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Dignità del debole: il problema dei bambini in carcere, detenuti senza colpa dietro le sbarre

Lo psicoterapeuta Massimo Scalini porta alla luce un tema quasi completamente ignorato dalla società. "Coazione a ripetere" una delle conseguenze

di MARIANNA GRAZI -
14 gennaio 2023
bambini in carcere

bambini in carcere

"Il carcere deve reinseire, non disumanizzare [...] Quello della giustizia carceraria è un tema che riguarda tutte e tutti noi. Se invece rimarrà relegato all’interno dei muri di contenimento, rischia di restare sempre e solo un problema". Le recenti parole della senatrice Ilaria Cucchi (Alleanza Verdi e Sinistra), affidate alla pagina Instagram del partito, suonano come un monito attuale, soprattutto quando si pensa al tema dei minori in carcere. E non quelli che si sono resi colpevoli di qualche reato e sono quindi detenuti negli 'appositi' istituti di pena, ma i più piccoli, coloro che si trovano a trascorrere dietro le sbarre anni di pena di cui si è macchiata la loro mamma. Al giorno d'oggi cosa significa essere debole? Chi è il debole? "In medicina si immagina sempre colui che ha delle difficoltà oggettive in termini di salute, in termini di disabilità. Ma la debolezza non è legata solo alla fragilità della malattia, ma anche alla vulnerabilità", spiega Massimo Scalini, psichiatra e psicoterapeuta fiorentino, autore del libro "La Porta Di Dite – La follia reclusa". Tra le varie sfumature della personalità del debole, da anni porta come esempio proprio la figura del bambino, che "è spesso un soggetto debole e quindi vulnerabile anche se sano, di per sé, specie quando non ci occupiamo più di tanto di lui. È il caso delle separazioni giudiziarie di due coniugi, quando il vissuto soggettivo del minore spesso viene messo in secondo piano e considerato soltanto quando nascono problematiche di affidamento".

È dignitoso per i bambini sotto i sei anni vivere in carcere con le madri scontando una pena di cui non sono colpevoli?

La dignità del debole: i bambini in carcere con le madri

A Luce! l'esperto affronta un problema poco 'sentito' a livello sociale, ma assolutamente reale: "L'orrore dei bambini in carcere: fino a giugno scorso, 57 bambini al disotto dei 6 anni erano detenuti in Italia. Si parla di 57 persone, non scuotono le coscienze, non spingono le masse… Ma in Europa (UE) oggi ci sono 1608 bambini sotto i 6 anni in stato di detenzione con la mamma. Sono detenuti senza colpa. Ma in uno Stato che dimentica questi 57 bambini, questi oltre 1600 in Europa, che vivono in queste condizioni – custodia attenuata significa comunque detenzione – c'è urgente necessità di metterli al centro della riflessione pubblica". Scalini introduce quindi un concetto fondamentale, quello di dignità del debole. "Basta aprire qualsiasi enciclopedia, alla voce dignità, per perdersi in mille diatribe filosofiche su cosa significhi. In realtà viene dal latino ‘dignus’, che significa 'adatto'. Per capire se una cosa è dignitosa o meno per una persona è sufficiente chiedersi se si addice o meno ad essa: si addice a un bambino la galera? Tra l’altro per una colpa non sua ma di sua madre", si chiede il medico.

Il caso a Sollicciano

Massimo Scalini evidenzia anche la non adeguatezza del rapporto esclusivo che si viene a creare tra madre e figlio in prigione

E ancora, come aveva fatto durante il convegno "Vulnerabilità psicofisica, esclusione, cronicità. Proposte per la tutta della dignità del debole: un valore che cura", organizzato dall’università di Perugia, si domanda se si addica "a una sana crescita psicologica del bambino creare un rapporto esclusivo madre-minore (non in carcere ma negli ICAM, gli istituti a custodia attenuata per le madri detenute) che poi viene interrotto nel giorno del compleanno del bambino?". Al compimento del sesto anno d'età, infatti, un agente di custodia - "per fortuna non in divisa" - porta via il bimbo per affidarlo a una nonna - quando c’è -, a una suora di un istituto o a un genitore affidatario. Le leggi, in questo senso, non mancano, "anzi ce ne sono forse troppe, che tutelano anche il debole. Il problema è l'effettività di queste tutele, che vegano rese tali. E che, troppo spesso, non accade". Ad esempio a inizio giugno la Camera dei Deputati ha approvato il disegno di legge secondo il quale non ci sarebbero dovuti più essere bambini negli istituti di pena, ma Scalini ricorda un episodio accaduto proprio in quei giorni: "A Sollicciano, la casa circondariale di Firenze, fu portato un bambino di 3 anni che era in affidamento alla nonna la quale, essendosi ammalata e non avendo altri a cui lasciarlo mentre era in ospedale, era stata costretta a far portare il nipote dalla madre detenuta. Non la mamma dal bambino! - sottolinea lo psichiatra-. Questo non è dignitoso. A Sollicciano c’è un asilo, e se c’è un asilo vuol dire che c’è un problema".

Il fenomeno della 'coazione a ripetere'

bambini-carcere

Nei bambini che hanno trascorso in prigione parte della loro infanzia si riscontra, da grandi, la tendenza alla coazione a ripetere, ovvero a compiere a loro volta dei reati

Il tema dei bambini in carcere o nelle ICAM è molto sentito perché, oltre che gli specialisti clinici, spesso ci si trovano ad avere a che fare anche i legali. Anch'essa al convegno perugino dell'estate scorsa con il professor Scalini, l'avvocato Diana Rondoni ci spiega infatti una delle conseguenze possibili – e purtroppo probabili – della detenzione in tenera età. "Siamo spesso incappati in casi di coazione a ripetere. Cioè coloro che all’epoca in cui erano bambini avevano avuto la sfortuna di stare dietro alle sbarre – teniamo presente ce prima non c’erano non cerano le ICAM né comunità dal carattere meno penitenziario – si ricordano tutto di quel periodo nonostante la giovanissima età e non solo, elaborano anche una gravissima situazione di disagio che poi li porta da adulti a porre in essere condotte cicliche di coazione a ripetere", spiega l'avvocato. "Chi ha visto e respirato un clima avverso dal punto di vista ambientale e sociale, che da bambini non dovrebbe assolutamente essere vissuto, a sua volta mette in essere condotte illecite molto più di frequente rispetto ad altri soggetti – aggiunge –. Invece di trarre beneficio da questa diade madre-bambino nei primi sei anni in carcere in realtà diventa un background pericoloso". Il beneficio è assolutamente relativo – rincara Scalini –: è un rapporto esclusivo nel quale non c’è un cugino, non c’è l’amichetto, non c’è un fratello con cui condividere. O se c’è, quando il bambino compie sei anni e viene portato via, si interrompe bruscamente. Dopodiché ci sono gli affidamenti. Sono aberrazioni". Aberrazioni che però non escono da quelle sbarre, oltre le mura delle galere, che noi cittadini comuni facciamo troppo spesso finta che non esistano. "Occhio non vede, cuore non duole".