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Home » Lifestyle » Dignità del debole: il problema dei bambini in carcere, detenuti senza colpa dietro le sbarre

Dignità del debole: il problema dei bambini in carcere, detenuti senza colpa dietro le sbarre

Lo psicoterapeuta Massimo Scalini porta alla luce un tema quasi completamente ignorato dalla società. "Coazione a ripetere" una delle conseguenze

Marianna Grazi
14 Gennaio 2023
Bambini in carcere: a giugno 2022 in Italia erano 57 i minori di sei anni detenuti con le madri

Bambini in carcere: a giugno 2022 in Italia erano 57 i minori di sei anni detenuti con le madri

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“Il carcere deve reinseire, non disumanizzare […] Quello della giustizia carceraria è un tema che riguarda tutte e tutti noi. Se invece rimarrà relegato all’interno dei muri di contenimento, rischia di restare sempre e solo un problema”. Le recenti parole della senatrice Ilaria Cucchi (Alleanza Verdi e Sinistra), affidate alla pagina Instagram del partito, suonano come un monito attuale, soprattutto quando si pensa al tema dei minori in carcere. E non quelli che si sono resi colpevoli di qualche reato e sono quindi detenuti negli ‘appositi’ istituti di pena, ma i più piccoli, coloro che si trovano a trascorrere dietro le sbarre anni di pena di cui si è macchiata la loro mamma.

Al giorno d’oggi cosa significa essere debole? Chi è il debole? “In medicina si immagina sempre colui che ha delle difficoltà oggettive in termini di salute, in termini di disabilità. Ma la debolezza non è legata solo alla fragilità della malattia, ma anche alla vulnerabilità”, spiega Massimo Scalini, psichiatra e psicoterapeuta fiorentino, autore del libro “La Porta Di Dite – La follia reclusa“. Tra le varie sfumature della personalità del debole, da anni porta come esempio proprio la figura del bambino, che “è spesso un soggetto debole e quindi vulnerabile anche se sano, di per sé, specie quando non ci occupiamo più di tanto di lui. È il caso delle separazioni giudiziarie di due coniugi, quando il vissuto soggettivo del minore spesso viene messo in secondo piano e considerato soltanto quando nascono problematiche di affidamento”.

È dignitoso per i bambini sotto i sei anni vivere in carcere con le madri scontando una pena di cui non sono colpevoli?

La dignità del debole: i bambini in carcere con le madri

A Luce! l’esperto affronta un problema poco ‘sentito’ a livello sociale, ma assolutamente reale: “L’orrore dei bambini in carcere: fino a giugno scorso, 57 bambini al disotto dei 6 anni erano detenuti in Italia. Si parla di 57 persone, non scuotono le coscienze, non spingono le masse… Ma in Europa (UE) oggi ci sono 1608 bambini sotto i 6 anni in stato di detenzione con la mamma. Sono detenuti senza colpa. Ma in uno Stato che dimentica questi 57 bambini, questi oltre 1600 in Europa, che vivono in queste condizioni – custodia attenuata significa comunque detenzione – c’è urgente necessità di metterli al centro della riflessione pubblica”. Scalini introduce quindi un concetto fondamentale, quello di dignità del debole. “Basta aprire qualsiasi enciclopedia, alla voce dignità, per perdersi in mille diatribe filosofiche su cosa significhi. In realtà viene dal latino ‘dignus’, che significa ‘adatto’. Per capire se una cosa è dignitosa o meno per una persona è sufficiente chiedersi se si addice o meno ad essa: si addice a un bambino la galera? Tra l’altro per una colpa non sua ma di sua madre”, si chiede il medico.

