"Sono nata con un’aplasia al piede destro e ho un dislivello di 6 centimetri tra una gamba e l’altra. Per questo porto una protesi, che mi permette di camminare normalmente. Per anni ho avuto difficoltà a relazionarmi con gli altri, c’era chi mi chiamava 'gamba di legno' e chi invece si divertiva a bisbigliare al mio passaggio per il gusto di dare cattivi giudizi. Sono stata male, mi sono sentita spesso sola e disperata ma quella che racconto oggi è una storia unica e meravigliosa. Una come tante. Metterla a fuoco non è stato semplice, ci sono voluti anni ma adesso sfilo, poso in shooting fotografici come modella e mi dedico allo sport, in particolare al surf. Il messaggio che porto? Bisogna sempre essere pronti a cambiare il proprio punto di vista". Chantal Pistelli McClelland è una ragazza dinamica e solare che vive in Toscana, a Marina di Pisa. Fin da piccola si è trovata a combattere con i pregiudizi, l’ignoranza e l’indifferenza di chi la guardava come si fa con un animale strano e finiva per soffermarsi sul suo aspetto. In particolare su quella protesi, che da sempre le consente di camminare e fare ogni cosa. Il suo è un percorso di rinascita e riscatto straordinario, culminato con l’affermazione di sé e con la creazione di un’associazione – Unique APS – che punta a eliminare le etichette e a far comprendere che ciò che viene comunemente definito ‘difetto fisico’ può e deve essere invece considerato un unicum da valorizzare. "Da bambini non sappiamo bene che cosa sia la ‘normalità’, quindi per me era del tutto normale avere un piede solo. Casomai mi sembrava un po’ strana mia sorella maggiore, che ne aveva due. Ho vissuto la prima infanzia in maniera serena, coccolata e protetta dalla mia famiglia, fino alle scuole elementari. I compagni di classe mi guardavano questa gamba strana inizialmente con curiosità, per cui da un lato mi sentivo come liberata da un fardello. Ben presto, però, hanno iniziato a isolarmi: non capivano che cosa avessi. C’era chi mi chiamava 'gamba di legno', venivo messa da parte e finivo per stare principalmente sola in cortile anche a ricreazione. Furono anni di grande solitudine, durante i quali ho vissuto la disabilità principalmente negli occhi degli altri. Quando finalmente ho cambiato ambiente andando alle medie, ho creduto di essermi lasciata tutto alle spalle. Ma non era così. Sembrava che per gli altri avessi una malattia contagiosa, spesso facevano cadere penne e matite così da avere la scusa per toccarmi e osservare la gamba. Ben presto è iniziato un nuovo periodo di silenzi: nessuno si interessava della mia condizione, tutto si basava sull’apparenza".
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