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Home » Lifestyle » Giorgia Deidda: “Scrivo perché mi sento viva in un corpo morto. Il mondo per me è un campo pieno di mine”

Giorgia Deidda: “Scrivo perché mi sento viva in un corpo morto. Il mondo per me è un campo pieno di mine”

La poetessa 28enne ha un disturbo borderline della personalità: "Sono stata definita pazza ma poi ho cominciato ad apprezzare il piacere dell’essere diversi perché è segno di grande coraggio"

Guido Guidi Guerrera
29 Gennaio 2023
La 28enne Giorgia Deidda Giorgia è una poetessa

La poetessa 28enne Giorgia Deidda

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Giorgia è una poetessa, una ragazza di ventotto anni di bell’aspetto, colta e dai modi gentili ma che vive in un mondo tutto suo. Una dimensione psichica che è stata diagnosticata come sindrome bipolare di tipo II con annesso disturbo borderline della personalità. Condizione mentale di non facile gestione che implica improvvisi e estremi mutamenti dell’umore, inaffidabilità comportamentale, pensiero accelerato, fasi di insonnia alternati ad altre di ipersonnia, iperattività seguita da momenti di letargo, manifestazioni di logorrea e autoesaltazione che spesso lasciano il posto a crisi profonde di disistima accompagnate da pensieri autodistruttivi. Si tratta peraltro di un quadro assai complesso che non può essere riassunto brevemente e soprattutto in maniera sbrigativa, usando soltanto l’aridità delle espressioni tecniche. Chi soffre di queste patologie è in genere una persona estremamente affascinante e suadente nei modi, dotata di notevole intelligenza e fortemente empatica nei confronti del prossimo più in senso generale che relazionale.

Giorgia Deidda, 28 anni, foggiana
Giorgia Deidda, 28 anni, foggiana

I rapporti affettivi risultano infatti molto complicati e subiscono le stesse vicende delle tempeste interiori che agitano pensieri sempre in tumulto. I ‘borderline’ hanno un enorme bisogno di gratificazione e per questo si spingono facilmente all’esibizionismo, quindi sono sovente alla ricerca di ‘avventure’ dalle quali trarre quel continuo nutrimento affettivo che in queste persone è sempre carente. Per questo arrivano a troncare i rapporti da un giorno all’altro senza una plausibile spiegazione, cosa che in realtà cela il terrore dell’abbandono: si lascia per timore di essere lasciati. Ebbene la nostra Giorgia Deidda, foggiana di nascita, per sua stessa “confessione” dichiara di appartenere fin dall’età di diciotto anni a questa categoria, che come nel caso di tutti gli schemi non può ricomprendere né fotografare in modo esaustivo la natura molto complessa di queste nature. Giorgia ha studiato lingue e traduzione presso l’università degli studi di Bari e successivamente lingue e letterature straniere presso l’università degli studi di Foggia. Scrive dall’età di tredici anni poesie e racconti, molti dei quali pubblicati, ispirandosi ad autori quali Eugenio Montale, Sylvia Plath, Amelia Rosselli, Anne Sexton. Predilige una scrittura che definisce biografico-confessionale. Ha in progetto quattro sillogi, un romanzo distopico e un libro-silloge che cercherà di descrivere tutti i tipi di patologie mentali. Ama il disegno e la pittura. Ha studiato recitazione per anni, cimentandosi in varie forme di spettacolo. Pratica attualmente la “Slam Poetry“, un nuovo tipo di poesia in voga in America che consiste nel recitare animosamente le proprie poesie, molto spesso di carattere psichico, in particolare sulla malattia mentale.

