Mettere la persona al centro, come risorsa. E il lavoro e l’inclusione come valori. Convinti di quanto i diritti fondamentali dell’uomo reclamino in questo momento storico valore e attuazione, siamo andati a conoscere “Articolo 10“, onlus di Torino da anni attiva nel sostegno a donne migranti per un riscatto nella società.
Per farlo ci siamo rivolti a Barbara Spezini, direttrice di questa piccola-grande realtà per conoscerla ed apprezzarne l’impegnativa attività.
“Articolo 10” – riferimento alla Costituzione e al comma sui diritti dei rifugiati – s’impegna nell’accoglienza e accompagnamento delle donne migranti per la loro indipendenza economica e libertà. Com’è nata l’associazione e quali oggi i progetti che porta avanti?
“L’associazione viene fondata nel 2013, e diventa operativa dal 2014, da un gruppo di persone che gravitano intorno al mondo dell’accoglienza, lo Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, ndr).
In questo, le donne accolte avevano un tempo limitato per potersi integrare, imparare la lingua, trovare un lavoro, un’abitazione. Al termine di questo periodo spesso non vedevano soluzioni per il futuro, perché estremamente vulnerabili.
Da qui l’idea di fondare un’associazione che si occupasse di donne e famiglie migranti che non avevano possibilità di inserimento in progetti”.
E così avete organizzato è un servizio territoriale di aiuto a queste donne, in collaborazione con il Comune di Torino.
“In quest’attività ‘Articolo 10’ si occupa di ricerca pedagogica. L’obiettivo è quello di offrire un accompagnamento socio-educativo alle donne e alle famiglie, volto all’autonomia e all’autodeterminazione”.
Quale il vostro approccio?
“Crediamo che un individuo, quando orientato e accompagnato a conoscere e inseguire i propri desideri, riesca di fatto anche da solo a poter raggiungere l’autonomia personale.
E pur non essendo il mondo del lavoro e dell’abitare così semplice, col supporto dei membri dell’associazione in 2 o 3 anni si riescono ad accompagnare queste donne a una vita indipendente.
‘Articolo 10’ supporta le persone e le famiglie in uscita dai progetti locali, e chi non riesce ad entrarvi, anche attraverso lo sportello territoriale dell’associazione ad accesso libero e come punto di riferimento per qualunque problema”.
La struttura dell’associazione
L’attività sociale una struttura impostata su tre pilastri: l’abitare, il lavoro, la cultura. Per Barbara Spezini “un individuo integrato sul territorio, che conosca la storia e la cultura del luogo in cui intende vivere, può avere maggiori capacità per comprenderlo e farne parte”.
Con il progetto “Percorsi” l’associazione realizza una narrazione all’interno dei principali musei della città, con l’obiettivo, grazie alle visite guidate, di raccontare la storia d’Italia, mostrando che cos’è la libertà: una coniugazione, un vivere diritti e doveri.
“Portare queste donne – spiega la direttrice Spezini – a conoscere com’è nata la Costituzione Italiana consente di comprendere come vivere e generare libertà personale”.
L’abitare e i suoi progetti
“Abbiamo tredici alloggi e offriamo accoglienza in collaborazione con il Comune di Torino, lavorando con i servizi sociali.
A questi progetti si aggiungono poi quelli che vanno ad intercettare il bisogno di autonomia nel momento in cui si termina il percorso e ha necessità di trovare casa sul territorio: lavoriamo sulla relazione fra proprietario e inquilino, in modo che la famiglia migrante venga educata anche a conoscere la cultura dell’affitto, che in Africa è diversa, e riesca ad avere una buona relazione che duri nel tempo”.
L’associazione ritiene che fin tanto che i bisogni primari della persona (l’abitare, il lavoro, la legalità) non siano sufficientemente soddisfatti, questa non possa esprimersi e diventare risorsa del Paese che l’ha accolta: su questo lavora con l’obiettivo finale dell’autonomia.
Il tema del lavoro
“In collaborazione con molti enti del capoluogo piemontese, attraverso lo strumento del tirocinio formativo in aziende cerchiamo di avviare le donne ad un’attività lavorativa”.
