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Home » Lifestyle » Afghanistan, la condanna internazionale al divieto di lavoro per le donne nelle ong

Afghanistan, la condanna internazionale al divieto di lavoro per le donne nelle ong

L'annuncio del ministero dell'Economia parla di risposta alle "gravi lamentele sul mancato rispetto dell'hijab islamico". Intanto Save the Children e altre due organizzazioni cessano le attività

Marianna Grazi
26 Dicembre 2022
Dopo l'ordine di sospensione dell'accesso per le studentesse alle università i talebani vietano alle ong di lavorare con le donne afghane

Dopo l'ordine di sospensione dell'accesso per le studentesse alle università i talebani vietano alle ong di lavorare con le donne afghane

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Non bastavano i divieti a recarsi al lavoro, ad avere accesso in molti luoghi pubblici, a viaggiare senza essere accompagnate da un uomo, quelli – gravissimi – all’istruzione superiore. Con un ulteriore giro di vite i talebani in Afghanistan hanno ordinato a tutte le ong straniere e nazionali di non lavorare più con le donne, dopo “gravi lamentele” perché queste non avrebbero seguito un codice di abbigliamento appropriato. Lo ha annunciato con un ordine di servizio il ministro dell’Economia afghano Qari Din Mohammaed Hanif: “Ci sono state gravi lamentele sul mancato rispetto dell’hijab islamico e di altre norme e regolamenti relativi al lavoro delle donne nelle organizzazioni nazionali e internazionali”, si legge nella nota del ministero, che è responsabile dell’approvazione delle licenze per tutte le associazioni umanitarie che operano nel Paese. È stato anche precisato che “in caso di inosservanza della direttiva (…) la licenza dell’ente che era stata rilasciata da questo ministero sarà annullata“.

Una studentessa universitaria cammina davanti a un’università nella provincia di Kandahar

Non è chiaro se la direttiva riguardi il personale femminile straniero delle ong stesse, anche se Save The Children e due gruppi non governativi internazionali che operano nello Stato hanno confermato di aver ricevuto la notifica e di aver chiuso le loro attività. La nuova stretta nei confronti delle cittadine afghane, che non solo sono escluse da gran parte degli esercizi pubblici e dagli impieghi nazionali, ma d’ora in poi non potranno nemmeno più collaborare con le ong, arriva appena quattro giorni dopo la decisione del governo talebano di vietare alle donne di frequentare le università pubbliche e private del Paese per un periodo indefinito. Anche in questo caso, la scelta è stata giustificata con il fatto che le donne “non hanno rispettato le indicazioni sull’hijab”, ha detto il ministro dell’Istruzione superiore, Neda Mohammad Nadeem. Giustificando così, attraverso leggi non rispettate che però vanno a limitare l’autonomia e l’auto determinazione femminile, quello che agli occhi del mondo non sembra altro che l’ennesimo tentativo di “tappare la bocca”, imbavagliare, togliere la voce a migliaia di donne e ragazze, private dei diritti fondamentali e costrette a sottostare ad un regime che le vede e le ha sempre viste come cittadini di serie B, di scarso valore, utili piuttosto ai fini riproduttivi e poco altro. E rispondendo con durezza e violenza alle proteste: sabato 24 dicembre, alle manifestazioni di Herat contro l’ordine si sospensione per tutte le studentesse dal frequentare le università nel Paese, le autorità hanno risposto con i cannoni ad acqua per disperdere le donne e gli uomini scesi in strada.

Alcuni bambini afghani ricevono cure mediche in un ospedale di Kandahar

Deeply concerned that the Taliban’s ban on women delivering humanitarian aid in Afghanistan will disrupt vital and life-saving assistance to millions. Women are central to humanitarian operations around the world. This decision could be devastating for the Afghan people.

