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Home » Lifestyle » Feramis e la sua vita di vetro: “Se mi muovo velocemente le mie ossa si rompono”

Feramis e la sua vita di vetro: “Se mi muovo velocemente le mie ossa si rompono”

Ha 32 anni e una patologia rara, nella sua vita ha subito 21 interventi senza mai arrendersi e oggi è un'attivista che combatte per l'uguaglianza e l'inclusione di qualsiasi forma di diversità

Caterina Ceccuti
9 Agosto 2022
Feramis

Feramis

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Feramis ha una voce delicata come un sussurro, ma anche due occhi penetranti e fieri come quelli di una leonessa. Si muove piano piano, perché se fa tanto di compiere gesti rapidi le sue ossa si spezzano, letteralmente. “Ho il collagene che non funziona – racconta a Luce! – ma nessun medico è ancora riuscito a spiegarmi perché. Oggi ho 32 anni, sono malata da sempre, eppure la diagnosi ancora non c’è”. La sua condizione potrebbe essere comunque assimilabile ad una osteogenesi imperfetta, ma le caratteristiche sintomatiche che Feramis presenta sono diverse da quelle ascrivibili alle patologie conosciute. “Negli anni ’90 si pensava esistessero solo 4 tipi di osteogenesi imperfetta – puntualizza –, oggi ne sono stati riconosciuti oltre 300. In questo momento sto aspettando i risultati di nuove analisi del DNA che ho eseguito a Firenze, dove esiste un centro che studia le malattie del metabolismo osseo”.

Francesca Feramis, 32 anni, è affetta da una patologia rara, assimilabile ad un’osteogenesi imperfetta

Originaria di Lucca, Francesca Feramis (per tutti Feramis e basta, che in nigeriano significa “vegliata, accompagnata”) dai 4 ai 17 anni è stata seguita da un’equipe medica di Parigi, dove si trovavano gli unici specialisti che all’epoca fossero in grado di trattare questa tipologia di malattie delle ossa. “Si sono accorti che in me qualcosa non andava quando avevo appena 40 giorni. È stato un calvario, perché la mia malattia non la conosceva nessuno. Ero un caso da studiare, gli ospedali litigavano per avermi in cura, proponendomi di tutto senza mai arrivare ad una diagnosi azzeccata. Inizialmente i medici pensavano che i miei genitori mi picchiassero, perché mi fratturavo le ossa di continuo. Da bambina non ho mai gattonato, ho camminato tardi e avevo sempre gli arti rotti a causa di fratture spontanee. Era come se le mie articolazioni esplodessero di punto in bianco, perché non sopportavano lo stress della crescita. Ogni medico mi diceva la sua, fino a che a 4 anni mi sono ritrovata con i dischi intervertebrali completamente corrosi. Era insorta una scoliosi fatale, ricordo che qualcuno ipotizzò un’atrofia dei muscoli del collo, invece, semplicemente, le mie vertebre non c’erano più. Stavo solo sdraiata, non digerivo più nulla”.

Fu allora che consigliarono ai suoi genitori di portarla a Parigi?
“Sì. Per i primi interventi fui seguita dal professor Jean Dubousset, luminare della ricostruzione dello scheletro. Poi il mio caso venne passato al suo erede, il dottor Philippe Wicart, e dai 4 ai 17 anni ho subito un totale di 21 interventi chirurgici di ricostruzione di vertebre e gambe”.

Quali erano le aspettative di vita che le venivano pronosticate?
“Dicevano che non avrei superato lo stress della crescita, che sarei morta di polmonite, come spesso accade alle persone affette da patologie come la mia. Perché se faccio tanto di starnutire, le mie costole si incrinano o si rompono. Immaginatevi quanta paura ho avuto negli ultimi due anni di prendere il Covid: già so che se dovessi infettarmi tutte le mie costole si fratturerebbero”.

fermais cambiamento
La linea temporale mostra i cambiamenti della ragazza tra 2017 e 2020

Superato lo stress della crescita la sua salute è migliorata?
“Sì, una volta adulta le cose sono andate migliorando. Ma la vita non mi ha regalato niente. Ho dovuto superare molti tipi di barriere, soprattutto psicologiche. La società, le persone in generale si vergognano della gente come me, la diversità fa paura”.

