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Home » Economia » Edge Strategy, la tecnologia per la parità di genere. Ma in Italia c’è ancora molto da fare

Edge Strategy, la tecnologia per la parità di genere. Ma in Italia c’è ancora molto da fare

L'ente qualificato per la certificazione della gender equality, approda anche in Italia e mette il suo algoritmo a servizio delle aziende del Bel Paese. "Il presupposto è di includere il tema nelle strategie aziendali, affinché non siano solo belle parole"

Nicolò Guelfi
5 Aprile 2022
SimonaScarpaleggia

Simona Scarpaleggia board member Edge strategy

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Per risolvere il problema della parità di genere serve un algoritmo. Non parliamo di futuro: questo strumento è già realtà. Edge Strategy, società nota in tutto il mondo come ente qualificato per la certificazione della gender equality, approda anche in Italia. Ma in cosa consiste questo lavoro? Ce lo spiega Simona Scarpaleggia, board member di Edge: “Il nostro compito non è quello di stilare un ranking, una classifica. Noi ci occupiamo di offrire una certificazione, basata sull’analisi di fattori diversi. Valutiamo non solo la presenza delle donne in un’azienda, ma anche i loro ruoli e stipendi, e anche le politiche attive che vengono messe in atto dall’azienda stessa per favorire questo processo di equità. Per farlo, abbiamo sviluppato una tecnologia nostra, un algoritmo in grado di processare tutti gli aspetti e fornire poi un benchmark. Non ci limitiamo però al giudizio, offriamo anche strategie per risolvere in problemi presenti”.

Simona Scarpaleggia, board member della società Edge Strategy

Questione di parità

La parità è un tema che ha acquisito sempre maggiore rilevanza nel corso degli anni. Storicamente, l’Italia non ha un buon rapporto con l’occupazione femminile: nel 1959 le donne con un impiego erano 6,4 milioni, appena il 31% degli occupati, e ancora nell’89 non superavamo i 7,1 milioni (Istat). Molto è cambiato rispetto al passato, quando il lavoro femminile era l’eccezione e non la regola, ma siamo ancora molto lontani da una vera equità. Secondo Eurostat, nel 2020 il numero di donne che avevano un impiego si attestava intorno al 49%, contro una media europea del 62,4%. Meno di una donna su due ha un lavoro, ma la percentuale cambia drasticamente da regione a regione, toccando i minimi al Sud Italia. Il nostro Paese, inoltre, si è posizionato al 63° posto nella classifica per la Gender equality del World Economic Forum.

Le certificazioni di Edge Strategy

Edge Strategy è stata la prima organizzazione a certificare la parità di genere, già otto anni fa. Ha lavorato in tutto il mondo, valutando grandi aziende come L’Oréal, Phillips, Nestlé, Pfizer e Allianz, ma anche grandi enti sovranazionali come la Banca centrale europea. Le certificazioni rilasciate sono di tre tipi: “Assess”, che indicata la trasparenza e la disponibilità dell’azienda a fornire informazioni e adoperarsi per risolvere i problemi evidenziati; “Move”, che ne attesta il progresso nel corso nel tempo; e infine “Lead”, che la certifica come modello positivo da imitare. Il metro di giudizio comprende, come si è detto, una serie complessa di fattori: la rappresentanza, l’equità salariale, le politiche delle aziende e quanto il tema viene recepito dai dipendenti. Tutto questo viene calcolato attraverso un algoritmo sviluppato da Edge, che ora verrà applicato per la prima volta anche ad aziende ed enti in Italia.

I dati sull’occupazione femminile: nel nel 2020 la percentuale di donne con un impiego era intorno al 49%, contro una media europea del 62,4%

La parità necessaria per i fondi del Pnrr

Ma la causa della parità di genere non è solo idealmente giusta. È anche uno degli obiettivi da realizzare per ottenere i finanziamenti previsti dal Pnrr. Secondo quanto riporta Ipsoa, con la legge 108 del 29 luglio 2021, il governo ha stabilito che “il rapporto aziendale di parità costituisce condizione necessaria, a pena l’esclusione, per poter presentare domanda di partecipazione o offerta nelle gare pubbliche che utilizzano fondi derivanti da risorse del Pnrr”. In parole povere, niente parità, niente soldi e bandi. Una scelta forte e significativa, che evidenza la centralità del tema e potrebbe costituire un punto di svolta.