Il caso a Sollicciano

Massimo Scalini evidenzia anche la non adeguatezza del rapporto esclusivo che si viene a creare tra madre e figlio in prigione

E ancora, come aveva fatto durante il convegno “Vulnerabilità psicofisica, esclusione, cronicità. Proposte per la tutta della dignità del debole: un valore che cura”, organizzato dall’università di Perugia, si domanda se si addica “a una sana crescita psicologica del bambino creare un rapporto esclusivo madre-minore (non in carcere ma negli ICAM, gli istituti a custodia attenuata per le madri detenute) che poi viene interrotto nel giorno del compleanno del bambino?”. Al compimento del sesto anno d’età, infatti, un agente di custodia – “per fortuna non in divisa” – porta via il bimbo per affidarlo a una nonna – quando c’è -, a una suora di un istituto o a un genitore affidatario. Le leggi, in questo senso, non mancano, “anzi ce ne sono forse troppe, che tutelano anche il debole. Il problema è l’effettività di queste tutele, che vegano rese tali. E che, troppo spesso, non accade”. Ad esempio a inizio giugno la Camera dei Deputati ha approvato il disegno di legge secondo il quale non ci sarebbero dovuti più essere bambini negli istituti di pena, ma Scalini ricorda un episodio accaduto proprio in quei giorni: “A Sollicciano, la casa circondariale di Firenze, fu portato un bambino di 3 anni che era in affidamento alla nonna la quale, essendosi ammalata e non avendo altri a cui lasciarlo mentre era in ospedale, era stata costretta a far portare il nipote dalla madre detenuta. Non la mamma dal bambino! – sottolinea lo psichiatra-. Questo non è dignitoso. A Sollicciano c’è un asilo, e se c’è un asilo vuol dire che c’è un problema”.

Il fenomeno della ‘coazione a ripetere’

bambini-carcere
Nei bambini che hanno trascorso in prigione parte della loro infanzia si riscontra, da grandi, la tendenza alla coazione a ripetere, ovvero a compiere a loro volta dei reati

Il tema dei bambini in carcere o nelle ICAM è molto sentito perché, oltre che gli specialisti clinici, spesso ci si trovano ad avere a che fare anche i legali. Anch’essa al convegno perugino dell’estate scorsa con il professor Scalini, l’avvocato Diana Rondoni ci spiega infatti una delle conseguenze possibili – e purtroppo probabili – della detenzione in tenera età. “Siamo spesso incappati in casi di coazione a ripetere. Cioè coloro che all’epoca in cui erano bambini avevano avuto la sfortuna di stare dietro alle sbarre – teniamo presente ce prima non c’erano non cerano le ICAM né comunità dal carattere meno penitenziario – si ricordano tutto di quel periodo nonostante la giovanissima età e non solo, elaborano anche una gravissima situazione di disagio che poi li porta da adulti a porre in essere condotte cicliche di coazione a ripetere”, spiega l’avvocato.
“Chi ha visto e respirato un clima avverso dal punto di vista ambientale e sociale, che da bambini non dovrebbe assolutamente essere vissuto, a sua volta mette in essere condotte illecite molto più di frequente rispetto ad altri soggetti – aggiunge –. Invece di trarre beneficio da questa diade madre-bambino nei primi sei anni in carcere in realtà diventa un background pericoloso“.
Il beneficio è assolutamente relativo – rincara Scalini –: è un rapporto esclusivo nel quale non c’è un cugino, non c’è l’amichetto, non c’è un fratello con cui condividere. O se c’è, quando il bambino compie sei anni e viene portato via, si interrompe bruscamente. Dopodiché ci sono gli affidamenti. Sono aberrazioni“.

Aberrazioni che però non escono da quelle sbarre, oltre le mura delle galere, che noi cittadini comuni facciamo troppo spesso finta che non esistano. “Occhio non vede, cuore non duole”.