Giorgia Deidda è una poetessa, una ragazza di ventotto anni di bell’aspetto, colta e dai modi gentili ma che vive in un mondo tutto suo
Giorgia Deidda è una poetessa, una ragazza di ventotto anni di bell’aspetto, colta e dai modi gentili ma che vive in un mondo tutto suo

Chi è ‘davvero’ Giorgia?
“Giorgia, che usando la terza persona sembra proprio sdoppiarsi, è la sintesi della mia ambivalenza e del mio osservarmi. E’ possibile definirla come uno specchio multiforme dove a volte uno spettro di sé rivela la bellezza del mero buio, mentre altre è la combinazione di colori più o meno intensi che le permettono di arrivare all’azione riconoscendo tanto i valori del cielo, quanto quelli del ‘terriccio’. Un coacervo di concretezza e spiritualità”.

E’ meglio amare il proprio corpo o la propria anima?
“Soffrendo di dismorfofobia, che è il terrore nei confronti dei difetti fisici, non ho stima di me stessa, del mio corpo, quindi il riflesso di me stessa diventa un mare burrascoso dentro il quale riesco solo con estrema difficoltà a barcamenarmi. Questa domanda è interessante perché mi provoca sensazioni dicotomiche. Spesso mi sento di dire che possiedo una bella anima, ma quella non ho bisogno di vederla crescere perché l’ho nutrita tanto personalmente e adesso è a casa sua, sola. L’ho lasciata andare. Il corpo invece ha bisogno di affetto e nutrimento, come un piccolo pargolo. Perciò propendo adesso per il corpo”.

Come è abituata a guardare il mondo e cosa si aspetta dalla gente?
“Il mondo per me è come un campo pieno di mine. Proprio questo mondo mi impone di misurarmi con tonnellate di pensieri simili a grandi massi. Trasformarli in funzionali o disfunzionali è una cosa che dipende solo da me. Tuttavia ho sempre guardato il mondo con neutralità, cercando di dargli un senso. La gente riflette quel mondo ed è il mondo stesso. Immagino la gente animata da una commistione di azoto e ossigeno, ma anche da un qualcosa di tossico quanto il cianuro. Mi preoccupano perciò il suo giudizio, le sue aspettative. Tutti questi elementi incombono su di me come grandi mostri fino a graffiare la pelle”.

Giorgia Deidda
Giorgia Deidda

Quando è arrivata la prima diagnosi di personalità “border”?
“Mi hanno diagnosticato il disturbo bipolare di tipo II al policlinico di Bari durante il primo ricovero. Anche a livello elettroencefalografico presentavo tutti i segni che confermavano con certezza questo tipo di malattia estremamente invalidante. Dopo sei anni si sono accorti che la mia personalità era prettamente di tipo ‘abbandonico’. Così a Foggia hanno riscontrato anche la presenza del disturbo borderline”.

Il suo comportamento è contrassegnato da bipolarità o addirittura dall’accavallarsi di personalità multiple?
“Non soffro di diagnosi da cluster C attinente alle personalità multiple. Appartengo piuttosto alla classe dei cluster B, ovvero relativo alle deformazioni della personalità. Di solito con il cambio di stagione divento o depressa o estremamente euforica. Ovviamente il tutto è controllato dai farmaci, perciò quando l’onda negativa diventa troppo instabile si riesce a mitigarla un pochino”.

La 28enne Giorgia Deidda
La 28enne Giorgia Deidda

In che modo convive con questa affezione?
“Non ne sono di certo orgogliosa. Ma si sa, un po’ tutti gli artisti soffrono in qualche misura di questa lugubre incapacità di amarsi, fino a torturarsi e a non volersi sufficientemente bene. Basterebbe un abbraccio di mente e di cuore per sanare certe ferite e cicatrizzarle. Ma noi spesso ci sottraiamo per paura di diffondere l’infezione di questa nostra personale ferita, evitando di farne pullulare i germi. Trovo difficile far toccare e accarezzare i miei dolori attuali quando è evidente che sono destinati a durare per sempre”.

E’ stata oggetto per questo di discriminazione?
“Da alcune persone ignoranti, sì. Sono stata definita pazza. Questa accusa mi ha scosso e mi ha fatto sentire terribilmente diversa. Poi ho modificato dentro di me il concetto di pazzia tipico del sentire comune e ho cominciato ad apprezzare il piacere dell’essere diversi. Perché essere diversi è segno di grande coraggio”.

