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Home » Lifestyle » Auticon, la consulenza in mano a esperti autistici. “Sfatiamo il mito che sono asociali”

Auticon, la consulenza in mano a esperti autistici. “Sfatiamo il mito che sono asociali”

Alberto Balestrazzi porta avanti dal 2019 la missione di una realtà nata in Germania: nella sua società informatica milanese assume solo dipendenti con autismo

Caterina Ceccuti
14 Giugno 2022
Auticon

I consulenti dell'azienda informatica Auticon di Milano

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Non si parla di beneficenza né di un semplice programma di inclusività. Nell’azienda d’informatica Auticon di Milano gli impiegati sono persone nello spettro dell’autismo e, proprio per questo, sono portatrici di valore aggiunto sia dal punto di vista umano che economico. Alberto Balestrazzi, delegato unico in Italia, ci tiene a sfatare il mito che i suoi consulenti informatici preferiscano stare soli, perché le persone con autismo riescono ad integrarsi e ad interagire socialmente con ottimi risultati, se messi nelle corrette condizioni di lavoro e di gruppo. Così, dal 2019, porta avanti in Italia la missione di un’azienda nata dieci anni fa in Germania con l’idea di permettere alle persone autistiche di dimostrare e valorizzare le proprie capacità in ambito professionale e umano. L’idea tedesca presto si diffonde in Francia, Inghilterra, Italia, appunto, Stati Uniti, Canada e Australia, trasformando Auticon in una piccola multinazionale in continua espansione.
Il team di consulenti esperti – tutti autistici -, non lavora da remoto, ma entra in collaborazione diretta con le aziende che richiedono i servizi di Auticon, e non stiamo parlando di piccole realtà in cui l’ambiente è quasi familiare, ma di grandi colossi come come Eni, Unipol, Enel, Poste Italiane e molti altri.

Auticon-autismo
Auticon è un’azienda informatica in cui i consulenti esperti sono ragazzi e ragazze con autismo

Signor Balestrazzi, perché la sua azienda assume solo persone autistiche?

“Perché le persone con spettro autistico – nella forma così detta “ad alto funzionamento” – hanno delle capacità, chiamiamoli pure talenti, che gli permettono di essere molto attenti a dettagli, e sono dunque capaci di mantenere l’attenzione a lungo su attività meccaniche ripetitive, al contrario dei così detti ‘normodotati’. Questo perché gli studi medico scientifici dimostrano che il cervello autistico funziona, per così dire, ‘al contrario’ rispetto al nostro. In molti casi il loro modo di vedere le cose parte dal dettaglio per arrivare poi all’insieme. Le attività ripetitive sono dunque rassicuranti per loro, mentre vengono infastiditi dai cambiamenti. Queste capacità si dimostrano incredibilmente utili nel mondo informatico, perché riescono a protrarre attività meccaniche per molto tempo, laddove normalmente l’attenzione va scemando. Una caratteristica, questa, che nel corso del tempo ha dato origine a diverse sperimentazioni da parte di aziende e gruppi tecnologici, che hanno provato a costruire dei team interni e, purtroppo, isolati dal resto degli impiegati e dai clienti, per lo sviluppo di software, attività di testing ecc. Dieci anni fa però, in Germania, con Auticon nacque l’idea di portare le professionalità delle persone con autismo direttamente nelle aziende dei clienti. I nostri servizi prevedono infatti lo sviluppo di software per terzi, dunque la collaborazione tra i team è indispensabile. Un progetto, questo, che non solo ha dimostrato di funzionare benissimo, ma anche che la diversità può creare innovazione, performance e capacità. Le persone autistiche possono portare valore economico e sociale alle aziende, e Auticon si occupa proprio dell’inserimento del nostro personale all’interno dei progetti dei clienti, di modo che possa lavorare al fianco di persone neurotipiche, migliorando le performance collettive e diffondendo la cultura dell’inclusione e della sensibilizzazione nelle aziende”.

Quante sono le persone autistiche in Italia?

