Il gossip è femminista? Come le chiacchiere tra donne sono state punite, svalutate e poi riscoperte

Perché il parlare tra donne è sempre stato un gesto profondamente sovversivo in molte società

di CLARA LATORRACA
5 maggio 2025
Gossip fra donne

Gossip fra donne

Essere pettegole, frivole, pensare solo al gossip: sono accuse che moltissime di noi si sono sentite rivolgere nel corso della propria vita, soprattutto riguardo alla nostra presenza in contesti di socializzazione quasi esclusivamente femminili. L’essere pettegole delle donne è una condanna proverbiale, che spesso ci porta a giustificare i nostri discorsi e sottolineare la loro serietà a volte in contrasto con “le altre”, che invece al gossip si lasciano andare volentieri. Eppure, c’è una lettura - storica ma anche filosofica - che restituisce al pettegolezzo una valenza tutta femminile di resistenza in una società patriarcale che invita le donne al silenzio. Sono molte le studiose femministe che invitano a riappropriarsi del pettegolezzo come una parte inestricabile dell’esperienza umana e femminile che può essere riappropriata e ricontestualizzata come un vera e propria pratica femminista. Perché si tratta di momenti che permettono di costruire reti sociali solide, ma anche di mettere in atto delle vere e prorie forme di resistenza. Katherine Batchelor, Kelli Rushek, Julia Beaumont spiegano in un paper intitolato “Spilling tea”: A critical feminist reclamation of gossip in literature and media, che il pettegolezzo “può essere un discorso generativo che crea legami nelle pratiche di conversazione, elaborazione, creazione di senso e di significato. Ma specificano anche che “può anche essere dannoso a seconda di come viene esercitato nelle strutture gerarchiche di potere”.  

Un breve storia della parola “gossip”: da amiche a pettegole

Silvia Federici, sociologa e filosofa, tra i più grandi nomi del femminismo italiano, ricostruisce in Caccia alle streghe, guerra alle donne l’origine del termine inglese “gossip”, che si scopre essere tutt’altro che profana: il termine, infatti, deriva dall’antico inglese godsibb ‘padrino o madrina’, composto di god ‘dio’ e sibb ‘affine, simile’. L'uso della parola si estende poi a “amico/amica”, ma rimane legato principalmente alla sfera femminile e alle donne invitate ad assistere e aiutare in casa durante il parto. E poi, con lo sviluppo della lingua, “gossip” inizia a identificare anche le conversazioni che si fanno con persone familiari o vicine, in virtù della relazione che si ha con loro. E non è un caso che questo “gossip” venga fatto, in epoca moderna, soprattutto dalle donne e all’interno delle case: il lavoro e le mansioni di cura della famiglia e degli spazi domestici era (e in larga parte è tuttora) delegato alle madri, figlie, sorelle che si aiutano a vicenda, condividendo conoscenze, opinioni, racconti. Federici sottolinea nel suo saggio il valore affettivo e di sostegno reciproco del “gossip” nell’Inghilterra del XV secolo e la su successiva trasformazione in concetto critico e negativo. In questo periodo, i drammi liturgici o mystery play - operette di carattere pedagogico - iniziano a deridere e denigrare i comportamenti delle donne impegnate in “futili chiacchiere” nelle taverne con le proprie “gossips”, ovvero le proprie amiche, piuttosto che in compagnia dei propri mariti. Ma lo scopo reale di queste rappresentazioni era tutt’altro che morale: la sociologa spiega come i finanziatori di queste play fossero le gilde delle arti e dei mestieri, che intendevano escludere le donne dalla possibilità di creare associazioni di carattere lavorativo e confinarle al lavoro e al ruolo domestico. La parola gossip, allora, assume il suo significato negativo proprio nel tentativo di impedire l’aggregazione femminile.  I discorsi e le voci delle donne vengono bollate come frivole e inutili, affinché perdano il loro potere. Perché la possibilità per le donne di aggregarsi e organizzarsi rappresentava un pericolo per lo status quo.  Questo cambio di significato così profondo ha portato con sé anche dei veri e propri strumenti per punire le “pettegole”: esisteva infatti una specie di museruola che veniva usata per punire le più chiacchierone chiamata proprio “gossip bridle”.  

