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Home » Lifestyle » Gianna Parenti: “Noi trans la tendenza alla trasformazione ce l’abbiamo innata”

Gianna Parenti: “Noi trans la tendenza alla trasformazione ce l’abbiamo innata”

Nata a Sesto Fiorentino nel 1945 è stata tra le prime transessuali in Italia. Attrice, cabarettista, drag queen, diceva che la scena era stata il suo destino

Luca Scarlini
24 Luglio 2022
Gianna Parenti (Metis EDS)

Gianna Parenti (Metis EDS)

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“Quelle come me“, un recente libro di Andrea Meroni e Luca Locati Luciani (PM Edizioni) ricostruisce un film assai importante del 1970, Splendori e miserie di Madame Royale, primo a portare in scena il mondo, fino ad allora perseguitato, delle drag queens. Un capolavoro di Vittorio Caprioli con protagonista Ugo Tognazzi, in cui compariva anche, in un piccolo cameo, Gianna Parenti (1945-2019), nata a Sesto Fiorentino, tra le prime transessuali in Italia, che qui interpreta il ruolo di una contessa invadente, con crinoline, parrucche e gran bastone di rappresentanza – in stile Versailles – intenta a litigare con la gran primadonna drag della storica compagnia dei Legnanesi, la biondissima Mabilia.

I problemi al lavoro e gli ostacoli per reinserirsi nella società

Nel 1977 ne L’Italia in pigiama di Guido Guerrasio, Parenti era finalmente nelle vesti di sé stessa. Il documentario aveva come tema I costumi sessuali delle tribù italiane (così recita il sottotitolo). Gianna compariva in camerino con un abito décolleté con non poche trasparenze, e una collana imponente. Dichiarava, categorica: “Io sono d’accordo (alla domanda su sesso e amore dell’intervistatore), ma noi abbiamo tanti problemi, prima di tutti forse il più grosso, il reinserimento nella società che molto spesso non avviene a causa dell’ignoranza e di una curiosità morbosa da parte delle persone. E seconda cosa di poi, anche nell’ambiente di lavoro noi siamo molto ostacolate, quando devono fare un contratto importante preferiscono affidarlo a un nome oscuro, a una che non è una vedette, nemmeno una artista, ma lei è nata a quel modo, è una cosa davvero fastidiosa”.

Gianna-Parenti
Gianna Parenti è stata tra le prime transessuali italiane (Metis EDS)

“Noi trans abbiamo la tendenza alla trasformazione”

Una requisitoria seguita da un numero di varietà, con una dedica a Sesto Fiorentino e ai suoi amici di là. Come ha raccontato la sua storia a Porpora Marcasciano, nel fondamentale volume di storia delle transessuali “Tra le rose e le viole” (2002, da poco riedito da Edizioni Alegre), la scena era stata il suo destino. “Quando ho cominciato l’esperienza trans, dopo circa un anno da Firenze sono andata a vivere a Parigi, e i miei vent’anni li ho passati lì. Appena arrivata sono stata ingaggiata nella troupe del Carousel, che era il posto più famoso del mondo per le trans e i travestiti. Era un locale dalle parti di Montmartre, in cui si faceva teatro, cabaret e tante altre cose. Lì ho conosciuto le amiche trans che mi hanno fatto da maestre. C’era chi ti insegnava a truccarti, chi a pettinarti, i trucchi del vestirsi, come nascondere i difetti e accentuare le virtù, e noi trans in questo ne sappiamo una più del diavolo: del resto la tendenza alla trasformazione ce l’abbiamo innata. C’era anche tanta cattiveria e tanta invidia che non sono mai mancate in certi ambienti, anzi a volte erano la regola! Sono le dinamiche del mondo dello spettacolo, del resto le trans vivono nel mondo dello spettacolo, se non si sentissero eternamente sopra un palcoscenico, sarebbero in crisi”.

