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Home » Economia » Sempre più cemento (e campi fotovoltaici): il consumo di suolo aumenta nelle città e lungo le coste. E nessuno lo ferma

Sempre più cemento (e campi fotovoltaici): il consumo di suolo aumenta nelle città e lungo le coste. E nessuno lo ferma

Nel 2020 ogni giorno 15 ettari sono stati coperti artificialmente, con danni per agricoltura e falde idriche. Le zone vicine alle coste (specie adriatiche), Lombardia e Veneto, Provincia e Comune di Roma le aree più colpite. In Abruzzo e Molise il maggior incremento. L'obiettivo consumo zero nel 2050 sembra irraggiungibile

Domenico Guarino
31 Luglio 2021
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Certo, i cambiamenti climatici, certo le emissioni di C02, ma la fragilità climatica ed idrogeologica del nostro Paese ha anche una spiegazione che punta dritto dritto al modo in cui realizziamo i nostri insediamenti, ed all’urbanizzazione sempre più congestionata che si riscontra nella penisola.
Il consumo di suolo in Italia continua infatti a trasformare il territorio nazionale con velocità elevate. Secondo il consueto rapporto annuale curato da Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), solo nell’ultimo anno “le nuove coperture artificiali hanno riguardato altri 56,7 km2 , ovvero, in media, più di 15 ettari al giorno”. Si tratta di un incremento che rimane in linea con quelli rilevati nel recente e fa perdere al nostro Paese quasi 2 metri quadrati di suolo ogni secondo, causando la perdita di aree naturali e agricole, che vengono sostituite da nuovi edifici, infrastrutture, insediamenti commerciali, logistici, produttivi e di servizio e da altre aree a copertura artificiale all’interno e all’esterno delle aree urbane esistenti.

Ristrutturazione di un’area di edilizia residenziale a Bologna: esempio di risparmio di suolo

Compensazione parziale

Questa crescita, spiega ancora ISPRA è “solo in parte compensata dal ripristino di aree naturali, pari quest’anno a 5 km2 , dovuti al passaggio da suolo consumato a suolo non consumato (in genere grazie al recupero di aree di cantiere o di superfici che erano state già classificate come consumo di suolo reversibile)”.
I dati della nuova cartografia SNPA mostrano che i valori netti dei cambiamenti nell’ultimo anno sono pari a 51,7 km2 , equivalenti a 1,72 m2 per ogni ettaro di territorio italiano. In aggiunta, si deve considerare che 8,2 km2 sono passati, nell’ultimo anno, da suolo consumato reversibile, a suolo consumato permanente, sigillando ulteriormente il territorio. In particolare, l’impermeabilizzazione è quindi cresciuta, complessivamente, di 18 km2 , considerando anche il nuovo consumo di suolo permanente.

Il rifacimento di una facciata

E come se non bastasse, “si assiste a una crescita delle superfici artificiali anche in presenza di stabilizzazione, in molti casi di decrescita, dei residenti” a testimonianza del fatto che siamo di fronte ad un fenomeno che perdura anche in presenza di variabili demografiche negative.
Il suolo consumato pro capite aumenta in un anno di 1,92 m2 , passando da 357 a 359 m2 /ab, a fonte dei 349 m2 /ab nel 2015. La copertura artificiale del suolo è ormai arrivata al 7,11% (7,02% nel 2015, 6,76% nel 2006) rispetto alla media UE del 4,2%. La percentuale nazionale sale al 9,15% all’interno del suolo utile, ovvero quella parte di territorio teoricamente disponibile e idonea ai diversi usi.

 

Ora a rischio anche Abruzzo e Molise

I cambiamenti rilevati nell’ultimo anno sono particolarmente elevati in Lombardia (12,08%), Veneto (11,87%) e Campania (10,39%) e, in generale nelle pianure del Nord. Il fenomeno rimane molto intenso anche lungo le coste siciliane e della Puglia meridionale e nelle aree metropolitane di Roma, Milano, Napoli, Bari, Bologna. Gradi elevati di trasformazione permangono lungo quasi tutta la costa adriatica.
In termini di incremento percentuale rispetto alla superficie artificiale dell’anno precedente, i valori più elevati sono in Abruzzo (+0,46%), Molise (+0,37%), Sardegna (+0,32%) Veneto, Lazio e Puglia (+0,31%). Mentre in termini di suolo       consumato pro capite, il Molise presenta il valore più alto (576 m2 /ab), oltre 200 m2 in più rispetto al valore nazionale (359 m2 /ab), seguita da Basilicata (571 m2 /ab) e Valle d’Aosta (559 m2 /ab).

