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"Il primo Pride fu una rivolta e il lavoro non è ancora finito. Oltre la festa c'è la ferma rivendicazione dei nostri diritti"

di DOMENICO GUARINO -
27 giugno 2021
luce11

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Gaia Di Pierro, 31 anni tra poco, lucana di nascita e fiorentina d’adozione, appartiene alle nuove generazioni dell’universo Lgbtqia+ che sta rivoluzionando il modo stesso di intendere la sessualità, l’appartenenza, e le istanze di rivendicazione. “Di coming out ne ho fatti tanti nella mia vita, da quando a 14 anni ho “confessato” a mia madre su una spiaggia di essere innamorata di una ragazza (e uso il verbo “confessare” perché all’epoca nel mio contesto di riferimento era qualcosa da tenere segreto, da vivere con vergogna e timore)... A quando pochi anni fa, finalmente libera di mettere in discussione la mia identità di genere ho superato il concetto di binarismo maschile/femminile, per poi decostruire anche i modelli relazionali prevalentemente monogami che ci vengono proposti” racconta.

Gaia Di Pierro

Come ti definiresti allora? "Sono un’attivista: discuto, combatto, rivendico. Porto avanti le istanze del transfemminismo intersezionale, del contrasto alla violenza di genere e omobitransfobica, operando principalmente in contesti come il Gruppo Giovani Glbti* Firenze, che è stato il collettivo in cui ho iniziato 10 anni fa e sono presidente della neonata Associazione Anemone Lgbtqia+, che ha come obiettivo il supporto alle persone appartenenti alla comunità che si trovano in situazioni di violenza o discriminazioni".

Quanto sono diffusi questi episodi? "Queste situazioni sono sempre frequenti, da quelle più gravi che arrivano alla ribalta della cronaca a quelle microaggressioni quotidiane che le persone appartenenti alla comunità subiscono sistematicamente. Perchè accade, secondo te? "La nostra cultura dominante è intrisa di stereotipi e modelli rigidi spesso spersonalizzanti e oppressivi. Personalmente ho il privilegio di non aver mai subito atti palesi di violenza o discriminazione, ma se ci pensiamo, il solo fatto di dovermi guardare attentamente attorno prima di prendere per mano la mia compagna o la frequenza con cui, per la mia espressione di genere non conforme, in un bagno pubblico le persone mi fissano per vedere quale porta apro, o, ancora, la consapevolezza di dover percorrere sentieri tortuosi per avere dei figli... Sono questioni abbastanza rilevanti nel benessere di una persona. E questi sono solo alcuni dettagli della mia esperienza individuale". Esiste anche una violenza ‘istituzionale’? "Certo. Se io avessi il desiderio di intraprendere una transizione incapperei in una serie di ostacoli insormontabili, a volte vere e proprie violenze istituzionali. Lo stato in cui viviamo non ci tutela, quindi la nostra discriminazione è sistemica". Cosa pensi del Pride? Che significato ha per te, oggi? "Il primo pride è stato una rivolta, cerchiamo di tenerlo sempre ben presente. Una reazione di resistenza all’oppressione delle vite delle persone queer. Dobbiamo ricordarlo quando ci sentiamo dire che è una “carnevalata indecorosa” , quando scendiamo a compromessi con questa visione e ci mettiamo nella posizione di 'farci accettare',  mantenendo un profilo basso, reiterando quello stesso meccanismo che ci sovradetermina. In questo senso l’attivismo è cambiato e cambia costantemente e il modo in cui si concepisce il Pride è in qualche modo la manifestazione di questo processo: come tutto ciò che si muove ci sono divisioni, rallentamenti, accelerazioni, polarizzazioni". Il corso delle generazioni ha trasformato l’universo Lgbtqia+? Se sì, in che senso? "Ci sono differenze generazionali dovute per esempio alla maggiore possibilità di accesso alle informazioni (penso a me a 14 anni che su internet trovavo poco e niente sui temi lgbtqia+ e a chi è adolescente ora e ha consapevolezza e proprietà di linguaggio e capacità ragionamento che io all’epoca neanche sognavo); ci sono istanze diverse in base al vissuto di ognuno, in base alle energie disponibili nella lotta, ma una cosa credo sia chiara a chiunque faccia attivismo nella comunità Lgbtqia+: non abbiamo ancora finito, non abbiamo ottenuto i nostri diritti e anche se le cose stanno migliorando siamo capaci e dobbiamo pretendere uno sforzo in più. Il Pride è un momento di riflessione, di riconoscimento e celebrazione dei passi fatti ma anche di ferma rivendicazione dei passi ancora da fare".

Gaia Di Pierro durante un dibattito