Le pettegole contemporanee

Fino ad oggi, “pettegolezzo” è rimasto un concetto negativo, che designa discorso informali, leggeri, a volte dannosi per chi ne è oggetto - sempre e comunque un “discorso da donne”. “Sono le donne che “spettegolano” - spiega Silvia Federici su In These Times - presumibilmente non avendo niente di meglio da fare e avendo meno accesso a conoscenze e informazioni reali e un'incapacità strutturale di costruire discorsi razionali e basati sui fatti”. Il pettegolezzo è rimasto parte integrante della svalutazione della personalità e del lavoro delle donne, “in particolare del lavoro domestico, ritenuto il terreno ideale su cui questa pratica prospera”. Una costruzione di senso che invita le donne a tacere, a occupare poco spazio, a rimanere isolate le une dalle altre - tutto a vantaggio del sistema patriarcale che si fonda anche sul ruolo esclusivamente domestico e di cura delle donne. “In questo modo le donne sono state messe a tacere e ancora oggi escluse da molti luoghi in cui si prendono decisioni, private della possibilità di definire la propria esperienza e costrette a confrontarsi con i ritratti misogini o idealizzati degli uomini” continua la filosofa. Ma con questa consapevolezza, possiamo trovare il modo di riappropriarci delle nostre “chiacchiere”.  

Il pettegolezzo come pratica femminista

Se da un lato la concezione del gossip come attività frivola e dannosa fa gioco alle strutture patriarcali, il pettegolezzo può anche essere appropriato e trasformato in una pratica di condivisione e resistenza femminista. Nel saggio (Un)Idle Talk: The Personal and Political Power of Feminist Gossip, Kate Bradley propone una visione del gossip come spazio di costruzione di relazioni e fiducia, come “una pratica affettiva che può essere cruciale per le femministe per sopravvivere e prosperare nei sistemi patriarcali”.

In che senso “spettegolare” può minare il patriarcato? “Tutti hanno paura delle donne che si riuniscono e parlano”, spiega Bradley. Perché la socializzazione crea nuove forme di conoscenza ma anche di mettere a confronto esperienze diverse e coglierne i punti comuni, arrivando così alla consapevolezza che le esperienze femminili all’interno delle società odierne sono legate dal fil rouge dell’oppressione patriarcale. Non a caso, uno dei concetti fondanti del femminismo è che “il personale è politico”.

Bradley parte proprio dal suo vissuto per spiegate meglio questo concetto: “Queste sessioni di pettegolezzi possono portare alla luce esperienze condivise: ad esempio, il fatto che il lavoro emotivo delle donne è cruciale per l'università, ma non viene retribuito e non è supportato”. Ed è così che nello spazio intimo e affettivo del gossip si condividono lamentele che possono diventare rivendicazioni collettive: “Le conversazioni che iniziano nel regno del pettegolezzo possono trasformarsi in discussioni su politiche, retribuzioni e aspettative che minacciano in modo produttivo lo sfruttamento normalizzato del lavoro di cura nel mondo accademico”, spiega la ricercatrice.

Essere pettegole, insomma, può aiutarci a creare reti critiche, spazi di fiducia, cura e condivisione. Può essere utile nel creare consapevolezza su esperienze personali, ma condivise, perché legate alle discriminazioni di genere, e per evitare l’isolamento, soprattutto in spazi ad appannaggio prevalentemente maschile. Riappropriarsi del gossip significa riscoprire il potere dirompente della parola tra donne: uno spazio di fiducia, confronto e solidarietà che il patriarcato teme e ridicolizza. In un mondo che continua a delegittimare i racconti femminili, rivendicare il valore del “chiacchiericcio” è un atto politico: perché quando le donne parlano tra loro, costruiscono coscienza, comunità e resistenza.