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Home » Lifestyle » Alan Fabbri, il sindaco con la vitiligine: “Chi non ha paura di mostrarsi ha già vinto”

Alan Fabbri, il sindaco con la vitiligine: “Chi non ha paura di mostrarsi ha già vinto”

Il primo cittadino di Ferrara ha recentemente deciso di mostrare quei segni sulla pelle che per anni ha tenuto nascosti, senza più imbarazzo

Federico Malavasi
1 Luglio 2022
Alan Fabbri

Alan Fabbri, sindaco di Ferrara

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Alan Fabbri vitiligine
Alan Fabbri, sindaco di Ferrara, soffre di vitiligine

Cinque anni fa si è accorto di avere strane macchie sulla pelle. Da quel giorno, il sindaco di Ferrara Alan Fabbri, ha iniziato a fare i conti e a convivere con la vitiligine, una malattia non contagiosa della pelle che colpisce circa lo 0,5%-2% della popolazione mondiale. Nei giorni scorsi, in occasione della giornata mondiale della vitiligine, Fabbri ha deciso di mostrare la foto delle proprie mani, raccontando attraverso un lungo e toccante post il percorso che lo ha portato a mostrare quei segni e ad accettarli senza vergogna, come parte di sé.

 

“Per i primi tempi – ha spiegato dal suo profilo Facebook – cercavo di evitare di mettere in mostra le mie mani, specialmente in foto o nelle varie interviste. Può essere devastante l’impatto psicologico se non si è forti. Nel mio caso sono stato aiutato dalla mia posizione lavorativa, e nessuno mi ha fatto mai pesare questa condizione”. In generale, ha aggiunto, “non ho mai badato alle critiche sul mio aspetto fisico o sul mio abbigliamento ma leggo che ci sono ancora tante persone che si sentono particolarmente osservate o addirittura escluse per questo ‘problema’ della pelle.

Alan Fabbri sindaco Ferrara
Alan Fabbri, sindaco Ferrara

Vi dico questa: quando ho deciso di candidarmi a sindaco di Ferrara non avete idea di quante persone mi abbiano detto di tagliare il codino, la barba e di vestirmi in giacca e cravatta… ‘perché a Ferrara altrimenti non si vince’. Ho deciso addirittura di farne un simbolo, pensate! E di mostrare con orgoglio quelli che sono ancora oggi i miei tratti distintivi. E pensate un po’? Ho vinto”. Queste chiazze che oggi porto sulle mani, ha concluso, “sono parte di me, fanno parte di noi, quindi non c’è nulla di cui vergognarsi. Chissà, forse tra qui a due anni saranno così evidenti che le inserirò anche nel mio nuovo logo della campagna elettorale. Morale? Fregatevene. Chi non ha paura di mostrarsi per ciò che è ha già vinto”.

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Instagram

  • Sono ormai trascorsi 13 anni senza Fernanda Pivano, la donna che portò la beat generation ai lettori.

Scrittrice, giornalista e traduttrice, se ne è andata in un pomeriggio d’estate: il calendario segnava indifferente la data di martedì 18 agosto 2009. È volata via portando con sé un bagaglio prezioso fatto di ricordi straordinari, zeppo delle immagini di una vita intera trascorsa a cavallo tra ideali e passioni, le stesse che avevano contribuito a farne una eterna ragazza.

Voce fresca da teenager ed energia da vendere fino all’estrema goccia di vita, ha amato intensamente il suo lavoro e specialmente quegli autori abbracciati dalla identica passione, intrisa di ribellione e idee contestatrici. La prerogativa di Nanda, come tutti gli amici hanno sempre preferito chiamarla, era quella di tradurre stati d’animo che andavano ben oltre la traduzione del testo nudo e crudo, mettendoci insomma tutta se stessa. Hemingway, Scott Fitzgerald, Faulkner, Kerouac, Bukowski, Corso, Ferlinghetti: i miti della della lost e beat generation. 