Si odia o ha finito per amarsi anche passando attraverso l’esibizione di sue immagini un po’ provocatorie? Subisce molestie per questo sua esigenza di mettersi in mostra?
“Mi piace pubblicare foto provocanti e ci tengo a precisare che lo faccio non per vanità, come molti credono, ma solo per insicurezza, per bisogno di approvazione. Forse penso che la nudità attiri l’uomo e capendo che è così gioco un po’ come il ratto di Skinner, sulla base del binomio gratificazione-punizione. Ho scoperto che faccio leva facilmente su reazioni prevedibili, ampiamente pavloviane. Naturalmente per il fatto di mettermi in mostra subisco continue molestie. Ciò non mi esime affatto dal farlo”.

Giorgia Deidda scrive da quando aveva 13 anni
Giorgia Deidda scrive da quando aveva 13 anni

In tante foto che lei posta sui social si nota una interessante metamorfosi di atteggiamento che coinvolge addirittura i tratti somatici. Sembra sempre diversa: ritiene che ci sia una spiegazione?
“Semplicemente in molti casi sono foto vecchie postate dopo anni, ricordi in cui ero diversa. Inoltre mi piace cambiare spesso colore dei capelli. Adoro trasformarmi, come Zelda Zonk alias Marilyn Monroe. E uso Liz accanto al mio nome di battesimo. Un modo per non farsi riconoscere”.

In che misura la scrittura e la poesia possono essere terapeutiche per una persona “problematica” come lei?
“La catarsi è la risposta. Io scrivo per esigenza. Scrivo perché mi sento viva in un corpo morto. E quando i miei pensieri si trasmutano in parole io sono Giorgia che pensa e si integra nel ‘cogito ergo sum’: un concetto che afferro nella sua interezza, che sento vero, ed è proprio così. Quando penso esisto, come l’esperimento delle doppie fenditure quantistiche in cui finché non si osserva il moto ondulatorio, la particella non esiste e il corpuscolo resta fenomeno immaginario”.

Giorgia Deidda ha studiato recitazione per anni, cimentandosi in varie forme di spettacolo
Giorgia Deidda ha studiato recitazione per anni, cimentandosi in varie forme di spettacolo

Le capita di fare da supporto a ragazzi e ragazze con i suoi stessi problemi?
“Continuamente. Ho frequentato un centro diurno e ho sempre fatto quasi da volontaria. Ho cercato di infondere coraggio e stima magari scrivendo un libro, usando l’antica arte della maieutica e organizzando laboratori di poesia. Ognuno ha dato il proprio contributo e proprio da questo sforzo collaborativo è nato un libro che potete trovare sul web dal titolo ‘Oltre la fermata: tra sogno e realtà’”.

Cosa raccomanda loro?
“Raccomando innanzitutto un vademecum. Consiglio l’uso di foglietti dove scrivere cosa fare, per organizzare al meglio la routine. Inoltre è necessario far comprendere che muoversi ha una funzione decisamente terapeutica. Muoversi fa percepire l’aria che ti accarezza il viso. Ci si può sentire vivi anche solo così, lasciandoci sfiorare da un mondo che soggiace all’altalena delle fasi lunari”.

Giorgia, lei ha finito per accettarsi così com’è oppure si immagina, un giorno, diversa?
“Io non mi accetto ancora. È un processo lungo, lento, acido. Dovrò fare molta terapia. Cesellarmi. Scolpirmi. Ma sono sicura che un giorno sarò diversa, forse realizzata, forse non più schiava di quel cordone ombelicale che mi lega a un letto”.

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  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
  • Presidi psicologici, psicoterapeutici e di counselling per tutti gli studenti universitari e scolastici. Lo chiedono l’Udu, Unione degli universitari, e la Rete degli studenti medi nella proposta di legge ‘Chiedimi come sto’ consegnata a una delegazione di parlamentari nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.

