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"Io e Alba, bimba con sindrome di Down siamo una famiglia. Ma com'è dura far capire che anche il single è un padre"

di GIANCARLO RICCI -
2 giugno 2021
LucaTrapanese

LucaTrapanese

Luca Trapanese è un uomo che quattro anni fa ha deciso di diventare padre. Dopo aver fatto regolare richiesta di affido al tribunale è stato chiamato perché il suo nome è quello uscito per primo in un caso particolare: c’è una bambina di soli tredici giorni, partorita e lasciata in ospedale dalla mamma, in sicurezza e come consente la legge, ma che nessuna delle famiglie tradizionali voleva accogliere perché ha la sindrome di down. Quando arriva quella telefonata Luca è in vacanza con una ventina di ragazzi, molti dei quali affetti proprio da trisomia 21. Il destino sembra proprio voler bussare alla sua porta, non ci pensa un secondo e si dice immediatamente disponibile, viene sottoposto ad un colloquio, e dopo una settimana viene dichiarato idoneo all’abbinamento, può recarsi in ospedale a prendere sua figlia. Da allora è il papà di Alba, una bellissima bambina felice e piena di vita. La sua bellissima storia ci ha subito convinto che Luca era perfetto per entrare a far parte del comitato scientifico di Luce! Cosa hai visto di interessante in questo progetto editoriale e perché hai deciso di darci il tuo appoggio? "Innanzitutto per il nome, che è la cosa che da subito mi ha appassionato al vostro progetto. Io credo che sia il momento giusto per dare luce ad una serie di verità che sono ancora nascoste. Io ho sempre basato la mia vita sulla verità e non mi sono mai vergognato di essere quello che sono. È importante non aver paura di quello che siamo. Far parte di un progetto come Luce! che vuole far emergere in maniera chiara una serie di verità e di diritti negati, mi rende orgoglioso. Dovevo esserci e ci sono! E ne sono felicissimo. Ho tante cose da dire, e grazie a Luce! avrò modo di farlo". La tua è una storia d’amore e solidarietà, cominciata molti anni fa nell’ambito del volontariato. Cosa significa per te prendersi cura degli altri? "Io credo di essere nato per prendermi cura degli altri. È iniziato da quando avevo 14 anni ed è ancora così ma io fondamentalmente non me ne rendo conto. Non sento il peso degli altri, sento solo la gioia di stare con loro. Io non mi accorgo di prendermi cura degli altri perché lo faccio con naturalezza e spontaneità e credo che faccia parte del mio karma, del mio modo di essere. Gli altri mi vedono come “uno che si prende cura degli altri” ma io mi sento Luca e basta". Alba è stata rifiutata da più coppie prima di incontrare te, dicevi che dietro a quei no c’è la paura della disabilità. Come sei riuscito ad andare oltre queste paure? "Conoscere Alba mi ha aiutato a non avere alcuna paura. Io non ho mai giudicato quelle coppie che avevano detto di no ad Alba perché c’è una grande ignoranza rispetto alla disabilità e in particolar modo rispetto alla sindrome di Down. C’è ancora tanta vergogna, i bambini down vengono visti come figli “difettati”, non ci sono molte istituzioni che progettano la vita di questi ragazzi dopo i loro genitori. Quelle coppie che hanno rifiutato Alba avevano bisogno di essere accompagnate in un percorso che poi li avrebbe aiutati a capire che una vita con Alba è una vita bellissima. Io con Alba sono felice e realizzato. È una bimba con una grande voglia di vivere, una grande gioia ed ha delle potenzialità enormi di essere felice per il resto della sua vita: dipenderà da me, dagli altri, da lei stessa ma non siamo handicappati nella nostra felicità". Quali sono secondo te attualmente le maggiori difficoltà che incontra chi ha una storia come la tua? "Io, ad essere sincero, non ho avuto grandi difficoltà perché nell’ipocrisia della nostra società io sono stato l’eroe che ha salvato la bambina handicappata che nessuno voleva. Ma allora tutti i genitori sono eroi, perché io sono un genitore come qualsiasi altro. La difficoltà più grande che sto incontrando è quella di far capire alla gente che siamo una famiglia come tutte le altre. Viviamo una quotidianità fatta di nonni, zii, preoccupazioni, ansie e gioie esattamente come qualsiasi altra famiglia. Alla base di ogni famiglia c’è l’amore e io amo mia figlia e lei si sente amata ed accolta. Un’altra cosa con cui mi trovo quotidianamente a combattere è convincere tutti che un uomo single possa essere un padre: Alba, quando è arrivata da me aveva 13 giorni: io l’ho allattata, cambiata, svezzata e cresciuta. Ho fatto tutto quello che fa qualsiasi genitore, pur essendo single. Credo sia ora di scardinare alcuni luoghi comuni. Io, nel mio piccolo, sto cercando di educare ad un nuovo modo di pensare la paternità, la genitorialità". Parliamo di Alba, che bambina è? "Alba è una bambina felice, molto intelligente e con una grande voglia di vivere. È una tipa tosta, tostissima. E’ molto bello vedere la fatica che fa per raggiungere i suoi obiettivi. E soprattutto non sente la mancanza di una madre perché l’amore che riceve da me è totalizzante; se ci sono io lei pretende che io mi dedichi completamente a lei. Riconosce in me il nucleo familiare, e non fa distinzione tra padre e madre. Ha un riferimento che sono io ed io sono la sua famiglia". Guardando al futuro, che mondo vorresti per Alba? "Io vorrei un mondo in cui sia ufficialmente riconosciuto che i figli non sono di proprietà dei genitori, ma della comunità. Alba, ad esempio, non è solo figlia mia ma è anche figlia della maestra di scuola, dell’insegnante di educazione fisica, dell’insegnante di danza. È figlia di qualsiasi persona incontrerà nella sua vita e le insegnerà ad essere innanzi tutto sé stessa e a riconoscersi. Questo concetto della proprietà sui propri figli dovrebbe sparire. Dovremmo vedere i nostri figli come un bene comune, dovremmo vivere in un mondo dove tutti si curano di tutto, compresi i figli degli altri. Una sorta di condivisione, di gioie e dolori. In generale vorrei per mia figlia un mondo dove Alba viene considerata come tale, e non come la bambina con la sindrome di down".