Oggi com’è la sua vita?
“Vivo sola da due anni a questa parte. I miei amici mi hanno aiutato a trovare un posto in affitto. Da un anno, grazie al mio ex coinquilino, faccio attivismo perché la società possa raggiungere l’equità. Impegnato nelle lotte sociali a favore degli emarginati, fu lui a dirmi per la prima volta che avevo qualcosa di rotto dentro, che le persone che mi circondavano non mi avevano accettato per quella che ero. Non sono solo malata, ma anche bisessuale, e questo sembra creare ulteriori problemi alla gente. Ora comunque ho un ragazzo e vivo a Firenze”.

Il suo ragazzo che tipo è?
“Un tipo speciale. Lui è di Verona, ci siamo conosciuti online, grazie a Facebook. Quando ci siamo visti dal vivo ho perso subito la testa, ma sono stata ben attenta a non farglielo capire per diversi mesi. Alla fine ci siamo messi insieme solo a maggio scorso. Lui adora gli esseri umani, al contrario di me che per colpa della mia patologia ho paura della gente. Adora conoscere tutti, non si scoraggia mai, ha una pazienza infinita. Io invece sono impaziente, disorganizzata, agguerrita, irritabile. Ho scoperto in lui un alleato indispensabile, soprattutto una persona che mi fa sentire umana”.

Feramis
Feramis è un’attivista che combatte per l’uguaglianza e l’inclusione di qualsiasi forma di diversità

Ci racconti qualcosa del suo impegno nel campo del sociale…
“Sono molto presente sui social, il mio canale Instagram si chiama Feramisofficial. Nel concreto cerco di spingere le persone a capire che i corpi umani sono tutti diversi tra loro per natura. Ci sono i biondi e i mori, i grassi e i magri, gli eterosessuali, i gay e i bisessuali, i normotipici e i disabili. Se non rientri negli standard non sei sbagliato. Invece sembra che la diversità crei problemi, paradossalmente anche a chi non è disabile. Si deve imparare ad accettare sia noi stessi che gli altri. Essere amici di noi stessi, siamo fatti in un modo e non si deve passare la vita a fare finta di essere qualcosa che non siamo. Mi rivolgo anche alle famiglie dei disabili, perché smettano di pensare a noi come a persone che costano soldi e che non possono fare le cose. Io ho una disabilità motoria del 100%, per camminare devo usare ausili di ogni tipo, eppure riesco a muovermi e sono indipendente”.

Gli ausili di cui parla sono validi?
“Il problema è che la fornitura viene pensata e fatta da persone normotipiche che non possono capire come si muove un disabile. Penso che il sistema andrebbe ripensato per intero, l’Italia è fanalino di coda a livello europeo per quanto riguarda l’impegno a favore dei diversamente abili (non voglio sempre dover dire ‘disabili’ perché questa parola significa che non siamo abili, invece non è così). In media ogni città italiana spende non più di mille euro all’anno per l’accessibilità. Abbiamo preferito investire nell’arsenale bellico piuttosto che utilizzare i fondi che l’Europa ci aveva dato per l’accessibilità”.

feramis
Feramis è una ragazza bisessuale ed è fidanzata con un ragazzo di Verona

Quali sono gli strumenti che usa per condurre la tua lotta sociale?
“Uso principalmente i social network, per due motivi: primo, come vi dicevo, a causa della mia patologia ho sviluppato una forte fobia sciale, ho paura che trovandomi in mezzo alla gente le persone possano farmi male fisicamente. Secondo, non sono mai riuscita a trovare una piazza per fare informazione. Se devo parlare nei circoli chiusi, davanti ad una platea di persone diversamente abili che già conoscono bene le cose che ho da dire, è inutile. Bisogna raggiungere la gente, tutta, soprattutto i normotipici se si vogliono cambiare le cose. Sono loro infatti a dover essere sensibilizzati. Le persone che io chiamo ‘privilegiate’ restano invece inchiodate alla Tv o sui social, chiusi nella loro bolla, lontani dalla diversità. Alla pari dei politici che, dall’alto delle loro sedie, non possono capire quali siano i bisogni reali di chi ha delle diversità come me. Non siamo protetti, né agevolati. Dobbiamo sempre cavarcela da soli, magari grazie all’intervento dei familiari o degli amici, come nel mio caso. E, alla fine, se non hai soldi non ce la fai. Sono molto felice che Luce! mi abbia contattata perché il mio desiderio è proprio quello di poter usare i giornali per entrare negli spazi delle persone privilegiate e raccontare loro cosa sta succedendo realmente. A volte inoltre si verificano cose paradossali, come la complicità delle persone diversamente abili verso il sistema, che viene alimentato dal loro stesso senso di vergogna”.