Fernanda Pivano non si risparmiava per nessun motivo ed era sempre in prima linea quando c’era da capire, indagare, spingersi fino in capo al mondo lì dove brillava la sua stella. 

Di Guido Guidi Guerrera ✍

#lucenews #lucelanazione #fernandapivano #letteraturaitaliana #beatgeneration
  • “A ogni male ci sono due rimedi: il tempo e il silenzio” scriveva Alexandre Dumas. Lo sanno bene gli indiani, che sono un popolo saggio e paziente. E di tempo ne è passato davvero tanto, addirittura mezzo secolo oramai, da quando Piccola piuma salì sul palco degli Oscar per leggere il motivo del rifiuto del premio da parte di Marlon Brando, che non lo volle accettare per il “trattamento riservato agli indiani d’America dall’industria cinematografica”.

Era stata lo stesso attore ad aver invitato la giovane attrice e modella a prendere parte alla Notte delle Stelle per porre l’attenzione sul modo in cui venivano rappresentati i nativi americani nei film americani. Marie Louise Cruz, che oggi ha 75 anni, fece un gesto forte: si presentò con le trecce e indossando un abito di pelle di daino, e con una mano respinse la celebre statuetta dorata che le veniva porta da Roger Moore e Liv Ulmann. Era la prima donna nativa americana ad aver mai parlato da quel palcoscenico. Tuttavia il suo messaggio finì inascoltato (almeno all’epoca). 

Non solo, la cosa non finì quella sera. L’attrice Apache ha dichiarato di aver subito negli anni a seguire molte discriminazioni nel mondo del cinema, e sempre a causa di quel discorso di essere stata attaccata, offesa e presa in giro. 

Dopo cinquant’anni è finalmente giunto il momento delle scuse da parte dell’Academy: “Gli abusi che hai subito per il tuo discorso sono stati ingiustificati e totalmente inappropriati” ha reso noto l’ex presidente dell’Accademia David Rubin in una lettera a Littlefeather, invitandola a un evento che si terrà il 17 settembre a Los Angeles. 

#lucenews #lucelanazione #piccolapiuma #academy #nativeamerican #sacheenlittlefeather
  • “Ho preso una pausa dai social media per la mia salute mentale, perché trovo che Instagram e Twitter siano eccessivamente stressanti e opprimenti”.

Addio social, anzi arrivederci. Tom Holland ha dichiarato di volersi allontanare dalle piattaforme per un po’ di tempo per concentrarsi sulla sua salute mentale. La star di Spider-Man, che nelle ultime settimane è stata assente dagli schermi digitali, ha fatto un fugace ritorno su Instagram domenica per annunciare di aver cancellato gli account Instagram e Twitter dai suoi dispositivi.

“Mi lascio prendere e entro in una sorta di spirale quando leggo cose su di me online e alla fine è molto dannoso per il mio stato mentale. Così ho deciso di fare un passo indietro. Chiedere e cercare aiuto non è qualcosa di cui dovremmo vergognarci. Vi amo tutti e ci sentiamo presto”.

Non è il primo a lanciare l’allarme sull’impatto che i social hanno sulla vita personale, la disintossicazione digitale sembra essere una necessità generazionale di cui in tanto hanno bisogno per evadere dal flusso di ansia da iperconnessione.

E a te è mai capitato di sentire il bisogno di una social detox? Raccontaci la tua esperienza ✍️

#lucenews #lucelanazione #tomholland #socialdetox #mentalhealth #tomhollandspiderman
  • La lotta per i diritti delle donne in Occidente è passata per anni di battaglie di emancipazione, in cui le conquiste sono state tante e fondamentali: il diritto al voto, allo studio, all’aborto, al divorzio, all’uso di anticoncezionali. Battaglie che non sono ancora finite e che tenacemente proseguono per arrivare a colmare il gender gap. Esiste però un posto nel mondo dove queste libertà non sono mai arrivate, dove le varie tappe di queste fondamentali conquiste al femminile non hanno mai varcato le porte della comunità, delle case, delle famiglie. Dove le donne vivono come nel Settecento. È il caso delle numerose comunità di Amish presenti in vari Stati d’America, ancorate a usi e costumi della società preindustriale.