Auticon
Alberto Balestrazzi, delegato unico in Italia di Auticon

“È difficile rispondere con certezza, potremmo dire circa 600 mila ma la verità è che non ci sono numeri precisi, perché -non essendo una patologia ma una condizione– lo spettro autistico è complesso da diagnosticare e possiede vari livelli di ‘gravità’. Non tutti i casi dunque sono diagnosticati, molte persone convivono con le loro difficoltà di relazione, conducendo vite quasi normali, andando all’università, sposandosi, avendo figli, ma incontrando comunque difficoltà ad entrare nel mondo del lavoro. La diagnosi di autismo è molto recente, ovviamente viene identificata più facilmente nei casi gravi, quando determina grosse difficoltà, ma in realtà stiamo parlando di una condizione molto più diffusa di quello che si possa credere. In Lombardia, per esempio, è stato condotto uno studio nelle scuole che ha dimostrato la presenza di un bambino autistico su 77. Auticon nasce proprio con l’obiettivo di andare incontro a persone con un modo di essere e di ragionare diverso, che sono tante sia in Italia che nel resto del mondo”.

Come commenta certi luoghi comuni che definiscono gli autistici persone asociali?

“Molti stereotipi intorno all’autismo sono falsi. Gli autistici non stanno bene da soli, sono empatici e hanno bisogno di relazione come tutti gli esseri umani, ma utilizzano modi differenti per esprimersi. Magari non vengono al bar a prendere il caffè con i colleghi, perché i luoghi troppo confusionari li innervosiscono, ma amano la compagnia. Sfatiamo dunque il mito che gli autistici vogliano stare da soli, perché non è vero. Da noi la socialità è altissima, una volta al mese gli psicologi che fanno parte del nostro team organizzano gite nei musei o alle mostre – come del resto fa qualsiasi azienda che voglia investire nel team building – e i nostri impiegati sono molto partecipativi. Benché di questi tempi abbiano la possibilità di lavorare da casa in remoto, per esempio, ne ho diversi che preferiscono venire in ufficio per stare insieme”.

Voi testate sistemi operativi. Perché scegliete di mandare i vostri consulenti a lavorare nelle aziende, piuttosto che condurre il lavoro da remoto?

“Inizialmente la Auticon lavorava da remoto. Ma questo modello funzionava solo a livello economico, non dal punto di vista sociale e in termini di inclusione. Se rimangono separate dal resto del mondo, le persone con autismo non vengono incluse in nessun luogo, né da nessuno. Ora, purtroppo, a causa del Covid siamo stati costretti a lavorare molto da remoto. Ma stiamo riprendendo il lavoro in presenza, perché anche se la nostra sede si trova a Milano, noi andiamo dove ci sono i nostri clienti, assumendo persone in loco, come una società di consulenza tradizionale”.

Auticon
I dipendenti di Auticon si confrontando direttamente con i clienti dell’azienda

Se è vero, come ha detto prima, che il cervello di una persona autistica funziona –per così dire– ‘alla rovescia’ rispetto a quello neuro tipico, come si fa per comunicare correttamente con loro?

“Non è difficile, basta imparare a relazionarsi con loro in modo specifico, senza pretendere di farli ragionare come noi ragioniamo, e tenendo sempre presente che il loro cervello ha determinate caratteristiche che sono innate, non dovute a fattori culturali. Dunque è fondamentale rispettare la loro diversità ed imparare ad apprezzarla. Non hanno a che vedere con disturbi psichiatrici, l’autismo non è una malattia e non si cura con farmaci. È una condizione, in buona parte genetica, in cui la persona sviluppa capacità di apprendimento in modo diverso dalla maggior parte delle altre persone”.

È vero che gli autistici sono tutti maschi?

“No. Le diagnosi sono sicuramente in prevalenza maschili, ma ci sono anche donne che rientrano nello spettro autistico. In azienda ne abbiamo tre”.

Mi conferma che in azienda assumete solo dipendenti con spettro autistico?

“Sì, assumiamo solo consulenti diagnosticati. Ma nella struttura amministrativa e commerciale ci sono anche persone non autistiche. Poi abbiamo un gruppo di psicologi specializzati nei disturbi dello spettro autistico”.

Gli psicologi servono per affiancare i consulenti?

