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Figli e lavoro, come conciliare i due ambiti? La modella Nina Rima: "Più sostegni per le neomamme"

Attraverso la campagna #mammaE, il brand "Chicco" promuove un progetto di mentorship gratuito per le donne che intendono riprendere in mano la vita professionale

13 ottobre 2022
Nina Rima, recentemente diventata mamma della piccola Ella Noa, ha scelto di essere testimonial del nuovo progetto “Together We Can”, promosso dal noto brand Chicco

Nina Rima, recentemente diventata mamma della piccola Ella Noa, ha scelto di essere testimonial del nuovo progetto “Together We Can”, promosso dal noto brand Chicco

Nasce un bambino e il cuore di una giovane professionista si divide inevitabilmente di due: al primo posto il desiderio di accudire a tempo pieno il proprio piccolo, al secondo quello di portare avanti la propria carriera. L'uno non dovrebbe escludere l'altro, perché entrambi i desideri sono più che legittimi. Il problema è che, purtroppo, nella pratica non sempre la teoria si traduce in una una realtà facile da perseguire. Ecco perché Luce! ha voluto approfondire la tematica incontrando la bellissima modella e influencer “bionica” - come ama lei stessa definirsi - Nina Rima, recentemente diventata mamma della piccola Ella Noa ( e voce narrante di "Teen Mom Italia", in onda dal 13 ottobre su Mtv alle 22), che ha scelto di essere testimonial del nuovo progetto “Together We Can”, promosso dal noto brand Chicco in collaborazione con l'associazione che si occupa di riprogettazione professionale, formazione ed empowerment femminile PianoC, nell'ambito della campagna #mammaE.
La modella Nina Rima con la piccola Ella Noa

La modella Nina Rima con la piccola Ella Noa

Nello specifico, “Together We Can” è un percorso di riprogettazione professionale già in essere, dedicato a donne con figli fino a 10 anni, che desiderano o necessitano di ricollocarsi in ambito lavorativo, e rientra in un impegno che Chicco porta avanti da tempo a sostegno della libertà di scelta delle donne. “Le aspirazioni di una donna non sono e non devono essere incompatibili con la sua scelta di maternità – come ha commentato Federica Padoa, Brands & Portfolio Director Artsana -. Attraverso il programma di mentorship nell’ambito di 'Together We Can' vogliamo dare alle donne gli strumenti per riconoscere le proprie capacità e valorizzarle al massimo nel mondo del lavoro e nella società. Un percorso, quello promosso da Chicco, in cui donne formatrici supporteranno altre donne nella costruzione della propria identità professionale, in linea con i loro talenti, desideri e obiettivi. Perché “insieme possiamo”. Articolato in tre fasi, il progetto promosso da Chicco e curato da "Piano C" ha visto a giugno scorso la raccolta delle candidature delle madri, a luglio la selezione di 40 donne che hanno avuto la possibilità di prendere parte a due webinar di formazione online e la selezione delle 15 finaliste. Infine, a settembre, l'avvio del percorso di riprogettazione completo, della durata di tre mesi, per tutte le donne selezionate.

La testimonianza della modella bionica

Nina, perché ha scelto di diventare testimonial di “Together We Can”? “Perché Chicco è un brand che conosco da sempre. Fa parte della mia infanzia e adesso anche dell'infanzia di mia figlia Ella Noa. Questo progetto mi sta molto a cuore perché lo condivido a pieno: sono una mamma, una giovane donna in carriera, ci tengo che la mia fanbase lo conosca da vicino”. Come è cambiata la sua vita da quando è diventata mamma? “Sicuramente la mia vita è molto più impegnativa adesso. Tutto ruota intorno a mia figlia, alle sue esigenze e ai suoi bisogni di bebè. Il resto passa in secondo piano, anche ciò che prima per me era prioritario, come appunto il lavoro. Però cerco di dividermi tra questi due mondi, che di fatto hanno in comune l'impegno e la pazienza, assolutamente necessari per portare avanti entrambe queste esperienze umane. Comunque, ora che sono mamma mi reputo più seria, più paziente, più ligia al dovere. Quello che faccio non lo faccio più solo per me stessa ma anche per Ella, perciò cerco di godermi al massimo entrambi i momenti, sia quelli di mamma che quelli professionali. Anche se, devo ammettere, cerco di staccarmi da mia figlia il minor tempo possibile. Tendenzialmente la porto ovunque, ma quando non sono con lei riscopro cosa voglia dire essere sola: ciò che prima era routine ora è una novità”.

