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In Italia niente affidi per single e coppie omosessuali

L'associazione M’aMa-Dalla Parte dei Bambini, attraverso il progetto AFFIDIamoci, lancia un appello: “Non esistono famiglie di serie B, ma solo persone adeguatamente formate ad accogliere bambini con e senza bisogni speciali"

di CATERINA CECCUTI -
3 marzo 2023
Karin Falconi e Emilia Russo

Karin Falconi e Emilia Russo

I così detti "bambini fragili" appartengono a quella categoria di minori che, vuoi per condizioni di salute, vuoi per un vissuto alle spalle particolarmente traumatizzante, hanno bisogno di attenzioni speciali. Attenzioni che la famiglia di origine, se esiste ancora, non sempre è in grado di dargli. Ecco allora che entrano in gioco i servizi sociali, in attesa del palesarsi di una famiglia affidataria disposta a farsi carico di un essere umano adolescente o piccolo - ma solo dal punto di vista anagrafico-, già fortemente provato dagli eventi della vita. Non è semplice incontrare un papà e una mamma più coraggiosi del normale. Certamente, se le possibilità si aprissero (realmente, non solo sulla carta) anche a genitori single e a coppie omosessuali, la percentuale dei coraggiosi salirebbe indiscutibilmente. Peccato che questa categoria di genitori affidatari, seppur tutelati dalla dalla legge 184/1983 (che regola adozioni e affidi), nella pratica non venga presa in considerazione, eccezion fatta da pochi tribunali del territorio nazionale. Normalmente, infatti, un bambino con (bisogni speciali) raramente verrà destinato a coppie omosessuali o a genitori single, perché data la sua particolare situazione "ha bisogno di una famiglia normale", ossia di un padre uomo e di una madre donna. A parte la più che discutibile dose di pregiudizio, il risultato finale per questi piccoli sfortunati è che si troveranno a trascorrere tempi interminabili nelle strutture di accoglienza, senza avere la possibilità di ricevere cure attente ed esclusive che solo un genitore, seppur affidatario, saprebbe dargli...considerando che spesso di coppie eterosessuali disponibili non ce ne sono. Le conseguenze, dal punto di vista psicologico e non solo, sono purtroppo facilmente immaginabili. Noi di Luce! abbiamo incontrato Karin Falconi, consulente genitoriale esperta in affido e adozione nonché fondatrice - insieme all'avvocato Emilia Russo - dell'associazione M'aMa-dalla Parte dei bambini (meglio conosciuta come "Rete delle MammeMatte"), che ci ha aiutato a fare chiarezza sui diritti disattesi dei minori speciali. Ma, soprattutto, Karin è una delle molte donne single, separata e con un figlio, che non riusciva ad adottare un bambino: "La medesima ingiustizia la vedevo perpetrata nei confronti di alcuni amici omosessuali, uniti stabilmente, seppur non esistano ricerche scientifiche che evidenzino che per il benessere psico-fisico di un bambino sia necessario crescere in una famiglia tradizionale".

Karin Falconi, fondatrice dell'associazione M’aMa - Dalla Parte dei Bambini, racconta il progetto AFFIDIamoci

