette persone morirono in un incidente

Quindi salì in auto con un manager dei Lakers e raggiunse il luogo dell’incidente: fu a quel punto che le comunicarono ufficialmente della morte di Kobe e Gianna, e lei chiese esplicitamente che nessuno scattasse foto. La vedova ha quindi raccontato di aver prelevato dall’area gli abiti del marito e della figlia: “Se i vestiti rappresentano le condizioni dei loro corpi, non posso immaginare come qualcuno possa essere così perfido da diffonderne le foto come se fossero animali sulla strada“.

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Instagram

  • Numerosi attori e musicisti di alto profilo si sono recati in Ucraina da quando è scoppiata la guerra con la Russia nel febbraio 2022. L’ultimo in ordine di tempo è stato l’attore britannico Orlando Bloom, che ieri ha visitato un centro per bambini e ha incontrato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a Kiev.

“Non mi sarei mai aspettato che la guerra si sarebbe intensificata in tutto il Paese da quando sono stato lì”, ha detto Bloom su Instagram, “Ma oggi ho avuto la fortuna di ascoltare le risate dei bambini in un centro del programma Spilno sostenuto dall’Unicef, uno spazio sicuro, caldo e accogliente dove i bambini possono giocare, imparare e ricevere supporto psicosociale”.

Bloom è un ambasciatore di buona volontà per l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef). Il centro di Splino, che è uno dei tanti in Ucraina, offre sostegno ai bambini sfollati e alle loro famiglie, con più di mezzo milione di bambini che ne hanno visitato uno nell’ultimo anno.

La star hollywoodiana ha poi incontrato il presidente Zelensky, con cui ha trattato temi tra cui il ritorno dei bambini ucraini deportati in Russia, la creazione di rifugi antiatomici negli istituti scolastici e il supporto tecnico per l’apprendimento a distanza nelle aree in cui è impossibile studiare offline a causa della guerra. L’attore britannico aveva scritto ieri su Instagram, al suo arrivo a Kiev, che i «bambini in Ucraina hanno bisogno di riavere la loro infanzia».

#lucelanazione #lucenews #zelensky #orlandobloom
  • “La vita che stavo conducendo mi rendeva particolarmente infelice e se all’inizio ero entrata in terapia perché volevo accettare il fatto che mi dovessi nascondere, ho avuto poi un’evoluzione e questo percorso è diventato di accettazione di me stessa."

✨Un sorriso contagioso, la spensieratezza dei vent’anni e la bellezza di chi si piace e non può che riflettere quella luce anche al di fuori. La si potrebbe definire una Mulan nostrana Carlotta Bertotti, 23 anni, una ragazza torinese come tante, salvo che ha qualcosa di speciale. E non stiamo parlano del Nevo di Ota che occupa metà del suo volto. Ecco però spiegato un primo punto di contatto con Mulan: l’Oriente, dove è più diffusa (insieme all’Africa) quell’alterazione di natura benigna della pigmentazione della cute intorno alla zona degli occhi (spesso anche la sclera si presenta scura). Quella che appare come una chiazza grigio-bluastra su un lato del volto (rarissimi i casi bilaterali), colpisce prevalentemente persone di sesso femminile e le etnie asiatiche (1 su 200 persone in Giappone), può essere presente alla nascita o apparire durante la pubertà. E come la principessa Disney “fin da piccola ho sempre sentito la pressione di dover salvare tutto, ma forse in realtà dovevo solo salvare me stessa. Però non mi piace stare troppo alle regole, sono ribelle come lei”.

🗣Cosa diresti a una ragazza che ha una macchia come la tua e ti chiede come riuscire a conviverci?�
“Che sono profondamente fiera della persona che vedo riflessa allo specchio tutto i giorni e sono arrivata a questa fierezza dopo che ho scoperto e ho accettato tutti i miei lati, sia positivi che negativi. È molto autoreferenziale, quindi invece se dovessi dare un consiglio è quello che alla fine della fiera il giudizio altrui è momentaneo e tutto passa. L’unica persona che resta e con cui devi convivere tutta la vita sei tu, quindi le vere battaglie sono quelle con te stessa, quelle che vale la pena combattere”.

L’intervista a cura di Marianna Grazi �✍ 𝘓𝘪𝘯𝘬 𝘪𝘯 𝘣𝘪𝘰

#lucenews #lucelanazione #carlottabertotti #nevodiota
  • La salute mentale al centro del podcast di Alessia Lanza. Come si supera l’ansia sociale? Quanto è difficile fare coming out? Vado dallo psicologo? Come trovo la mia strada? La popolare influencer, una delle creator più note e amate del web con 1,4 milioni di followers su Instagram e 3,9 milioni su TikTok, Alessia Lanza debutta con “Mille Pare”, il suo primo podcast in cui affronta, in dieci puntate, una “para” diversa e cerca di esorcizzare le sue fragilità e, di riflesso, quelle dei suoi coetanei.