Eva von Pigalle a scuola degli strass e delle piume

A Parigi, sulla scena piccola di Madame Arthur, e in molti altri teatri del mondo, era stata Eva von Pigalle, nome che dava al suo personaggio un tocco di esotismo, per competere con le celebrità del luogo, in cui si era rivelata Coccinelle. I nomi erano quelli della Zambellà, Sciu Sciu, Bambi. In seguito ebbe modo di comparire in scena a fianco di Carlo Cecchi ne La mandragola. “Essere artista mi ha aiutata molto nell’estetica, ricordo che avevo i costumi più belli di tutti perché me li disegnavo da me, avevo molto estro e creatività, quindi mi distinguevo sempre dalle altre, anche ai tempi del Carousel. Il vestito più bello che mi ricordo, di quando stavo in Italia, era una crinolina nera anni Cinquanta, di tulle, larghissima, lunga fino a terra. Ho un baule pieno di costumi e corone di strass, quando lo apro è tutto un luccichìo e mille ricordi! A me poi piaceva usare questi costumi esagerati con gli strass di mezzo. La mia formazione è stata parigina e quindi la mia scuola sono state les Folies Bergères: la scuola degli strass e delle piume. Ho ancora dei ventagli enormi di piume. Anche il trucco mi appassionava: lo facevo benissimo, sia quello esageratissimo da sera o da spettacolo che quello sobrio e raffinato per prendere il tè con le amiche. Oggi non mi trucco più, mi sono truccata per troppo tempo, lo faccio solo nelle grandi occasioni come per l’ultimo dell’anno o se vado una sera a teatro, e anche in questi casi uso solo un trucco leggero. Ora preferisco essere acqua e sapone!”.

L’attivismo per il riconoscimento delle persone transessuali

Abbandonata la scena, Eva von Pigalle è diventata una attivista del Partito Radicale e poi del Movimento Italiano Transessuali, di cui è stata presidentessa. È stata ricordata nell’edizione 2019 del Florence Queer Festival, con una mostra a cura di Sandra Nastri, in cui erano presentati i suoi abiti di scena, creati dalla Sartoria Teatrale Antonietta, mentre l’archivio IREOS ha alcuni documenti sul suo percorso biografico. Negli anni seguenti il suo profilo è stato quello di una attivista, in prima fila per richiedere la legge n. 164 del 1982 che ha definito la presenza delle persone transessuali nella società italiana. Da sempre pittrice di ceramiche, aveva realizzato una mostra dei suoi piatti acquarellati al Piccolo Cafè nel 2007, rendendo omaggio a una tradizione che faceva capo alle produzioni ottocentesche della sestese Richard Ginori.

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Instagram

  • Numerosi attori e musicisti di alto profilo si sono recati in Ucraina da quando è scoppiata la guerra con la Russia nel febbraio 2022. L’ultimo in ordine di tempo è stato l’attore britannico Orlando Bloom, che ieri ha visitato un centro per bambini e ha incontrato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a Kiev.

“Non mi sarei mai aspettato che la guerra si sarebbe intensificata in tutto il Paese da quando sono stato lì”, ha detto Bloom su Instagram, “Ma oggi ho avuto la fortuna di ascoltare le risate dei bambini in un centro del programma Spilno sostenuto dall’Unicef, uno spazio sicuro, caldo e accogliente dove i bambini possono giocare, imparare e ricevere supporto psicosociale”.

Bloom è un ambasciatore di buona volontà per l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef). Il centro di Splino, che è uno dei tanti in Ucraina, offre sostegno ai bambini sfollati e alle loro famiglie, con più di mezzo milione di bambini che ne hanno visitato uno nell’ultimo anno.

La star hollywoodiana ha poi incontrato il presidente Zelensky, con cui ha trattato temi tra cui il ritorno dei bambini ucraini deportati in Russia, la creazione di rifugi antiatomici negli istituti scolastici e il supporto tecnico per l’apprendimento a distanza nelle aree in cui è impossibile studiare offline a causa della guerra. L’attore britannico aveva scritto ieri su Instagram, al suo arrivo a Kiev, che i «bambini in Ucraina hanno bisogno di riavere la loro infanzia».

