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Home » Economia » Non solo braccia: i migranti che lavorano nei campi sono persone. Ortomondo dà loro casa e dignità

Non solo braccia: i migranti che lavorano nei campi sono persone. Ortomondo dà loro casa e dignità

Ortomondo, il progetto di "ecologia umana" di Legambiente Paestum vara l'housing sociale per i braccianti stranieri. Oltre a corsi di alfabetizzazione, supporto legale, coinvolgimento nel volontariato. "Ora hanno alloggi dignitosi e un orto per l'autoconsumo. La terra è la fonte del loro riscatto"

Domenico Guarino
26 Maggio 2021
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12mila persone, 24mila braccia che aiutano un comprensorio agricolo tra i più fertili ed avanzati d’Italia a produrre ed esportare ortaggi, frutta, vegetali, richiesti in tutta Europa. Siamo nella Piana del Sele, nel comune di Capaccio Scalo per la precisione (in provincia di Salerno), e qui se non ci fossero i migranti tutto il sistema e tutto l’apparato produttivo entrerebbe immediatamente in crisi. 12mila lavoratori in un territorio di poche decine di chilometri quadrati.
Lavoratori, persone, uomini (e donne) cui sono spesso negati i diritti fondamentali. A partire da quello all’abitare. Che, insieme con il lavoro, è la colonna portante dei processi reali di integrazione.
Per porre rimedio a questo vero e proprio scempio, dal 2015 Legambiente Paestum si è attivata per sviluppare sinergie e azioni in grado di offrire opportunità di relazioni umane e sociali. Da qui nasce l’idea dell’housing sociale: dare una casa a chi ne necessita, producendo percorsi autogestiti di emancipazione economica e sociale.

“All’inizio – ci spiega Pasquale Longo, presidente del circolo Legambiente Paestum – le nostre attività si sono concentrate nei diversi Cas (centri di accoglienza straordinaria) presenti a Capaccio Paestum e dintorni, che sono arrivati ad “accogliere” oltre 500 richiedenti asilo. Corsi di alfabetizzazione, supporto legale, coinvolgimento nelle attività di volontariato per prendersi cura del territorio, visite guidate, creazione di due ciclo officine, corsi di educazione stradale e la nascita all’interno di uno dei Cas dell’orto sociale “OrtoMondo” curato dai richiedenti asilo”.

Libri nei campi coltivati con Ortomondo

E l’idea di dare una casa a questi migranti?
“Oggi molti dei Cas non sono più attivi e il problema principale, l’abitare, si pone in tutta la sua drammaticità. Trovare abitazioni in affitto regolare è molto difficile e tanti sono costretti a vivere in condizioni di estrema precarietà abitativa pur pagando cospicui affitti mensili. In assenza di iniziative pubbliche, nonostante la Regione Campania abbia stanziato fondi per questa emergenza, si alimenta la nascita di aree ghetto che spesso sono causa di allarme sociale e creano nuova esclusione. L’housing sociale è un progetto pilota per mostrare che c’è la possibilità di fare le cose in maniera differente”.

 

In che modo?
“L’idea nasce dall’esperienza maturata insieme ai richiedenti asilo del territorio. Dal 2010, come associazione, li abbiamo coinvolti nella tutela dei beni comuni, del patrimonio archeologico e naturalistico della nostra fascia costiera. Ne sono scaturiti tanti rapporti, tante amicizie. E Una volta che i Cas hanno esaurito le loro funzioni, sia perché i numeri sono diminuiti sia perché i ragazzi hanno ottenuto lo status di rifugiati o hanno trovato altre soluzioni giuridiche per la loro permanenza regolare in Italia, si poneva il problema di trovare casa, abitazioni degne di questo nome in cui poter continuare il percorso di autonomia. Quindi abbiamo preso in affitto l’ex centro di accoglienza, realizzandoci 8 moduli abitativi indipendenti. E ora, dove ci stavano stipate 64 persone nelle condizioni che potete immaginare, ci vivono 14 cittadini di paesi terzi”.