Sicilia, Lombardia, Liguria, Campania e Lazio presentano i valori più bassi e al di sotto del valore nazionale. Limitandosi alla crescita annuale, Molise (2,15 m2 /ab) e Abruzzo (1,91 m2 /ab), sono le due regioni che presentano valori superiori al doppio del dato nazionale sul consumo di suolo pro capite (0,87 m2 /ab).

Tre torri di edilizia popolare residenziale a Tor Bella Monaca a Roma

Zone vicine alla costa e campi nelle città

In particolare, sottolinea Ispra “la maggior densità dei cambiamenti è stata registrata quest’anno lungo la fascia costiera entro un chilometro dal mare, nelle aree di pianura, nelle città e nelle zone urbane e periurbane dei principali poli e dei comuni di cintura, in particolare dove i valori immobiliari sono più elevati e a scapito, principalmente, di suoli precedentemente agricoli e a vegetazione erbacea, anche in ambito urbano”.

 

Roma capitale del consumo di suolo

La provincia dove il consumo di suolo netto è cresciuto di più nel 2020 è Roma con 271 ettari di nuovo suolo artificiale, seguita da Brescia (+214) e Vicenza (+172). Crescite significative, comprese tra 100 e 170 ettari nell’ultimo anno, si riscontrano anche a Verona, Torino, Bari, Padova, Sassari, Lecce, Bergamo, Novara, Foggia, Chieti, Catania, Treviso. In percentuale rispetto al valore del 2019 i valori più elevati sono quelli di Cagliari (+0,86%), Novara (+0,77%), Chieti (+0,68%) e Ascoli Piceno (+0,56%).

Monza e Brianza si conferma la provincia con la percentuale di suolo consumato più alta, con circa il 41% di suolo consumato in rapporto alla superficie provinciale e un ulteriore incremento di 27 ettari.

 

Troia, un “primato” dovuto al fotovoltaico

Roma, con un incremento di superficie artificiale di 123 ettari, si conferma anche quest’anno il comune italiano che più ha trasformato il suo territorio. Singolarmente invece, il secondo comune per consumo di suolo del 2020 è Troia (Foggia), con 66 ettari di incremento. La spiegazione? “ l’origine di questo consumo di suolo -dice Ispra – va ricercata nell’ampliamento delle superfici destinate all’installazione di pannelli fotovoltaici a terra, su aree precedentemente agricole”.

Un impianto fotovoltaico con consumo di suolo

 

Addio suolo a Bari e Firenze

Tra i capoluoghi regionali, oltre a Roma, riscontriamo una crescita notevole delle superfici artificiali a Bari (+19), Firenze (+16), L’Aquila e Torino (entrambi con 14 ettari in più).

Trieste, Cagliari e Campobasso confermano la tendenza dello scorso anno con variazioni inferiori all’ettaro.

 

Temperature in aumento

Il consumo di suolo è più intenso nelle aree già molto compromesse e contribuisce a far diventare sempre più calde le nostre città, con il fenomeno delle isole di calore e la differenza di temperatura estiva tra aree a copertura artificiale densa o diffusa che, rispetto a quelle rurali raggiunge spesso valori superiori a 2°C nelle città più grandi, viceversa, Dice Ispra “il consumo di suolo è meno intenso all’interno delle aree protette (dove si registrano comunque 65 ettari in più nell’ultimo anno) e nelle aree montane, ma è invece evidente all’interno delle aree vincolate per la tutela paesaggistica (+1.037 ettari), entro i 10 km dal mare (+1.284 ettari), in aree a pericolosità idraulica media (+767 ettari), in aree a pericolosità da frana (+286 ettari) e in aree a pericolosità sismica (+1.852 ettari)”.

 

Addio a quattro milioni di quintali di prodotti agricoli

In danno che se ne ricava è notevole. Secondo il rapporto ISPRA “Le aree perse in Italia dal 2012 avrebbero ad esempio garantito la fornitura complessiva di 4 milioni e 155 mila quintali di prodotti agricoli e l’infiltrazione di oltre 360 milioni di metri cubi di acqua di pioggia che ora, scorrendo in superficie, non sono più disponibili per la ricarica delle falde e aggravano la pericolosità idraulica dei nostri territori. Nello stesso periodo, la perdita della capacità di stoccaggio del carbonio di queste aree (circa tre milioni di tonnellate) equivale, in termini di emissione di CO2, a quanto emetterebbero oltre un milione di autovetture con una percorrenza media di 11.200 km l’anno tra il 2012 e il 2020: un totale di oltre 90 miliardi di chilometri percorsi, più di 2 milioni di volte il giro della terra.

