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Home » Lifestyle » Donne nei mestieri delle arti: “Fare un’impresa culturale al femminile da limite a punto di forza”

Donne nei mestieri delle arti: “Fare un’impresa culturale al femminile da limite a punto di forza”

Monica Santoro, fondatrice dell'associazione DoMeA, affronta il tema del lavoro culturale per le donne e di come discipline come la musica classica e il teatro siano ancora ritenute inutili

Domenico Guarino
1 Febbraio 2023
Le donne dell'associazione DoMeA

Le donne dell'associazione DoMeA

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Giovani, carine e… molto molto occupate. A fare cultura. Anzi, impresa culturale. Parliamo delle ragazze e delle donne che hanno deciso di mettersi in gioco, come si dice, attraverso l’associazione DoMeA, puntando sulle proprie vocazioni per animare percorsi culturali e professionali ‘al femminile’ in grado di parlare a tutta la società. Con un occhio alla qualità della proposta ed un altro alla sensibilità della produzione.
Gaia Palesati, Silvia Matetassi, Benedetta Bagatin, Monica Santoro, Caterina Poggini: storie diverse un’unica passione, un comune obiettivo. Quello di porsi come motore di dinamiche sociali positive, uscendo però dalla dimensione ‘amatoriale’ per dare alla parola cultura anche un valore professionale solido, strutturato. Nonostante le difficoltà del momento, soprattutto in territori, per quanto splendidi, posizionati lontano dai grandi poli urbani e dai contesti più frequentati.

Una sfida di non poco conto

“DoMeA sta per donne nei mestieri delle arti” ci dice Monica Santoro, attrice, musicista, traduttrice dal russo, fondatrice dell’associazione. “L’idea nasce dalla nostra presidentessa, che nel 2019 ha riunito un gruppo di amiche – professioniste in diversi campi delle arti – per costituire un’associazione che si occupasse della promozione dell’impegno femminile nel settore artistico, attraverso lo sviluppo di reti, attivando sinergie e collaborazioni, verso la creazione di eventi, consapevoli di come sia difficile oggi fare cultura (soprattutto un certo tipo di cultura non commerciale), soprattutto per le donne“.

Esiste una questione di genere anche nel mondo culturale?

“Direi di sì. Può sembrare una banalità ma secondo me è così. Recentemente, per altro, Amleta ha prodotto un report proprio sulle difficoltà legate alla disparità di genere nel settore dello spettacolo. Chi fa cultura, infatti, innanzitutto non ha una continuità di reddito, non è strutturato. Quindi per le donne è ancora più difficile, ad esempio sotto il profilo della genitorialità e delle attività di cura in generale che, come sappiamo, ancora oggi ricadono soprattutto sulle donne”.

L’associazione DoMeA si occupa di realizzare percorsi culturali e professionali ‘al femminile’

Quanto è difficile fare cultura in contesti ritenuti più ‘periferici‘?

“Parlando proprio della nostra situazione, noi siamo a Grassina, nel comune di Bagno a Ripoli, e siamo state abbastanza fortunate. Ci siamo sempre sentite ‘accolte’, anche perché cerchiamo sempre di essere in dialogo col territorio. Ad esempio per le nostre attività abbiamo il patrocino del comune. Certo, non è semplice. Devi mettere molta energia nel tessere rapporti, farti conoscere, e questo si va ad aggiungere a tutto ciò che devi fare per la preparazione degli eventi. È faticoso dunque, ma allo stesso tempo anche molto molto gratificante perché ti mette in contatto stretto con le persone che quel territorio lo vivono e dunque nasce una relazione di scambio“.

Voi operate in campi (la musica classica, il teatro, la lirica, la poesia) he tendenzialmente non attirano il ‘grande pubblico’. Un scelta coraggiosa, di questi tempi soprattutto…

Le donne dell’associazione DoMeA

“Vero. Ma per noi è stato ed è del tutto naturale, in quanto sono attività che fanno parte della nostra vita. Per noi è proprio quello che amiamo di più. È difficile perché, considerando tutto, può sembrare addirittura ‘inutile’. Anzi, anche recentemente, durante la pandemia, ce lo hanno proprio detto che la cultura e soprattutto questa cultura, erano attività di cui si poteva tranquillamente fare a meno. Non fondamentali. Ma noi riteniamo che la bellezza sia invece proprio fondamentale nella vita delle persone. E quello che facciamo, le arti di cui ci occupiamo, per noi sono l’emblema stesso della bellezza. Per altro riteniamo che siano discipline estremamente contemporanee, urgenti, necessarie. Soprattutto oggi”.

Qual è l’obiettivo di DoMeA, il vostro sogno?

“Noi vorremmo continuare a creare eventi e cultura, passando attraverso quello che interessa e ci piace, facendo incontrare sempre più persone, allargandoci, creando reti di contaminazione. Portare quella bellezza che vediamo e proviamo noi e condividerla con altri”.

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  • "Ora dobbiamo fare di meno, per il futuro".

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  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
  • Presidi psicologici, psicoterapeutici e di counselling per tutti gli studenti universitari e scolastici. Lo chiedono l’Udu, Unione degli universitari, e la Rete degli studenti medi nella proposta di legge ‘Chiedimi come sto’ consegnata a una delegazione di parlamentari nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.

