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Chantal Pistelli McClelland, artista tra le onde con la sua protesi: "Bisogna sempre essere pronti a cambiare il proprio punto di vista”

di IRENE CARLOTTA CICORA -
23 aprile 2021
SurfistaDisabilePROVA

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"Sono nata con un’aplasia al piede destro e ho un dislivello di 6 centimetri tra una gamba e l’altra. Per questo porto una protesi, che mi permette di camminare normalmente. Per anni ho avuto difficoltà a relazionarmi con gli altri, c’era chi mi chiamava 'gamba di legno' e chi invece si divertiva a bisbigliare al mio passaggio per il gusto di dare cattivi giudizi. Sono stata male, mi sono sentita spesso sola e disperata ma quella che racconto oggi è una storia unica e meravigliosa. Una come tante. Metterla a fuoco non è stato semplice, ci sono voluti anni ma adesso sfilo, poso in shooting fotografici  come modella e mi dedico allo sport, in particolare al surf. Il messaggio che porto? Bisogna sempre essere pronti a cambiare il proprio punto di vista". Chantal Pistelli McClelland è una ragazza dinamica e solare che vive in Toscana, a Marina di Pisa. Fin da piccola si è trovata a combattere con i pregiudizi, l’ignoranza e l’indifferenza di chi la guardava come si fa con un animale strano e finiva per soffermarsi sul suo aspetto. In particolare su quella protesi, che da sempre le consente di camminare e fare ogni cosa. Il suo è un percorso di rinascita e riscatto straordinario, culminato con l’affermazione di sé e con la creazione di un’associazione – Unique APS – che punta a eliminare le etichette e a far comprendere che ciò che viene comunemente definito ‘difetto fisico’ può e deve essere invece considerato un unicum da valorizzare. "Da bambini non sappiamo bene che cosa sia la ‘normalità’, quindi per me era del tutto normale avere un piede solo. Casomai mi sembrava un po’ strana mia sorella maggiore, che ne aveva due. Ho vissuto la prima infanzia in maniera serena, coccolata e protetta dalla mia famiglia, fino alle scuole elementari. I compagni di classe mi guardavano questa gamba strana inizialmente con curiosità, per cui da un lato mi sentivo come liberata da un fardello. Ben presto, però, hanno iniziato a isolarmi: non capivano che cosa avessi. C’era chi mi chiamava 'gamba di legno', venivo messa da parte e finivo per stare principalmente sola in cortile anche a ricreazione. Furono anni di grande solitudine, durante i quali ho vissuto la disabilità principalmente negli occhi degli altri. Quando finalmente ho cambiato ambiente andando alle medie, ho creduto di essermi lasciata tutto alle spalle. Ma non era così. Sembrava che per gli altri avessi una malattia contagiosa, spesso facevano cadere penne e matite così da avere la scusa per toccarmi e osservare la gamba. Ben presto è iniziato un nuovo periodo di silenzi: nessuno si interessava della mia condizione, tutto si basava sull’apparenza".

Gli anni del liceo, la depressione e i disturbi alimentari

"Finite le medie ho frequentato l’Istituto d’arte e qui le cose sono andate in maniera opposta: non ho subito alcun episodio di bullismo. Ma si sa, l’adolescenza è un periodo durante il quale si va sempre un po’ in crisi. Così sono andata in depressione ed è iniziata la fase dei disturbi alimentari. Non andavo al mare, stavo per conto mio e soffrivo di bulimia. Dopo il diploma sono andata a Milano per frequentare lo IED e diventare consulente d’immagine, visto che la moda è una mia grande passione. Lì stavo bene, lontano da Pisa che mi ricordava troppi momenti bui. Quando ci tornai, si riaprì un baratro: tornò la depressione, tornarono i disturbi alimentari che mi portarono a pesare anche 80 chili. Non volevo mai uscire, il solo pensiero mi faceva paura. Avevo interrotto i rapporti con tutti e non rispondevo più al telefono ma continuavo a ripetermi di potercela fare, restando comunque impantanata. Dopo un viaggio in Svizzera per una nuova protesi iniziai un percorso con psicologo, psichiatra e nutrizionista. Fu proprio la nutrizionista, Roberta Jaccheri - che aveva capito quanto io fossi chiusa, timida e ipersensibile – a trovare la chiave per aiutarmi. Mi sentivo a mio agio con gli animali, perché erano gli unici a non chiedere e a non giudicare mai. Così la dottoressa mi chiese se mi avrebbe fatto piacere portare a spasso la sua cagnolina, una bastardina di nome Lucy: furono le prime volte che tornai a uscire di casa. Andavamo in macchina al parco di San Rossore e passeggiavamo molto. Pian piano iniziai ad allungare i giri, uscendo definitivamente dalla depressione".  