La proposta è stata redatta secondo le conclusioni di una ricerca condotta da Spi-Cgil e Istituto Ires, che ha evidenziato come, su un campione di 50mila risposte, il 28 per cento abbia avuto esperienze di disturbi alimentari e oltre il 14 di autolesionismo.

“Nella nostra generazione è ancora forte lo stigma verso chi sta male ed è difficile chiedere aiuto - spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu - l’interesse effettivo della politica si è palesato solo dopo il 15esimo suicidio di studenti universitari in un anno e mezzo. Ci sembra assurdo che la politica si interessi solamente dopo che si supera il limite, con persone che arrivano a scegliere di togliersi la vita.

Dall’altro lato, è positivo che negli ultimi mesi si sia deciso di chiedere a noi studenti come affrontare e come risolvere, il problema. Non è scontato e non è banale, perché siamo abituati a decenni in cui si parla di nuove generazioni senza parlare alle nuove generazioni”.

#luce #lucenews #università
  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere
Giorgia è una poetessa, una ragazza di ventotto anni di bell’aspetto, colta e dai modi gentili ma che vive in un mondo tutto suo. Una dimensione psichica che è stata diagnosticata come sindrome bipolare di tipo II con annesso disturbo borderline della personalità. Condizione mentale di non facile gestione che implica improvvisi e estremi mutamenti dell’umore, inaffidabilità comportamentale, pensiero accelerato, fasi di insonnia alternati ad altre di ipersonnia, iperattività seguita da momenti di letargo, manifestazioni di logorrea e autoesaltazione che spesso lasciano il posto a crisi profonde di disistima accompagnate da pensieri autodistruttivi. Si tratta peraltro di un quadro assai complesso che non può essere riassunto brevemente e soprattutto in maniera sbrigativa, usando soltanto l’aridità delle espressioni tecniche. Chi soffre di queste patologie è in genere una persona estremamente affascinante e suadente nei modi, dotata di notevole intelligenza e fortemente empatica nei confronti del prossimo più in senso generale che relazionale.
Giorgia Deidda, 28 anni, foggiana
Giorgia Deidda, 28 anni, foggiana
I rapporti affettivi risultano infatti molto complicati e subiscono le stesse vicende delle tempeste interiori che agitano pensieri sempre in tumulto. I ‘borderline’ hanno un enorme bisogno di gratificazione e per questo si spingono facilmente all’esibizionismo, quindi sono sovente alla ricerca di ‘avventure’ dalle quali trarre quel continuo nutrimento affettivo che in queste persone è sempre carente. Per questo arrivano a troncare i rapporti da un giorno all’altro senza una plausibile spiegazione, cosa che in realtà cela il terrore dell’abbandono: si lascia per timore di essere lasciati. Ebbene la nostra Giorgia Deidda, foggiana di nascita, per sua stessa “confessione” dichiara di appartenere fin dall’età di diciotto anni a questa categoria, che come nel caso di tutti gli schemi non può ricomprendere né fotografare in modo esaustivo la natura molto complessa di queste nature. Giorgia ha studiato lingue e traduzione presso l’università degli studi di Bari e successivamente lingue e letterature straniere presso l’università degli studi di Foggia. Scrive dall’età di tredici anni poesie e racconti, molti dei quali pubblicati, ispirandosi ad autori quali Eugenio Montale, Sylvia Plath, Amelia Rosselli, Anne Sexton. Predilige una scrittura che definisce biografico-confessionale. Ha in progetto quattro sillogi, un romanzo distopico e un libro-silloge che cercherà di descrivere tutti i tipi di patologie mentali. Ama il disegno e la pittura. Ha studiato recitazione per anni, cimentandosi in varie forme di spettacolo. Pratica attualmente la "Slam Poetry", un nuovo tipo di poesia in voga in America che consiste nel recitare animosamente le proprie poesie, molto spesso di carattere psichico, in particolare sulla malattia mentale.