— Secretary Antony Blinken (@SecBlinken) December 24, 2022

Nonostante le loro promesse di essere più flessibili, dopo il ritorno al potere nel 2021, i talebani sono infatti tornati ad un’interpretazione ultra-rigorosa della legge islamica, come quella che ha segnato il loro primo periodo di governo dell’Afghanistan, dal 1996 al 2001. Dall’agosto dello scorso anno, le misure draconiane si sono moltiplicate, in particolare contro le donne che sono state progressivamente escluse dalla vita pubblica. Il coordinatore umanitario e capo della missione Onu nello Stato mediorientale, Ramiz Alakbarov, si è detto “profondamente preoccupato per le notizie secondo cui le autorità de facto” talebane “hanno vietato a tutte le dipendenti donne delle organizzazioni nazionali e internazionali di recarsi al lavoro”. Secondo Alakbarov si tratta di una “chiara violazione dei principi umanitari. Il ruolo fondamentale delle donne in tutti gli aspetti della vita e della risposta umanitaria è innegabile”, sottolinea con forza. Una condanna rilanciata anche dall’Unione europea, che ha annunciato di stare rivalutando l’impatto sui suoi aiuti nel Paese. “L’Unione europea condanna fermamente la recente decisione dei talebani di vietare alle donne di lavorare nelle Ong nazionali e internazionali – ha detto una portavoce del capo della politica estera dell’Ue Josep Borrell -. Stiamo valutando la situazione e l’impatto che avrà sui nostri aiuti in loco”.

A Natale un gruppo di donne afghane che indossano il burqa su un veicolo lungo la strada a Kandahar

“I nostri team hanno iniziato a lavorare in Afghanistan più di quarant’anni fa e da allora hanno fornito assistenza medica a milioni di persone. Le donne sono quelle che l’hanno reso possibile. Senza di loro, non ci può essere assistenza sanitaria“, scrive su Twitter Medici senza Frontiere. Anche l’Unicef esprime il suo dissenso contro la decisione: “Al di là dell’evidente arretramento dei diritti fondamentali queste decisioni avranno conseguenze di vasta portata sulla fornitura di servizi essenziali per i bambini e le famiglie in tutto il Paese, in particolare nei settori della salute, della nutrizione, dell’istruzione e della protezione dell’infanzia, ambiti in cui le operatrici umanitarie hanno un ruolo incommensurabilmente importante da svolgere. Questo – osserva la ong – include la programmazione dell’Unicef, attraverso la quale forniamo servizi a 19 milioni di persone, tra cui più di 10 milioni di bambini, in tutto il Paese. Vietando il lavoro alle donne delle Ong, le autorità talebane di fatto negano questi servizi a una parte significativa della popolazione e mettono a rischio la vita e il benessere di tutti gli afghani, in particolare di donne e bambini”. L’organizzazione chiede infine “alle autorità ‘de facto’ talebane di revocare immediatamente entrambe le decisioni, sull’istruzione superiore e sul lavoro umanitario, e di permettere a tutte le studentesse di tornare a scuola e alle operatrici delle ong di continuare il loro importante lavoro in Afghanistan nel settore umanitario”.

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  • Nicoletta Sipos, giornalista e scrittrice, ha vissuto in Ungheria, in Germania e negli Stati Uniti, prima di raggiungere Milano e lì restare. Il suo romanzo “La guerra di H”, un romanzo fortemente ispirato a fatti realmente accaduti.

L’autrice indaga in maniera del tutto nuova e appassionante un momento drammatico, decisivo della storia del nostro continente: la Seconda guerra mondiale. A raccontare l’ascesa e la disfatta del Nazismo è stavolta la voce di un bambino tedesco, che riporta con semplicità e veracità le molte sofferenze patite dal suo popolo durante il conflitto scatenato da Hitler, focalizzando l’attenzione del lettore sul drammatico paradigma che accomuna chiunque si trovi a vivere sulla propria pelle una guerra: la sofferenza. Pagine toccanti, le sue, tanto più intense perché impregnate di fatti reali, emozioni provate e sentite dai protagonisti e condivise da quanti, tuttora, si trovano coinvolti in un conflitto armato. La memoria collettiva è uno strumento potente per non commettere gli stessi errori. 