Spezini ci tiene a sottolineare che “Articolo 10” nel tempo si è resa conto che queste donne, chiuse spesso dentro attività poco qualificanti come quelle dell’area dell’assistenza alla persona, hanno molto di più da dare arrivando nel nostro Paese già con delle abilità. Tra queste, spesso, ad esempio vi è la sartoria.
‘Colori Vivi’ è il vostro laboratorio sartoriale, nato nel 2017, oggi impresa sociale, che offre una professione a donne giunte in Italia da diversi paesi. Quale la filosofia che ne è alla base e le luci e le ombre – se ve ne sono – di quest’avventura di crescita e integrazione?
“La sartoria nasce dall’idea che le donne – avendo spesso dei bambini – non riescano ad accedere al mondo formativo. Queste persone hanno tutte storie di violenza e ciò inibisce moltissimo l’inserimento lavorativo perché i traumi spesso si slatentizzano.
Il laboratorio assicura una formazione professionale in un luogo protetto e ‘in situazione’, cioè, io apprendo mentre lavoro. L’obiettivo è quindi la formazione professionale e l’inserimento lavorativo”.
Il progetto di sartoria “Colori Vivi”
Ad oggi il laboratorio ha undici dipendenti, di cui sette sono persone migranti, formate con precedenti tirocini. Se “Articolo 10” non riesce ad assumere in sartoria, cerca al di fuori lavoro per le donne spesso vittime di tratta.
Ricordiamo che “Colori Vivi”, per la sua idea e il suo operato, è stata insignita nel 2017 del prestigioso Premio della ‘Fondazione Kering’, con sede a Parigi.
Oltre alla formazione su competenze tecniche sulla confezione di un abito, sull’utilizzo di macchine industriali e sul lavoro in linea di produzione – “in un anno diventano tutte abbastanza brave e capaci” – la sartoria dà anche un’educazione al lavoro e a tutto ciò che è legato alle soft skills da sviluppare poi in una realtà produttiva.
Questo dà una certa sicurezza a persone che hanno spesso paura di entrare in un mondo sconosciuto e competitivo.
Da quello che ci racconta Spezini si capisce che “Colori Vivi” non insegna solo sartoria, ma una persona che qui ha imparato il mestiere può essere assunta – come è successo in 2 casi – anche in un’azienda di diverso settore, perché con l’associazione ha appreso la puntualità, le basi di un contratto, la gestione del conflitto, la relazione con il team, aspetti che offrono una crescita della propria autostima.
Altro importante obiettivo dell’associazione è sensibilizzare la cittadinanza. “Colori Vivi”, oltre ad avere una collezione di abbigliamento con all’interno tutte le fasi della lavorazione, produce business to consumer, lavora con aziende, brand di lusso e offre un prodotto di altissima qualità.
“Il tema della sostenibilità economica garantita ai nostri clienti è una relazione diretta tra i clienti e l’impatto sociale che produciamo. Clienti e fornitori vengono coinvolti in questa narrazione.” L’idea di ‘Colori Vivi è infine quella di poter arrivare a sostenere progetti sociali sul territorio, finanziandoli.
Qual è, in conclusione, il segreto dell’inclusione e del lavorare insieme in armonia con diverse nazionalità e culture e cosa manca ancora nel nostro paese a tal riguardo?
“Se si avesse una risposta certa a questa domanda probabilmente tanti problemi non esisterebbero.
Noi proviamo a dare il nostro contributo e nella nostra piccola realtà il segreto per riuscire a entrare in relazione con queste donne e generare un cambiamento è riconoscere in loro una risorsa, credere fortemente che la loro crescita e l’inclusione delle loro famiglie nella nostra società generi valore.
Loro sentono la nostra motivazione, si vedono riconosciute e incredibilmente la magia è che restituiscono tantissimo: valore in termini di relazione e in termini di prodotto. Questo è un circolo virtuoso che da noi funziona e coinvolge tutti.
Riguardo alla sua domanda su cosa manca a tal riguardo nel nostro Paese, credo che manchi il tempo: ogni individuo per poter svilupparsi in termini di capacità, risorse, abilità – sui quali una società, se investe, non potrà che ricevere indietro del valore – ha bisogno di tempo, anche per andare oltre il muro culturale.
Con la vicinanza, però, con l’entrare in contatto, con il non avere paura, penso si possa dare a tutti la possibilità di partecipare ad un’azione di cambiamento straordinaria”.