Le va di raccontarci qualcosa della sua vita privata?
“Ho trovato lavoro per eccesso di anni di disoccupazione. A Firenze funziona che se sei disoccupato per più di 10 anni ti inseriscono in un contesto pubblico. Io sono stata messa a lavorare al Cup dell’Ospedale di Ponte a Niccheri. Sono stata chiamata a novembre e da allora ogni mese sono stata sottoposta ad esami per scoprire se avessi sufficienti abilità mentali e fisiche ecc. Non potendo guidare al lavoro mi accompagnano i Cobas, perché l’attivazione del servizio trasporti per disabili va dai 500 euro mensili richiesti dalle Misericordie ai 1000 euro richiesti dai privati. A maggio sono stata finalmente assunta, ma la gestione delle risorse umane del Comune non ha rispettato le mie necessità. Il mio corpo non può stare seduto troppo a lungo, altrimenti rischio di slogarmi. Inoltre io sono bassa, con una seggiola normale non arrivo allo sportello. A giugno scorso ho fatto richiesta di una sedia rialzata con poggiapiedi, ma ancora non è arrivata. Intanto, per raggiungere il mouse, tempo fa ho sbattuto contro il tavolo e mi sono fratturata un gomito. Da quel momento a lavoro sono rimasti tutti sconvolti, benché li avessi avvisati a dovere di quali fossero i rischi. Risultato: vado a lavoro ma non posso toccare la scrivania fino a che non arriva la sedia che ho richiesto. Posso solo rispondere al telefono. L’altro giorno ho fatto l’ottavo sollecito al dipartimento delle attrezzature dell’azienda e mi hanno detto che l’ordine non è ancora partito. Spero solo di trovare la sedia al ritorno dalle ferie per poter ricominciare a lavorare”.

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 Intervista a cura di Andrea Spinelli ✍

#lucenews #qn #ariete #sanremo2023
  • Più luce, meno stelle. Un paradosso, se ci pensate. Più illuminiamo le nostre città, più lampioni, fari, led, laser puntiamo sulla terra, meno stelle e porzioni di cielo vediamo. 

Accade perché, quasi senza accorgercene, di anno in anno, cancelliamo dalla nostra vista qualche decina di quei 4.500 puntini luminosi che in condizioni ottimali dovremmo riuscire a vedere la notte, considerato che il cielo risulta popolato da circa 9.000 stelle, di cui ciascuno di noi può osservare solo la metà per volta, ovvero quelle del proprio emisfero. 

In realtà, già oggi, proprio per colpa dell’inquinamento luminoso, ne vediamo solo poche centinaia. E tutto lascia pensare che questa cifra si ridurrà ulteriormente, con un ritmo molto rapido. Al punto tale che, in pochi anni, la costellazione di Orione, potrebbe perdere la sua caratteristica ‘cintura’.

Secondo quanto risulta da uno studio pubblicato su “Science”, basato sulle osservazioni di oltre 50mila citizen scientist, solo tra il 2011 e il 2022, ogni anno il cielo in tutto il Pianeta è diventato in media il 9,6% più luminoso, con una forchetta di valori che non supera il 10% ma non scende mai sotto il 7%. Più di quanto percepito finora dai satelliti preposti a monitorare la quantità di luce nel cielo notturno. Secondo le misurazioni effettuate da questi ultimi infatti, tra 1992 e 2017 il cielo notturno è diventato più luminoso di meno dell’1,6% annuo.

“In un periodo di 18 anni, questo tasso di cambiamento aumenterebbe la luminosità del cielo di oltre un fattore 4”, scrivono i ricercatori del Deutsches GeoForschungs Zentrum di Potsdam, in Germania, e del National Optical-Infrared Astronomy Research Laboratory di Tucson, negli Stati Uniti. Una località con 250 stelle visibili, quindi, vedrebbe ridursi il numero a 100 stelle visibili. 

Il pericolo più che fondato, a questo punto, è che di questo passo inizieranno a scomparire dalla nostra vista anche le costellazioni più luminose, comprese quelle che tuti sono in grado di individuare con estrema facilità.

L
  • Per la prima volta nella storia del calcio, un arbitro ha estratto il cartellino bianco. No, non si tratta di un errore: se il giallo e il rosso fanno ormai parte di tantissimi anni delle regole del gioco ed evidenziano un comportamento scorretto, quello bianco vuole invece "premiare", in maniera simbolica, un gesto di fair play. Il tutto è avvenuto in Portogallo, durante un match di coppa nazionale tra il Benfica e lo Sporting Lisbona femminile.