Questo consumo di suolo recente produce anche un danno economico potenziale che supera i 3 miliardi di euro ogni anno, a causa della perdita dei servizi ecosistemici del suolo”.

 

La zona residenziale di Napoli vista dal drone

L’obiettivo azzeramento entro il 2050

Cosa accadrà in futuro, a partire da questi dati? Secondo Ispra, nel caso in cui la velocità di trasformazione dovesse confermarsi pari a quella attuale anche nei prossimi anni, “il nuovo consumo di suolo può essere stimato in n 1.552 km2 tra il 2020 e il 2050 e invece si dovesse tornare alla velocità media registrata nel periodo 2006-2012, si sfiorerebbero i 3.000 km2 . Nel caso in cui si attuasse una progressiva riduzione della velocità di trasformazione, ipotizzata nel 15% ogni triennio, si avrebbe un incremento delle aree artificiali di oltre 800 km2 , prima dell’azzeramento al 2050”.
In pratica, sottolinea l’Istiuto, si tratta di “ valori molto lontani dagli obiettivi di sostenibiità dell’Agenda 2030 che, sulla base delle attuali previsioni demografiche, imporrebbero un saldo negativo del consumo di suolo”. Ciò significa che, a partire dal 2030, la “sostenibilità” dello sviluppo richiederebbe un aumento netto delle aree naturali di 318 km2 o addirittura di 971 km2 che andrebbero recuperati nel caso in cui si volesse anticipare tale obiettivo da subito.

 

Costi sociali elevatissimi

A quali costi? “Considerando i costi annuali medi dovuti alla perdita di servizi ecosistemici, sia per la componente legata ai flussi, sia per la componente legata allo stock, si può stimare, se fosse confermata la velocità media 2012-2020 anche nei prossimi 10 anni e quindi la crescita dei valori economici dei servizi ecosistemici persi, un costo cumulato complessivo, tra il 2012 e il 2030, compreso tra 81,5 e 99,5 miliardi di euro, praticamente la metà dell’intero Piano nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr)” conclude Ispra.

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  • "Ora dobbiamo fare di meno, per il futuro".

Torna anche quest’anno l
  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
  • Presidi psicologici, psicoterapeutici e di counselling per tutti gli studenti universitari e scolastici. Lo chiedono l’Udu, Unione degli universitari, e la Rete degli studenti medi nella proposta di legge ‘Chiedimi come sto’ consegnata a una delegazione di parlamentari nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.

La proposta è stata redatta secondo le conclusioni di una ricerca condotta da Spi-Cgil e Istituto Ires, che ha evidenziato come, su un campione di 50mila risposte, il 28 per cento abbia avuto esperienze di disturbi alimentari e oltre il 14 di autolesionismo.

“Nella nostra generazione è ancora forte lo stigma verso chi sta male ed è difficile chiedere aiuto - spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu - l’interesse effettivo della politica si è palesato solo dopo il 15esimo suicidio di studenti universitari in un anno e mezzo. Ci sembra assurdo che la politica si interessi solamente dopo che si supera il limite, con persone che arrivano a scegliere di togliersi la vita.

Dall’altro lato, è positivo che negli ultimi mesi si sia deciso di chiedere a noi studenti come affrontare e come risolvere, il problema. Non è scontato e non è banale, perché siamo abituati a decenni in cui si parla di nuove generazioni senza parlare alle nuove generazioni”.

