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Home » Lifestyle » Bruno Casini: “La new wave fiorentina brilla ancora ma la scena gay ha perso creatività”

Bruno Casini: “La new wave fiorentina brilla ancora ma la scena gay ha perso creatività”

Primo manager dei Litfiba, da sempre si occupa di comunicazione e promozione culturale: "Vorrei creare un archivio sugli anni Ottanta"

Giovanni Ballerini
9 Gennaio 2023
Bruno Casini

Bruno Casini

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E’ stato l’anima del Banana Moon, tra i fondatori della rivista Westuff, è stato primo manager dei Litfiba, ha diretto per oltre dieci anni l’Independent Music Meeting di Firenze e da sempre si occupa di comunicazione e promozione culturale. Incontriamo Bruno Casini in occasione delle due nuove edizioni di altrettanti libri (ne ha realizzati 16), che tornano in libreria aggiornate e arricchite da nuovi contributi letterari. Cioè la seconda edizione di “Frequenze fiorentine Firenze Anni ’80” (che dopo essere stato pubblicato da Arcana è recentemente uscito per Goodfellas) e la terza di “Tondelli e la musica. Colonne sonore per gli anni ’80“. La prima uscì nel 1992 per La Tosca, la seconda nel 1996 per Baldini & Castoldi, ora è uscita quella stampata da Edizioni Interno 4, con in più le nuove testimonianze di Stefano Pistolini, dell’ex CCCP Massimo Zamboni e di Pierfrancesco Pacoda.

Bruno Casini
Bruno Casini

Bruno, che rapporto aveva con Tondelli?
“Di amicizia, lo stimavo molto. Dall’1984 al 1989 ha vissuto a Firenze, poi si trasferì a Milano, dove morì nel 1991. Secondo me, ‘Altri libertini’, uscito nel 1980, è il libro più rock che la letteratura del 1900 abbia sfornato, ‘Pao pao’, che è uscito nel 1983 è quello più jazz, ‘Rimini’ quello più pop, ‘Camere separate’, il suo ultimo libro, che anticipa anche la sua morte, quello più dark. Ora siamo tutti digitali, noi invece negli anni Ottanta eravamo analogici, ma determinati. Erano anni di carta, non c’era ancora Internet, né i telefonini, gli smartphone”.

Eppure si creava a tutto spiano?
“E’ questo universo creativo che fece innamorare Pier Vittorio, che considerava Firenze la città più internazionale d’Italia, una capitale europea, come Barcellona, Parigi, Londra, Madrid, Berlino”.

La new wave fiorentina brilla ancora?
“Sì, attraverso le produzioni degli ex Litfiba. La band ha fatto l’ultimo concerto giovedì 22 dicembre al Mediolanum Forum di Milano, ma sia Piero Pelù, che Ghigo Renzulli, Antonio Aiazzi e Gianni Maroccolo continuano a portare avanti i loro progetti solisti. Poi ci sono l’ex Moda Andrea Chimenti, Federico Fiumani e i suoi Diaframma. Resistono i Pankow, che hanno appena pubblicato un nuovo album. Anche nel mondo del teatro, del design e della moda si continua alacremente a lavorare. Non è giusto parlare di amarcord, ma di una scena creativa che crea nella maturità”.

La cover del libro "Frequenze fiorentine"
La cover del libro “Frequenze fiorentine”

A proposito, lei è stato il primo manager dei Litfiba?
“Un progetto che dura 42 anni ha una grande forza. Credo che Firenze dovrebbe riconoscere qualcosa di importante ai Litfiba perché la band ha suonato in tutto il mondo portando la musica fiorentina nel mondo. Dopo 42 anni è giusto che ognuno prosegua per la sua strada. E’ un storia che rimarrà impressa nel cuore di noi che abbiamo vissuto quella indimenticabile stagione e in quello di quattro generazioni di fan che hanno seguito i loro live”.

Ha già qualcosa d’altro in cantiere lei che viene considerato lo storico degli anni Ottanta fiorentini?
“Il prossimo lavoro sarà sulle etichette indipendenti fiorentine. Contatterò tutte quelle che c’erano già allora, come Materiali Sonori, Lacerba. L’Ira Records e tante altre, dando un grande spazio al Meeting e a tutti quelli che sono passati nelle 14 edizioni che hanno scandito la creatività musicale di quegli anni. L’idea è di fare un check out sulle attività di quel periodo”.