Perché “MammeMatte”, innanzitutto? "È bene subito chiarire un principio: ognuno di noi può essere una MammaMatta, a prescindere dal genere a cui si appartiene. Un papà, uno/un/una single, una zia, un nonno, vale a dire una persona. L’associazione M’aMa - Dalla Parte dei Bambini è stata fondata a marzo 2017, e collabora con servizi sociali e tribunali dell’intero territorio nazionale; al suo interno opera AFFIDIamoci progetto che io stessa ho fondato per promuovere e tutelare la genitorialità mono e omosessuale affidataria. Ad oggi M’aMa è riuscita collocare in famiglie affidatarie/adottive 180 minori con bisogni speciali. Purtroppo, appena il 5% di queste sono rappresentate da coppie omosessuali e solo il 15% da single. Il mio lavoro all'interno del progetto è quello di affiancare le famiglie (single, coppie etero e omosessuali), nelle varie fasi del processo di accoglienza genitoriale, mentre Emilia Russo cura la parte legale e progettuale”. Qual è la vostra mission? "Quella di collocare minori 'fragili', ossia difficilmente collocabili a causa dell’età (dai 9 anni in su), di problemi di salute, di natura psicologica/comportamentale, o per abusi e maltrattamenti subiti. Questi bambini, già fortemente provati dalla vita, hanno difficoltà a trovare famiglie disposte ad accoglierli e rischiano di perdersi nell’istituzionalizzazione. Se è vero però che l’obbiettivo del progetto è creare una rete di famiglie appositamente formate e disponibili all’affido o all’adozione di minori fragili, la verità è che in Italia sono ancora ben pochi i tribunali disposti ad accettare il concetto di famiglia allargata ai genitori single e alle coppie omosessuali. È come se si ritenesse ancora che famiglie composte da genitori di questo tipo non possano rappresentare un ambiente sicuro e normale in cui crescere un minore. Come teniamo costantemente a sottolineare, dal 1983 è in vigore la legge 184, che decreta il 'diritto del minore a crescere ed essere educato nell’ambito di una famiglia, senza distinzione di sesso, di etnia, di età, di lingua, di religione'. Eppure, di fatto, questo non accade, ad eccezione di regioni virtuose in cui non c’è discriminazione di sorta, come la Campania, la Sardegna, la Toscana". Dottoressa Falconi, sono molte le coppie omosessuali o i single che si propongono per l'affido e l'adozione di bambini fragili? "Nel nostro database, in una rete di 6000 famiglie (tra adottive e affidatarie), il 20% del totale è rappresentato da coppie omosessuali e single. Il problema è che, dopo aver terminato il percorso formativo presso i servizi sociali competenti, rimangono 'parcheggiati', ovvero non vengono mai utilizzati come risorse accoglienti dagli stessi servizi sociali che li hanno formati. La nostra convinzione è che al momento in cui all'appello risponde una famiglia consapevole e opportunamente formata, giudici ed assistenti sociali non devono lasciarsi influenzare da inutili pregiudizi, ma devono concentrare la propria valutazione sulla reale idoneità delle persone disposte ad accogliere quel minore e sulle necessità del minore stesso. Oltretutto, capita spesso che le coppie omosessuali e i single siano più in-formati delle coppie coppie tradizionali". In che senso? "Nella nostra realtà associativa è un dato di fatto. Difficilmente si incontrerà un single o una coppia omosessuale che non abbiano eseguito la procedura di formazione più di una volta presso il centro affido, che non abbiano preso parte anche ad eventi formativi in proprio o non abbiano fatto volontariato nelle case famiglia. Sarà forse perché hanno più motivazione, o perché soffrono del peso del pregiudizio e si sentono in dovere di offrire una performance migliore. Non so il motivo, fatto sta che sono molto preparati, oltre a svolgere spesso professioni che richiedono forte sensibilità sociale".