"Imparai poco alla volta – scrive il piccolo Heinrich Stein, protagonista del romanzo – che nel nostro strano Paese la verità aveva più volti con infinite sfumature”.

👉Perché una storia così e perché ora?
“Ho incontrato il protagonista di questa mia storia molto tempo fa, addirittura negli anni ’50, ossia in un’epoca che portava ancora gli strascichi della guerra. Diventammo amici, parlammo di Hitler e della miseria della Germania. Poco per volta, via via che ci incontravamo, lui aggiungeva ricordi, dettagli, confessioni. Per anni ho portato dentro di me la testimonianza di questa storia che si arricchiva sempre più di dettagli. Molte volte avrei voluto scriverla, magari a quattro mani con il mio amico, ma lui non se la sentiva. Io stessa esitavo ad affrontare questa storia che racconta una famiglia tedesca in forte sofferenza in una Germania ferita e umiliata. La gente ha etichettato tutto il popolo tedesco durante il nazismo come crudele per antonomasia. Non si pensa mai a quanto la gente comune abbia sofferto, alla fame e al freddo che anche il popolo tedesco ha patito”.

✍ Caterina Ceccuti

#lucenews #giornodellamemoria #27gennaio
  • È dalla sua camera con vista affacciata sull’Arno che Ornella Vanoni accetta di raccontare un po’ di sé ai lettori di Luce!, in attesa di esibirsi, sabato 28 gennaio sul palco della Tuscany Hall di Firenze, dov’è in programma una nuova tappa della nuova tournée Le Donne e la Musica. Un ritorno atteso per Ornella Vanoni, che in questo tour è accompagnata da un quintetto di sole donne.

Innanzitutto come sta, signora Vanoni?
“Stanca, sono partita due mesi dopo l’intervento al femore che mi sono rotto cadendo per una buca proprio davanti a casa mia. Ma l’incidente non mi ha impedito di intraprendere un progetto inaspettato che, sin da subito, mi è stato molto a cuore. Non ho perso la volontà di andare avanti. Anche se il tempo per prepararlo e provare è stato pochissimo. E poi sono molto dispiaciuta“.

Per cosa?
“La morte dell’orso Juan Carrito, travolto e ucciso da un’auto cercava bacche e miele: la mia carissima amica Dacia (Maraini, ndr) l’altro giorno ha scritto una cosa molto bella dedicata a lui. Dovrò scrollarmi di dosso la malinconia e ricaricarmi in vista del concerto“.

Con lei sul palco ci sarà una jazz band al femminile con Sade Mangiaracina al pianoforte, Eleonora Strino alla chitarra, Federica Michisanti al contrabbasso, Laura Klain alla batteria e Leila Shirvani. Perché questa scelta?
“Perché sono tutte bravissime, professioniste davvero eccezionali. Non è una decisione presa sulla spinta di tematiche legate al genere o alle quote rosa, ma nata grazie a Paolo Fresu, amico e trombettista fantastico del quale sono innamorata da sempre. Tempo fa, durante una chiacchierata, Paolo mi raccontò che al festival jazz di Berchidda erano andate in scena tante musiciste bravissime. E allora ho pensato: ’Se sono così brave perché non fare un gruppo di donne? Certo, non l’ha fatto mai nessuno. Bene, ora lo faccio io“.

Il fatto che siano tutte donne è un valore aggiunto?
“In realtà per me conta il talento, ma sono felice della scelta: è bellissimo sentire suonare queste artiste, vederle sul palco intorno a me mi emoziona“.

L
  • Devanshi Sanghvi è una bambina di otto anni che sarebbe potuta crescere e studiare per gestire l’attività di diamanti multimilionaria appartenente alla sua facoltosissima famiglia, con un patrimonio stimato di 60 milioni di dollari.