Nelle comunità di Amish tutti si vestono come nel Settecento, uomini, donne e bambini. Ma all’interno di questa comunità religiosa fondamentalista isolata dal mondo, tenacemente ancorata a tradizioni che nulla hanno a che vedere con la modernità, a pagare il prezzo più alto è appunto la popolazione femminile, sottoposta a regole rigide e inflessibili. 

Per le donne è proibito tagliarsi i capelli, che devono invece portare raccolti sempre in cuffie che coprono il capo: possono toglierle solo in rarissimi momenti, per esempio in casa, quando fanno il bucato ma a patto non siano viste da nessuno. I vestiti, che devono essere lunghi fino alle caviglie, non devono prevedere bottoni: per evitare tentazioni e per rendere difficile spogliarsi, gli abiti femminili sono costituiti da un pezzo unico con tanto di maniche lunghe, anche in estate: le maniche corte sono considerate osé, dunque “pericolose”.

Per le ragazze non c’è possibilità di trovarsi un impiego o avere un’indipendenza economica: sono destinate a essere casalinghe. Poco più che bambine vengono educate al loro ruolo che non deve varcare i confini delle quattro mura di casa, dove sono chiamate a badare alla famiglia e occuparsi unicamente dei lavori domestici, pulire, cucinare, badare alla numerosa prole e ubbidire e servire il marito, su cui non hanno nessuna voce in capitolo. 

#lucenews #lucelanazione #amish #libertàdelledonne #amishwomen
Alan Fabbri vitiligine
Alan Fabbri, sindaco di Ferrara, soffre di vitiligine
Cinque anni fa si è accorto di avere strane macchie sulla pelle. Da quel giorno, il sindaco di Ferrara Alan Fabbri, ha iniziato a fare i conti e a convivere con la vitiligine, una malattia non contagiosa della pelle che colpisce circa lo 0,5%-2% della popolazione mondiale. Nei giorni scorsi, in occasione della giornata mondiale della vitiligine, Fabbri ha deciso di mostrare la foto delle proprie mani, raccontando attraverso un lungo e toccante post il percorso che lo ha portato a mostrare quei segni e ad accettarli senza vergogna, come parte di sé.   "Per i primi tempi – ha spiegato dal suo profilo Facebook – cercavo di evitare di mettere in mostra le mie mani, specialmente in foto o nelle varie interviste. Può essere devastante l’impatto psicologico se non si è forti. Nel mio caso sono stato aiutato dalla mia posizione lavorativa, e nessuno mi ha fatto mai pesare questa condizione". In generale, ha aggiunto, "non ho mai badato alle critiche sul mio aspetto fisico o sul mio abbigliamento ma leggo che ci sono ancora tante persone che si sentono particolarmente osservate o addirittura escluse per questo 'problema' della pelle.
Alan Fabbri sindaco Ferrara
Alan Fabbri, sindaco Ferrara
Vi dico questa: quando ho deciso di candidarmi a sindaco di Ferrara non avete idea di quante persone mi abbiano detto di tagliare il codino, la barba e di vestirmi in giacca e cravatta... 'perché a Ferrara altrimenti non si vince'. Ho deciso addirittura di farne un simbolo, pensate! E di mostrare con orgoglio quelli che sono ancora oggi i miei tratti distintivi. E pensate un po’? Ho vinto". Queste chiazze che oggi porto sulle mani, ha concluso, "sono parte di me, fanno parte di noi, quindi non c’è nulla di cui vergognarsi. Chissà, forse tra qui a due anni saranno così evidenti che le inserirò anche nel mio nuovo logo della campagna elettorale. Morale? Fregatevene. Chi non ha paura di mostrarsi per ciò che è ha già vinto".
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