I ciondoli Mama

Invece non vengono quasi mai convocati. Possibile? "Le faccio un esempio pratico: ci troviamo davanti al caso di un bimbo con una grave disabilità o 'semplicemente' in età adolescenziale. Se da una parte si presenta una coppia di donne omosessuali, di cui una fa la psichiatra e l'altra l'educatrice, mentre dall'altra parte abbiamo due etero direttori di banca, stia pur certa che l'affido lo daranno ai direttori, o almeno questo capita nella maggior parte dei servizi sociali e dei tribunali. Invece che dal pregiudizio, l'abbinamento dovrebbe dipendere dalle reali necessità del bambino". La vostra associazione si batte per cambiare il concetto attuale di famiglia. Ma come funziona la procedura di formazione delle famiglie affidatarie? "La collaborazione con i tribunali e gli assistenti sociali è continua e sistemica. Formare, informare, accompagnare le famiglie disponibili all’accoglienza di minori con bisogni speciali è il primo passo per favorire un’accoglienza sana ed equilibrata. Ma, come dicevamo prima, oltre alla formazione il nostro impegno è rivolto alla promozione presso le istituzioni della presa di coscienza di come il concetto stesso di famiglia sia cambiato. Ogni tipologia di famiglia, se corrisponde ai bisogni del bambino, è adeguata. La barriera culturale delineata da pregiudizi insensati, rallenta e blocca i processi di accoglienza. E purtroppo abbiamo notato che il pregiudizio maggiore è quello nei confronti dell’uomo single, che praticamente viene percepito come un pedofilo. Ecco che a questo punto diventa davvero necessario rivalutare il concetto di normalità: è 'normale' lasciar crescere un minore in comunità, quando potrebbe essere accolto dall’amore familiare di persone che hanno tutte le caratteristiche e capacità per farlo? La struttura familiare non ha nulla a che fare con la capacità genitoriale, questo ormai è un dato di fatto. Il bambino ha bisogno di far riferimento al ruolo paterno e a quello materno, ma non è detto che i due ruoli si identifichino necessariamente con il genere maschile e con quello femminile. Anche nelle coppie omosessuali è sempre presente una componente più accudente ed una più autoritaria". Ha parlato del rischio, per il bambino fragile, di trascorrere troppo tempo in comunità. Quali possono essere le conseguenze? "Esistono evidenze scientifiche a riguardo: un bambino con gravi disabilità, se viene accolto fin dalla nascita in una famiglia capace di avviare la corretta assistenza socio-sanitaria, riduce di una buona percentuale la propria disabilità. Beninteso, noi non siamo contro l'istituzionalizzazione a priori, perché si tratta di un passaggio spesso necessario dopo l'uscita dalla famiglia di origine. Ma la presenza in comunità non può superare l'anno e mezzo/due, altrimenti si vengono a creare delle falle nella sfera cognitiva-emotiva e nell'apprendimento del minore. Un bambino, dalla nascita fino ai 6 anni, (come decretato per Legge), dovrebbe crescere in famiglia, perché la permanenza in comunità arresta le sue potenzialità. Attualmente sto seguendo un bambino invalido al 100% che se fosse stato preso in cura fin da quando era in fasce, oggi presenterebbe una disabilità ridotta anche del 50%. Altra questione non di minor peso è l'affido sine die, che oggi rappresenta addirittura il 75% del totale degli affidi in Italia, quando invece il percorso affidatario dovrebbe prevedere un termine, in modo da non creare confusione al bambino. La famiglia di origine, se presente, dovrebbe accompagnare il percorso di affido, che nasce proprio come supporto, non come sostituzione. Invece spesso e volentieri l’affido è residenziale, cioè il bambino viene completamente e definitivamente allontanato dalla famiglia di origine per anni e anni, ad eccezione di rapporti periodici, senza essere mai decretato adottabile. Il minore vive in un limbo e in un continuo stato di conflitto di lealtà tra la famiglia accogliente e quella di origine". L'intensa attività di sensibilizzazione che state svolgendo attraverso l'associazione si concretizza in questo periodo in un vero e proprio appello alle istituzioni... "Esatto, chiediamo il rispetto della legge 184/1983. Ogni bambino ha il diritto di crescere nella famiglia giusta per lui. I minori fragili non sono bambini di categoria B, come non lo sono i nuclei affidatari composti da coppie omosessuali e da single. Il genere non fa famiglia. Il ruolo di genitori affidatari o adottivi viene ricoperto splendidamente anche dagli omosessuali, la letteratura nazionale e internazionale lo conferma. È ora che le istituzioni accettino la diversa tipologia della famiglia italiana. Gli istituti ormai sono strapieni e, se vogliamo tirare fuori questi bambini e offrire loro opportunità di vita migliori, pregiudizi e discriminazioni non ci devono fermare".