Giorgia Deidda è una poetessa, una ragazza di ventotto anni di bell’aspetto, colta e dai modi gentili ma che vive in un mondo tutto suo
Giorgia Deidda è una poetessa, una ragazza di ventotto anni di bell’aspetto, colta e dai modi gentili ma che vive in un mondo tutto suo
Chi è ‘davvero’ Giorgia? “Giorgia, che usando la terza persona sembra proprio sdoppiarsi, è la sintesi della mia ambivalenza e del mio osservarmi. E’ possibile definirla come uno specchio multiforme dove a volte uno spettro di sé rivela la bellezza del mero buio, mentre altre è la combinazione di colori più o meno intensi che le permettono di arrivare all’azione riconoscendo tanto i valori del cielo, quanto quelli del ‘terriccio’. Un coacervo di concretezza e spiritualità”. E’ meglio amare il proprio corpo o la propria anima? “Soffrendo di dismorfofobia, che è il terrore nei confronti dei difetti fisici, non ho stima di me stessa, del mio corpo, quindi il riflesso di me stessa diventa un mare burrascoso dentro il quale riesco solo con estrema difficoltà a barcamenarmi. Questa domanda è interessante perché mi provoca sensazioni dicotomiche. Spesso mi sento di dire che possiedo una bella anima, ma quella non ho bisogno di vederla crescere perché l’ho nutrita tanto personalmente e adesso è a casa sua, sola. L’ho lasciata andare. Il corpo invece ha bisogno di affetto e nutrimento, come un piccolo pargolo. Perciò propendo adesso per il corpo”. Come è abituata a guardare il mondo e cosa si aspetta dalla gente? “Il mondo per me è come un campo pieno di mine. Proprio questo mondo mi impone di misurarmi con tonnellate di pensieri simili a grandi massi. Trasformarli in funzionali o disfunzionali è una cosa che dipende solo da me. Tuttavia ho sempre guardato il mondo con neutralità, cercando di dargli un senso. La gente riflette quel mondo ed è il mondo stesso. Immagino la gente animata da una commistione di azoto e ossigeno, ma anche da un qualcosa di tossico quanto il cianuro. Mi preoccupano perciò il suo giudizio, le sue aspettative. Tutti questi elementi incombono su di me come grandi mostri fino a graffiare la pelle".
Giorgia Deidda
Giorgia Deidda
Quando è arrivata la prima diagnosi di personalità “border”? “Mi hanno diagnosticato il disturbo bipolare di tipo II al policlinico di Bari durante il primo ricovero. Anche a livello elettroencefalografico presentavo tutti i segni che confermavano con certezza questo tipo di malattia estremamente invalidante. Dopo sei anni si sono accorti che la mia personalità era prettamente di tipo ‘abbandonico’. Così a Foggia hanno riscontrato anche la presenza del disturbo borderline”. Il suo comportamento è contrassegnato da bipolarità o addirittura dall’accavallarsi di personalità multiple? “Non soffro di diagnosi da cluster C attinente alle personalità multiple. Appartengo piuttosto alla classe dei cluster B, ovvero relativo alle deformazioni della personalità. Di solito con il cambio di stagione divento o depressa o estremamente euforica. Ovviamente il tutto è controllato dai farmaci, perciò quando l’onda negativa diventa troppo instabile si riesce a mitigarla un pochino”.
La 28enne Giorgia Deidda
La 28enne Giorgia Deidda