Benfica-Sporting Lisbona femminile, quarti di finale della Coppa del Portogallo. I padroni di casa si trovano in vantaggio per 3-0 e vinceranno la sfida con un netto 5-0, ma un episodio interrompe il gioco: un tifoso sugli spalti accusa un malore, tanto che gli staff medici delle due squadre corrono verso le tribune per soccorrerlo. Dopo qualche minuto di paura, non solo per le giocatrici in campo ma anche per gli oltre quindicimila spettatori presenti allo stadio, il supporter viene stabilizzato e il gioco può riprendere. Prima, però, la direttrice di gara Catarina Campos effettua un gesto che è destinato a rimanere nella storia del calcio: estrae il cartellino bianco nei confronti dei medici delle due squadre.

Il cartellino bianco non influenza in alcun modo il match, né il risultato o il referto arbitrale; chissà che, da oggi in poi, gli arbitri non cominceranno ad agire più spesso, per esaltare un certo tipo di condotta eticamente corretta portata avanti anche dai calciatori.

#lucenews #cartellinobianco #calcio #fairplay
  • Son tutte belle le mamme del mondo. Soprattutto… quando un bambino si stringono al cuor… I versi di un vecchio brano ricordano lo scatto che sta facendo il giro del web. Quella di una madre che allatta il proprio piccino sul posto di lavoro. In questo caso la protagonista è una supermodella –  Maggie Maurer – che ha postato uno degli scatti più teneri e glamour di sempre. La super top si è fatta immortalare mentre nutre al seno la figlia Nora-Jones nel backstage dello show couture di Schiaparelli, tenutosi a Parigi.

La top model americana 32enne, che della maison è già musa, tanto da aver ispirato una clutch – non proprio una pochette ma una borsa che si indossa a mano che riproduce il suo volto –  nell’iconico scatto ha ancora il viso coperto dal make-up dorato realizzato dalla truccatrice-star Path McGrath, ed è coperta solo sulle spalle da un asciugamano e un telo protettivo trasparente. 

L’immagine è forte, intensa, accentuata dalla vernice dorata che fa apparire mamma Maurer come una divinità dell’Olimpo, una creatura divina ma squisitamente terrena, colta nel gesto di nutrire il proprio piccolo.

Ed è un’immagine importante, perché contribuisce a scardinare lo stigma dell’allattamento al seno in pubblico, sul luogo di lavoro e in questo caso anche sui social, su cui esistono ancora molti tabù. L’intera gravidanza di Maggie Maurer è stata vissuta in chiave di empowerment, e decisamente glamour. Incinta di circa sei mesi, ha sfilato per Nensi Dojaka sfoggiando un capo completamente trasparente della collezione autunno inverno 2022, e con il pancione.

Nell’intimo post su Instagram, Maggie Maurer ha deciso quindi condividere con i propri follower la sua immagine che la ritrae sul luogo di lavoro con il volto dipinta d’oro, una parte del suo look, pocoprima di sfilare per la casa di moda italiana, Schiaparelli. In grembo, ha sua figlia, che sta allattando dietro le quinte della sfilata. Le parole scritte a finco della foto, la modella ha scritto “#BTS #mommy”, evidenziando il lavoro senza fine della maternità, nonostante i suoi successi.