“In realtà più che altro servono per per affiancare le aziende dei clienti che si rivolgono a noi e nelle quali mandiamo i nostri consulenti per lavorare alla realizzazione dei progetti in team. Non facciamo corsi agli autistici per farli diventare normali, caso mai facciamo corsi ai ‘normodotati’ perché imparino a relazionarsi con i nostri consulenti. È così che combattiamo il tradizionale modo di relazionarsi alla diversità, dando valore alla diversità stessa. Altrimenti nessuno ne trarrebbe beneficio, è l’azienda che deve cambiare. Il nostro modello è quello di formare tutto il personale dei clienti per accogliere una persona che funziona in modo diverso, ma che funziona benissimo. Questo cambiamento radicale, non facile, deve essere supportato da psicologi specializzati in autismo, che sappiano occuparsi anche di processi aziendali, perché per fare in modo che una persona lavori e produca bene, devo poterla inserire in un ambiente adatto. Le persone con autismo sono ipersensibili a rumori, colori, odori. Non devono essere messi sotto stress da condizioni ambientali disadatte. Inoltre fanno estrema fatica a capire il sottinteso, la metafora. La comunicazione deve essere chiara e diretta perché le cose che vengono dette loro saranno prese alla lettera”.

Auticon
“Sfatiamo il mito che gli autistici vogliano stare da soli o siano asociali. In realtà sono molto empatici e amano strae in compagnia degli altri” dice Balestrazzi

Essere schietti non è certo un male…

“Al contrario, è sicuramente un beneficio per tutti. Se nelle aziende si facesse tutto in modo più chiaro e si lavorasse in un luogo meno rumoroso starebbero meglio anche i così detti neuro tipici. Vi riporto lo stesso esempio che spesso faccio ai nostri clienti per fargli capire i benefici del lavorare con noi. Avete presente il canarino nelle miniere? Ecco, lavorare con autistici è come portare un canarino nella miniera: quando l’aria che si respira diventa poco sana smette di cantare e muore. Grazie alla sua innata sensibilità, la persona autistica è un vero e proprio campanello d’allarme, se c’è qualcosa che non va, anche a livello umano, non riesce a lavorare. Noi invece siamo abituati a sopportare, a portarci a casa le frustrazioni. Loro invece non si adattano. Dunque è importante ascoltarli perché possono svelare un malessere che in realtà interessa tutti”.

 

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Instagram

  • «Era terribile durante il fascismo essere transessuale. Mi picchiavano e mi facevano fare delle cose schifose. Mi imbrattavano con il catrame e mi hanno rasato. Ho preso le botte dai fascisti perché mi ero atteggiato a donna e per loro questo era inconcepibile».

È morta a quasi 99 anni Lucy Salani, attivista nota come l’unica persona trans italiana sopravvissuta ai campi di concentramento nazisti.

#lucenews #lucysalani #dachau
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  • Elaheh Tavakolian, l’iraniana diventata uno dei simboli della lotta nel suo Paese, è arrivata in Italia. Nella puntata del 21 marzo de “Le Iene”, tra i servizi del programma di Italia 1, c’è anche la storia della giovane donna, ferita a un occhio dalla polizia durante le proteste in Iran. Nella puntata andata in onda la scorsa settimana, l’inviata de “Le Iene” aveva incontrato la donna in Turchia, durante la sua fuga disperata dall’Iran, dove ormai era troppo pericoloso vivere. 

“Ho molta paura. Vi prego, qui potrebbero uccidermi” raccontava l’attivista a Roberta Rei. Già in quell’occasione, Elaheh Tavakolian era apparsa con una benda sull’occhio, a causa di una grave ferita causatale da un proiettile sparato dalle forze dell’ordine iraniane durante le manifestazioni a cui ha preso parte dopo la morte di Mahsa Amini.

Elaheh Tavakolian fa parte di quelle centinaia di iraniani che hanno subito gravi ferite agli occhi dopo essere stati colpiti da pallottole, lacrimogeni, proiettili di gomma o altri proiettili usati dalle forze di sicurezza durante le dure repressioni che vanno avanti ormai da oltre sei mesi. La ragazza, che ha conseguito un master in commercio internazionale e ora lavora come contabile, ha usato la sua pagina Instagram per rivelare che le forze di sicurezza della Repubblica islamica stavano deliberatamente prendendo di mira gli occhi dei manifestanti. 