Che sta cercando di storicizzare?
“Con varie persone che hanno aderito al progetto stiamo lavorando da un po’ di tempo al reperimento di risorse economiche e di un luogo adatto alla creazione di un archivio sugli anni Ottanta fiorentini. Non è un vezzo, ma la migliore maniera per rispondere alle tante richieste da tutt’Italia e dall’estero rispetto a notizie e materiali su quel periodo. Vorrei fare una grande mostra, come facemmo già nel 2002 in occasione del ventennale del Tenax. In quegli anni non ci rendevamo conto di cosa stavamo combinando, ma c’è tanto del materiale interessante da tirare fuori e riscoprire. Le giovani generazioni sono affascinate da questo mondo che continua a pulsare ancora oggi”.

La cover del libro "Tondelli e la musica. Colonne sonore per gli anni ’80"
La cover del libro “Tondelli e la musica. Colonne sonore per gli anni ’80”

Lei lo fa anche attraverso il Florence Queer Festival?
“Insieme a Barbara Caponi curo anche la direzione artistica di questo festival che quest’anno festeggia la ventunesima edizione e che si snoda, con la sua ricca programmazione culturale, tra mostre, eventi, musica, incontri, cinematografia internazionale. Il tutto dedicato alle tematiche Lgbtqia+“.

Come era la scena gay fiorentina negli ‘80 a Firenze?
“Molto attiva, anche prima degli anni Ottanta. Il Tabasco, nella piazzetta Santa Cecilia, dietro Piazza Signoria, è stato dal 1975 la prima discoteca gay in Italia. Il nightclubbing fiorentino è passato agli annali nazionali, grazie anche alle Tokyo Production con il dj eclettico Stefano Bonamici e la stilista Marie Anne Calosi che organizzavano le feste quando le discoteche chiudevano. Cioè dalle 4 di notte in poi e andavano avanti fino a mezzogiorno, anticipando il fenomeno che negli anni ’90 è stato chiamato afterhours. A quelle feste veniva tutto il mondo dell’intellighenzia musicale e non solo, da Little Steven a Tondelli, a Raf. Ma, era frequentato anche da fan di tutta Italia e in questi party esclusivi venivano a ballare anche dall’estero. Insomma a Londra c’era il Taboo e a Firenze il Tabasco che era frequentato anche dallo scrittore statunitense David Leavitt, che ha vissuto a Firenze per oltre due anni”.

E’ ancora una scena vivace quella gay fiorentina?
“E’ molto cambiata, come quella di tutta Italia. Da 9 anni al Tabasco non c’è più e hanno chiuso anche tanti altri locali gay. Ne hanno aperto altri, ma non è la stessa cosa: non c’è più l’esplosione creativa di un tempo. Anche perché negli anni ’80 vedevi il pubblico gay e quello rock spalla a spalla al Tenax e al Manila, soprattutto nel periodo in cui Cesare Pergola creava gli eventi, ma anche alle feste di Che Fine ha fatto Baby Jane e Booper, Sembrava essere nella Londra di Bowie di David Bowie, Boy George e Steve Strange dei Visage”.

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  • Nicoletta Sipos, giornalista e scrittrice, ha vissuto in Ungheria, in Germania e negli Stati Uniti, prima di raggiungere Milano e lì restare. Il suo romanzo “La guerra di H”, un romanzo fortemente ispirato a fatti realmente accaduti.

L’autrice indaga in maniera del tutto nuova e appassionante un momento drammatico, decisivo della storia del nostro continente: la Seconda guerra mondiale. A raccontare l’ascesa e la disfatta del Nazismo è stavolta la voce di un bambino tedesco, che riporta con semplicità e veracità le molte sofferenze patite dal suo popolo durante il conflitto scatenato da Hitler, focalizzando l’attenzione del lettore sul drammatico paradigma che accomuna chiunque si trovi a vivere sulla propria pelle una guerra: la sofferenza. Pagine toccanti, le sue, tanto più intense perché impregnate di fatti reali, emozioni provate e sentite dai protagonisti e condivise da quanti, tuttora, si trovano coinvolti in un conflitto armato. La memoria collettiva è uno strumento potente per non commettere gli stessi errori. 