#luce #lucenews #università
  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere
Certo, i cambiamenti climatici, certo le emissioni di C02, ma la fragilità climatica ed idrogeologica del nostro Paese ha anche una spiegazione che punta dritto dritto al modo in cui realizziamo i nostri insediamenti, ed all’urbanizzazione sempre più congestionata che si riscontra nella penisola. Il consumo di suolo in Italia continua infatti a trasformare il territorio nazionale con velocità elevate. Secondo il consueto rapporto annuale curato da Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), solo nell’ultimo anno “le nuove coperture artificiali hanno riguardato altri 56,7 km2 , ovvero, in media, più di 15 ettari al giorno”. Si tratta di un incremento che rimane in linea con quelli rilevati nel recente e fa perdere al nostro Paese quasi 2 metri quadrati di suolo ogni secondo, causando la perdita di aree naturali e agricole, che vengono sostituite da nuovi edifici, infrastrutture, insediamenti commerciali, logistici, produttivi e di servizio e da altre aree a copertura artificiale all’interno e all’esterno delle aree urbane esistenti.
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E come se non bastasse, “si assiste a una crescita delle superfici artificiali anche in presenza di stabilizzazione, in molti casi di decrescita, dei residenti” a testimonianza del fatto che siamo di fronte ad un fenomeno che perdura anche in presenza di variabili demografiche negative. Il suolo consumato pro capite aumenta in un anno di 1,92 m2 , passando da 357 a 359 m2 /ab, a fonte dei 349 m2 /ab nel 2015. La copertura artificiale del suolo è ormai arrivata al 7,11% (7,02% nel 2015, 6,76% nel 2006) rispetto alla media UE del 4,2%. La percentuale nazionale sale al 9,15% all’interno del suolo utile, ovvero quella parte di territorio teoricamente disponibile e idonea ai diversi usi.  

Ora a rischio anche Abruzzo e Molise

I cambiamenti rilevati nell’ultimo anno sono particolarmente elevati in Lombardia (12,08%), Veneto (11,87%) e Campania (10,39%) e, in generale nelle pianure del Nord. Il fenomeno rimane molto intenso anche lungo le coste siciliane e della Puglia meridionale e nelle aree metropolitane di Roma, Milano, Napoli, Bari, Bologna. Gradi elevati di trasformazione permangono lungo quasi tutta la costa adriatica. In termini di incremento percentuale rispetto alla superficie artificiale dell’anno precedente, i valori più elevati sono in Abruzzo (+0,46%), Molise (+0,37%), Sardegna (+0,32%) Veneto, Lazio e Puglia (+0,31%). Mentre in termini di suolo       consumato pro capite, il Molise presenta il valore più alto (576 m2 /ab), oltre 200 m2 in più rispetto al valore nazionale (359 m2 /ab), seguita da Basilicata (571 m2 /ab) e Valle d’Aosta (559 m2 /ab). Sicilia, Lombardia, Liguria, Campania e Lazio presentano i valori più bassi e al di sotto del valore nazionale. Limitandosi alla crescita annuale, Molise (2,15 m2 /ab) e Abruzzo (1,91 m2 /ab), sono le due regioni che presentano valori superiori al doppio del dato nazionale sul consumo di suolo pro capite (0,87 m2 /ab).
Tre torri di edilizia popolare residenziale a Tor Bella Monaca a Roma

Zone vicine alla costa e campi nelle città

In particolare, sottolinea Ispra “la maggior densità dei cambiamenti è stata registrata quest’anno lungo la fascia costiera entro un chilometro dal mare, nelle aree di pianura, nelle città e nelle zone urbane e periurbane dei principali poli e dei comuni di cintura, in particolare dove i valori immobiliari sono più elevati e a scapito, principalmente, di suoli precedentemente agricoli e a vegetazione erbacea, anche in ambito urbano”.  

Roma capitale del consumo di suolo

La provincia dove il consumo di suolo netto è cresciuto di più nel 2020 è Roma con 271 ettari di nuovo suolo artificiale, seguita da Brescia (+214) e Vicenza (+172). Crescite significative, comprese tra 100 e 170 ettari nell’ultimo anno, si riscontrano anche a Verona, Torino, Bari, Padova, Sassari, Lecce, Bergamo, Novara, Foggia, Chieti, Catania, Treviso. In percentuale rispetto al valore del 2019 i valori più elevati sono quelli di Cagliari (+0,86%), Novara (+0,77%), Chieti (+0,68%) e Ascoli Piceno (+0,56%). Monza e Brianza si conferma la provincia con la percentuale di suolo consumato più alta, con circa il 41% di suolo consumato in rapporto alla superficie provinciale e un ulteriore incremento di 27 ettari.  