Nina Rima col compagno Giuseppe Elio Nolfo e la loro figlia

In che modo, secondo lei, al giorno d'oggi una neomamma rischia di sentirsi isolata dalla società o penalizzata in ambito lavorativo? “Nell'ultimo periodo sono stata molto impegnata in ambito lavorativo. Sono stata a Milano per partecipare alla Fashion Week e al Team Mamma. Ella era con me, sia per scelta personale sia perché non ho possibilità di lasciarla, considerando che sto ancora allattando. Ci sono state delle occasioni in cui mi sono sentita giudicata, quando vedevo le espressioni delle persone cui la presenza della bambina non andava a genio, o ascoltavo i commenti di alcune mamme che mi chiedevano 'Ma tu non hai una tata a cui lasciarla?'. Per me è più naturale portare mia figlia con me, fino a che è ancora così piccola, ovviamente scegliendo situazioni e luoghi idonei. Ho fatto e continuerò a fare quel che dice il mio cuore. Però non è stato piacevole sentirmi giudicata, specialmente da altre mamme che, evidentemente, non hanno problemi a lasciare i propri bambini. Invece, penso che mi sentirei penalizzata se mi venisse offerta una proposta lavorativa cui sia proibito ad Ella di essere presente. Perché, ora come ora, non l'accetterei. Questi momenti con mia figlia sono unici e non torneranno, perciò non intendo perdermeli per niente al mondo. Le proposte arriveranno anche in futuro, mentre i ricordi con mia figlia nessuno potrà ridarmeli”. A suo parere, quali strumenti dovrebbero essere garantiti alle giovani madri che intendano continuare la propria carriera, nei vari ambiti lavorativi? “Certamente dovrebbero essere implementati gli spazi gioco e gli asili, anche nelle sedi lavorative. Però, ciò che a me sicuramente farebbe più piacere è un congedo parentale per i papà più lungo, visto che quello concesso in Italia è tra i più brevi al mondo. Soprattutto se paragonato a quelli del Nord Europa, dove invece un papà può stare a casa con il suo bambino fino a 6 mesi dopo la nascita. Essere in due genitori ad accudire un neonato è sicuramente meglio del doversi affidare ad un estraneo, in caso manchino i nonni. Il ruolo giocato dai padri è fondamentale, perciò dovrebbe essere concesso loro più tempo”.
 Nina Rima recentemente è diventata mamma della piccola Ella Noa

Nina Rima recentemente è diventata mamma della piccola Ella Noa

E in ambito sociale? “Credo che, fin dal primo rientro a casa dopo la nascita di un bambino, le neomamme dovrebbero essere affiancate da un'ostetrica o una puericultrice, insomma una figura professionale capace di darle sostegno psicologico e di avviarla a questa nuova avventura. Invece una volta a casa siamo spaesate. Nel resto del mondo figure simili esistono, in Italia purtroppo no. Io stessa avrei piacere ad incontrarne una, ma non saprei neanche dove cercarla. Dovrebbe essere approntato un iter più semplice e intuitivo, anche per tutto quello che riguarda la giungla burocratica che una neo mamma deve affrontare. Per esempio l'iscrizione all'asilo nido, tra poco toccherà anche a me con Ella, ma già so che sarà complicato e che dovrò chiedere l'aiuto di altre mamme che ci sono passate prima di me. Invece dovrebbe esserci una figura apposita, capace di indirizzarci anche in questo ambito specifico”. Prima mi accennava al ruolo del papà nell'accudimento di un bambino fin dai primi mesi di vita... “Esatto, quello del papà è un ruolo fondamentale. Tante mamme che vedono sui social le foto di Giuseppe, papà di Ella, mentre accudisce la nostra bambina o fa cose normalissime insieme a noi, mi dicono 'Quanto sei fortunata! Il papà di mio figlio non fa niente del genere'. Allora intuisco che in alcuni casi un papà si limita a coccolare il figlio pochi minuti al giorno ma non fa cose pratiche come cambiare un pannolino o fare un bagnetto. Questo per me è scioccante. Penso sia una questione di volontà ma anche un fattore culturale. Perché volendo, il tempo lo si trova, anche quando si lavora fuori casa per buona parte della giornata. Mio marito, per esempio, lavora tutti i giorni per l'intera giornata, ma quando torna a casa si occupa a tempo pieno della bimba, e per lui è una cosa del tutto normale”.
La modella e influencer Nina Rima con la figlia (Instagram)