Ma la piccola ha scelto di farsi suora, vivendo così una vita spartana, vestita con sari bianchi, a piedi nudi e andando di porta in porta a chiedere l’elemosina. Si è unita ai “diksha” alla presenza di anziani monaci giainisti. La bimba è arrivata alla cerimonia ingioiellata e vestita di sete pregiate. Sulla sua testa poggiava una corona tempestata di diamanti. Dopo la cerimonia, a cui hanno partecipato migliaia di persone, è rimasta in piedi con altre suore, vestita con un sari bianco che le copriva anche la testa rasata. Nelle fotografie, la si vede con in mano una scopa che ora dovrà usare per spazzare via gli insetti dal suo cammino per evitare di calpestarli accidentalmente.

Di Barbara Berti ✍

#lucenews #lucelanazione #india #DevanshiSanghvi
  • Settanta giorni trascorsi in un mondo completamente bianco, la capitana dell’esercito britannico Harpreet Chandi, che già lo scorso anno si era distinta per un’impresa tra i ghiacci, è una fisioterapista che lavora in un’unità di riabilitazione regionale nel Buckinghamshire, fornendo supporto a soldati e ufficiali feriti. 

Ha dimostrato che i record sono fatti per essere battuti e, soprattutto, i limiti personali superabili grazie alla forza di volontà e alla preparazione. E ora è diventata una vera leggenda vivente, battendo il record del mondo femminile per la più lunga spedizione polare – sola e senza assistenza – della storia.

Il 9 gennaio scorso, 57esimo giorno del viaggio che era cominciato lo scorso 14 novembre, la 34enne inglese ha raggiunto il centro del Polo Sud dopo aver percorso circa 1100 chilometri. Quando è arrivata a destinazione nel bel mezzo della calotta polare era felice, pura e semplice gioia di aver raggiunto l’agognato traguardo: “Il Polo Sud è davvero un posto incredibile dove stare. Non mi sono fermata molto a lungo perché ho ancora un lungo viaggio da fare. È stato davvero difficile arrivare qui, sciando tra le 13 e le 15 ore al giorno con una media di 5 ore di sonno”.

Di Irene Carlotta Cicora ✍

#lucenews #lucelanazione #polosud #HarpreetChandi #polarpreet
Non bastavano i divieti a recarsi al lavoro, ad avere accesso in molti luoghi pubblici, a viaggiare senza essere accompagnate da un uomo, quelli - gravissimi - all'istruzione superiore. Con un ulteriore giro di vite i talebani in Afghanistan hanno ordinato a tutte le ong straniere e nazionali di non lavorare più con le donne, dopo "gravi lamentele" perché queste non avrebbero seguito un codice di abbigliamento appropriato. Lo ha annunciato con un ordine di servizio il ministro dell'Economia afghano Qari Din Mohammaed Hanif: "Ci sono state gravi lamentele sul mancato rispetto dell'hijab islamico e di altre norme e regolamenti relativi al lavoro delle donne nelle organizzazioni nazionali e internazionali", si legge nella nota del ministero, che è responsabile dell'approvazione delle licenze per tutte le associazioni umanitarie che operano nel Paese. È stato anche precisato che "in caso di inosservanza della direttiva (...) la licenza dell'ente che era stata rilasciata da questo ministero sarà annullata".
Una studentessa universitaria cammina davanti a un'università nella provincia di Kandahar
Non è chiaro se la direttiva riguardi il personale femminile straniero delle ong stesse, anche se Save The Children e due gruppi non governativi internazionali che operano nello Stato hanno confermato di aver ricevuto la notifica e di aver chiuso le loro attività. La nuova stretta nei confronti delle cittadine afghane, che non solo sono escluse da gran parte degli esercizi pubblici e dagli impieghi nazionali, ma d'ora in poi non potranno nemmeno più collaborare con le ong, arriva appena quattro giorni dopo la decisione del governo talebano di vietare alle donne di frequentare le università pubbliche e private del Paese per un periodo indefinito. Anche in questo caso, la scelta è stata giustificata con il fatto che le donne "non hanno rispettato le indicazioni sull'hijab", ha detto il ministro dell'Istruzione superiore, Neda Mohammad Nadeem. Giustificando così, attraverso leggi non rispettate che però vanno a limitare l'autonomia e l'auto determinazione femminile, quello che agli occhi del mondo non sembra altro che l'ennesimo tentativo di "tappare la bocca", imbavagliare, togliere la voce a migliaia di donne e ragazze, private dei diritti fondamentali e costrette a sottostare ad un regime che le vede e le ha sempre viste come cittadini di serie B, di scarso valore, utili piuttosto ai fini riproduttivi e poco altro. E rispondendo con durezza e violenza alle proteste: sabato 24 dicembre, alle manifestazioni di Herat contro l'ordine si sospensione per tutte le studentesse dal frequentare le università nel Paese, le autorità hanno risposto con i cannoni ad acqua per disperdere le donne e gli uomini scesi in strada.
Alcuni bambini afghani ricevono cure mediche in un ospedale di Kandahar