✍ Barbara Berti

#lucenews #lucelanazione #ElahehTavakolian #iran #leiene
  • Ha 19 anni e vorrebbe solo sostenere la Maturità. Eppure alla richiesta della ragazza la scuola dice di no. Nina Rosa Sorrentino è nata con la sindrome di Down, e quel diritto che per tutte le altre studentesse e studenti è inviolabile per lei è invece un’utopia.

Il liceo a indirizzo Scienze Umane di Bologna non le darà la possibilità di diplomarsi con i suoi compagni e compagne, svolgendo le prove che inizieranno il prossimo 21 giugno. La giustificazione – o la scusa ridicola, come quelle denunciate da CoorDown nella giornata mondiale sulla sindrome di Down – dell’istituto per negarle questa possibilità è stata che “per lei sarebbe troppo stressante“.

Così Nina si è ritirata da scuola a meno di tre mesi dalla fine della quinta. Malgrado la sua famiglia, fin dall’inizio del triennio, avesse chiesto agli insegnanti di cambiare il Pei (piano educativo individualizzato) della figlia, passando dal programma differenziato per gli alunni certificati a quello personalizzato per obiettivi minimi o equipollenti, che prevede l’ammissione al vero e proprio esame di Maturità. Ma il liceo Sabin non ha assecondato la loro richiesta.

Francesca e Alessandro Sorrentino avevano trovato una sponda di supporto nel Ceps di Bologna (Centro emiliano problemi sociali per la Trisomia 21), in CoorDown e nei docenti di Scienze della Formazione dell’Alma Mater, che si sono detti tutti disponibili per realizzare un progetto-pilota per la giovane studentessa e la sua classe. Poi, all’inizio di marzo, la doccia fredda: è arrivato il no definitivo da parte del consiglio di classe, preoccupato che per la ragazza la Maturità fosse un obiettivo troppo impegnativo e stressante, tanto da generare “senso di frustrazione“, come ha scritto la dirigente del liceo nella lettera che sancisce l’epilogo di questa storia tutt’altro che inclusiva.

“Il perché è quello che ci tormenta – aggiungono i genitori –. Anche la neuropsichiatra concordava: Nina poteva e voleva provarci a fare l’esame. Non abbiamo mai chiesto le venisse regalato il diploma, ma che le fosse data la possibilità di provarci”.

