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Dalle mafie al lavoro delle persone svantaggiate: quando agricoltura e sostenibilità sono davvero "Qualcosa di Diverso"

di DOMENICO GUARINO -
2 giugno 2021
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50 ettari di terre confiscate alla criminalità organizzata trasformate  in un’azienda agricola, ecologica e sociale capace di generare lavoro, benessere per la comunità e miglioramento dell'ecosistema. Accade a  San Vito dei Normanni, nel cuore della Puglia. Si chiama XFARM Agricoltura prossima ed  è un progetto della cooperativa sociale Qualcosa di Diverso, nata all'interno dell'esperienza del Laboratorio Urbano ExFadda di San Vito dei Normanni.

Un incontro della cooperativa sociale che opera nell'area exFadda

Un progetto molto semplice ed allo stesso tempo estremamente complesso, in cui la rigenerazione del suolo, il nutrimento corretto delle  piante, la promozione dell’economia circolare, l'aumento della  biodiversità, e l'offerta di prodotti agricoli di alta qualità, si lega agli inserimenti socio-lavorativi di persone svantaggiate, alla gestione di un orto sociale,  all'organizzazione di eventi comunitari, fino al sostegno della formazione  tecnica e della ricerca scientifica. Senza tralasciare l’accompagnamento di progetti agricoli promossi da giovani del  territorio. Insomma, la creazione di  hub rurale che vuole contribuire allo sviluppo locale dell’Alto Salento.

Dalla raccolta delle olive è nato recentemente  Manifesto, un olio extra vergine di oliva di altissima qualità. Il nome è evocativo ed è stato scelto perché” sia il manifesto della nuova azienda e il manifesto delle buone pratiche agronomiche, sociali e culturali che si cercherà di introdurre in una terra martoriata dall’illegalità”.

“Xfarm nasce  4 anni fa nell’ambito dell’esperienza del  Laboratorio Urbano ExFadda a San Vito dei Normanni” racconta Roberto Covolo, responsabile ricerca e sviluppo della coop Qualcosa di Diverso. “Quello che vogliamo realizzare è un’azienda agro ecologica che provi ad affrontare la crisi del paesaggio determinata dal disseccamento degli ulivi a causa della  xylella, il problema  della redditività in agricoltura, l'abbandono delle terre e in generale la questione ambientale, attraverso la leva agricola”.

In che modo? Qual è la chiave di volta per superare questioni così complicate?

"Il tema che centrale è  progettare dispositivi che tengano insieme la dimensione economica,  che siano sostenibili dal punto di vista finanziario producendo beni e servizi richiesti dal mercato; ma al tempo stesso affiancare alla sostenibilità economica quella  sociale, attraverso il coinvolgimento della comunità, il protagonismo dei più giovani, gli  inserimenti lavorativi per le  persone che hanno più difficoltà ad accedere al mondo del lavoro. Ed  insieme a questo naturalmente la sostenibilità ambientale. Cioè, stare attenti che la nostra azione non solo non danneggi l'ecosistema ma al contrario lo tuteli e provi a rigenerarlo. Il tema chiave è sempre la rigenerazione".

In che senso?

"Siamo partiti con l'esperienza di ExFadda: dalla rigenerazione di un immobile per rigenerare una comunità, oggi ragioniamo di rigenerazione del suolo e  di rigenerazione dell’ecosistema. Il metodo è sempre lo stesso: partecipazione attiva e coinvolgimento della collettività, protagonismo sociale, coproduzione da parte della comunità locale, ricerca e produzione. Ad esempio, tra i progetti di  xfarm, c'è Hasta l'Uevo, che è teso alla costruzione di una filiera che tenga insieme le associazioni del  territorio di che si occupano di salute mentale, le aziende agricole, e gli operatori della gastronomia, perché insieme vogliamo sperimentare la consociazione tra uliveti e allevamenti di galline ovaiole, favorire l'occupazione di persone con percorsi psichiatrici, e al tempo stesso produrre un uovo di alta qualità che possa essere il simbolo di questa rigenerazione. Un uovo etico, simbolo del  riscatto delle persone attraverso il loro lavoro".

Attività di semina nelle aree pugliesi sottratte alla criminalità organizzata

Tutto nasce dalla esperienza di exFadda, ce la racconta?

"E’ un progetto nato dieci anni a San Vito dei Normanni legato alla valorizzazione di immobili dismessi di proprietà pubblica che abbiamo riconvertito in spazi della socialità, della cultura e della produzione.  Abbiamo cominciato nel 2011 con la riconversione di un ex stabilimento enologico abbandonato da decenni che abbiamo portato ad un utilizzo comunitario, con un stratagemma, coinvolgendo cioè i ragazzi della comunità, giovani cittadini di San Vito dei Normanni che avevano bisogno di spazi e supporto per realizzare i loro progetti. In questo modo sono nati diversi progetti culturali, sociali, artigianali, che un po’ per volta hanno con noi riqualificato gli oltre 3mila metri dello stabile, realizzando uno spazio a beneficio della comunità ed implementando, in un processo virtuoso di auto-alimentazione, ulteriori progetti:  una sala di produzione musicale, una falegnameria, una sartoria, una scuola di danza, un ristorante per l'inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati, un bar e un  parco  pubblico che è stato messo a disposizione della collettività".

La sostenibilità può essere la chiave per programmare un nuovo progetto per il Sud?

"In generale sì. Però con gli anni  ho capito che il tema non solo rendere sostenibili ambientalmente le nostre attività sul territorio e con le comunità, ma è far sì che  le nostre attività sul pianeta  possano rigenerare la matrice ambientale, la matrice sociale e quella economica. Quindi non si tratta semplicemente di  progettare attività a basso impatto,  ma progettare attività che siano in grado di produrre più risorse di quante ne consumano. Questo è il vero tema su cui penso che il  Mezzogiorno ovviamente ha un campo libero da sperimentare, perché esistono ancora tante risorse latenti, sottoutilizzate, nascoste. Risorse che  noi abbiamo il dovere di mettere al centro dei nostri percorsi. Parlo degli immobili dismessi, delle terre  abbandonate,  delle comunità al margine della vita civile: creare un mix mediterraneo di queste opzioni è la nostra vita".