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  • Nino Gennaro cresce in un paese complesso, difficile, famigerato per essere stato il regno del boss Liggio, impegnandosi attivamente in politica; nel 1975 è infatti responsabile dell’organizzazione della prima Festa della Donna, figura tra gli animatori del circolo Placido Rizzotto, presto chiuso e, sempre più emarginato dalla collettività, si trova poi coinvolto direttamente nel caso di una sua amica, percossa dal padre perché lo frequentava e che sporse denuncia contro il genitore, fatto che ebbe grande risonanza sui media. Con lei si trasferì poi a Palermo e qui comincia la sua attività pubblica come scrittore; si tratta di una creatività onnivora, che si confronta in diretta con la cronaca, lasciando però spazio alla definizione di mitologie del corpo e del desiderio, in una dimensione che vuole comunque sempre essere civile, di testimonianza.

Nel 1980 a Palermo si avviano le attività del suo gruppo teatrale “Teatro Madre”, che sceglie una dimensione urbana, andando in scena nei luoghi più diversi e spesso con attori non professionisti (i testi si intitolano “Bocca viziosa”, “La faccia è erotica”, “Il tardo mafioso Impero”), all’inseguimento di un cortocircuito scena/vita. Già il logo della compagnia colpisce l’attenzione: un cuore trafitto da una svastica, che vuole alludere alla pesantezza dei legami familiari, delle tradizioni vissute come gabbia. Le sue attività si inscrivono, quindi, in uno dei periodi più complessi della storia della città siciliana, quando una sequenza di delitti efferati ne sconvolge la quotidianità e Gennaro non è mai venuto meno al suo impegno, fondando nel 1986 il Comitato Cittadino di Informazione e Partecipazione e legandosi al gruppo che gestiva il centro sociale San Saverio, dedicandosi quindi a numerosi progetti sociali fino alla morte per Aids nel 1995.

La sua drammaturgia si alimenta di una poetica del frammento, del remix, con brani che spesso vengono montati in modo diverso rispetto alla loro prima stesura.

Luca Scarlini ✍

#lucenews #lucelanazione #ninogennaro #queer
  • -6 a Sanremo 2023!

Questo Festival ha però un sapore dolceamaro per l
  • Era il 1° febbraio 1945, quando la lotta per la conquista di questo diritto, partita tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, sulla scorta dei movimenti degli altri Paesi europei, raggiunse il suo obiettivo. Con un decreto legislativo, il Consiglio dei Ministri presieduto da Ivanoe Bonomi riconobbe il voto alle donne, su proposta di Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi. 

Durante la prima guerra mondiale le donne avevano sostituito al lavoro gli uomini che erano al fronte. La consapevolezza di aver assunto un ruolo ancora più centrale all’interno società oltre che della famiglia, crebbe e con essa la volontà di rivendicare i propri diritti. Già nel 1922 un deputato socialista, Emanuele Modigliani aveva presentato una proposta di legge per il diritto di voto femminile, che però non arrivò a essere discussa, per la Marcia su Roma. Mussolini ammise le donne al voto amministrativo nel 1924, ma per pura propaganda, poiché in seguito all’emanazione delle cosiddette “leggi fascistissime” tra il 1925 ed il 1926, le elezioni comunali vennero, di fatto, soppresse. Bisognerà aspettare la fine della guerra perché l’Italia affronti concretamente la questione.

Costituito il governo di liberazione nazionale, le donne si attivarono per entrare a far parte del corpo elettorale: la prima richiesta dell’ottobre 1944, venne avanzata dalla Commissione per il voto alle donne dell’Unione Donne Italiane (Udi), che si mobilitò per ottenere anche il diritto di eleggibilità (sancito da un successivo decreto datato 10 marzo 1946). Si arrivò così, dopo anni di battaglie per il suffragio universale, al primo febbraio 1945, data storica per l’Italia. Il decreto prevedeva la compilazione di liste elettorali femminili distinte da quelle maschili, ed escludeva però dal diritto le prostitute schedate che esercitavano “il meretricio fuori dei locali autorizzati”.

Le elezioni dell’esordio furono le amministrative tra marzo e aprile del 1946 e l’affluenza femminile superò l’89%. 

