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Home » Lifestyle » Burnout nel conciliare famiglia e lavoro: lo prova 1 italiano su 2

Burnout nel conciliare famiglia e lavoro: lo prova 1 italiano su 2

Da un'indagine di Indeed emerge soprattutto la richiesta di maggiori agevolazioni, da parte delle aziende, per genitori e caregiver. Indeed introduce il congedo parentale equivalente di 26 settimane

Marianna Grazi
12 Marzo 2023
Burnout nel conciliare famiglia e lavoro: lo prova un italian* su due

Burnout nel conciliare famiglia e lavoro: lo prova un italian* su due

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Burnout. Un termine che è entrato prepotentemente a far parte del nostro vocabolario negli ultimi anni. Ma soprattutto un fenomeno sempre più diffuso. Ma chi sono i soggetti più colpiti da questo “esaurimento”? Ad averlo sperimentato sono tanti giovani, soprattutto nel post pandemia, ma la sindrome derivante da stress cronico o da una situazione logorante dal punto di vista psicofisico colpisce oggi anche tantissime persone adulte. Che nel tentativo di bilanciare famiglia e lavoro vanno in cortocircuito, si ‘bruciano’, per così dire.

Cosa chiedono i lavoratori italiani

Più di un italiano su due sperimenta il burnout nel cercare di conciliare i vari ambiti, privato e lavorativo, della propria vita

Da un’indagine condotta da Indeed – portale leader al mondo per chi cerca e offre lavoro –, emerge che il burnout colpisce più di 1 italiano su 2. E che le donne sono maggiormente soggette (62%) rispetto agli uomini (54%). Non solo. Alla stanchezza e allo scoramento, molto spesso si accompagna anche il senso di colpa, con punte fino al 65% tra le donne. E allora quali possono essere le soluzioni?
Tra i 1000 intervistati il 61% – praticamente in pari misura tra donne e uomini – ha risposto che desidera poter contare su un maggior supporto per genitori e caregiver da parte del datore di lavoro, ma in cima alla classifica c’è la flessibilità, il poter lavorare da casa o secondo orari elastici (43%). Sarebbero molto apprezzati anche la possibilità di beneficiare di maggior tempo libero nel corso dell’anno (34%) e di un congedo parentale retribuito più lungo (32%). Un lavoratore italiano su 4, inoltre, vorrebbe poter contare su un sostegno concreto da parte del proprio datore di lavoro, che potrebbe comprendere servizi di assistenza per infanzia sul posto di lavoro, oppure sostegno alle spese per i figli e coperture di emergenza. Insomma le agevolazioni per i genitori e i caregiver sono un fattore decisivo nella scelta del posto di lavoro (68%).

Indeed: congedo parentale paritario di 26 settimane

Se la principale richiesta di mamme e papà lavoratori è quella di avere maggior supporto (di tempo, di turni, di asili) dalla propria azienda, questa necessità accomuna le famiglie italiane a quelle straniere. Indeed ha introdotto di recente il congedo parentale equivalente per tutti i propri dipendenti, a prescindere dal genere: si tratta di 26 settimane, retribuite, da utilizzare entro il primo anno successivo alla nascita, l’adozione o l’accoglienza del bambino. Ma non solo, perché nei prossimi mesi saranno introdotti anche 15 giorni di congedo non-parentale retribuiti, per coloro che si prendono cura di altri familiari. Un bel passo avanti per contrastare un fenomeno – quello dell’esaurimento – che colpisce soprattutto le donne. Che “tradizionalmente, si sono sempre fatte carico della maggior parte delle responsabilità di cura della famiglia; sia per la cura dei figli, sia per l’assistenza ad altri membri che abbiano bisogno – commenta Ilaria Caccamo, Managing Director di Indeed in Italia -. Poter dedicare tempo alla propria vita privata deve essere normalizzato per chiunque, indipendentemente dal genere”.

Burnout donna
Indeed introduce 26 settimane di congedo parentale equivalente per i/le lavorator* (https://www.ciphr.com/)

“Dalla nostra indagine emerge anche che la maggior parte degli uomini italiani vorrebbe poter contare su un maggior supporto da parte dei datori di lavoro per quanto concerne il prendersi cura dei figli o degli altri familiari che hanno bisogno di assistenza – continua Caccamo -. Se tutti i lavoratori hanno diritto e sono incoraggiati dal proprio datore di lavoro ad avvalersi di un sostegno per fare fronte a questi bisogni, si livella il campo di gioco. La cura della famiglia diventa parte integrante della vita (anche professionale) di chiunque; non più qualcosa che riguarda solo le donne. Tuttavia, vale la pena sottolineare che politiche e benefit di questo tipo devono essere supportati da una cultura che li sostenga e li normalizzi. È importante che le aziende preparino i propri manager in modo che comprendano quali sono i vantaggi di tali strumenti e possano sostenerne l’utilizzo. Allo stesso modo sarà importante cercare in modo proattivo il feedback dei propri dipendenti per capire meglio di cosa hanno bisogno per lavorare nel migliore dei modi”.

