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Home » Lifestyle » Dillo sulla maglietta: “Stop alle disparità di genere nel mondo del lavoro”. E il sussurro diventa un coro

Dillo sulla maglietta: “Stop alle disparità di genere nel mondo del lavoro”. E il sussurro diventa un coro

È nata "Whispr", l'azienda di abbigliamento a guida femminile che si batte per le pari opportunità in fabbrica e in ufficio. "Una community di donne per rafforzare il nostro ruolo nel lavoro"

Piero Ceccatelli
20 Novembre 2021
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Capi di abbigliamento come bandiere, per lanciare messaggi in direzione della parità di genere sul lavoro. E’ l’obiettivo di Whispr, “b-corp”, società benefit fondata da tre donne, accomunate da esperienze nel campo della moda  e del fashion. Tre donne convinte che una montagna di whispr (letteralmente: “sussurro”) producano un coro, un potente passaparola finalizzato a combattere le discriminazioni nella costruzione delle carriere e nelle buste paga, che ancora allontanano l’effettiva parità di genere nel mondo del lavoro.

Uno dei capi di Whispr

Maglioni e magliette, confezionate con fibre rispettose dell’ambiente come cotone biologico ed eco viscosa, mischiata a lana merino,  portano impresse a grandi lettere parole come Listen (ascolta), Bold ( audace), Brave (coraggioso): inviti a tener duro, a non cedere, a sollecitare l’attenzione degli altri. Ma la filosofia di Whispr non è limitata agli slogan. “Ogni nostra attività è rivolta  a promuovere le pari opportunità sul lavoro, dove le donne sono ancora in retroguardia rispetto ai colleghi” spiega Teodora Sevastakieva, sangue bulgaro e russo nelle vene, da oltre vent’anni in Italia come manager nella moda e ora tra le fondatrici della start up – Le Nazioni Unite pongono la gender equality al quinto posto fra i 17 ‘goal’ da raggiungere entro il 2030 per una società senza discriminazioni e noi sposiamo in pieno questo obiettivo”.
I dislivelli fra generi sono una  costante del mondo del lavoro. “Entrambi i generi entrano con pari stipendio, ma poco dopo l’ingresso le donne si vedono limitate nelle aspirazioni professionali perché su di loro piomba un lavoro supplementare: la famiglia, i figli. Quando a 45-50 anni le donne vedono attenuarsi l’incidenza del peso familiare, ormai è tardi e anche se performano allo stesso livello degli uomini, non riusciranno più a recuperare il terreno perduto”. Può bastare lo slogan impresso su una maglietta per colmare il baratro? “Whispr non è solo il marchio di  capi di abbigliamento. E’ anche una community attiva e concreta, della quale tutti sono invitati a far parte attraverso messaggi, racconti delle proprie esperienze, testimonianze, storie da affidare al sito www.whispr2030 e al profilo Instagram@whispr2030 – interviene Sofia Ciucchi, ceo della start up – contiamo che attraverso il dialogo tra donne, anche di generazioni diverse, possiamo contribuire a costruire un mondo più giusto, umanamente più ricco, e un modello nuovo di leadership al femminile”.

Coraggioso! E’ il messaggio lanciato con il maglione di Whispr

Maschi e femmine saranno la stessa cosa? “No, sono complementari e ogni genere ha la propria identità  – aggiunge Sevastakieva – Ma non abbiamo ancora nel stesse opportunità nel lavoro e di lavoro, giacché le assunzioni delle donne sono attenuate a causa della prospettiva di gravidanze e maternità. Una barriera culturale che va abbattuta attraverso l’educazione: le bambine giocano a fare le principesse, i maschietti i combattenti. E’ ora di superare i ruoli prefissati, che le bimbe si accostino alle materie stem (scientifiche, tecnologiche, matematiche e ingegneristiche), dove ruoli lavorativi e retribuzioni saranno più importanti”.