“Ho deciso di fare questo podcast per svariati motivi: io sono arrivata fin qui anche grazie alla mia immagine, ma questa volta vorrei che le persone mi ascoltassero e basta. Quando ho cominciato a raccontare le mie fragilità un sacco di persone mi hanno detto ‘Anche io ho quella para lì!’. Perciò dico parliamone, perché in un mondo in cui sembra che dobbiamo farcela da soli, io credo nel potere della condivisione”.

#lucenews #lucelanazione #millepare #alessialanza #podcast
  • Si è laureata in Antropologia, Religioni e Civiltà Orientali indossando un abito tradizionale Crow, tribù della sua famiglia adottiva in Montana. Eppure Raffaella Milandri è italianissima e ha conseguito il titolo nella storica università Alma Mater di Bologna, lo scorso 17 marzo. 

La scrittrice e giornalista nel 2010 è diventata membro adottivo della famiglia di nativi americani Black Eagle. Da quel momento quella che era una semplice passione per i popoli indigeni si è focalizzata sullo studio degli aborigeni Usa e sulla divulgazione della loro cultura.

Un titolo di studio specifico, quello conseguito dalla Milandri, “Che ho ritenuto oltremodo necessario per coronare la mia attività di studiosa e attivista per i diritti dei Nativi Americani e per i Popoli Indigeni. La prima forma pacifica di attivismo è divulgare la cultura nativa”. L’abito indossato durante cerimonia di laurea appartiene alla tribù della sua famiglia adottiva. Usanza che è stata istituzionalizzata solo dal 2017 in Montana, Stato d’origine del suo popolo, quando è stata approvata una legge (la SB 319) che permette ai nativi e loro familiari di laurearsi con il “tribal regalia“. 

In virtù di questa norma, il Segretario della Crow Nation, Levi Black Eagle, a maggio 2022 ha ricordato la possibilità di indossare l’abito tradizionale Crow in queste occasioni e così Milandri ha chiesto alla famiglia d’adozione se anche lei, in quanto membro acquisito della tribù, avrebbe potuto indossarlo in occasione della sua discussione.

La scrittrice, ricordando il momento della laurea a Bologna, racconta che è stata “Una grandissima emozione e un onore poter rappresentare la Crow Nation e la mia famiglia adottiva. Ho dedicato la mia laurea in primis alle vittime dei collegi indiani, istituti scolastici, perlopiù a gestione cattolica, di stampo assimilazionista. Le stesse vittime per le quali Papa Francesco, lo scorso luglio, si è recato in Canada in viaggio penitenziale a chiedere scusa  Ho molto approfondito questo tema controverso e presto sarà pubblicato un mio studio sull’argomento dalla Mauna Kea Edizioni”.

#lucenews #raffaellamilandri #antropologia
Vanessa Bryant, vedova della star del basket Kobe Bryant, ha ripercorso in tribunale il suo dolore quando scoprì che funzionari della contea di Los Angeles avevano condiviso in privato foto dei resti delle vittime dell’incidente in cui erano morti il marito e la figlia. La testimonianza della donna è riportata dal New York Times. “Avrei voluto correre giù dall’isolato e urlare, ma non potevo scappare. Non potevo fuggire via, non potevo sfuggire al mio corpo”, ha spiegato in aula. Kobe Bryant e la figlia Gianna Maria, con altre sette persone sono le vittime di un incidente in elicottero causato da un errore del pilota. Le foto di quei corpi straziati, mostrate in ambiti non professionali, hanno spinto Vanessa Bryant a citare in giudizio la contea di Los Angeles.