La proposta è stata redatta secondo le conclusioni di una ricerca condotta da Spi-Cgil e Istituto Ires, che ha evidenziato come, su un campione di 50mila risposte, il 28 per cento abbia avuto esperienze di disturbi alimentari e oltre il 14 di autolesionismo.

“Nella nostra generazione è ancora forte lo stigma verso chi sta male ed è difficile chiedere aiuto - spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu - l’interesse effettivo della politica si è palesato solo dopo il 15esimo suicidio di studenti universitari in un anno e mezzo. Ci sembra assurdo che la politica si interessi solamente dopo che si supera il limite, con persone che arrivano a scegliere di togliersi la vita.

Dall’altro lato, è positivo che negli ultimi mesi si sia deciso di chiedere a noi studenti come affrontare e come risolvere, il problema. Non è scontato e non è banale, perché siamo abituati a decenni in cui si parla di nuove generazioni senza parlare alle nuove generazioni”.

#luce #lucenews #università
  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere
Giovani, carine e… molto molto occupate. A fare cultura. Anzi, impresa culturale. Parliamo delle ragazze e delle donne che hanno deciso di mettersi in gioco, come si dice, attraverso l'associazione DoMeA, puntando sulle proprie vocazioni per animare percorsi culturali e professionali 'al femminile' in grado di parlare a tutta la società. Con un occhio alla qualità della proposta ed un altro alla sensibilità della produzione. Gaia Palesati, Silvia Matetassi, Benedetta Bagatin, Monica Santoro, Caterina Poggini: storie diverse un'unica passione, un comune obiettivo. Quello di porsi come motore di dinamiche sociali positive, uscendo però dalla dimensione 'amatoriale' per dare alla parola cultura anche un valore professionale solido, strutturato. Nonostante le difficoltà del momento, soprattutto in territori, per quanto splendidi, posizionati lontano dai grandi poli urbani e dai contesti più frequentati.

Una sfida di non poco conto

"DoMeA sta per donne nei mestieri delle arti" ci dice Monica Santoro, attrice, musicista, traduttrice dal russo, fondatrice dell'associazione. "L’idea nasce dalla nostra presidentessa, che nel 2019 ha riunito un gruppo di amiche - professioniste in diversi campi delle arti - per costituire un'associazione che si occupasse della promozione dell’impegno femminile nel settore artistico, attraverso lo sviluppo di reti, attivando sinergie e collaborazioni, verso la creazione di eventi, consapevoli di come sia difficile oggi fare cultura (soprattutto un certo tipo di cultura non commerciale), soprattutto per le donne". Esiste una questione di genere anche nel mondo culturale? "Direi di sì. Può sembrare una banalità ma secondo me è così. Recentemente, per altro, Amleta ha prodotto un report proprio sulle difficoltà legate alla disparità di genere nel settore dello spettacolo. Chi fa cultura, infatti, innanzitutto non ha una continuità di reddito, non è strutturato. Quindi per le donne è ancora più difficile, ad esempio sotto il profilo della genitorialità e delle attività di cura in generale che, come sappiamo, ancora oggi ricadono soprattutto sulle donne".
L'associazione DoMeA si occupa di realizzare percorsi culturali e professionali 'al femminile'
Quanto è difficile fare cultura in contesti ritenuti più 'periferici'? "Parlando proprio della nostra situazione, noi siamo a Grassina, nel comune di Bagno a Ripoli, e siamo state abbastanza fortunate. Ci siamo sempre sentite 'accolte', anche perché cerchiamo sempre di essere in dialogo col territorio. Ad esempio per le nostre attività abbiamo il patrocino del comune. Certo, non è semplice. Devi mettere molta energia nel tessere rapporti, farti conoscere, e questo si va ad aggiungere a tutto ciò che devi fare per la preparazione degli eventi. È faticoso dunque, ma allo stesso tempo anche molto molto gratificante perché ti mette in contatto stretto con le persone che quel territorio lo vivono e dunque nasce una relazione di scambio". Voi operate in campi (la musica classica, il teatro, la lirica, la poesia) he tendenzialmente non attirano il 'grande pubblico'. Un scelta coraggiosa, di questi tempi soprattutto…
Le donne dell'associazione DoMeA
"Vero. Ma per noi è stato ed è del tutto naturale, in quanto sono attività che fanno parte della nostra vita. Per noi è proprio quello che amiamo di più. È difficile perché, considerando tutto, può sembrare addirittura 'inutile'. Anzi, anche recentemente, durante la pandemia, ce lo hanno proprio detto che la cultura e soprattutto questa cultura, erano attività di cui si poteva tranquillamente fare a meno. Non fondamentali. Ma noi riteniamo che la bellezza sia invece proprio fondamentale nella vita delle persone. E quello che facciamo, le arti di cui ci occupiamo, per noi sono l’emblema stesso della bellezza. Per altro riteniamo che siano discipline estremamente contemporanee, urgenti, necessarie. Soprattutto oggi". Qual è l’obiettivo di DoMeA, il vostro sogno? "Noi vorremmo continuare a creare eventi e cultura, passando attraverso quello che interessa e ci piace, facendo incontrare sempre più persone, allargandoci, creando reti di contaminazione. Portare quella bellezza che vediamo e proviamo noi e condividerla con altri".
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