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“La mobilitazione per Patrick Zaki è stata eccezionale. Si dovrebbe parlare più di diritti umani”

di VIRGINIA PEDANI -
25 febbraio 2022
Zaki

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Gianluca Costantini e Laura Cappon, autori del graphic novel Patrick Zaki. Una storia egiziana

‘L’immaginazione non è uno Stato: è l’esistenza umana stessa’ scriveva William Blake. L'immaginazione che diventa realtà, capace di dare un senso alle cose, anche a quelle più brutte come la privazione della libertà in un carcere: Gianluca Costantini (conosciuto meglio sui social come @channeldraw) sa bene cosa vuol dire perché nei suoi fumetti racconta proprio di questo. Ravennate, classe 1971, Costantini insegna Arte del Fumetto all’Accademia di Belle Arti di Bologna e ha fatto dei diritti umani, da quasi venti anni, il soggetto principale della sua matita, attribuendogli sembianze, sofferenze e richieste reali. Nel nostro Paese è conosciuto dal grande pubblico per aver rappresentato Patrick Zaki sin dal primo giorno del suo arresto, avvenuto a Il Cairo il 7 febbraio di due anni fa. La vicenda dello studente dell’Università di Bologna è diventata un fumetto, un esempio compiuto di graphic novel journalism scritto a quattro mani con la giornalista di Rai3 Laura Cappon (Patrick Zaki. Una storia egiziana) e pubblicato da Feltrinelli Comics con il patrocinio di Amnesty International Italia. Come nasce il libro su Patrick Zaki?  “Ho iniziato ad occuparmi del caso di Patrick Zaki lo stesso giorno in cui è stato arrestato; un’ora dopo il fermo in aeroporto un attivista anonimo egiziano mi ha contattato chiedendomi di fare un disegno per questa causa. Non ci ho pensato due volte e così ho pubblicato istintivamente lo schizzo su Twitter, come faccio tutte le volte. Da lì, per un anno intero, ho continuato a disegnare Patrick (vedi l'iconico cartellone posizionato sotto le Due Torri di Bologna, ndr), mentre Laura aveva seguito il caso come giornalista e aveva già scritto vari articoli sulla situazione politica e giudiziaria dell’Egitto. Nel dicembre del 2020 mi ha chiesto di fare un libro insieme e abbiamo trovato immediatamente l’editore che ci avrebbe accompagnato in questo nuovo capitolo. Il libro non racconta solo la detenzione, racconta Patrick a 360°, partendo dall’infanzia fino all’arrivo all’Alma Mater di Bologna. Narra le udienze, i rinvii, gli avvocati, ma soprattutto racconta la straordinaria mobilitazione che c’è stata per lui, una cosa senza precedenti”. 

Un disegno di Gianluca Costantini è diventato l'icona della mobilitazione per la liberazione dello studente egiziano Patrick Zaki

In quanto a mobilitazione il caso di Zaki può essere paragonabile a quello di Giulio Regeni? “Il movimento di Giulio Regeni è stata la base di quello per Patrick Zaki. La gente era già preparata su cosa avveniva dentro le carceri egiziane ma, a differenza di Regeni, Patrick era vivo e quindi credo che si sia sviluppata ancora più empatia nei suoi confronti, quasi come un figlio, un amico ma soprattutto uno studente. A livello di mobilitazione popolare credo che si possa paragonare a quella per la Guerra in Iraq degli anni ‘90 che portò così tanta gente in piazza a manifestare per i diritti umani”.  Che ruolo ha ricoperto l’Università di Bologna nel simpatizzare verso la causa di Zaki?

Lo studente egiziano dell'università di Bologna è stato arrestato all'aeroporto del Cairo il 7 febbraio 2020 e rilasciato dopo 22 mesi di detenzione

“L’Università si è mossa immediatamente, sin dai primi giorni di detenzione, insieme ad Amnesty. Fa parte proprio della costituzione dell’ateneo proteggere i propri studenti, a prescindere dalla nazionalità e da dove si trovino. Tutto ciò che riguarda i suoi compagni di classe, la sua insegnante del Master, il rettore, il vice rettore, sono probabilmente la voce più forte che c’è nel libro; l’Università ritorna continuamente perché è la linea principale, benché non sia l’unica. Da lì si è attaccata tutta la cittadinanza: non ho altri esempi di istituzioni accademiche che si battono e aiutano così tanto un detenuto, ossia un loro studente, perché di solito vivono in una sorta di mondo parallelo alla società. Anche nel caso di Regeni l’Università di Cambridge è rimasta piuttosto da parte mentre quella di Bologna è stata un’eccezione e ancora non si capisce perché ci sia stato un così grandissimo movimento nei suoi confronti”. Quanto è presente l’aspetto della tortura nel libro e come si pongono oggi i media rispetto al tema?