"Imparai poco alla volta – scrive il piccolo Heinrich Stein, protagonista del romanzo – che nel nostro strano Paese la verità aveva più volti con infinite sfumature”.

👉Perché una storia così e perché ora?
“Ho incontrato il protagonista di questa mia storia molto tempo fa, addirittura negli anni ’50, ossia in un’epoca che portava ancora gli strascichi della guerra. Diventammo amici, parlammo di Hitler e della miseria della Germania. Poco per volta, via via che ci incontravamo, lui aggiungeva ricordi, dettagli, confessioni. Per anni ho portato dentro di me la testimonianza di questa storia che si arricchiva sempre più di dettagli. Molte volte avrei voluto scriverla, magari a quattro mani con il mio amico, ma lui non se la sentiva. Io stessa esitavo ad affrontare questa storia che racconta una famiglia tedesca in forte sofferenza in una Germania ferita e umiliata. La gente ha etichettato tutto il popolo tedesco durante il nazismo come crudele per antonomasia. Non si pensa mai a quanto la gente comune abbia sofferto, alla fame e al freddo che anche il popolo tedesco ha patito”.

✍ Caterina Ceccuti

#lucenews #giornodellamemoria #27gennaio
  • È dalla sua camera con vista affacciata sull’Arno che Ornella Vanoni accetta di raccontare un po’ di sé ai lettori di Luce!, in attesa di esibirsi, sabato 28 gennaio sul palco della Tuscany Hall di Firenze, dov’è in programma una nuova tappa della nuova tournée Le Donne e la Musica. Un ritorno atteso per Ornella Vanoni, che in questo tour è accompagnata da un quintetto di sole donne.

Innanzitutto come sta, signora Vanoni?
“Stanca, sono partita due mesi dopo l’intervento al femore che mi sono rotto cadendo per una buca proprio davanti a casa mia. Ma l’incidente non mi ha impedito di intraprendere un progetto inaspettato che, sin da subito, mi è stato molto a cuore. Non ho perso la volontà di andare avanti. Anche se il tempo per prepararlo e provare è stato pochissimo. E poi sono molto dispiaciuta“.

Per cosa?
“La morte dell’orso Juan Carrito, travolto e ucciso da un’auto cercava bacche e miele: la mia carissima amica Dacia (Maraini, ndr) l’altro giorno ha scritto una cosa molto bella dedicata a lui. Dovrò scrollarmi di dosso la malinconia e ricaricarmi in vista del concerto“.

Con lei sul palco ci sarà una jazz band al femminile con Sade Mangiaracina al pianoforte, Eleonora Strino alla chitarra, Federica Michisanti al contrabbasso, Laura Klain alla batteria e Leila Shirvani. Perché questa scelta?
“Perché sono tutte bravissime, professioniste davvero eccezionali. Non è una decisione presa sulla spinta di tematiche legate al genere o alle quote rosa, ma nata grazie a Paolo Fresu, amico e trombettista fantastico del quale sono innamorata da sempre. Tempo fa, durante una chiacchierata, Paolo mi raccontò che al festival jazz di Berchidda erano andate in scena tante musiciste bravissime. E allora ho pensato: ’Se sono così brave perché non fare un gruppo di donne? Certo, non l’ha fatto mai nessuno. Bene, ora lo faccio io“.

Il fatto che siano tutte donne è un valore aggiunto?
“In realtà per me conta il talento, ma sono felice della scelta: è bellissimo sentire suonare queste artiste, vederle sul palco intorno a me mi emoziona“.

L
  • Devanshi Sanghvi è una bambina di otto anni che sarebbe potuta crescere e studiare per gestire l’attività di diamanti multimilionaria appartenente alla sua facoltosissima famiglia, con un patrimonio stimato di 60 milioni di dollari.

Ma la piccola ha scelto di farsi suora, vivendo così una vita spartana, vestita con sari bianchi, a piedi nudi e andando di porta in porta a chiedere l’elemosina. Si è unita ai “diksha” alla presenza di anziani monaci giainisti. La bimba è arrivata alla cerimonia ingioiellata e vestita di sete pregiate. Sulla sua testa poggiava una corona tempestata di diamanti. Dopo la cerimonia, a cui hanno partecipato migliaia di persone, è rimasta in piedi con altre suore, vestita con un sari bianco che le copriva anche la testa rasata. Nelle fotografie, la si vede con in mano una scopa che ora dovrà usare per spazzare via gli insetti dal suo cammino per evitare di calpestarli accidentalmente.