Questi migranti che prima erano ospitati ora pagano l’affitto?
“Sì. Noi come associazione compartecipiamo alle spese, in proporzione al modulo abitativo che occupiamo per le nostre attività e per ospitare i volontari, per il resto è a carico loro. Due persone per ogni modulo di 38 metri quadrati, con un grande spazio in comune e bagno privato. Inoltre, essendo la struttura abitativa contornata da un terreno, abbiamo rilanciato l’esperienza dell’orto sociale ‘Ortomondo” curato in prima persona dai migranti. Il progetto è poi quello di realizzare anche un’aula didattica ed altre attività, perché il concetto che vorremmo affermare è quello non solo di una condivisione abitativa, ma anche delle esperienze”.

Ortomondo cosa faceva? Che progetto era?
“Ortomondo nasce sempre all’interno del centro di accoglienza straordinaria (Cas) Con i richiedenti asilo abbiamo recuperato e dissodato parte di quell’ettaro di terreno, e abbiamo fatto un orto diviso in tanti pezzettini, uno per ciascun partecipante al progetto. Parte dei prodotti dell’orto erano poi destinati all’autoconsumo, parte venivano invece socializzati con una rete solidale composta da Legambiente ed altre associazioni del territorio. L’orto era anche un modo per incentivare lo scambio culturale, attraverso la condivisione di semi provenienti da vari paesi, le differenti tecniche di coltura. Insomma la coltivazione della terra diventava terreno di contaminazione culturale oltre che colturale. Lo scambio come elemento basilare per il percorso di emancipazione che questo ragazzi hanno intrapreso. Apprendere reciprocamente cose nuove e diverse: l’agricoltura come laboratorio di convivenza e di scambio. Nella prima fase nel coltivare l’orto e il terreno, inoltre, i ragazzi ritrovavano quella serenità interiore che chi viene da scelte così difficili e traumatiche come le loro, da percorsi così sofferti e drammatici, spesso ha perduto strada facendo”.

Perché Legambiente, un’associazione ambientalista, si occupa di immigrazione?
“Noi siamo affezionati al concetto di ‘ecologia umana’ che per noi è il punto di partenza. Del resto già a fine anni ’90 avevamo fatto un’altra esperienza con migranti maghrebini, o algerini che fuggivano da situazioni tragiche. Certo, Ortomondo e il progetto di housing sociale è una piccola ma significativa goccia nel mare, perché dimostra che si può fare. Si possono creare percorsi di dignità partendo dalla questione dell’abitare. Un piccolo grande esempio proprio perché autogestito, in grado cioè di generare percorsi inclusione sociale senza costi per la collettività, ed anzi generando numerosi benefici sotto il profilo della coesione e della sicurezza. Stiamo parlando di lavoratori, che soggiornano regolarmente nel nostro Paese, contribuiscono alla ricchezza della zona, sono disposti a pagare un affitto, ma non trovano soluzioni abitative se non tuguri dove sono costretti a vivere in condizioni disumane. Vere e proprie catapecchie fatiscenti. Per altro spesso l’affitto viene corrisposto a persone che non ne sono nemmeno i legittimi proprietari. La terra dunque diventa l’elemento di riscatto sociale, a partire dalla casa, come dicevamo. I richiedenti asilo sono i nuovi abitanti del territorio e quindi hanno tutto il diritto di potersi creare una vita autonoma. Noi li accompagniamo verso la loro autonomia personale”.

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Instagram

  • Numerosi attori e musicisti di alto profilo si sono recati in Ucraina da quando è scoppiata la guerra con la Russia nel febbraio 2022. L’ultimo in ordine di tempo è stato l’attore britannico Orlando Bloom, che ieri ha visitato un centro per bambini e ha incontrato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a Kiev.

“Non mi sarei mai aspettato che la guerra si sarebbe intensificata in tutto il Paese da quando sono stato lì”, ha detto Bloom su Instagram, “Ma oggi ho avuto la fortuna di ascoltare le risate dei bambini in un centro del programma Spilno sostenuto dall’Unicef, uno spazio sicuro, caldo e accogliente dove i bambini possono giocare, imparare e ricevere supporto psicosociale”.

Bloom è un ambasciatore di buona volontà per l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef). Il centro di Splino, che è uno dei tanti in Ucraina, offre sostegno ai bambini sfollati e alle loro famiglie, con più di mezzo milione di bambini che ne hanno visitato uno nell’ultimo anno.