di Letizia Cini ✍🏻

#lucenews #maggiemaurer #materintà #mommy
Feramis ha una voce delicata come un sussurro, ma anche due occhi penetranti e fieri come quelli di una leonessa. Si muove piano piano, perché se fa tanto di compiere gesti rapidi le sue ossa si spezzano, letteralmente. "Ho il collagene che non funziona – racconta a Luce! – ma nessun medico è ancora riuscito a spiegarmi perché. Oggi ho 32 anni, sono malata da sempre, eppure la diagnosi ancora non c'è". La sua condizione potrebbe essere comunque assimilabile ad una osteogenesi imperfetta, ma le caratteristiche sintomatiche che Feramis presenta sono diverse da quelle ascrivibili alle patologie conosciute. "Negli anni '90 si pensava esistessero solo 4 tipi di osteogenesi imperfetta – puntualizza –, oggi ne sono stati riconosciuti oltre 300. In questo momento sto aspettando i risultati di nuove analisi del DNA che ho eseguito a Firenze, dove esiste un centro che studia le malattie del metabolismo osseo".
Francesca Feramis, 32 anni, è affetta da una patologia rara, assimilabile ad un'osteogenesi imperfetta
Originaria di Lucca, Francesca Feramis (per tutti Feramis e basta, che in nigeriano significa "vegliata, accompagnata") dai 4 ai 17 anni è stata seguita da un'equipe medica di Parigi, dove si trovavano gli unici specialisti che all'epoca fossero in grado di trattare questa tipologia di malattie delle ossa. "Si sono accorti che in me qualcosa non andava quando avevo appena 40 giorni. È stato un calvario, perché la mia malattia non la conosceva nessuno. Ero un caso da studiare, gli ospedali litigavano per avermi in cura, proponendomi di tutto senza mai arrivare ad una diagnosi azzeccata. Inizialmente i medici pensavano che i miei genitori mi picchiassero, perché mi fratturavo le ossa di continuo. Da bambina non ho mai gattonato, ho camminato tardi e avevo sempre gli arti rotti a causa di fratture spontanee. Era come se le mie articolazioni esplodessero di punto in bianco, perché non sopportavano lo stress della crescita. Ogni medico mi diceva la sua, fino a che a 4 anni mi sono ritrovata con i dischi intervertebrali completamente corrosi. Era insorta una scoliosi fatale, ricordo che qualcuno ipotizzò un'atrofia dei muscoli del collo, invece, semplicemente, le mie vertebre non c'erano più. Stavo solo sdraiata, non digerivo più nulla”. Fu allora che consigliarono ai suoi genitori di portarla a Parigi? "Sì. Per i primi interventi fui seguita dal professor Jean Dubousset, luminare della ricostruzione dello scheletro. Poi il mio caso venne passato al suo erede, il dottor Philippe Wicart, e dai 4 ai 17 anni ho subito un totale di 21 interventi chirurgici di ricostruzione di vertebre e gambe". Quali erano le aspettative di vita che le venivano pronosticate? "Dicevano che non avrei superato lo stress della crescita, che sarei morta di polmonite, come spesso accade alle persone affette da patologie come la mia. Perché se faccio tanto di starnutire, le mie costole si incrinano o si rompono. Immaginatevi quanta paura ho avuto negli ultimi due anni di prendere il Covid: già so che se dovessi infettarmi tutte le mie costole si fratturerebbero".
fermais cambiamento
La linea temporale mostra i cambiamenti della ragazza tra 2017 e 2020
Superato lo stress della crescita la sua salute è migliorata? "Sì, una volta adulta le cose sono andate migliorando. Ma la vita non mi ha regalato niente. Ho dovuto superare molti tipi di barriere, soprattutto psicologiche. La società, le persone in generale si vergognano della gente come me, la diversità fa paura". Oggi com'è la sua vita? "Vivo sola da due anni a questa parte. I miei amici mi hanno aiutato a trovare un posto in affitto. Da un anno, grazie al mio ex coinquilino, faccio attivismo perché la società possa raggiungere l'equità. Impegnato nelle lotte sociali a favore degli emarginati, fu lui a dirmi per la prima volta che avevo qualcosa di rotto dentro, che le persone che mi circondavano non mi avevano accettato per quella che ero. Non sono solo malata, ma anche bisessuale, e questo sembra creare ulteriori problemi alla gente. Ora comunque ho un ragazzo e vivo a Firenze". Il suo ragazzo che tipo è? "Un tipo speciale. Lui è di Verona, ci siamo conosciuti online, grazie a Facebook. Quando ci siamo visti dal vivo ho perso subito la testa, ma sono stata ben attenta a non farglielo capire per diversi mesi. Alla fine ci siamo messi insieme solo a maggio scorso. Lui adora gli esseri umani, al contrario di me che per colpa della mia patologia ho paura della gente. Adora conoscere tutti, non si scoraggia mai, ha una pazienza infinita. Io invece sono impaziente, disorganizzata, agguerrita, irritabile. Ho scoperto in lui un alleato indispensabile, soprattutto una persona che mi fa sentire umana".
Feramis
Feramis è un'attivista che combatte per l'uguaglianza e l'inclusione di qualsiasi forma di diversità