Di Barbara Berti ✍

#lucenews #lucelanazione #india #DevanshiSanghvi
  • Settanta giorni trascorsi in un mondo completamente bianco, la capitana dell’esercito britannico Harpreet Chandi, che già lo scorso anno si era distinta per un’impresa tra i ghiacci, è una fisioterapista che lavora in un’unità di riabilitazione regionale nel Buckinghamshire, fornendo supporto a soldati e ufficiali feriti. 

Ha dimostrato che i record sono fatti per essere battuti e, soprattutto, i limiti personali superabili grazie alla forza di volontà e alla preparazione. E ora è diventata una vera leggenda vivente, battendo il record del mondo femminile per la più lunga spedizione polare – sola e senza assistenza – della storia.

Il 9 gennaio scorso, 57esimo giorno del viaggio che era cominciato lo scorso 14 novembre, la 34enne inglese ha raggiunto il centro del Polo Sud dopo aver percorso circa 1100 chilometri. Quando è arrivata a destinazione nel bel mezzo della calotta polare era felice, pura e semplice gioia di aver raggiunto l’agognato traguardo: “Il Polo Sud è davvero un posto incredibile dove stare. Non mi sono fermata molto a lungo perché ho ancora un lungo viaggio da fare. È stato davvero difficile arrivare qui, sciando tra le 13 e le 15 ore al giorno con una media di 5 ore di sonno”.