#lucenews #lucelanazione #disabilityinclusion #giornatamondialedellasindromedidown
Non si parla di beneficenza né di un semplice programma di inclusività. Nell'azienda d'informatica Auticon di Milano gli impiegati sono persone nello spettro dell'autismo e, proprio per questo, sono portatrici di valore aggiunto sia dal punto di vista umano che economico. Alberto Balestrazzi, delegato unico in Italia, ci tiene a sfatare il mito che i suoi consulenti informatici preferiscano stare soli, perché le persone con autismo riescono ad integrarsi e ad interagire socialmente con ottimi risultati, se messi nelle corrette condizioni di lavoro e di gruppo. Così, dal 2019, porta avanti in Italia la missione di un'azienda nata dieci anni fa in Germania con l'idea di permettere alle persone autistiche di dimostrare e valorizzare le proprie capacità in ambito professionale e umano. L'idea tedesca presto si diffonde in Francia, Inghilterra, Italia, appunto, Stati Uniti, Canada e Australia, trasformando Auticon in una piccola multinazionale in continua espansione. Il team di consulenti esperti - tutti autistici -, non lavora da remoto, ma entra in collaborazione diretta con le aziende che richiedono i servizi di Auticon, e non stiamo parlando di piccole realtà in cui l'ambiente è quasi familiare, ma di grandi colossi come come Eni, Unipol, Enel, Poste Italiane e molti altri.
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Signor Balestrazzi, perché la sua azienda assume solo persone autistiche? “Perché le persone con spettro autistico - nella forma così detta “ad alto funzionamento” - hanno delle capacità, chiamiamoli pure talenti, che gli permettono di essere molto attenti a dettagli, e sono dunque capaci di mantenere l'attenzione a lungo su attività meccaniche ripetitive, al contrario dei così detti 'normodotati'. Questo perché gli studi medico scientifici dimostrano che il cervello autistico funziona, per così dire, 'al contrario' rispetto al nostro. In molti casi il loro modo di vedere le cose parte dal dettaglio per arrivare poi all'insieme. Le attività ripetitive sono dunque rassicuranti per loro, mentre vengono infastiditi dai cambiamenti. Queste capacità si dimostrano incredibilmente utili nel mondo informatico, perché riescono a protrarre attività meccaniche per molto tempo, laddove normalmente l'attenzione va scemando. Una caratteristica, questa, che nel corso del tempo ha dato origine a diverse sperimentazioni da parte di aziende e gruppi tecnologici, che hanno provato a costruire dei team interni e, purtroppo, isolati dal resto degli impiegati e dai clienti, per lo sviluppo di software, attività di testing ecc. Dieci anni fa però, in Germania, con Auticon nacque l'idea di portare le professionalità delle persone con autismo direttamente nelle aziende dei clienti. I nostri servizi prevedono infatti lo sviluppo di software per terzi, dunque la collaborazione tra i team è indispensabile. Un progetto, questo, che non solo ha dimostrato di funzionare benissimo, ma anche che la diversità può creare innovazione, performance e capacità. Le persone autistiche possono portare valore economico e sociale alle aziende, e Auticon si occupa proprio dell'inserimento del nostro personale all'interno dei progetti dei clienti, di modo che possa lavorare al fianco di persone neurotipiche, migliorando le performance collettive e diffondendo la cultura dell'inclusione e della sensibilizzazione nelle aziende”. Quante sono le persone autistiche in Italia?
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“È difficile rispondere con certezza, potremmo dire circa 600 mila ma la verità è che non ci sono numeri precisi, perché -non essendo una patologia ma una condizione- lo spettro autistico è complesso da diagnosticare e possiede vari livelli di 'gravità'. Non tutti i casi dunque sono diagnosticati, molte persone convivono con le loro difficoltà di relazione, conducendo vite quasi normali, andando all'università, sposandosi, avendo figli, ma incontrando comunque difficoltà ad entrare nel mondo del lavoro. La diagnosi di autismo è molto recente, ovviamente viene identificata più facilmente nei casi gravi, quando determina grosse difficoltà, ma in realtà stiamo parlando di una condizione molto più diffusa di quello che si possa credere. In Lombardia, per esempio, è stato condotto uno studio nelle scuole che ha dimostrato la presenza di un bambino autistico su 77. Auticon nasce proprio con l'obiettivo di andare incontro a persone con un modo di essere e di ragionare diverso, che sono tante sia in Italia che nel resto del mondo”. Come commenta certi luoghi comuni che definiscono gli autistici persone asociali? “Molti stereotipi intorno all'autismo sono falsi. Gli autistici non stanno bene da soli, sono empatici e hanno bisogno di relazione come tutti gli esseri umani, ma utilizzano modi differenti per esprimersi. Magari non vengono al bar a prendere il caffè con i colleghi, perché i luoghi troppo confusionari li innervosiscono, ma amano la compagnia. Sfatiamo dunque il mito che