Il processo

La vedova del giocatore ha fatto causa a 8 funzionari della contea accusati di aver condiviso in privato immagini delle vittime dell’incidente in elicottero del 26 gennaio del 2020
La vedova del giocatore ha fatto causa a 8 funzionari della contea accusati di aver condiviso in privato immagini delle vittime dell’incidente in elicottero del 26 gennaio del 2020
Vanessa Bryant, piangendo, ha aggiunto che vive nel terrore che le foto appaiano in Internet. “Una volta che sono diffuse, non puoi tornare indietro”, ha sottolineato. E ha spiegato di aver subito uno stress emozionale sapendo che personale del dipartimento dello sceriffo di Los Angeles e dei vigili del fuoco fecero fotografie sulla scena e se le scambiarono, e di come fosse scappata di casa per trovare un luogo in cui piangere e urlare lontano dalle sue altre tre figlie quando apprese della loro esistenza. “Non voglio che si imbattano in quelle immagini mai”, ha ripetuto. La vedova della stella dell’Nba sta facendo causa alla contea di Los Angeles per un milione di dollari di danni.
Vanessa Bryant in una foto del febbraio 2022
Vanessa Bryant consegna il premio Kobe a  Chris Paul nel febbraio 2022 a Phoenix
Prosegue il processo per le foto shock scattate dalla polizia di Los Angeles dopo lo schianto dell’elicottero nel 2020 nel quale morirono Koby Bryant, la figlia Gianna e altre sette persone. Vanessa Bryant, che ha avviato la causa due anni fa, ritiene che con gli scatti sarebbe stata commessa una violazione della privacy in quanto gli agenti avrebbero mostrato le foto in contesti non legati ad un’indagine, come in un bar ad esempio. Il legale di Bryant ha dichiarato che quelle foto sono state condivise per “una risata“. All’apertura del processo era presente la stessa Vanessa, in lacrime secondo quanto scrive il New York Post. Da parte sua la contea di Los Angeles sostiene che “le ferite mentali ed emotive“ non sono state causate dalle foto bensì dall’incidente mortale in sé. Si stima che il processo dovrebbe durare circa due settimane. Tra i membri della giuria anche una suora.

Il fatto

Il 26 gennaio 2020 Kobe Bryant, sua figlia Gianna Maria e altre sette persone morirono in un incidente in elicottero avvenuto nella contea di Los Angeles e causato da un errore del pilota
Il 26 gennaio 2020 Kobe Bryant, sua figlia Gianna Maria e altre sette persone morirono in un incidente in elicottero avvenuto nella contea di Los Angeles e causato da un errore del pilota
A raccontarlo è stata la stessa vedova della leggenda del basket mondiale nella sua deposizione alle autorità della contea di Los Angeles, alle quali la donna ha fatto causa per le foto scattate sul luogo dell’incidente e poi condivise. Alla signora Bryant era stato infatti assicurato che l’area dell’incidente sarebbe stata messa sotto stretto controllo in modo da evitare che nessuno potesse fare foto. Una promessa però disattesa che l’ha esposta a un forte stress emotivo: le foto infatti sono state diffuse online finendo più volte sotto gli occhi della donna. Da qui la decisione della causa. Lo scontro legale è ormai entrato nel vivo e si sta consumando sulla richiesta di perizia psichiatrica chiesta dalle autorità di Los Angeles nei confronti di Vanessa.  
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Tutta la famiglia Bryant felice solo qualche settimana prima della terribile tragedia che ha sconvolto il mondo
Esami ai quali i legali della donna si oppongono definendoli "una crudeltà", come hanno spiegato nel corso di un’udienza nei giorni scorsi durante la quale la vedova ha testimoniato raccontando il giorno più brutto della sua vita, quel 26 gennaio 2020.
Vanessa Bryant in una foto di archivio
Vanessa Bryant in una foto di archivio

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Era domenica ed era a casa con due dei figli quando intorno alle 11.30 del mattino un assistente familiare bussò alla porta e le comunicò l’incidente precisando però che c’erano cinque sopravvissuti. Vanessa chiese se Kobe e Gianna erano fra questi ma l’assistente le rispose di non sapere nulla al riguardo. Mentre cercava di contattare il marito iniziò a ricevere notifiche sul cellulare con ‘R.I.P. Kobe’, riposa in pace Kobe. Prima ancora che la notizia le fosse comunicata ufficialmente, la signora Bryant corse in aeroporto nel tentativo di salire su un elicottero che la portasse sul luogo dell’incidente, ma non ci riuscì perché le condizioni meteorologiche non garantivano la sicurezza del volo.
I resti dell'elicottero: il 26 gennaio 2020 Kobe Bryant, sua figlia Gianna Maria e altre sette persone morirono in un incidente
I resti dell'elicottero: il 26 gennaio 2020 Kobe Bryant, sua figlia Gianna Maria e altre sette persone morirono in un incidente
Quindi salì in auto con un manager dei Lakers e raggiunse il luogo dell’incidente: fu a quel punto che le comunicarono ufficialmente della morte di Kobe e Gianna, e lei chiese esplicitamente che nessuno scattasse foto. La vedova ha quindi raccontato di aver prelevato dall’area gli abiti del marito e della figlia: “Se i vestiti rappresentano le condizioni dei loro corpi, non posso immaginare come qualcuno possa essere così perfido da diffonderne le foto come se fossero animali sulla strada“.
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