La star hollywoodiana ha poi incontrato il presidente Zelensky, con cui ha trattato temi tra cui il ritorno dei bambini ucraini deportati in Russia, la creazione di rifugi antiatomici negli istituti scolastici e il supporto tecnico per l’apprendimento a distanza nelle aree in cui è impossibile studiare offline a causa della guerra. L’attore britannico aveva scritto ieri su Instagram, al suo arrivo a Kiev, che i «bambini in Ucraina hanno bisogno di riavere la loro infanzia».

#lucelanazione #lucenews #zelensky #orlandobloom
  • “La vita che stavo conducendo mi rendeva particolarmente infelice e se all’inizio ero entrata in terapia perché volevo accettare il fatto che mi dovessi nascondere, ho avuto poi un’evoluzione e questo percorso è diventato di accettazione di me stessa."

✨Un sorriso contagioso, la spensieratezza dei vent’anni e la bellezza di chi si piace e non può che riflettere quella luce anche al di fuori. La si potrebbe definire una Mulan nostrana Carlotta Bertotti, 23 anni, una ragazza torinese come tante, salvo che ha qualcosa di speciale. E non stiamo parlano del Nevo di Ota che occupa metà del suo volto. Ecco però spiegato un primo punto di contatto con Mulan: l’Oriente, dove è più diffusa (insieme all’Africa) quell’alterazione di natura benigna della pigmentazione della cute intorno alla zona degli occhi (spesso anche la sclera si presenta scura). Quella che appare come una chiazza grigio-bluastra su un lato del volto (rarissimi i casi bilaterali), colpisce prevalentemente persone di sesso femminile e le etnie asiatiche (1 su 200 persone in Giappone), può essere presente alla nascita o apparire durante la pubertà. E come la principessa Disney “fin da piccola ho sempre sentito la pressione di dover salvare tutto, ma forse in realtà dovevo solo salvare me stessa. Però non mi piace stare troppo alle regole, sono ribelle come lei”.

🗣Cosa diresti a una ragazza che ha una macchia come la tua e ti chiede come riuscire a conviverci?�
“Che sono profondamente fiera della persona che vedo riflessa allo specchio tutto i giorni e sono arrivata a questa fierezza dopo che ho scoperto e ho accettato tutti i miei lati, sia positivi che negativi. È molto autoreferenziale, quindi invece se dovessi dare un consiglio è quello che alla fine della fiera il giudizio altrui è momentaneo e tutto passa. L’unica persona che resta e con cui devi convivere tutta la vita sei tu, quindi le vere battaglie sono quelle con te stessa, quelle che vale la pena combattere”.

L’intervista a cura di Marianna Grazi �✍ 𝘓𝘪𝘯𝘬 𝘪𝘯 𝘣𝘪𝘰

#lucenews #lucelanazione #carlottabertotti #nevodiota
  • La salute mentale al centro del podcast di Alessia Lanza. Come si supera l’ansia sociale? Quanto è difficile fare coming out? Vado dallo psicologo? Come trovo la mia strada? La popolare influencer, una delle creator più note e amate del web con 1,4 milioni di followers su Instagram e 3,9 milioni su TikTok, Alessia Lanza debutta con “Mille Pare”, il suo primo podcast in cui affronta, in dieci puntate, una “para” diversa e cerca di esorcizzare le sue fragilità e, di riflesso, quelle dei suoi coetanei.

“Ho deciso di fare questo podcast per svariati motivi: io sono arrivata fin qui anche grazie alla mia immagine, ma questa volta vorrei che le persone mi ascoltassero e basta. Quando ho cominciato a raccontare le mie fragilità un sacco di persone mi hanno detto ‘Anche io ho quella para lì!’. Perciò dico parliamone, perché in un mondo in cui sembra che dobbiamo farcela da soli, io credo nel potere della condivisione”.

#lucenews #lucelanazione #millepare #alessialanza #podcast
  • Si è laureata in Antropologia, Religioni e Civiltà Orientali indossando un abito tradizionale Crow, tribù della sua famiglia adottiva in Montana. Eppure Raffaella Milandri è italianissima e ha conseguito il titolo nella storica università Alma Mater di Bologna, lo scorso 17 marzo. 

La scrittrice e giornalista nel 2010 è diventata membro adottivo della famiglia di nativi americani Black Eagle. Da quel momento quella che era una semplice passione per i popoli indigeni si è focalizzata sullo studio degli aborigeni Usa e sulla divulgazione della loro cultura.

