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Home » Lifestyle » La modella Rawdah Mohamed lancia una crociata su Instagram: “Giù le mani dal mio hijab”. La protesta contro il divieto imposto in Francia

La modella Rawdah Mohamed lancia una crociata su Instagram: “Giù le mani dal mio hijab”. La protesta contro il divieto imposto in Francia

Rawdah Mohamed, con un post su Instagram diventato virale grazie all'hashtag #hansdsoffmyhijab, vuole "combattere gli stereotipi sulle donne musulmane"

Marianna Grazi
30 Aprile 2021
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Rawdah Mohamed dice basta. A chi vieta alle donne musulmane di indossare il loro capo più tradizionale, il velo. Basta a chi strumentalizza il loro corpo con politiche distanti dalla realtà che vivono. Basta agli stereotipi che condizionano l’esistenza delle ragazze islamiche. La modella somalo-norvegese ha pubblicato sui social un post, diventato virale, in cui critica la proposta di divieto dell’hijab alle minori di 18 anni in Francia. Grazie a un selfie su Instagram, con “hands off my hijab” (giù le mani dal mio hijab) scritto sulla mano, ha aperto una campagna che ha fatto tendenza anche su Twitter e TikTok.

Rawadah Mohamed ha lanciato la sua campagna sui social Instagram, Twitter e Tik Tok

La campagna contro il divieto e le migliaia di adesioni

Dalla schermitrice olimpica Ibtihaj Muhammad alla deputata statunitense Ilhan Omar, l’hashtag #Handsoffmyhijab, insieme alla sua controparte francese #PasToucheAMonHijab, è stato ripreso da migliaia di donne a livello internazionale. Tutte loro protestano contro la proposta del Parlamento francese. “Ho lanciato l’hashtag perché sentivo il bisogno di ‘umanizzare’  il movimento – ha detto Mohamed al quotidiano inglese Guardian – Le donne delle minoranze etniche sono sempre “chiaccherate”. Volevo riprendere il controllo delle nostre narrazioni e raccontare le nostre storie”. La modella ha aggiunto che la legislazione proposta “deriva dalla discriminazione e dagli stereotipi profondamente radicati contro le donne musulmane”.

La Francia è stato il primo Paese a vietare il niqab (il velo che copre il volto della donna e che, nella maggior parte dei casi, lascia scoperti gli occhi) negli spazi pubblici, nell’aprile 2011. Alcune città francesi, invece, hanno vietato il burkini, avviando un dibattito nazionale intorno al nazionalismo, all’identità e al femminismo. “Volevo che i miei oppressori vedessero la mia faccia e le donne che mi assomigliano – ha aggiunto Rawdah – Non possono nascondersi nei loro lussuosi uffici del Parlamento e regolare il corpo delle donne senza  combattere”.

La testimonianza della modella contro la retorica politica francese

Su Instagram, canale social sempre più scelto per lanciare campagne trasversali in tutto il mondo, la modella ha tuonato: “Il divieto dell’hijab è una retorica odiosa, che viene dal più alto livello del governo e passerà come un enorme fallimento dei valori religiosi e dell’uguaglianza“. E ha poi raccontato un episodio che le è capitato quando andava a scuola, quando le fu detto che non avrebbe dovuto indossare il velo per tutelarsi da fenomeni di bullismo. “Sedersi in una stanza piena di adulti che discutevano del mio corpo e di ciò che potevo e non potevo indossare da ragazza mi ha lasciato più cicatrici del bullismo stesso – ha spiegato -. Ho perso il conto delle molte volte che sono stata rifiutata per un lavoro a causa del mio hijab e non per la mia mancanza di abilità”.

Proprio parlando della sua esperienza nell’industria della moda, Rawdah Mohamed ribadisce al Guardian di essere stata scartata per molti lavori, perché i clienti temevano un contraccolpo politico o mediatico per aver presentato una donna in hijab nelle campagne pubblicitarie. “Devo costantemente combattere contro la rappresentazione imprecisa e le percezioni distorte che provengono dai piani alti della politica, ulteriormente perpetuata con il pubblico in generale e la moda”, ha concluso.