Salari, posizioni manageriali e maternità: cosa frena ancora la gender equality

A pesare sono sia i divari in termini di posti di lavoro che di salario. Ci sono poi meno donne in posizioni di responsabilità e ancora esiste il problema della maternità

Ma come si struttura oggi il divario di genere? E cosa intendiamo per “gender pay gap”? “Il tema del divario retributivo è complesso – spiega sempre Scarpaleggia –, ma esiste oggettivamente. Ci sono più componenti che lo determinano, tra cui il fatto che ci siano meno donne in posizioni di responsabilità rispetto agli uomini. Le donne poi nel corso della vita entrano ed escono dal mercato del lavoro, ad esempio per motivi legati alla maternità, e poi svolgono spesso lavori di cura a titolo gratuito. Inoltre, c’è una discriminazione salariale a parità di impiego, con un divario si perpetua e allarga nel tempo. Questo poi porta pensioni femminili più basse rispetto a quelle degli uomini, poiché le donne hanno versato meno contributi nel corso della vita”.

Guardando al passato, perseguire un obiettivo simile può sembrare un’impresa. Simona Scarpaleggia, però, rimarca un fatto esemplare: “La maggior parte delle aziende con cui abbiamo lavorato che ha inserito, tra i propri obiettivi strategici, quello della gender equality, è poi riuscita a realizzarlo. Il presupposto è di includere il tema nelle strategie aziendali, affinché non siano solo belle parole. Se gli obiettivi sono chiari, si fanno azioni e ci sono risultati”.

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  • Nino Gennaro cresce in un paese complesso, difficile, famigerato per essere stato il regno del boss Liggio, impegnandosi attivamente in politica; nel 1975 è infatti responsabile dell’organizzazione della prima Festa della Donna, figura tra gli animatori del circolo Placido Rizzotto, presto chiuso e, sempre più emarginato dalla collettività, si trova poi coinvolto direttamente nel caso di una sua amica, percossa dal padre perché lo frequentava e che sporse denuncia contro il genitore, fatto che ebbe grande risonanza sui media. Con lei si trasferì poi a Palermo e qui comincia la sua attività pubblica come scrittore; si tratta di una creatività onnivora, che si confronta in diretta con la cronaca, lasciando però spazio alla definizione di mitologie del corpo e del desiderio, in una dimensione che vuole comunque sempre essere civile, di testimonianza.

Nel 1980 a Palermo si avviano le attività del suo gruppo teatrale “Teatro Madre”, che sceglie una dimensione urbana, andando in scena nei luoghi più diversi e spesso con attori non professionisti (i testi si intitolano “Bocca viziosa”, “La faccia è erotica”, “Il tardo mafioso Impero”), all’inseguimento di un cortocircuito scena/vita. Già il logo della compagnia colpisce l’attenzione: un cuore trafitto da una svastica, che vuole alludere alla pesantezza dei legami familiari, delle tradizioni vissute come gabbia. Le sue attività si inscrivono, quindi, in uno dei periodi più complessi della storia della città siciliana, quando una sequenza di delitti efferati ne sconvolge la quotidianità e Gennaro non è mai venuto meno al suo impegno, fondando nel 1986 il Comitato Cittadino di Informazione e Partecipazione e legandosi al gruppo che gestiva il centro sociale San Saverio, dedicandosi quindi a numerosi progetti sociali fino alla morte per Aids nel 1995.

La sua drammaturgia si alimenta di una poetica del frammento, del remix, con brani che spesso vengono montati in modo diverso rispetto alla loro prima stesura.

Luca Scarlini ✍

#lucenews #lucelanazione #ninogennaro #queer
  • -6 a Sanremo 2023!

Questo Festival ha però un sapore dolceamaro per l
  • Era il 1° febbraio 1945, quando la lotta per la conquista di questo diritto, partita tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, sulla scorta dei movimenti degli altri Paesi europei, raggiunse il suo obiettivo. Con un decreto legislativo, il Consiglio dei Ministri presieduto da Ivanoe Bonomi riconobbe il voto alle donne, su proposta di Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi. 