Di Irene Carlotta Cicora ✍

#lucenews #lucelanazione #polosud #HarpreetChandi #polarpreet
E' stato l’anima del Banana Moon, tra i fondatori della rivista Westuff, è stato primo manager dei Litfiba, ha diretto per oltre dieci anni l'Independent Music Meeting di Firenze e da sempre si occupa di comunicazione e promozione culturale. Incontriamo Bruno Casini in occasione delle due nuove edizioni di altrettanti libri (ne ha realizzati 16), che tornano in libreria aggiornate e arricchite da nuovi contributi letterari. Cioè la seconda edizione di "Frequenze fiorentine Firenze Anni ’80" (che dopo essere stato pubblicato da Arcana è recentemente uscito per Goodfellas) e la terza di "Tondelli e la musica. Colonne sonore per gli anni ’80". La prima uscì nel 1992 per La Tosca, la seconda nel 1996 per Baldini & Castoldi, ora è uscita quella stampata da Edizioni Interno 4, con in più le nuove testimonianze di Stefano Pistolini, dell’ex CCCP Massimo Zamboni e di Pierfrancesco Pacoda.
Bruno Casini
Bruno Casini
Bruno, che rapporto aveva con Tondelli? "Di amicizia, lo stimavo molto. Dall’1984 al 1989 ha vissuto a Firenze, poi si trasferì a Milano, dove morì nel 1991. Secondo me, 'Altri libertini', uscito nel 1980, è il libro più rock che la letteratura del 1900 abbia sfornato, 'Pao pao', che è uscito nel 1983 è quello più jazz, 'Rimini' quello più pop, 'Camere separate', il suo ultimo libro, che anticipa anche la sua morte, quello più dark. Ora siamo tutti digitali, noi invece negli anni Ottanta eravamo analogici, ma determinati. Erano anni di carta, non c’era ancora Internet, né i telefonini, gli smartphone". Eppure si creava a tutto spiano? "E’ questo universo creativo che fece innamorare Pier Vittorio, che considerava Firenze la città più internazionale d’Italia, una capitale europea, come Barcellona, Parigi, Londra, Madrid, Berlino". La new wave fiorentina brilla ancora? "Sì, attraverso le produzioni degli ex Litfiba. La band ha fatto l’ultimo concerto giovedì 22 dicembre al Mediolanum Forum di Milano, ma sia Piero Pelù, che Ghigo Renzulli, Antonio Aiazzi e Gianni Maroccolo continuano a portare avanti i loro progetti solisti. Poi ci sono l’ex Moda Andrea Chimenti, Federico Fiumani e i suoi Diaframma. Resistono i Pankow, che hanno appena pubblicato un nuovo album. Anche nel mondo del teatro, del design e della moda si continua alacremente a lavorare. Non è giusto parlare di amarcord, ma di una scena creativa che crea nella maturità".
La cover del libro "Frequenze fiorentine"
La cover del libro "Frequenze fiorentine"
A proposito, lei è stato il primo manager dei Litfiba? "Un progetto che dura 42 anni ha una grande forza. Credo che Firenze dovrebbe riconoscere qualcosa di importante ai Litfiba perché la band ha suonato in tutto il mondo portando la musica fiorentina nel mondo. Dopo 42 anni è giusto che ognuno prosegua per la sua strada. E’ un storia che rimarrà impressa nel cuore di noi che abbiamo vissuto quella indimenticabile stagione e in quello di quattro generazioni di fan che hanno seguito i loro live". Ha già qualcosa d’altro in cantiere lei che viene considerato lo storico degli anni Ottanta fiorentini? "Il prossimo lavoro sarà sulle etichette indipendenti fiorentine. Contatterò tutte quelle che c’erano già allora, come Materiali Sonori, Lacerba. L’Ira Records e tante altre, dando un grande spazio al Meeting e a tutti quelli che sono passati nelle 14 edizioni che hanno scandito la creatività musicale di quegli anni. L’idea è di fare un check out sulle attività di quel periodo". Che sta cercando di storicizzare? "Con varie persone che hanno aderito al progetto stiamo lavorando da un po’ di tempo al reperimento di risorse economiche e di un luogo adatto alla creazione di un archivio sugli anni Ottanta fiorentini. Non è un vezzo, ma la migliore maniera per rispondere alle tante richieste da tutt’Italia e dall’estero rispetto a notizie e materiali su quel periodo. Vorrei fare una grande mostra, come facemmo già nel 2002 in occasione del ventennale del Tenax. In quegli anni non ci rendevamo conto di cosa stavamo combinando, ma c’è tanto del materiale interessante da tirare fuori e riscoprire. Le giovani generazioni sono affascinate da questo mondo che continua a pulsare ancora oggi".
La cover del libro "Tondelli e la musica. Colonne sonore per gli anni ’80"
La cover del libro "Tondelli e la musica. Colonne sonore per gli anni ’80"
Lei lo fa anche attraverso il Florence Queer Festival? "Insieme a Barbara Caponi curo anche la direzione artistica di questo festival che quest’anno festeggia la ventunesima edizione e che si snoda, con la sua ricca programmazione culturale, tra mostre, eventi, musica, incontri, cinematografia internazionale. Il tutto dedicato alle tematiche Lgbtqia+". Come era la scena gay fiorentina negli ‘80 a Firenze? "Molto attiva, anche prima degli anni Ottanta. Il Tabasco, nella piazzetta Santa Cecilia, dietro Piazza Signoria, è stato dal 1975 la prima discoteca gay in Italia. Il nightclubbing fiorentino è passato agli annali nazionali, grazie anche alle Tokyo Production con il dj eclettico Stefano Bonamici e la stilista Marie Anne Calosi che organizzavano le feste quando le discoteche chiudevano. Cioè dalle 4 di notte in poi e andavano avanti fino a mezzogiorno, anticipando il fenomeno che negli anni ’90 è stato chiamato afterhours. A quelle feste veniva tutto il mondo dell’intellighenzia musicale e non solo, da Little Steven a Tondelli, a Raf. Ma, era frequentato anche da fan di tutta Italia e in questi party esclusivi venivano a ballare anche dall’estero. Insomma a Londra c’era il Taboo e a Firenze il Tabasco che era frequentato anche dallo scrittore statunitense David Leavitt, che ha vissuto a Firenze per oltre due anni". E’ ancora una scena vivace quella gay fiorentina? "E’ molto cambiata, come quella di tutta Italia. Da 9 anni al Tabasco non c’è più e hanno chiuso anche tanti altri locali gay. Ne hanno aperto altri, ma non è la stessa cosa: non c’è più l’esplosione creativa di un tempo. Anche perché negli anni ’80 vedevi il pubblico gay e quello rock spalla a spalla al Tenax e al Manila, soprattutto nel periodo in cui Cesare Pergola creava gli eventi, ma anche alle feste di Che Fine ha fatto Baby Jane e Booper, Sembrava essere nella Londra di Bowie di David Bowie, Boy George e Steve Strange dei Visage".
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