La modella e influencer Nina Rima con la figlia (Instagram)

I consigli dell'esperta

La sensazione di abbandono e spaesamento denunciata da Nina Rima a livello socio-assistenziale accomuna purtroppo moltissime neomamme nel nostro territorio nazionale, e deriva sicuramente da una tradizione sociale inadeguata a tempi in cui la parità di genere e i diritti sociali dovrebbero passare dalla teoria alla pratica. “In Italia – è il commento di Cristina Coppellotti, formatrice 'Piano C' - le donne soffrono per quella che viene definita child penalty, vale a dire un decremento dello stipendio associato alla maternità; un fenomeno che al contrario non riguarda i padri. Secondo una recente analisi dell'Inps, la penalità è molto pronunciata nel breve periodo ma permane anche a diversi anni di distanza dalla nascita. A quindici anni dalla maternità, infatti, i salari lordi annuali delle madri sono di circa 5.000 euro inferiori a quelli delle donne senza figli rispetto al periodo antecedente la nascita. È evidente, dunque, che la carriera delle donne in Italia subisce un freno legato proprio alla maternità. Causa di questa situazione non è solo la, legittima, scelta individuale di dedicare un tempo speciale all'esperienza della neogenitorialità; diverse sono le barriere sociali che ostacolano la crescita professionale delle donne. In primis l'assenza, o carenza, di servizi territoriali di prossimità accessibili; concorre anche l'incapacità, da parte delle aziende, di rendere strutturali politiche di conciliazione, flessibilità e lavoro agile, politiche che invece potrebbero trovare facilmente applicazione facendo tesoro dell'esperienza maturata durante la pandemia. Infine importante sarebbe superare tutti gli stereotipi che vogliono le madri poco propense a fare carriera e crescere professionalmente; un ambiente lavorativo sano è quello che sa valorizzare anche le esperienze personali e familiari maturate da lavoratori e lavoratrici al di fuori dell'orario di lavoro”.

La campagna di Chicco "Together We Can"