#lucelanazione #lucenews #zelensky #orlandobloom
  • “La vita che stavo conducendo mi rendeva particolarmente infelice e se all’inizio ero entrata in terapia perché volevo accettare il fatto che mi dovessi nascondere, ho avuto poi un’evoluzione e questo percorso è diventato di accettazione di me stessa."

✨Un sorriso contagioso, la spensieratezza dei vent’anni e la bellezza di chi si piace e non può che riflettere quella luce anche al di fuori. La si potrebbe definire una Mulan nostrana Carlotta Bertotti, 23 anni, una ragazza torinese come tante, salvo che ha qualcosa di speciale. E non stiamo parlano del Nevo di Ota che occupa metà del suo volto. Ecco però spiegato un primo punto di contatto con Mulan: l’Oriente, dove è più diffusa (insieme all’Africa) quell’alterazione di natura benigna della pigmentazione della cute intorno alla zona degli occhi (spesso anche la sclera si presenta scura). Quella che appare come una chiazza grigio-bluastra su un lato del volto (rarissimi i casi bilaterali), colpisce prevalentemente persone di sesso femminile e le etnie asiatiche (1 su 200 persone in Giappone), può essere presente alla nascita o apparire durante la pubertà. E come la principessa Disney “fin da piccola ho sempre sentito la pressione di dover salvare tutto, ma forse in realtà dovevo solo salvare me stessa. Però non mi piace stare troppo alle regole, sono ribelle come lei”.

🗣Cosa diresti a una ragazza che ha una macchia come la tua e ti chiede come riuscire a conviverci?�
“Che sono profondamente fiera della persona che vedo riflessa allo specchio tutto i giorni e sono arrivata a questa fierezza dopo che ho scoperto e ho accettato tutti i miei lati, sia positivi che negativi. È molto autoreferenziale, quindi invece se dovessi dare un consiglio è quello che alla fine della fiera il giudizio altrui è momentaneo e tutto passa. L’unica persona che resta e con cui devi convivere tutta la vita sei tu, quindi le vere battaglie sono quelle con te stessa, quelle che vale la pena combattere”.

L’intervista a cura di Marianna Grazi �✍ 𝘓𝘪𝘯𝘬 𝘪𝘯 𝘣𝘪𝘰

#lucenews #lucelanazione #carlottabertotti #nevodiota
  • La salute mentale al centro del podcast di Alessia Lanza. Come si supera l’ansia sociale? Quanto è difficile fare coming out? Vado dallo psicologo? Come trovo la mia strada? La popolare influencer, una delle creator più note e amate del web con 1,4 milioni di followers su Instagram e 3,9 milioni su TikTok, Alessia Lanza debutta con “Mille Pare”, il suo primo podcast in cui affronta, in dieci puntate, una “para” diversa e cerca di esorcizzare le sue fragilità e, di riflesso, quelle dei suoi coetanei.

“Ho deciso di fare questo podcast per svariati motivi: io sono arrivata fin qui anche grazie alla mia immagine, ma questa volta vorrei che le persone mi ascoltassero e basta. Quando ho cominciato a raccontare le mie fragilità un sacco di persone mi hanno detto ‘Anche io ho quella para lì!’. Perciò dico parliamone, perché in un mondo in cui sembra che dobbiamo farcela da soli, io credo nel potere della condivisione”.

#lucenews #lucelanazione #millepare #alessialanza #podcast
  • Si è laureata in Antropologia, Religioni e Civiltà Orientali indossando un abito tradizionale Crow, tribù della sua famiglia adottiva in Montana. Eppure Raffaella Milandri è italianissima e ha conseguito il titolo nella storica università Alma Mater di Bologna, lo scorso 17 marzo. 