Un titolo di studio specifico, quello conseguito dalla Milandri, “Che ho ritenuto oltremodo necessario per coronare la mia attività di studiosa e attivista per i diritti dei Nativi Americani e per i Popoli Indigeni. La prima forma pacifica di attivismo è divulgare la cultura nativa”. L’abito indossato durante cerimonia di laurea appartiene alla tribù della sua famiglia adottiva. Usanza che è stata istituzionalizzata solo dal 2017 in Montana, Stato d’origine del suo popolo, quando è stata approvata una legge (la SB 319) che permette ai nativi e loro familiari di laurearsi con il “tribal regalia“. 

In virtù di questa norma, il Segretario della Crow Nation, Levi Black Eagle, a maggio 2022 ha ricordato la possibilità di indossare l’abito tradizionale Crow in queste occasioni e così Milandri ha chiesto alla famiglia d’adozione se anche lei, in quanto membro acquisito della tribù, avrebbe potuto indossarlo in occasione della sua discussione.

La scrittrice, ricordando il momento della laurea a Bologna, racconta che è stata “Una grandissima emozione e un onore poter rappresentare la Crow Nation e la mia famiglia adottiva. Ho dedicato la mia laurea in primis alle vittime dei collegi indiani, istituti scolastici, perlopiù a gestione cattolica, di stampo assimilazionista. Le stesse vittime per le quali Papa Francesco, lo scorso luglio, si è recato in Canada in viaggio penitenziale a chiedere scusa  Ho molto approfondito questo tema controverso e presto sarà pubblicato un mio studio sull’argomento dalla Mauna Kea Edizioni”.