Il viaggio della svolta a Parigi, la moda e lo sport

"Decisi allora di comprare un biglietto aereo per Parigi. Me ne andai da sola, stetti nella capitale francese per un mese. Fu l’inizio del percorso di rinascita: pianificavo le mie giornate, passeggiavo moltissimo e frequentavo un corso di lingua che permise di incontrare persone da altre parti del mondo. La bellezza del viaggio sta nel fatto che ti consente di aprire la mente e cambiare prospettiva. Iniziavo finalmente a conoscermi, a capire cosa mi piaceva fare e cosa no: mi appropriavo di me stessa, allargavo il mio mondo e mi accettavo. In seguito ho portato a termine il percorso di studi a Milano, poi sono tornata a Pisa per lavorare. Stavo curando un negozio come consulente di immagine e in quell’occasione ho avuto la possibilità di prendere parte a uno shooting fotografico, sostituendo una modella che aveva dato forfait (a Milano, peraltro, avevo già fatto qualche servizio). Iniziò così una nuova fase: cominciai a fare foto ma la protesi non la mostravo. Decisi allora di trasformarla in un accessorio fashion grazie all’estro di un amico livornese, l'artista e decoratore Francesco Spanò. La protesi che uso per fare i servizi, con il piede inclinato di 10 centimetri per mettere i tacchi, la volevo più glamour e dorata in stile Gustav Klimt. Ma sono state decorate anche quella con il piede piatto che uso per camminare, secondo il tema del blu con un lupo che è il mio animale totem, e quella sportiva. Quest’ultima, visto che pratico il surf, è stata decorata a tema hawaiano con l'ibiscus e un’onda che si infrange".  

La lotta ai pregiudizi e l’associazione che promuove l’inclusione

"Non ho mai sopportato gli sguardi interrogativi e i bisbigli delle persone, le loro vocine giudicanti. A volte le sento persino in spiaggia, quando non indosso la protesi. Da quando ho iniziato a fare sport acquatici, però, sono riuscita a farmi scivolare addosso anche questa cosa. E comunque, ripeto, è tutta questione di punti di vista. Il solo fatto di aver decorato la protesi l’ha trasformata in qualcosa di diverso, che adesso incuriosisce molte persone in senso positivo. Ho preso parte a una sfilata in stile 'steampunk' al Lucca Comics&Games qualche anno fa ed ero vestita da piratessa: indossavo una gamba di legno, che era molto realistica. C'era chi, mentre camminavo sulle Mura, mi fermava per fare i complimenti al mio costume e... alla gamba di legno. Così ho pensato che si era chiuso un cerchio. Il 23 gennaio dello scorso anno ho deciso di fondare l’associazione Unique APS che ha sede a Pisa. L’obiettivo? Omaggiare chi vive la vita appieno e incoraggiare chi ancora non lo fa a farlo, andando oltre la disabilità. Vogliamo eliminare etichette e categorie: l’unicità sta nel modo in cui si sceglie di vivere la vita, nel punto di vista di ciascuno di noi. La mia unicità è vedere l’arte in ogni cosa, al punto da aver voluto decorare le protesi per renderle più belle. I miei punti di riferimento? Jessica Notaro, fortissima nella sua fragilità, Lauryn Hill, icona di realizzazione femminile, e Jane Austen che mi ha fatto innamorare della lettura. Un mondo dove ciascuno riesce a valorizzare la propria unicità, sarebbe il mondo perfetto. Utopia? Dobbiamo solo crederlo possibile. Unique APS sceglie di comunicare attraverso le arti visive, perché crediamo che l’arte a 360 gradi possa aiutare a osservare il mondo con un punto di vista diverso. Il nostro motto? Nessuno è come te e questo è il tuo potere".