Durante la prima guerra mondiale le donne avevano sostituito al lavoro gli uomini che erano al fronte. La consapevolezza di aver assunto un ruolo ancora più centrale all’interno società oltre che della famiglia, crebbe e con essa la volontà di rivendicare i propri diritti. Già nel 1922 un deputato socialista, Emanuele Modigliani aveva presentato una proposta di legge per il diritto di voto femminile, che però non arrivò a essere discussa, per la Marcia su Roma. Mussolini ammise le donne al voto amministrativo nel 1924, ma per pura propaganda, poiché in seguito all’emanazione delle cosiddette “leggi fascistissime” tra il 1925 ed il 1926, le elezioni comunali vennero, di fatto, soppresse. Bisognerà aspettare la fine della guerra perché l’Italia affronti concretamente la questione.

Costituito il governo di liberazione nazionale, le donne si attivarono per entrare a far parte del corpo elettorale: la prima richiesta dell’ottobre 1944, venne avanzata dalla Commissione per il voto alle donne dell’Unione Donne Italiane (Udi), che si mobilitò per ottenere anche il diritto di eleggibilità (sancito da un successivo decreto datato 10 marzo 1946). Si arrivò così, dopo anni di battaglie per il suffragio universale, al primo febbraio 1945, data storica per l’Italia. Il decreto prevedeva la compilazione di liste elettorali femminili distinte da quelle maschili, ed escludeva però dal diritto le prostitute schedate che esercitavano “il meretricio fuori dei locali autorizzati”.

Le elezioni dell’esordio furono le amministrative tra marzo e aprile del 1946 e l’affluenza femminile superò l’89%. 

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  • La regina del pulito Marie Kondo ha dichiarato di aver “un po’ rinunciato” a riordinare casa dopo la nascita del suo terzo figlio. La 38enne giapponese, considerata una "Dea dell’ordine", con i suoi best seller sull’economia domestica negli ultimi anni ha incitato e sostenuto gli sforzi dei comuni mortali di rimettere in sesto case e armadi all’insegna del cosa “provoca dentro una scintilla di gioia”. Ma l’esperta di decluttering, famosa in tutto il mondo, ha ammesso che con tre figli da accudire, la sua casa è oggi “disordinata”, ma ora il riordino non è più una priorità. 

Da quando è diventata madre di tre bambini, ha dichiarato che il suo stile di vita è cambiato e che la sua attenzione si è spostata dall’organizzazione alla ricerca di modi semplici per rendere felici le abitudini di tutti i giorni: "Fino a oggi sono stata una organizzatrice di professione e ho dunque fatto il mio meglio per tenere in ordine la mia casa tutto il tempo”, e anche se adesso “ci ho rinunciato, il modo in cui trascorro il mio tempo è quello giusto per me in questo momento, in questa fase della mia vita”.

✍ Marianna Grazi 

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Per risolvere il problema della parità di genere serve un algoritmo. Non parliamo di futuro: questo strumento è già realtà. Edge Strategy, società nota in tutto il mondo come ente qualificato per la certificazione della gender equality, approda anche in Italia. Ma in cosa consiste questo lavoro? Ce lo spiega Simona Scarpaleggia, board member di Edge: “Il nostro compito non è quello di stilare un ranking, una classifica. Noi ci occupiamo di offrire una certificazione, basata sull’analisi di fattori diversi. Valutiamo non solo la presenza delle donne in un’azienda, ma anche i loro ruoli e stipendi, e anche le politiche attive che vengono messe in atto dall’azienda stessa per favorire questo processo di equità. Per farlo, abbiamo sviluppato una tecnologia nostra, un algoritmo in grado di processare tutti gli aspetti e fornire poi un benchmark. Non ci limitiamo però al giudizio, offriamo anche strategie per risolvere in problemi presenti”.
Simona Scarpaleggia, board member della società Edge Strategy