#lucenews #raffaellamilandri #antropologia
12mila persone, 24mila braccia che aiutano un comprensorio agricolo tra i più fertili ed avanzati d’Italia a produrre ed esportare ortaggi, frutta, vegetali, richiesti in tutta Europa. Siamo nella Piana del Sele, nel comune di Capaccio Scalo per la precisione (in provincia di Salerno), e qui se non ci fossero i migranti tutto il sistema e tutto l’apparato produttivo entrerebbe immediatamente in crisi. 12mila lavoratori in un territorio di poche decine di chilometri quadrati. Lavoratori, persone, uomini (e donne) cui sono spesso negati i diritti fondamentali. A partire da quello all’abitare. Che, insieme con il lavoro, è la colonna portante dei processi reali di integrazione. Per porre rimedio a questo vero e proprio scempio, dal 2015 Legambiente Paestum si è attivata per sviluppare sinergie e azioni in grado di offrire opportunità di relazioni umane e sociali. Da qui nasce l’idea dell’housing sociale: dare una casa a chi ne necessita, producendo percorsi autogestiti di emancipazione economica e sociale. “All’inizio – ci spiega Pasquale Longo, presidente del circolo Legambiente Paestum - le nostre attività si sono concentrate nei diversi Cas (centri di accoglienza straordinaria) presenti a Capaccio Paestum e dintorni, che sono arrivati ad “accogliere” oltre 500 richiedenti asilo. Corsi di alfabetizzazione, supporto legale, coinvolgimento nelle attività di volontariato per prendersi cura del territorio, visite guidate, creazione di due ciclo officine, corsi di educazione stradale e la nascita all’interno di uno dei Cas dell’orto sociale “OrtoMondo” curato dai richiedenti asilo”.
Libri nei campi coltivati con Ortomondo
E l’idea di dare una casa a questi migranti? "Oggi molti dei Cas non sono più attivi e il problema principale, l’abitare, si pone in tutta la sua drammaticità. Trovare abitazioni in affitto regolare è molto difficile e tanti sono costretti a vivere in condizioni di estrema precarietà abitativa pur pagando cospicui affitti mensili. In assenza di iniziative pubbliche, nonostante la Regione Campania abbia stanziato fondi per questa emergenza, si alimenta la nascita di aree ghetto che spesso sono causa di allarme sociale e creano nuova esclusione. L’housing sociale è un progetto pilota per mostrare che c’è la possibilità di fare le cose in maniera differente".   In che modo? "L’idea nasce dall’esperienza maturata insieme ai richiedenti asilo del territorio. Dal 2010, come associazione, li abbiamo coinvolti nella tutela dei beni comuni, del patrimonio archeologico e naturalistico della nostra fascia costiera. Ne sono scaturiti tanti rapporti, tante amicizie. E Una volta che i Cas hanno esaurito le loro funzioni, sia perché i numeri sono diminuiti sia perché i ragazzi hanno ottenuto lo status di rifugiati o hanno trovato altre soluzioni giuridiche per la loro permanenza regolare in Italia, si poneva il problema di trovare casa, abitazioni degne di questo nome in cui poter continuare il percorso di autonomia. Quindi abbiamo preso in affitto l’ex centro di accoglienza, realizzandoci 8 moduli abitativi indipendenti. E ora, dove ci stavano stipate 64 persone nelle condizioni che potete immaginare, ci vivono 14 cittadini di paesi terzi". Questi migranti che prima erano ospitati ora pagano l’affitto? "Sì. Noi come associazione compartecipiamo alle spese, in proporzione al modulo abitativo che occupiamo per le nostre attività e per ospitare i volontari, per il resto è a carico loro. Due persone per ogni modulo di 38 metri quadrati, con un grande spazio in comune e bagno privato. Inoltre, essendo la struttura abitativa contornata da un terreno, abbiamo rilanciato l’esperienza dell’orto sociale ‘Ortomondo” curato in prima persona dai migranti. Il progetto è poi quello di realizzare anche un’aula didattica ed altre attività, perché il concetto che vorremmo affermare è quello non solo di una condivisione abitativa, ma anche delle esperienze". Ortomondo cosa faceva? Che progetto era? "Ortomondo nasce sempre all’interno del centro di accoglienza straordinaria (Cas) Con i richiedenti asilo abbiamo recuperato e dissodato parte di quell’ettaro di terreno, e abbiamo fatto un orto diviso in tanti pezzettini, uno per ciascun partecipante al progetto. Parte dei prodotti dell’orto erano poi destinati all’autoconsumo, parte venivano invece socializzati con una rete solidale composta da Legambiente ed altre associazioni del territorio. L’orto era anche un modo per incentivare lo scambio culturale, attraverso la condivisione di semi provenienti da vari paesi, le differenti tecniche di coltura. Insomma la coltivazione della terra diventava terreno di contaminazione culturale oltre che colturale. Lo scambio come elemento basilare per il percorso di emancipazione che questo ragazzi hanno intrapreso. Apprendere reciprocamente cose nuove e diverse: l’agricoltura come laboratorio di convivenza e di scambio. Nella prima fase nel coltivare l’orto e il terreno, inoltre, i ragazzi ritrovavano quella serenità interiore che chi viene da scelte così difficili e traumatiche come le loro, da percorsi così sofferti e drammatici, spesso ha perduto strada facendo". Perché Legambiente, un’associazione ambientalista, si occupa di immigrazione? "Noi siamo affezionati al concetto di ‘ecologia umana’ che per noi è il punto di partenza. Del resto già a fine anni ’90 avevamo fatto un’altra esperienza con migranti maghrebini, o algerini che fuggivano da situazioni tragiche. Certo, Ortomondo e il progetto di housing sociale è una piccola ma significativa goccia nel mare, perché dimostra che si può fare. Si possono creare percorsi di dignità partendo dalla questione dell’abitare. Un piccolo grande esempio proprio perché autogestito, in grado cioè di generare percorsi inclusione sociale senza costi per la collettività, ed anzi generando numerosi benefici sotto il profilo della coesione e della sicurezza. Stiamo parlando di lavoratori, che soggiornano regolarmente nel nostro Paese, contribuiscono alla ricchezza della zona, sono disposti a pagare un affitto, ma non trovano soluzioni abitative se non tuguri dove sono costretti a vivere in condizioni disumane. Vere e proprie catapecchie fatiscenti. Per altro spesso l’affitto viene corrisposto a persone che non ne sono nemmeno i legittimi proprietari. La terra dunque diventa l’elemento di riscatto sociale, a partire dalla casa, come dicevamo. I richiedenti asilo sono i nuovi abitanti del territorio e quindi hanno tutto il diritto di potersi creare una vita autonoma. Noi li accompagniamo verso la loro autonomia personale".
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