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  • La regina del pulito Marie Kondo ha dichiarato di aver “un po’ rinunciato” a riordinare casa dopo la nascita del suo terzo figlio. La 38enne giapponese, considerata una "Dea dell’ordine", con i suoi best seller sull’economia domestica negli ultimi anni ha incitato e sostenuto gli sforzi dei comuni mortali di rimettere in sesto case e armadi all’insegna del cosa “provoca dentro una scintilla di gioia”. Ma l’esperta di decluttering, famosa in tutto il mondo, ha ammesso che con tre figli da accudire, la sua casa è oggi “disordinata”, ma ora il riordino non è più una priorità. 

Da quando è diventata madre di tre bambini, ha dichiarato che il suo stile di vita è cambiato e che la sua attenzione si è spostata dall’organizzazione alla ricerca di modi semplici per rendere felici le abitudini di tutti i giorni: "Fino a oggi sono stata una organizzatrice di professione e ho dunque fatto il mio meglio per tenere in ordine la mia casa tutto il tempo”, e anche se adesso “ci ho rinunciato, il modo in cui trascorro il mio tempo è quello giusto per me in questo momento, in questa fase della mia vita”.

✍ Marianna Grazi 

#lucenews #lucelanazione #mariekondo
"Il carcere deve reinseire, non disumanizzare [...] Quello della giustizia carceraria è un tema che riguarda tutte e tutti noi. Se invece rimarrà relegato all’interno dei muri di contenimento, rischia di restare sempre e solo un problema". Le recenti parole della senatrice Ilaria Cucchi (Alleanza Verdi e Sinistra), affidate alla pagina Instagram del partito, suonano come un monito attuale, soprattutto quando si pensa al tema dei minori in carcere. E non quelli che si sono resi colpevoli di qualche reato e sono quindi detenuti negli 'appositi' istituti di pena, ma i più piccoli, coloro che si trovano a trascorrere dietro le sbarre anni di pena di cui si è macchiata la loro mamma. Al giorno d'oggi cosa significa essere debole? Chi è il debole? "In medicina si immagina sempre colui che ha delle difficoltà oggettive in termini di salute, in termini di disabilità. Ma la debolezza non è legata solo alla fragilità della malattia, ma anche alla vulnerabilità", spiega Massimo Scalini, psichiatra e psicoterapeuta fiorentino, autore del libro "La Porta Di Dite – La follia reclusa". Tra le varie sfumature della personalità del debole, da anni porta come esempio proprio la figura del bambino, che "è spesso un soggetto debole e quindi vulnerabile anche se sano, di per sé, specie quando non ci occupiamo più di tanto di lui. È il caso delle separazioni giudiziarie di due coniugi, quando il vissuto soggettivo del minore spesso viene messo in secondo piano e considerato soltanto quando nascono problematiche di affidamento".
È dignitoso per i bambini sotto i sei anni vivere in carcere con le madri scontando una pena di cui non sono colpevoli?

La dignità del debole: i bambini in carcere con le madri

A Luce! l'esperto affronta un problema poco 'sentito' a livello sociale, ma assolutamente reale: "L'orrore dei bambini in carcere: fino a giugno scorso, 57 bambini al disotto dei 6 anni erano detenuti in Italia. Si parla di 57 persone, non scuotono le coscienze, non spingono le masse… Ma in Europa (UE) oggi ci sono 1608 bambini sotto i 6 anni in stato di detenzione con la mamma. Sono detenuti senza colpa. Ma in uno Stato che dimentica questi 57 bambini, questi oltre 1600 in Europa, che vivono in queste condizioni – custodia attenuata significa comunque detenzione – c'è urgente necessità di metterli al centro della riflessione pubblica". Scalini introduce quindi un concetto fondamentale, quello di dignità del debole. "Basta aprire qualsiasi enciclopedia, alla voce dignità, per perdersi in mille diatribe filosofiche su cosa significhi. In realtà viene dal latino ‘dignus’, che significa 'adatto'. Per capire se una cosa è dignitosa o meno per una persona è sufficiente chiedersi se si addice o meno ad essa: si addice a un bambino la galera? Tra l’altro per una colpa non sua ma di sua madre", si chiede il medico.