In che modo convive con questa affezione? “Non ne sono di certo orgogliosa. Ma si sa, un po’ tutti gli artisti soffrono in qualche misura di questa lugubre incapacità di amarsi, fino a torturarsi e a non volersi sufficientemente bene. Basterebbe un abbraccio di mente e di cuore per sanare certe ferite e cicatrizzarle. Ma noi spesso ci sottraiamo per paura di diffondere l’infezione di questa nostra personale ferita, evitando di farne pullulare i germi. Trovo difficile far toccare e accarezzare i miei dolori attuali quando è evidente che sono destinati a durare per sempre”. E’ stata oggetto per questo di discriminazione? “Da alcune persone ignoranti, sì. Sono stata definita pazza. Questa accusa mi ha scosso e mi ha fatto sentire terribilmente diversa. Poi ho modificato dentro di me il concetto di pazzia tipico del sentire comune e ho cominciato ad apprezzare il piacere dell’essere diversi. Perché essere diversi è segno di grande coraggio”. Si odia o ha finito per amarsi anche passando attraverso l’esibizione di sue immagini un po’ provocatorie? Subisce molestie per questo sua esigenza di mettersi in mostra? “Mi piace pubblicare foto provocanti e ci tengo a precisare che lo faccio non per vanità, come molti credono, ma solo per insicurezza, per bisogno di approvazione. Forse penso che la nudità attiri l’uomo e capendo che è così gioco un po’ come il ratto di Skinner, sulla base del binomio gratificazione-punizione. Ho scoperto che faccio leva facilmente su reazioni prevedibili, ampiamente pavloviane. Naturalmente per il fatto di mettermi in mostra subisco continue molestie. Ciò non mi esime affatto dal farlo”.
Giorgia Deidda scrive da quando aveva 13 anni
Giorgia Deidda scrive da quando aveva 13 anni
In tante foto che lei posta sui social si nota una interessante metamorfosi di atteggiamento che coinvolge addirittura i tratti somatici. Sembra sempre diversa: ritiene che ci sia una spiegazione? “Semplicemente in molti casi sono foto vecchie postate dopo anni, ricordi in cui ero diversa. Inoltre mi piace cambiare spesso colore dei capelli. Adoro trasformarmi, come Zelda Zonk alias Marilyn Monroe. E uso Liz accanto al mio nome di battesimo. Un modo per non farsi riconoscere”. In che misura la scrittura e la poesia possono essere terapeutiche per una persona “problematica” come lei? “La catarsi è la risposta. Io scrivo per esigenza. Scrivo perché mi sento viva in un corpo morto. E quando i miei pensieri si trasmutano in parole io sono Giorgia che pensa e si integra nel ‘cogito ergo sum’: un concetto che afferro nella sua interezza, che sento vero, ed è proprio così. Quando penso esisto, come l’esperimento delle doppie fenditure quantistiche in cui finché non si osserva il moto ondulatorio, la particella non esiste e il corpuscolo resta fenomeno immaginario”.
Giorgia Deidda ha studiato recitazione per anni, cimentandosi in varie forme di spettacolo
Giorgia Deidda ha studiato recitazione per anni, cimentandosi in varie forme di spettacolo
Le capita di fare da supporto a ragazzi e ragazze con i suoi stessi problemi? “Continuamente. Ho frequentato un centro diurno e ho sempre fatto quasi da volontaria. Ho cercato di infondere coraggio e stima magari scrivendo un libro, usando l’antica arte della maieutica e organizzando laboratori di poesia. Ognuno ha dato il proprio contributo e proprio da questo sforzo collaborativo è nato un libro che potete trovare sul web dal titolo ‘Oltre la fermata: tra sogno e realtà’”. Cosa raccomanda loro? “Raccomando innanzitutto un vademecum. Consiglio l’uso di foglietti dove scrivere cosa fare, per organizzare al meglio la routine. Inoltre è necessario far comprendere che muoversi ha una funzione decisamente terapeutica. Muoversi fa percepire l’aria che ti accarezza il viso. Ci si può sentire vivi anche solo così, lasciandoci sfiorare da un mondo che soggiace all’altalena delle fasi lunari”. Giorgia, lei ha finito per accettarsi così com’è oppure si immagina, un giorno, diversa? “Io non mi accetto ancora. È un processo lungo, lento, acido. Dovrò fare molta terapia. Cesellarmi. Scolpirmi. Ma sono sicura che un giorno sarò diversa, forse realizzata, forse non più schiava di quel cordone ombelicale che mi lega a un letto”.
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