Già, ma come arrivarci? “All’interno della community stiamo lavorando per fornire servizi di mentoring, coaching, e altre iniziative per sostenere la crescita professionale e la presenza femminile nelle aziende”. In vista, il workshop  del 4 dicembre a Firenze (dove Whispr ha sede nella Manifatura Tabacchi), con una riflessione sulle nuove sfide lavorative per le donne e uno spazio dedicato alla pratica della Mindfulness, con la partecipazione anche di persone esterne alla community.

Il tutto ispirandosi allo slogan, mutuato dall’avviso diffuso nella metropolitana di Londra: “Mind the gap”: occhio al gradino”. Guai inciampare nelle discriminazioni.

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  • «Era terribile durante il fascismo essere transessuale. Mi picchiavano e mi facevano fare delle cose schifose. Mi imbrattavano con il catrame e mi hanno rasato. Ho preso le botte dai fascisti perché mi ero atteggiato a donna e per loro questo era inconcepibile».

È morta a quasi 99 anni Lucy Salani, attivista nota come l’unica persona trans italiana sopravvissuta ai campi di concentramento nazisti.

#lucenews #lucysalani #dachau
  • È morta a quasi 99 anni Lucy Salani, attivista nota come l
  • Elaheh Tavakolian, l’iraniana diventata uno dei simboli della lotta nel suo Paese, è arrivata in Italia. Nella puntata del 21 marzo de “Le Iene”, tra i servizi del programma di Italia 1, c’è anche la storia della giovane donna, ferita a un occhio dalla polizia durante le proteste in Iran. Nella puntata andata in onda la scorsa settimana, l’inviata de “Le Iene” aveva incontrato la donna in Turchia, durante la sua fuga disperata dall’Iran, dove ormai era troppo pericoloso vivere. 

“Ho molta paura. Vi prego, qui potrebbero uccidermi” raccontava l’attivista a Roberta Rei. Già in quell’occasione, Elaheh Tavakolian era apparsa con una benda sull’occhio, a causa di una grave ferita causatale da un proiettile sparato dalle forze dell’ordine iraniane durante le manifestazioni a cui ha preso parte dopo la morte di Mahsa Amini.

Elaheh Tavakolian fa parte di quelle centinaia di iraniani che hanno subito gravi ferite agli occhi dopo essere stati colpiti da pallottole, lacrimogeni, proiettili di gomma o altri proiettili usati dalle forze di sicurezza durante le dure repressioni che vanno avanti ormai da oltre sei mesi. La ragazza, che ha conseguito un master in commercio internazionale e ora lavora come contabile, ha usato la sua pagina Instagram per rivelare che le forze di sicurezza della Repubblica islamica stavano deliberatamente prendendo di mira gli occhi dei manifestanti. 

✍ Barbara Berti

#lucenews #lucelanazione #ElahehTavakolian #iran #leiene
  • Ha 19 anni e vorrebbe solo sostenere la Maturità. Eppure alla richiesta della ragazza la scuola dice di no. Nina Rosa Sorrentino è nata con la sindrome di Down, e quel diritto che per tutte le altre studentesse e studenti è inviolabile per lei è invece un’utopia.

Il liceo a indirizzo Scienze Umane di Bologna non le darà la possibilità di diplomarsi con i suoi compagni e compagne, svolgendo le prove che inizieranno il prossimo 21 giugno. La giustificazione – o la scusa ridicola, come quelle denunciate da CoorDown nella giornata mondiale sulla sindrome di Down – dell’istituto per negarle questa possibilità è stata che “per lei sarebbe troppo stressante“.

Così Nina si è ritirata da scuola a meno di tre mesi dalla fine della quinta. Malgrado la sua famiglia, fin dall’inizio del triennio, avesse chiesto agli insegnanti di cambiare il Pei (piano educativo individualizzato) della figlia, passando dal programma differenziato per gli alunni certificati a quello personalizzato per obiettivi minimi o equipollenti, che prevede l’ammissione al vero e proprio esame di Maturità. Ma il liceo Sabin non ha assecondato la loro richiesta.