Il caso a Sollicciano

Massimo Scalini evidenzia anche la non adeguatezza del rapporto esclusivo che si viene a creare tra madre e figlio in prigione
E ancora, come aveva fatto durante il convegno "Vulnerabilità psicofisica, esclusione, cronicità. Proposte per la tutta della dignità del debole: un valore che cura", organizzato dall’università di Perugia, si domanda se si addica "a una sana crescita psicologica del bambino creare un rapporto esclusivo madre-minore (non in carcere ma negli ICAM, gli istituti a custodia attenuata per le madri detenute) che poi viene interrotto nel giorno del compleanno del bambino?". Al compimento del sesto anno d'età, infatti, un agente di custodia - "per fortuna non in divisa" - porta via il bimbo per affidarlo a una nonna - quando c’è -, a una suora di un istituto o a un genitore affidatario. Le leggi, in questo senso, non mancano, "anzi ce ne sono forse troppe, che tutelano anche il debole. Il problema è l'effettività di queste tutele, che vegano rese tali. E che, troppo spesso, non accade". Ad esempio a inizio giugno la Camera dei Deputati ha approvato il disegno di legge secondo il quale non ci sarebbero dovuti più essere bambini negli istituti di pena, ma Scalini ricorda un episodio accaduto proprio in quei giorni: "A Sollicciano, la casa circondariale di Firenze, fu portato un bambino di 3 anni che era in affidamento alla nonna la quale, essendosi ammalata e non avendo altri a cui lasciarlo mentre era in ospedale, era stata costretta a far portare il nipote dalla madre detenuta. Non la mamma dal bambino! - sottolinea lo psichiatra-. Questo non è dignitoso. A Sollicciano c’è un asilo, e se c’è un asilo vuol dire che c’è un problema".

Il fenomeno della 'coazione a ripetere'

bambini-carcere
Nei bambini che hanno trascorso in prigione parte della loro infanzia si riscontra, da grandi, la tendenza alla coazione a ripetere, ovvero a compiere a loro volta dei reati
Il tema dei bambini in carcere o nelle ICAM è molto sentito perché, oltre che gli specialisti clinici, spesso ci si trovano ad avere a che fare anche i legali. Anch'essa al convegno perugino dell'estate scorsa con il professor Scalini, l'avvocato Diana Rondoni ci spiega infatti una delle conseguenze possibili – e purtroppo probabili – della detenzione in tenera età. "Siamo spesso incappati in casi di coazione a ripetere. Cioè coloro che all’epoca in cui erano bambini avevano avuto la sfortuna di stare dietro alle sbarre – teniamo presente ce prima non c’erano non cerano le ICAM né comunità dal carattere meno penitenziario – si ricordano tutto di quel periodo nonostante la giovanissima età e non solo, elaborano anche una gravissima situazione di disagio che poi li porta da adulti a porre in essere condotte cicliche di coazione a ripetere", spiega l'avvocato. "Chi ha visto e respirato un clima avverso dal punto di vista ambientale e sociale, che da bambini non dovrebbe assolutamente essere vissuto, a sua volta mette in essere condotte illecite molto più di frequente rispetto ad altri soggetti – aggiunge –. Invece di trarre beneficio da questa diade madre-bambino nei primi sei anni in carcere in realtà diventa un background pericoloso". Il beneficio è assolutamente relativo – rincara Scalini –: è un rapporto esclusivo nel quale non c’è un cugino, non c’è l’amichetto, non c’è un fratello con cui condividere. O se c’è, quando il bambino compie sei anni e viene portato via, si interrompe bruscamente. Dopodiché ci sono gli affidamenti. Sono aberrazioni". Aberrazioni che però non escono da quelle sbarre, oltre le mura delle galere, che noi cittadini comuni facciamo troppo spesso finta che non esistano. "Occhio non vede, cuore non duole".
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