La scrittrice e giornalista nel 2010 è diventata membro adottivo della famiglia di nativi americani Black Eagle. Da quel momento quella che era una semplice passione per i popoli indigeni si è focalizzata sullo studio degli aborigeni Usa e sulla divulgazione della loro cultura.

Un titolo di studio specifico, quello conseguito dalla Milandri, “Che ho ritenuto oltremodo necessario per coronare la mia attività di studiosa e attivista per i diritti dei Nativi Americani e per i Popoli Indigeni. La prima forma pacifica di attivismo è divulgare la cultura nativa”. L’abito indossato durante cerimonia di laurea appartiene alla tribù della sua famiglia adottiva. Usanza che è stata istituzionalizzata solo dal 2017 in Montana, Stato d’origine del suo popolo, quando è stata approvata una legge (la SB 319) che permette ai nativi e loro familiari di laurearsi con il “tribal regalia“. 

In virtù di questa norma, il Segretario della Crow Nation, Levi Black Eagle, a maggio 2022 ha ricordato la possibilità di indossare l’abito tradizionale Crow in queste occasioni e così Milandri ha chiesto alla famiglia d’adozione se anche lei, in quanto membro acquisito della tribù, avrebbe potuto indossarlo in occasione della sua discussione.

La scrittrice, ricordando il momento della laurea a Bologna, racconta che è stata “Una grandissima emozione e un onore poter rappresentare la Crow Nation e la mia famiglia adottiva. Ho dedicato la mia laurea in primis alle vittime dei collegi indiani, istituti scolastici, perlopiù a gestione cattolica, di stampo assimilazionista. Le stesse vittime per le quali Papa Francesco, lo scorso luglio, si è recato in Canada in viaggio penitenziale a chiedere scusa  Ho molto approfondito questo tema controverso e presto sarà pubblicato un mio studio sull’argomento dalla Mauna Kea Edizioni”.

#lucenews #raffaellamilandri #antropologia
"Quelle come me", un recente libro di Andrea Meroni e Luca Locati Luciani (PM Edizioni) ricostruisce un film assai importante del 1970, Splendori e miserie di Madame Royale, primo a portare in scena il mondo, fino ad allora perseguitato, delle drag queens. Un capolavoro di Vittorio Caprioli con protagonista Ugo Tognazzi, in cui compariva anche, in un piccolo cameo, Gianna Parenti (1945-2019), nata a Sesto Fiorentino, tra le prime transessuali in Italia, che qui interpreta il ruolo di una contessa invadente, con crinoline, parrucche e gran bastone di rappresentanza – in stile Versailles – intenta a litigare con la gran primadonna drag della storica compagnia dei Legnanesi, la biondissima Mabilia.

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Nel 1977 ne L’Italia in pigiama di Guido Guerrasio, Parenti era finalmente nelle vesti di sé stessa. Il documentario aveva come tema I costumi sessuali delle tribù italiane (così recita il sottotitolo). Gianna compariva in camerino con un abito décolleté con non poche trasparenze, e una collana imponente. Dichiarava, categorica: “Io sono d’accordo (alla domanda su sesso e amore dell’intervistatore), ma noi abbiamo tanti problemi, prima di tutti forse il più grosso, il reinserimento nella società che molto spesso non avviene a causa dell’ignoranza e di una curiosità morbosa da parte delle persone. E seconda cosa di poi, anche nell’ambiente di lavoro noi siamo molto ostacolate, quando devono fare un contratto importante preferiscono affidarlo a un nome oscuro, a una che non è una vedette, nemmeno una artista, ma lei è nata a quel modo, è una cosa davvero fastidiosa”.
Gianna-Parenti
Gianna Parenti è stata tra le prime transessuali italiane (Metis EDS)

"Noi trans abbiamo la tendenza alla trasformazione"