Dal libro Patrick Zaki. Una storia egiziana

“È un aspetto rilevante: abbiamo raccontato con Laura le torture, la prigionia, il fatto che Patrick soffra d’asma e le cose più drammatiche della sua esperienza. Patrick ha visto da qualche giorno fa le pagine del libro e non ha detto niente, vuol dire che abbiamo raccontato bene, che non c’è da smentire. La tortura o comunque situazioni simili vengono raccontate molto poco dai giornali o dai media mainstream perché ovviamente sono cose molto pesanti, di cui si fa fatica a parlare e di cui forse non si sa neanche trovare le giuste parole. Non vengono, di conseguenza, condannate come dovrebbero. La tortura, ad esempio, si sa che c’è stata ma preferiamo di più concentrarci sulla cura della persona dopo, non su quello che gli è successo, e dovrà essere poi il singolo stesso, in caso, a venirne fuori psicologicamente da solo. Si potrebbe sicuramente parlarne di più, soprattutto con riguardo a quei tipi di carcere che sono ‘famosi’ per quel tipo di procedure”.   Lei è uno dei massimi esponenti italiani del cosiddetto graphic novel journalism. A che punto siamo? Crede che questo linguaggio possa rimpiazzare gli altri media? “Ci sono sempre più titoli che, all’interno della graphic novel, sono graphic journalism. Ma per parlare di fenomeno è ancora presto. Il movimento dell’editoria del fumetto è vasto ma di questi tipi di rappresentazioni che si avvicinano al giornalismo ce ne sono molti meno perché sono difficili da realizzare e perché o hai la competenza sia da giornalista che da fumettista, oppure devi trovare delle persone preparate, come ho fatto io con le giornaliste Mannocchi e Cappon, che ti portano i dati e le fonti giuste. Come disegnatore, comunque, devo attenermi a delle regole che si avvicinano molto all’etica e alla deontologia del giornalismo: l’attenzione per i dettagli, la credibilità e la veridicità di quello che disegno e il rispetto per il mondo che interpreto. Più che di fenomeno parlerei di genere che si sta aprendo poco alla volta. Il giornalismo a fumetti è un nuovo modo di raccontare la notizia, l’approccio di una persona quando lo legge è diverso da un reportage, un documentario o un articolo di giornale. Il disegno porta il lettore dentro la storia in una maniera più empatica: vedi Zaki che fa cose, che cresce, che sta insieme alla sua famiglia. Il fumetto ha un ritmo del tempo molto diverso dagli altri linguaggi: puoi essere lento, se vuoi, e dare importanza o meno al testo. È un’aggiunta agli altri modi di comunicare la realtà, non pretende di essere di più, è solo un altro modo per raccontare un fatto”. Insegni all’Accademia di Belle Arti di Bologna. Che rapporto ha la città con il fumetto?

Dal libro Patrick Zaki. Una storia egiziana

“Bologna è il centro del fumetto italiano. Molti disegnatori si trasferiscono appositamente qui per vivere in una comunità del disegno che è da sempre molto fiorente. Adesso l’Accademia delle Belle Arti ha un corso di laurea in fumetto, ci sono molte attività e il target è trasversale. Il libro a fumetti, comunque, si rivolge ad un pubblico sempre adulto, sopra i 20 anni, anche se adesso si stanno realizzando dei libri a fumetti anche per gli adolescenti, come accade già in Giappone". Sei sia attivista che disegnatore. Come riesci a scegliere le cause da portare avanti? “I disegni che realizzo online e pubblico poi sui vari social hanno una loro vita nell’immediato, è un lavoro che porto avanti tutti i giorni. Adesso su questo fronte sto lavorando molto sulla Bielorussia e sul Kazakistan, anche se qui non se ne parla. Poi, ogni tanto, qualcuna di queste storie diventa un approfondimento e alcune diventano importanti in fumetti molto lunghi, oppure più brevi, di due o tre pagine, che escono poi sui quotidiani, ad esempio su Domani. I due aspetti sono l’uno collegati all’altro”. A proposito di lavoro sui social, quale è quello che utilizzi di più? “Sicuramente Twitter perché riesce a penetrare di più nella realtà, anche se in Italia si utilizza poco, si preferisce Facebook. Con l’attività di Twitter ho tantissimi benefici in termini di relazioni, anche se entrando nella realtà ho anche molti ritorni negativi. Ad esempio ho avuto un processo in contumacia per terrorismo in Turchia, nel 2016, e adesso non posso più andarci; sono stato censurato negli Stati Uniti per i miei disegni sulla Palestina e licenziato dalla Cnn perché ero stato attaccato dalla destra americana di Steve Bannon come antisemita. La parte 'cattiva' della realtà mi dimostra che i disegni funzionano e colpiscono chi devono colpire. Per fortuna vivo ancora in un Paese dove non vieni attaccato, imprigionato o torturato per quello che fai nel web come accade nelle dittature”. In termini di fumetto Zerocalcare è diventato praticamente un cult soprattutto dopo la trasposizione in serie tv. Hai mai pensato di far cambiare linguaggio alla tua arte? “Non ci vedo niente di male nella trasposizione, non escluderei un cartone animato su Patrick Zaki. È sempre comunque arte ed è molto interessante. A breve la compagnia teatrale ErosAntEros di Ravenna realizzerà uno spettacolo teatrale tratto proprio dal mio libro Libia, scritto con Francesca Mannocchi. Vedremo cosa ne uscirà, sono curioso soprattutto di vedere come verrà recepito dal pubblico in sala”.

Il manifesto per la liberazione di Zaki

  Progetti futuri? “In contemporanea all’uscita del libro su Zaki ne sto finendo un altro importante sui diritti umani in Cina e in generale sulla cultura cinese, scritto insieme all’artista Ai Weiwei e adattato dall’autrice Elettra Stamboulis. E poi continuerò il mio lavoro online. I diritti umani non si fermano mai”.