Dottoressa Coppellotti, quali sono invece le barriere psicologiche che impediscono a molte madri di ripensare se stesse in termini professionali, dopo la nascita del proprio bambino? “Sicuramente l'esperienza della maternità è meravigliosa e totalizzante. Si ha un ruolo tutto da scoprire e si accoglie un nuovo membro della famiglia che necessita della nostra cura e attenzione. Col passare dei mesi, diventa più facile delegare compiti legati all'accudimento del neonato; eppure spesso le madri si sentono in colpa quando decidono di portare i propri figli al nido, o di affidarli ad altri. In questi casi bisogna ricordarsi che la crescita dei bambini è legata alle esperienze di contatto e relazione, così come a quelle di assenza e mancanza. E siccome posso insegnare qualcosa solo dopo averlo imparato, è fondamentale riuscire a essere serene nel momento del distacco, trasmettendo così fiducia e sicurezza. Un'altra barriera psicologica è spesso legata al fattore economico: se si lavora per pagare la baby-sitter, non sarebbe meglio rimanere a casa e godersi la crescita dei nostri figli? La risposta non è così scontata. Sicuramente talvolta la scelta di tornare al lavoro può risultare antieconomica; non dimentichiamo, però, l'insicurezza che può provare a lungo andare una donna che ha rinunciato a malincuore a un pezzo di realizzazione personale e professionale e a un certo grado di autonomia. E come questa insicurezza può incidere nelle dinamiche familiari”. In che modo la famiglia dovrebbe supportare una giovane madre che intenda tornare a lavoro? “Il ritorno al lavoro di una madre post maternità potrebbe comportare una revisione degli equilibri di tutta la famiglia. È utile pensarsi come una piccola squadra, in cui tutti concorrono a raggiungere gli obiettivi comuni. Potrebbe aver senso sedersi a tavolino e passare in rassegna i compiti e le attività da portare avanti a livello settimanale, dividendosi incombenze e incarichi compatibilmente con orari e competenze: accompagnare a scuola la mattina, le spese, i lavori domestici, la gestione delle attività pomeridiane, la gestione della cucina. Se ci sono fratelli e sorelle maggiori rispetto al neonato, a seconda dell’età, possono essere responsabilizzati nel prendersi carico di alcuni piccoli compiti, prima di tutto quelli legati a loro stessi, come la preparazione della propria cartella, della merenda. Ma anche attività per tutta la famiglia, come apparecchiare la tavola o svuotare la lavastoviglie. Laddove ci sia una famiglia più estesa, i nonni possono farsi carico di alcuni di questi compiti, concordandoli con la coppia genitoriale: potrà essere l’aiuto nel tenere il/i bambino/i il pomeriggio, oppure la preparazione di alcuni piatti da surgelare e avere pronti in caso di bisogno. La cosa più importante, però, è un cambio di mentalità. Non è il padre o i figli che devono 'aiutare la mamma nella gestione della famiglia o della casa'. Semplicemente perché non sono obiettivi della mamma, ma di tutta la famiglia. Non ha lei l’ownership della cura, né dei bambini, né della casa. Se pensiamo alla famiglia come a una piccola comunità in cui tutti possono fare la loro parte, in cui si esplicitano le priorità e quello che è importante per tutti i componenti, in modo tale da concentrarsi su quegli obiettivi, anche trascurando gli altri, ci autorizziamo ad allontanarci dal concetto di perfezione, che tanto carica di responsabilità e senso di colpa alcune (neo)mamme. Un esercizio utile e allo stesso tempo divertente può essere quello di dividere tutte le attività della comunità famiglia in 'ministeri' di cui uno dei due partner è ministro/a. Si caricherà quindi di compiti operativi ma anche 'manageriali': prenderà decisioni, deciderà le priorità. Questo per condividere, oltre alle mansioni e attività concrete, anche il cosiddetto 'carico mentale', un termine nato dalle ricerche della sociologa Monique Haicault, divenuto recentemente popolare per designare il carico di lavoro cognitivo, invisibile, rappresentato dall'organizzazione di tutto nella sfera domestica: faccende domestiche, appuntamenti, spesa, assistenza all'infanzia, ecc. Il più delle volte, il carico mentale ricade in larga misura sulle donne”. Asili nido insufficienti, strutture private eccessivamente costose, impossibilità di lasciare il bambino a nonni o baby sitter, senso di colpa nel separarsi da un figlio ancora piccolo. Come superare, a livello sociale, problemi concreti che rendono assai complicato per una giovane madre il rientro al lavoro? “La nascita di un figlio è un evento che genera valore per un territorio, una comunità, per l'intero Paese. Finché non ci sarà questo cambio di sguardo collettivo sull'esperienza della genitorialità, difficilmente le donne si sentiranno meno sole. Eppure siamo oramai consapevoli che l'inserimento e l'uso dell'intelligenza artificiale, la robotica, la