Troia, un "primato" dovuto al fotovoltaico

Roma, con un incremento di superficie artificiale di 123 ettari, si conferma anche quest’anno il comune italiano che più ha trasformato il suo territorio. Singolarmente invece, il secondo comune per consumo di suolo del 2020 è Troia (Foggia), con 66 ettari di incremento. La spiegazione? “ l’origine di questo consumo di suolo -dice Ispra - va ricercata nell’ampliamento delle superfici destinate all’installazione di pannelli fotovoltaici a terra, su aree precedentemente agricole”.
Un impianto fotovoltaico con consumo di suolo
 

Addio suolo a Bari e Firenze

Tra i capoluoghi regionali, oltre a Roma, riscontriamo una crescita notevole delle superfici artificiali a Bari (+19), Firenze (+16), L’Aquila e Torino (entrambi con 14 ettari in più). Trieste, Cagliari e Campobasso confermano la tendenza dello scorso anno con variazioni inferiori all’ettaro.  

Temperature in aumento

Il consumo di suolo è più intenso nelle aree già molto compromesse e contribuisce a far diventare sempre più calde le nostre città, con il fenomeno delle isole di calore e la differenza di temperatura estiva tra aree a copertura artificiale densa o diffusa che, rispetto a quelle rurali raggiunge spesso valori superiori a 2°C nelle città più grandi, viceversa, Dice Ispra “il consumo di suolo è meno intenso all’interno delle aree protette (dove si registrano comunque 65 ettari in più nell’ultimo anno) e nelle aree montane, ma è invece evidente all’interno delle aree vincolate per la tutela paesaggistica (+1.037 ettari), entro i 10 km dal mare (+1.284 ettari), in aree a pericolosità idraulica media (+767 ettari), in aree a pericolosità da frana (+286 ettari) e in aree a pericolosità sismica (+1.852 ettari)”.  

Addio a quattro milioni di quintali di prodotti agricoli

In danno che se ne ricava è notevole. Secondo il rapporto ISPRA “Le aree perse in Italia dal 2012 avrebbero ad esempio garantito la fornitura complessiva di 4 milioni e 155 mila quintali di prodotti agricoli e l’infiltrazione di oltre 360 milioni di metri cubi di acqua di pioggia che ora, scorrendo in superficie, non sono più disponibili per la ricarica delle falde e aggravano la pericolosità idraulica dei nostri territori. Nello stesso periodo, la perdita della capacità di stoccaggio del carbonio di queste aree (circa tre milioni di tonnellate) equivale, in termini di emissione di CO2, a quanto emetterebbero oltre un milione di autovetture con una percorrenza media di 11.200 km l’anno tra il 2012 e il 2020: un totale di oltre 90 miliardi di chilometri percorsi, più di 2 milioni di volte il giro della terra. Questo consumo di suolo recente produce anche un danno economico potenziale che supera i 3 miliardi di euro ogni anno, a causa della perdita dei servizi ecosistemici del suolo”.  
La zona residenziale di Napoli vista dal drone

L'obiettivo azzeramento entro il 2050

Cosa accadrà in futuro, a partire da questi dati? Secondo Ispra, nel caso in cui la velocità di trasformazione dovesse confermarsi pari a quella attuale anche nei prossimi anni, “il nuovo consumo di suolo può essere stimato in n 1.552 km2 tra il 2020 e il 2050 e invece si dovesse tornare alla velocità media registrata nel periodo 2006-2012, si sfiorerebbero i 3.000 km2 . Nel caso in cui si attuasse una progressiva riduzione della velocità di trasformazione, ipotizzata nel 15% ogni triennio, si avrebbe un incremento delle aree artificiali di oltre 800 km2 , prima dell’azzeramento al 2050”. In pratica, sottolinea l’Istiuto, si tratta di “ valori molto lontani dagli obiettivi di sostenibiità dell’Agenda 2030 che, sulla base delle attuali previsioni demografiche, imporrebbero un saldo negativo del consumo di suolo”. Ciò significa che, a partire dal 2030, la “sostenibilità” dello sviluppo richiederebbe un aumento netto delle aree naturali di 318 km2 o addirittura di 971 km2 che andrebbero recuperati nel caso in cui si volesse anticipare tale obiettivo da subito.  

Costi sociali elevatissimi

A quali costi? “Considerando i costi annuali medi dovuti alla perdita di servizi ecosistemici, sia per la componente legata ai flussi, sia per la componente legata allo stock, si può stimare, se fosse confermata la velocità media 2012-2020 anche nei prossimi 10 anni e quindi la crescita dei valori economici dei servizi ecosistemici persi, un costo cumulato complessivo, tra il 2012 e il 2030, compreso tra 81,5 e 99,5 miliardi di euro, praticamente la metà dell’intero Piano nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr)” conclude Ispra.
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