Ci racconti qualcosa del suo impegno nel campo del sociale... "Sono molto presente sui social, il mio canale Instagram si chiama Feramisofficial. Nel concreto cerco di spingere le persone a capire che i corpi umani sono tutti diversi tra loro per natura. Ci sono i biondi e i mori, i grassi e i magri, gli eterosessuali, i gay e i bisessuali, i normotipici e i disabili. Se non rientri negli standard non sei sbagliato. Invece sembra che la diversità crei problemi, paradossalmente anche a chi non è disabile. Si deve imparare ad accettare sia noi stessi che gli altri. Essere amici di noi stessi, siamo fatti in un modo e non si deve passare la vita a fare finta di essere qualcosa che non siamo. Mi rivolgo anche alle famiglie dei disabili, perché smettano di pensare a noi come a persone che costano soldi e che non possono fare le cose. Io ho una disabilità motoria del 100%, per camminare devo usare ausili di ogni tipo, eppure riesco a muovermi e sono indipendente". Gli ausili di cui parla sono validi? "Il problema è che la fornitura viene pensata e fatta da persone normotipiche che non possono capire come si muove un disabile. Penso che il sistema andrebbe ripensato per intero, l'Italia è fanalino di coda a livello europeo per quanto riguarda l'impegno a favore dei diversamente abili (non voglio sempre dover dire 'disabili' perché questa parola significa che non siamo abili, invece non è così). In media ogni città italiana spende non più di mille euro all'anno per l'accessibilità. Abbiamo preferito investire nell'arsenale bellico piuttosto che utilizzare i fondi che l'Europa ci aveva dato per l'accessibilità".
feramis
Feramis è una ragazza bisessuale ed è fidanzata con un ragazzo di Verona
Quali sono gli strumenti che usa per condurre la tua lotta sociale? "Uso principalmente i social network, per due motivi: primo, come vi dicevo, a causa della mia patologia ho sviluppato una forte fobia sciale, ho paura che trovandomi in mezzo alla gente le persone possano farmi male fisicamente. Secondo, non sono mai riuscita a trovare una piazza per fare informazione. Se devo parlare nei circoli chiusi, davanti ad una platea di persone diversamente abili che già conoscono bene le cose che ho da dire, è inutile. Bisogna raggiungere la gente, tutta, soprattutto i normotipici se si vogliono cambiare le cose. Sono loro infatti a dover essere sensibilizzati. Le persone che io chiamo 'privilegiate' restano invece inchiodate alla Tv o sui social, chiusi nella loro bolla, lontani dalla diversità. Alla pari dei politici che, dall'alto delle loro sedie, non possono capire quali siano i bisogni reali di chi ha delle diversità come me. Non siamo protetti, né agevolati. Dobbiamo sempre cavarcela da soli, magari grazie all'intervento dei familiari o degli amici, come nel mio caso. E, alla fine, se non hai soldi non ce la fai. Sono molto felice che Luce! mi abbia contattata perché il mio desiderio è proprio quello di poter usare i giornali per entrare negli spazi delle persone privilegiate e raccontare loro cosa sta succedendo realmente. A volte inoltre si verificano cose paradossali, come la complicità delle persone diversamente abili verso il sistema, che viene alimentato dal loro stesso senso di vergogna". Le va di raccontarci qualcosa della sua vita privata? "Ho trovato lavoro per eccesso di anni di disoccupazione. A Firenze funziona che se sei disoccupato per più di 10 anni ti inseriscono in un contesto pubblico. Io sono stata messa a lavorare al Cup dell'Ospedale di Ponte a Niccheri. Sono stata chiamata a novembre e da allora ogni mese sono stata sottoposta ad esami per scoprire se avessi sufficienti abilità mentali e fisiche ecc. Non potendo guidare al lavoro mi accompagnano i Cobas, perché l'attivazione del servizio trasporti per disabili va dai 500 euro mensili richiesti dalle Misericordie ai 1000 euro richiesti dai privati. A maggio sono stata finalmente assunta, ma la gestione delle risorse umane del Comune non ha rispettato le mie necessità. Il mio corpo non può stare seduto troppo a lungo, altrimenti rischio di slogarmi. Inoltre io sono bassa, con una seggiola normale non arrivo allo sportello. A giugno scorso ho fatto richiesta di una sedia rialzata con poggiapiedi, ma ancora non è arrivata. Intanto, per raggiungere il mouse, tempo fa ho sbattuto contro il tavolo e mi sono fratturata un gomito. Da quel momento a lavoro sono rimasti tutti sconvolti, benché li avessi avvisati a dovere di quali fossero i rischi. Risultato: vado a lavoro ma non posso toccare la scrivania fino a che non arriva la sedia che ho richiesto. Posso solo rispondere al telefono. L'altro giorno ho fatto l'ottavo sollecito al dipartimento delle attrezzature dell'azienda e mi hanno detto che l'ordine non è ancora partito. Spero solo di trovare la sedia al ritorno dalle ferie per poter ricominciare a lavorare".
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