genetica, la nano e biotecnologia porteranno a forti cambiamenti nel mercato del lavoro. I compiti in cui ci si aspetta che gli esseri umani mantengano il loro vantaggio comparativo rispetto alle macchine, ce lo dice il World Economic Forum, sono proprio legati alla gestione, alla consulenza, al processo decisionale, al ragionamento, alla comunicazione e all'interazione. Tutte competenze che esercitiamo quotidianamente nel nostro ruolo di genitori. Stiamo chiedendo ai nostri luoghi di lavoro, ai nostri colleghi e capi, di cambiare sguardo su di noi e sul mondo. È un processo fatto di tentativi, sbagli, lezioni e ripartenze. Ma si tratta di un cambiamento non soltanto necessario, direi piuttosto fondamentale”. In che modo si concretizza l'aiuto alle madri da parte del progetto "Together We Can"? “Lanciato per favorire l’empowerment femminile, il progetto 'Together We Can' offre alle madri la possibilità di frequentare un percorso di riprogettazione professionale gratuito. 'Chicco' ci ha scelto 'Piano C' come partner per la realizzazione di questo corso composto da 10 incontri online e tenuto da donne formatrici che supporteranno altre donne nella loro realizzazione professionale. Il corso fornisce non solo strumenti utili per acquisire vision e metodo, ma anche indicazioni necessarie per accrescere le proprie soft skills. Si tratta di un’occasione utile a donne e mamme che vogliono rimettersi in gioco e ridefinire la propria identità lavorativa in linea con i propri talenti e desideri. È davvero importante che le donne abbiano gli strumenti per riconoscere le proprie capacità e valorizzarle al massimo, secondo le proprie aspirazioni, nel mondo del lavoro e nella società. L’iniziativa si inserisce nella campagna promossa dall’azienda #mammaE, volta a rendere possibile che ogni donna sia ‘#mammaE molto altro’, per affermare che le ambizioni professionali e personali di una donna, non sono e non devono essere incompatibili con la sua eventuale scelta di maternità”. Dopo il periodo di formazione, quali sono gli scenari concreti che si aprono dinanzi alle madri che lo hanno frequentato? “Durante il percorso, dopo aver messo a fuoco i propri talenti, acquisendo consapevolezza e autostima, le partecipanti sono state invitate a ricercare delle informazioni su ruoli, settori, ambiti specifici, problematiche. Prima in autonomia, poi mediante il confronto con professionisti/e in grado di dare loro informazioni e risposte. Questa spinta al networking ha come obiettivo primario quello di raccogliere informazioni e mettere a fuoco i bisogni del mondo del lavoro, ma persegue come obiettivo secondario l’allargamento della rete professionale delle partecipanti, elemento potenzialmente in grado di portare opportunità future. L’approccio basato sul design thinking pone l’accento sulla raccolta dei bisogni dei propri utenti/clienti o datori di lavoro per costruire una proposta di valore sartoriale idealmente in grado di interessare gli interlocutori. Nella fase di test si verifica proprio questo e, se l’esito è positivo, si è pronte a passare alla fase dell’implementazione che consiste nello sviluppo concreto del progetto. A seconda del progetto professionale sviluppato dalla partecipante si possono aprire diversi scenari: un lavoro da dipendente o collaboratrice di un’organizzazione esistente, un’attività da free lance o, in casi più rari, un’attività imprenditoriale. Non tutti gli scenari hanno le medesime tempistiche di realizzazione, ovviamente. Nel primo caso il prototipo testato può coincidere con un curriculum, una lettera di presentazione, un profilo linkedIn o un portfolio che andrà inviato a tutte le realtà interessanti e coerenti con la proposta di valore. Per percorsi professionali il cui esito preveda una carriera da free lance o da imprenditrice, la fase di test e di implementazione possono essere più lunghe e complesse per meglio comprendere l’impatto della propria proposta di valore, l’interesse suscitato da parte di clienti/utenti e per il tempo di avvio del progetto stesso. In alcuni casi le partecipanti possono decidere di lavorare a un progetto professionale su due tempi: uno scenario temporale sul breve periodo, in cui concentrarsi su un lavoro più immediatamente alla portata e uno più sul lungo periodo, da costruire passo passo, a volte anche prevedendo di far ricorso a nuovi contenuti formativi. In un’analisi dell’impatto dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, il 75% di chi partecipa al nostro percorso, ha trovato lavoro nei 6 mesi successivi”. Perché, secondo lei, è così importante il concetto del "fare rete"? “Fare rete è una risorsa importantissima per il percorso professionale di chiunque. Offre confronto, permette di ampliare il proprio sguardo e di raccogliere informazioni o nozioni che non abbiamo. A maggior ragione è fondamentale per chi non ha un lavoro, o per chi desidera