gli autistici vogliano stare da soli, perché non è vero. Da noi la socialità è altissima, una volta al mese gli psicologi che fanno parte del nostro team organizzano gite nei musei o alle mostre - come del resto fa qualsiasi azienda che voglia investire nel team building – e i nostri impiegati sono molto partecipativi. Benché di questi tempi abbiano la possibilità di lavorare da casa in remoto, per esempio, ne ho diversi che preferiscono venire in ufficio per stare insieme”. Voi testate sistemi operativi. Perché scegliete di mandare i vostri consulenti a lavorare nelle aziende, piuttosto che condurre il lavoro da remoto? “Inizialmente la Auticon lavorava da remoto. Ma questo modello funzionava solo a livello economico, non dal punto di vista sociale e in termini di inclusione. Se rimangono separate dal resto del mondo, le persone con autismo non vengono incluse in nessun luogo, né da nessuno. Ora, purtroppo, a causa del Covid siamo stati costretti a lavorare molto da remoto. Ma stiamo riprendendo il lavoro in presenza, perché anche se la nostra sede si trova a Milano, noi andiamo dove ci sono i nostri clienti, assumendo persone in loco, come una società di consulenza tradizionale”.
Auticon
I dipendenti di Auticon si confrontando direttamente con i clienti dell'azienda
Se è vero, come ha detto prima, che il cervello di una persona autistica funziona –per così dire– 'alla rovescia' rispetto a quello neuro tipico, come si fa per comunicare correttamente con loro? “Non è difficile, basta imparare a relazionarsi con loro in modo specifico, senza pretendere di farli ragionare come noi ragioniamo, e tenendo sempre presente che il loro cervello ha determinate caratteristiche che sono innate, non dovute a fattori culturali. Dunque è fondamentale rispettare la loro diversità ed imparare ad apprezzarla. Non hanno a che vedere con disturbi psichiatrici, l'autismo non è una malattia e non si cura con farmaci. È una condizione, in buona parte genetica, in cui la persona sviluppa capacità di apprendimento in modo diverso dalla maggior parte delle altre persone”. È vero che gli autistici sono tutti maschi? “No. Le diagnosi sono sicuramente in prevalenza maschili, ma ci sono anche donne che rientrano nello spettro autistico. In azienda ne abbiamo tre”. Mi conferma che in azienda assumete solo dipendenti con spettro autistico? “Sì, assumiamo solo consulenti diagnosticati. Ma nella struttura amministrativa e commerciale ci sono anche persone non autistiche. Poi abbiamo un gruppo di psicologi specializzati nei disturbi dello spettro autistico”. Gli psicologi servono per affiancare i consulenti? “In realtà più che altro servono per per affiancare le aziende dei clienti che si rivolgono a noi e nelle quali mandiamo i nostri consulenti per lavorare alla realizzazione dei progetti in team. Non facciamo corsi agli autistici per farli diventare normali, caso mai facciamo corsi ai 'normodotati' perché imparino a relazionarsi con i nostri consulenti. È così che combattiamo il tradizionale modo di relazionarsi alla diversità, dando valore alla diversità stessa. Altrimenti nessuno ne trarrebbe beneficio, è l'azienda che deve cambiare. Il nostro modello è quello di formare tutto il personale dei clienti per accogliere una persona che funziona in modo diverso, ma che funziona benissimo. Questo cambiamento radicale, non facile, deve essere supportato da psicologi specializzati in autismo, che sappiano occuparsi anche di processi aziendali, perché per fare in modo che una persona lavori e produca bene, devo poterla inserire in un ambiente adatto. Le persone con autismo sono ipersensibili a rumori, colori, odori. Non devono essere messi sotto stress da condizioni ambientali disadatte. Inoltre fanno estrema fatica a capire il sottinteso, la metafora. La comunicazione deve essere chiara e diretta perché le cose che vengono dette loro saranno prese alla lettera”.
Auticon
"Sfatiamo il mito che gli autistici vogliano stare da soli o siano asociali. In realtà sono molto empatici e amano strae in compagnia degli altri" dice Balestrazzi
Essere schietti non è certo un male... “Al contrario, è sicuramente un beneficio per tutti. Se nelle aziende si facesse tutto in modo più chiaro e si lavorasse in un luogo meno rumoroso starebbero meglio anche i così detti neuro tipici. Vi riporto lo stesso esempio che spesso faccio ai nostri clienti per fargli capire i benefici del lavorare con noi. Avete presente il canarino nelle miniere? Ecco, lavorare con autistici è come portare un canarino nella miniera: quando l'aria che si respira diventa poco sana smette di cantare e muore. Grazie alla sua innata sensibilità, la persona autistica è un vero e proprio campanello d'allarme, se c'è qualcosa che non va, anche a livello umano, non riesce a lavorare. Noi invece siamo abituati a sopportare, a portarci a casa le frustrazioni. Loro invece non si adattano. Dunque è importante ascoltarli perché possono svelare un malessere che in realtà interessa tutti”.  
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