Francesca e Alessandro Sorrentino avevano trovato una sponda di supporto nel Ceps di Bologna (Centro emiliano problemi sociali per la Trisomia 21), in CoorDown e nei docenti di Scienze della Formazione dell’Alma Mater, che si sono detti tutti disponibili per realizzare un progetto-pilota per la giovane studentessa e la sua classe. Poi, all’inizio di marzo, la doccia fredda: è arrivato il no definitivo da parte del consiglio di classe, preoccupato che per la ragazza la Maturità fosse un obiettivo troppo impegnativo e stressante, tanto da generare “senso di frustrazione“, come ha scritto la dirigente del liceo nella lettera che sancisce l’epilogo di questa storia tutt’altro che inclusiva.

“Il perché è quello che ci tormenta – aggiungono i genitori –. Anche la neuropsichiatra concordava: Nina poteva e voleva provarci a fare l’esame. Non abbiamo mai chiesto le venisse regalato il diploma, ma che le fosse data la possibilità di provarci”.

#lucenews #lucelanazione #disabilityinclusion #giornatamondialedellasindromedidown
Capi di abbigliamento come bandiere, per lanciare messaggi in direzione della parità di genere sul lavoro. E’ l'obiettivo di Whispr, “b-corp”, società benefit fondata da tre donne, accomunate da esperienze nel campo della moda  e del fashion. Tre donne convinte che una montagna di whispr (letteralmente: “sussurro”) producano un coro, un potente passaparola finalizzato a combattere le discriminazioni nella costruzione delle carriere e nelle buste paga, che ancora allontanano l’effettiva parità di genere nel mondo del lavoro.
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Maglioni e magliette, confezionate con fibre rispettose dell’ambiente come cotone biologico ed eco viscosa, mischiata a lana merino,  portano impresse a grandi lettere parole come Listen (ascolta), Bold ( audace), Brave (coraggioso): inviti a tener duro, a non cedere, a sollecitare l’attenzione degli altri. Ma la filosofia di Whispr non è limitata agli slogan. “Ogni nostra attività è rivolta  a promuovere le pari opportunità sul lavoro, dove le donne sono ancora in retroguardia rispetto ai colleghi” spiega Teodora Sevastakieva, sangue bulgaro e russo nelle vene, da oltre vent’anni in Italia come manager nella moda e ora tra le fondatrici della start up - Le Nazioni Unite pongono la gender equality al quinto posto fra i 17 ‘goal’ da raggiungere entro il 2030 per una società senza discriminazioni e noi sposiamo in pieno questo obiettivo”. I dislivelli fra generi sono una  costante del mondo del lavoro. “Entrambi i generi entrano con pari stipendio, ma poco dopo l’ingresso le donne si vedono limitate nelle aspirazioni professionali perché su di loro piomba un lavoro supplementare: la famiglia, i figli. Quando a 45-50 anni le donne vedono attenuarsi l’incidenza del peso familiare, ormai è tardi e anche se performano allo stesso livello degli uomini, non riusciranno più a recuperare il terreno perduto”. Può bastare lo slogan impresso su una maglietta per colmare il baratro? “Whispr non è solo il marchio di  capi di abbigliamento. E’ anche una community attiva e concreta, della quale tutti sono invitati a far parte attraverso messaggi, racconti delle proprie esperienze, testimonianze, storie da affidare al sito www.whispr2030 e al profilo Instagram@whispr2030 - interviene Sofia Ciucchi, ceo della start up - contiamo che attraverso il dialogo tra donne, anche di generazioni diverse, possiamo contribuire a costruire un mondo più giusto, umanamente più ricco, e un modello nuovo di leadership al femminile”.
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Già, ma come arrivarci? “All'interno della community stiamo lavorando per fornire servizi di mentoring, coaching, e altre iniziative per sostenere la crescita professionale e la presenza femminile nelle aziende”. In vista, il workshop  del 4 dicembre a Firenze (dove Whispr ha sede nella Manifatura Tabacchi), con una riflessione sulle nuove sfide lavorative per le donne e uno spazio dedicato alla pratica della Mindfulness, con la partecipazione anche di persone esterne alla community.
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