cambiarlo. A seconda delle ricerche, il numero di persone che trovano lavoro grazie a persone conosciute, pare attestarsi tra i 60 e il 70%. Dovendo cercare lavoro, quindi, la probabilità di trovarlo mediante l’invio di cv è molto più basso rispetto alla possibilità di ottenerlo grazie al networking. Pur non potendo esimerci dall’invio del curriculum, che resta una pratica da fare, è quindi intuitivo comprendere quanto sia fondamentale fare rete. Ma l’aspetto interessante di quanto emerge dagli studi è che a darci supporto non sono tanto le persone che ci sono più vicine, quelle che ci conoscono meglio e che ci vogliono bene, quanto persone più lontane da noi. Ma com’è possibile? No, non dobbiamo pensare che i nostri contatti stretti vogliano boicottare la nostra crescita professionale, semplicemente, essendo più vicini a noi, sussiste una maggiore sovrapposizione di contenuti, di informazioni ma anche di contatti rispetto a cosa o chi già conosciamo. Già a partire dagli anni ’70 le ricerche di Granovetter, pubblicate nel paper 'The Strength of Weak Ties', avevano sottolineato l’importanza dei 'legami deboli' della nostra rete. Una recente ricerca del MIT approfondisce questo tema e conferma, in un esteso studio che ha coinvolto 20 milioni di utenti LinkedIn in 5 anni, gli studi di Granovetter. 'I legami moderatamente deboli sono i migliori' aggiunge Aral, lo studioso che ha dato vita a questa recentissima ricerca "Non il più debole, ma quello leggermente più forte del più debole. Il punto di flesso è di circa 10 connessioni reciproche tra le persone; se condividi più di quello con qualcuno su LinkedIn, l'utilità della tua connessione con l'altra persona, in termini di ricerca di lavoro, diminuisce". Quali consigli potrebbe dare ad una giovane madre che intenda affermarsi anche in campo professionale? “La domanda è molto ampia: proverei a suddividere la risposta in due casistiche. Se la giovane madre che intende affermarsi professionalmente ha già un lavoro al quale tornare al rientro dalla maternità, il consiglio a monte è quello di godersi al massimo il periodo di congedo, tenendo però aperti i canali di comunicazione con il proprio datore di lavoro e con i colleghi. Questo darà un segnale forte rispetto alla propria motivazione e commitment e, soprattutto, renderà il rientro meno traumatico e più graduale. Entrambi questi aspetti saranno importanti per un buon rientro al lavoro, che non potrà che avere una ricaduta positiva sul percorso professionale. Una volta rientrata a pieno regime, soprattutto se ha desiderio/necessità di non trattenersi oltre l’orario standard di lavoro, sarà ottima abitudine monitorare il raggiungimento dei propri obiettivi, prendendone nota ed evidenziando gli aspetti quantitativi collegati. Questi andranno condivisi con i responsabili per dimostrare il proprio valore e per far comprendere quanto buoni siano i risultati a prescindere dalla permanenza in azienda o dall’utilizzo, magari più frequente, dello smart working. Un altro consiglio fondamentale è quello di abilitarsi a chiedere: pensiamo di meritarci un aumento o una promozione, sulla base dei risultati raccolti? Alziamo la mano! Chiediamo, offriamoci. Molto spesso chi si occupa di HR è più propenso a premiare e valorizzare chi dimostra di tenerci di più e a chi corre il rischio di esporsi e 'metterci la faccia'. Se invece la giovane madre che vuole affermarsi in ambito professionale al momento non sta lavorando, il percorso da seguire è un po’ più lungo e complesso. Si può scegliere di ripartire da dove si aveva interrotto, andando a cercare un lavoro che preveda un ruolo simile o uguale a quello già ricoperto, magari anche nel medesimo settore. Questa scelta ovviamente permette di massimizzare le risorse presenti e di accorciare i tempi di attesa. Se invece il percorso pregresso non è percorribile, o se non si è più motivate e soddisfatte all’idea di rientrare in un ruolo e un settore conosciuto, si può cercare di costruire un nuovo progetto professionale. Per farlo, vale la pena partire da due punti per poi provare ad incrociare quanto emerso: da una parte si deve capire quali sono le competenze e i punti di forza da valorizzare, dall’altra è necessario fare ricerca per comprendere bisogni e necessità del mondo del lavoro. Capire, quindi, in che modo è possibile sfruttare le proprie competenze per rendersi utile o addirittura necessaria ad un datore di lavoro, può essere un approccio molto efficace per costruire un nuovo progetto professionale. Una volta definita la propria proposta il passaggio immediatamente successivo è affidarsi alle attività di networking: mandare il proprio cv in risposta ad annunci già pubblicati spesso non basta. Invece, è sempre fondamentale presentarsi, proporsi in modo proattivo alle organizzazioni e mantenere anche sul lungo periodo le relazioni con le persone che ne fanno parte”.