Una requisitoria seguita da un numero di varietà, con una dedica a Sesto Fiorentino e ai suoi amici di là. Come ha raccontato la sua storia a Porpora Marcasciano, nel fondamentale volume di storia delle transessuali "Tra le rose e le viole" (2002, da poco riedito da Edizioni Alegre), la scena era stata il suo destino. “Quando ho cominciato l’esperienza trans, dopo circa un anno da Firenze sono andata a vivere a Parigi, e i miei vent’anni li ho passati lì. Appena arrivata sono stata ingaggiata nella troupe del Carousel, che era il posto più famoso del mondo per le trans e i travestiti. Era un locale dalle parti di Montmartre, in cui si faceva teatro, cabaret e tante altre cose. Lì ho conosciuto le amiche trans che mi hanno fatto da maestre. C’era chi ti insegnava a truccarti, chi a pettinarti, i trucchi del vestirsi, come nascondere i difetti e accentuare le virtù, e noi trans in questo ne sappiamo una più del diavolo: del resto la tendenza alla trasformazione ce l’abbiamo innata. C’era anche tanta cattiveria e tanta invidia che non sono mai mancate in certi ambienti, anzi a volte erano la regola! Sono le dinamiche del mondo dello spettacolo, del resto le trans vivono nel mondo dello spettacolo, se non si sentissero eternamente sopra un palcoscenico, sarebbero in crisi”.

Eva von Pigalle a scuola degli strass e delle piume

A Parigi, sulla scena piccola di Madame Arthur, e in molti altri teatri del mondo, era stata Eva von Pigalle, nome che dava al suo personaggio un tocco di esotismo, per competere con le celebrità del luogo, in cui si era rivelata Coccinelle. I nomi erano quelli della Zambellà, Sciu Sciu, Bambi. In seguito ebbe modo di comparire in scena a fianco di Carlo Cecchi ne La mandragola. “Essere artista mi ha aiutata molto nell’estetica, ricordo che avevo i costumi più belli di tutti perché me li disegnavo da me, avevo molto estro e creatività, quindi mi distinguevo sempre dalle altre, anche ai tempi del Carousel. Il vestito più bello che mi ricordo, di quando stavo in Italia, era una crinolina nera anni Cinquanta, di tulle, larghissima, lunga fino a terra. Ho un baule pieno di costumi e corone di strass, quando lo apro è tutto un luccichìo e mille ricordi! A me poi piaceva usare questi costumi esagerati con gli strass di mezzo. La mia formazione è stata parigina e quindi la mia scuola sono state les Folies Bergères: la scuola degli strass e delle piume. Ho ancora dei ventagli enormi di piume. Anche il trucco mi appassionava: lo facevo benissimo, sia quello esageratissimo da sera o da spettacolo che quello sobrio e raffinato per prendere il tè con le amiche. Oggi non mi trucco più, mi sono truccata per troppo tempo, lo faccio solo nelle grandi occasioni come per l’ultimo dell’anno o se vado una sera a teatro, e anche in questi casi uso solo un trucco leggero. Ora preferisco essere acqua e sapone!”.

L'attivismo per il riconoscimento delle persone transessuali

Abbandonata la scena, Eva von Pigalle è diventata una attivista del Partito Radicale e poi del Movimento Italiano Transessuali, di cui è stata presidentessa. È stata ricordata nell’edizione 2019 del Florence Queer Festival, con una mostra a cura di Sandra Nastri, in cui erano presentati i suoi abiti di scena, creati dalla Sartoria Teatrale Antonietta, mentre l’archivio IREOS ha alcuni documenti sul suo percorso biografico. Negli anni seguenti il suo profilo è stato quello di una attivista, in prima fila per richiedere la legge n. 164 del 1982 che ha definito la presenza delle persone transessuali nella società italiana. Da sempre pittrice di ceramiche, aveva realizzato una mostra dei suoi piatti acquarellati al Piccolo Cafè nel 2007, rendendo omaggio a una tradizione che faceva capo alle produzioni ottocentesche della sestese Richard Ginori.
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