Deeply concerned that the Taliban’s ban on women delivering humanitarian aid in Afghanistan will disrupt vital and life-saving assistance to millions. Women are central to humanitarian operations around the world. This decision could be devastating for the Afghan people.

— Secretary Antony Blinken (@SecBlinken) December 24, 2022
Nonostante le loro promesse di essere più flessibili, dopo il ritorno al potere nel 2021, i talebani sono infatti tornati ad un'interpretazione ultra-rigorosa della legge islamica, come quella che ha segnato il loro primo periodo di governo dell'Afghanistan, dal 1996 al 2001. Dall'agosto dello scorso anno, le misure draconiane si sono moltiplicate, in particolare contro le donne che sono state progressivamente escluse dalla vita pubblica. Il coordinatore umanitario e capo della missione Onu nello Stato mediorientale, Ramiz Alakbarov, si è detto "profondamente preoccupato per le notizie secondo cui le autorità de facto" talebane "hanno vietato a tutte le dipendenti donne delle organizzazioni nazionali e internazionali di recarsi al lavoro". Secondo Alakbarov si tratta di una "chiara violazione dei principi umanitari. Il ruolo fondamentale delle donne in tutti gli aspetti della vita e della risposta umanitaria è innegabile", sottolinea con forza. Una condanna rilanciata anche dall'Unione europea, che ha annunciato di stare rivalutando l'impatto sui suoi aiuti nel Paese. "L'Unione europea condanna fermamente la recente decisione dei talebani di vietare alle donne di lavorare nelle Ong nazionali e internazionali - ha detto una portavoce del capo della politica estera dell'Ue Josep Borrell -. Stiamo valutando la situazione e l'impatto che avrà sui nostri aiuti in loco".
A Natale un gruppo di donne afghane che indossano il burqa su un veicolo lungo la strada a Kandahar
"I nostri team hanno iniziato a lavorare in Afghanistan più di quarant'anni fa e da allora hanno fornito assistenza medica a milioni di persone. Le donne sono quelle che l'hanno reso possibile. Senza di loro, non ci può essere assistenza sanitaria", scrive su Twitter Medici senza Frontiere. Anche l'Unicef esprime il suo dissenso contro la decisione: "Al di là dell'evidente arretramento dei diritti fondamentali queste decisioni avranno conseguenze di vasta portata sulla fornitura di servizi essenziali per i bambini e le famiglie in tutto il Paese, in particolare nei settori della salute, della nutrizione, dell'istruzione e della protezione dell'infanzia, ambiti in cui le operatrici umanitarie hanno un ruolo incommensurabilmente importante da svolgere. Questo - osserva la ong - include la programmazione dell'Unicef, attraverso la quale forniamo servizi a 19 milioni di persone, tra cui più di 10 milioni di bambini, in tutto il Paese. Vietando il lavoro alle donne delle Ong, le autorità talebane di fatto negano questi servizi a una parte significativa della popolazione e mettono a rischio la vita e il benessere di tutti gli afghani, in particolare di donne e bambini". L'organizzazione chiede infine "alle autorità 'de facto' talebane di revocare immediatamente entrambe le decisioni, sull'istruzione superiore e sul lavoro umanitario, e di permettere a tutte le studentesse di tornare a scuola e alle operatrici delle ong di continuare il loro importante lavoro in Afghanistan nel settore umanitario".
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