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  • "Ora dobbiamo fare di meno, per il futuro".

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  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
  • Presidi psicologici, psicoterapeutici e di counselling per tutti gli studenti universitari e scolastici. Lo chiedono l’Udu, Unione degli universitari, e la Rete degli studenti medi nella proposta di legge ‘Chiedimi come sto’ consegnata a una delegazione di parlamentari nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.

La proposta è stata redatta secondo le conclusioni di una ricerca condotta da Spi-Cgil e Istituto Ires, che ha evidenziato come, su un campione di 50mila risposte, il 28 per cento abbia avuto esperienze di disturbi alimentari e oltre il 14 di autolesionismo.

“Nella nostra generazione è ancora forte lo stigma verso chi sta male ed è difficile chiedere aiuto - spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu - l’interesse effettivo della politica si è palesato solo dopo il 15esimo suicidio di studenti universitari in un anno e mezzo. Ci sembra assurdo che la politica si interessi solamente dopo che si supera il limite, con persone che arrivano a scegliere di togliersi la vita.

Dall’altro lato, è positivo che negli ultimi mesi si sia deciso di chiedere a noi studenti come affrontare e come risolvere, il problema. Non è scontato e non è banale, perché siamo abituati a decenni in cui si parla di nuove generazioni senza parlare alle nuove generazioni”.

#luce #lucenews #università
  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere
Burnout. Un termine che è entrato prepotentemente a far parte del nostro vocabolario negli ultimi anni. Ma soprattutto un fenomeno sempre più diffuso. Ma chi sono i soggetti più colpiti da questo "esaurimento"? Ad averlo sperimentato sono tanti giovani, soprattutto nel post pandemia, ma la sindrome derivante da stress cronico o da una situazione logorante dal punto di vista psicofisico colpisce oggi anche tantissime persone adulte. Che nel tentativo di bilanciare famiglia e lavoro vanno in cortocircuito, si 'bruciano', per così dire.

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Indeed: congedo parentale paritario di 26 settimane

Se la principale richiesta di mamme e papà lavoratori è quella di avere maggior supporto (di tempo, di turni, di asili) dalla propria azienda, questa necessità accomuna le famiglie italiane a quelle straniere. Indeed ha introdotto di recente il congedo parentale equivalente per tutti i propri dipendenti, a prescindere dal genere: si tratta di 26 settimane, retribuite, da utilizzare entro il primo anno successivo alla nascita, l’adozione o l’accoglienza del bambino. Ma non solo, perché nei prossimi mesi saranno introdotti anche 15 giorni di congedo non-parentale retribuiti, per coloro che si prendono cura di altri familiari. Un bel passo avanti per contrastare un fenomeno - quello dell'esaurimento - che colpisce soprattutto le donne. Che "tradizionalmente, si sono sempre fatte carico della maggior parte delle responsabilità di cura della famiglia; sia per la cura dei figli, sia per l’assistenza ad altri membri che abbiano bisogno - commenta Ilaria Caccamo, Managing Director di Indeed in Italia -. Poter dedicare tempo alla propria vita privata deve essere normalizzato per chiunque, indipendentemente dal genere".
Burnout donna
Indeed introduce 26 settimane di congedo parentale equivalente per i/le lavorator* (https://www.ciphr.com/)
"Dalla nostra indagine emerge anche che la maggior parte degli uomini italiani vorrebbe poter contare su un maggior supporto da parte dei datori di lavoro per quanto concerne il prendersi cura dei figli o degli altri familiari che hanno bisogno di assistenza - continua Caccamo -. Se tutti i lavoratori hanno diritto e sono incoraggiati dal proprio datore di lavoro ad avvalersi di un sostegno per fare fronte a questi bisogni, si livella il campo di gioco. La cura della famiglia diventa parte integrante della vita (anche professionale) di chiunque; non più qualcosa che riguarda solo le donne. Tuttavia, vale la pena sottolineare che politiche e benefit di questo tipo devono essere supportati da una cultura che li sostenga e li normalizzi. È importante che le aziende preparino i propri manager in modo che comprendano quali sono i vantaggi di tali strumenti e possano sostenerne l'utilizzo. Allo stesso modo sarà importante cercare in modo proattivo il feedback dei propri dipendenti per capire meglio di cosa hanno bisogno per lavorare nel migliore dei modi".
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