Questione di parità

La parità è un tema che ha acquisito sempre maggiore rilevanza nel corso degli anni. Storicamente, l’Italia non ha un buon rapporto con l’occupazione femminile: nel 1959 le donne con un impiego erano 6,4 milioni, appena il 31% degli occupati, e ancora nell’89 non superavamo i 7,1 milioni (Istat). Molto è cambiato rispetto al passato, quando il lavoro femminile era l’eccezione e non la regola, ma siamo ancora molto lontani da una vera equità. Secondo Eurostat, nel 2020 il numero di donne che avevano un impiego si attestava intorno al 49%, contro una media europea del 62,4%. Meno di una donna su due ha un lavoro, ma la percentuale cambia drasticamente da regione a regione, toccando i minimi al Sud Italia. Il nostro Paese, inoltre, si è posizionato al 63° posto nella classifica per la Gender equality del World Economic Forum.

Le certificazioni di Edge Strategy

Edge Strategy è stata la prima organizzazione a certificare la parità di genere, già otto anni fa. Ha lavorato in tutto il mondo, valutando grandi aziende come L’Oréal, Phillips, Nestlé, Pfizer e Allianz, ma anche grandi enti sovranazionali come la Banca centrale europea. Le certificazioni rilasciate sono di tre tipi: “Assess”, che indicata la trasparenza e la disponibilità dell’azienda a fornire informazioni e adoperarsi per risolvere i problemi evidenziati; “Move”, che ne attesta il progresso nel corso nel tempo; e infine “Lead”, che la certifica come modello positivo da imitare. Il metro di giudizio comprende, come si è detto, una serie complessa di fattori: la rappresentanza, l'equità salariale, le politiche delle aziende e quanto il tema viene recepito dai dipendenti. Tutto questo viene calcolato attraverso un algoritmo sviluppato da Edge, che ora verrà applicato per la prima volta anche ad aziende ed enti in Italia.
I dati sull'occupazione femminile: nel nel 2020 la percentuale di donne con un impiego era intorno al 49%, contro una media europea del 62,4%

La parità necessaria per i fondi del Pnrr

Ma la causa della parità di genere non è solo idealmente giusta. È anche uno degli obiettivi da realizzare per ottenere i finanziamenti previsti dal Pnrr. Secondo quanto riporta Ipsoa, con la legge 108 del 29 luglio 2021, il governo ha stabilito che “il rapporto aziendale di parità costituisce condizione necessaria, a pena l’esclusione, per poter presentare domanda di partecipazione o offerta nelle gare pubbliche che utilizzano fondi derivanti da risorse del Pnrr”. In parole povere, niente parità, niente soldi e bandi. Una scelta forte e significativa, che evidenza la centralità del tema e potrebbe costituire un punto di svolta.

Salari, posizioni manageriali e maternità: cosa frena ancora la gender equality

A pesare sono sia i divari in termini di posti di lavoro che di salario. Ci sono poi meno donne in posizioni di responsabilità e ancora esiste il problema della maternità
Ma come si struttura oggi il divario di genere? E cosa intendiamo per “gender pay gap”? “Il tema del divario retributivo è complesso – spiega sempre Scarpaleggia –, ma esiste oggettivamente. Ci sono più componenti che lo determinano, tra cui il fatto che ci siano meno donne in posizioni di responsabilità rispetto agli uomini. Le donne poi nel corso della vita entrano ed escono dal mercato del lavoro, ad esempio per motivi legati alla maternità, e poi svolgono spesso lavori di cura a titolo gratuito. Inoltre, c'è una discriminazione salariale a parità di impiego, con un divario si perpetua e allarga nel tempo. Questo poi porta pensioni femminili più basse rispetto a quelle degli uomini, poiché le donne hanno versato meno contributi nel corso della vita”. Guardando al passato, perseguire un obiettivo simile può sembrare un’impresa. Simona Scarpaleggia, però, rimarca un fatto esemplare: “La maggior parte delle aziende con cui abbiamo lavorato che ha inserito, tra i propri obiettivi strategici, quello della gender equality, è poi riuscita a realizzarlo. Il presupposto è di includere il tema nelle strategie aziendali, affinché non siano solo belle parole. Se gli obiettivi sono chiari, si fanno azioni e ci sono risultati”.
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