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Instagram

  • Numerosi attori e musicisti di alto profilo si sono recati in Ucraina da quando è scoppiata la guerra con la Russia nel febbraio 2022. L’ultimo in ordine di tempo è stato l’attore britannico Orlando Bloom, che ieri ha visitato un centro per bambini e ha incontrato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a Kiev.

“Non mi sarei mai aspettato che la guerra si sarebbe intensificata in tutto il Paese da quando sono stato lì”, ha detto Bloom su Instagram, “Ma oggi ho avuto la fortuna di ascoltare le risate dei bambini in un centro del programma Spilno sostenuto dall’Unicef, uno spazio sicuro, caldo e accogliente dove i bambini possono giocare, imparare e ricevere supporto psicosociale”.

Bloom è un ambasciatore di buona volontà per l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef). Il centro di Splino, che è uno dei tanti in Ucraina, offre sostegno ai bambini sfollati e alle loro famiglie, con più di mezzo milione di bambini che ne hanno visitato uno nell’ultimo anno.

La star hollywoodiana ha poi incontrato il presidente Zelensky, con cui ha trattato temi tra cui il ritorno dei bambini ucraini deportati in Russia, la creazione di rifugi antiatomici negli istituti scolastici e il supporto tecnico per l’apprendimento a distanza nelle aree in cui è impossibile studiare offline a causa della guerra. L’attore britannico aveva scritto ieri su Instagram, al suo arrivo a Kiev, che i «bambini in Ucraina hanno bisogno di riavere la loro infanzia».

#lucelanazione #lucenews #zelensky #orlandobloom
  • “La vita che stavo conducendo mi rendeva particolarmente infelice e se all’inizio ero entrata in terapia perché volevo accettare il fatto che mi dovessi nascondere, ho avuto poi un’evoluzione e questo percorso è diventato di accettazione di me stessa."

✨Un sorriso contagioso, la spensieratezza dei vent’anni e la bellezza di chi si piace e non può che riflettere quella luce anche al di fuori. La si potrebbe definire una Mulan nostrana Carlotta Bertotti, 23 anni, una ragazza torinese come tante, salvo che ha qualcosa di speciale. E non stiamo parlano del Nevo di Ota che occupa metà del suo volto. Ecco però spiegato un primo punto di contatto con Mulan: l’Oriente, dove è più diffusa (insieme all’Africa) quell’alterazione di natura benigna della pigmentazione della cute intorno alla zona degli occhi (spesso anche la sclera si presenta scura). Quella che appare come una chiazza grigio-bluastra su un lato del volto (rarissimi i casi bilaterali), colpisce prevalentemente persone di sesso femminile e le etnie asiatiche (1 su 200 persone in Giappone), può essere presente alla nascita o apparire durante la pubertà. E come la principessa Disney “fin da piccola ho sempre sentito la pressione di dover salvare tutto, ma forse in realtà dovevo solo salvare me stessa. Però non mi piace stare troppo alle regole, sono ribelle come lei”.

🗣Cosa diresti a una ragazza che ha una macchia come la tua e ti chiede come riuscire a conviverci?�
“Che sono profondamente fiera della persona che vedo riflessa allo specchio tutto i giorni e sono arrivata a questa fierezza dopo che ho scoperto e ho accettato tutti i miei lati, sia positivi che negativi. È molto autoreferenziale, quindi invece se dovessi dare un consiglio è quello che alla fine della fiera il giudizio altrui è momentaneo e tutto passa. L’unica persona che resta e con cui devi convivere tutta la vita sei tu, quindi le vere battaglie sono quelle con te stessa, quelle che vale la pena combattere”.

L’intervista a cura di Marianna Grazi �✍ 𝘓𝘪𝘯𝘬 𝘪𝘯 𝘣𝘪𝘰

#lucenews #lucelanazione #carlottabertotti #nevodiota
  • La salute mentale al centro del podcast di Alessia Lanza. Come si supera l’ansia sociale? Quanto è difficile fare coming out? Vado dallo psicologo? Come trovo la mia strada? La popolare influencer, una delle creator più note e amate del web con 1,4 milioni di followers su Instagram e 3,9 milioni su TikTok, Alessia Lanza debutta con “Mille Pare”, il suo primo podcast in cui affronta, in dieci puntate, una “para” diversa e cerca di esorcizzare le sue fragilità e, di riflesso, quelle dei suoi coetanei.

“Ho deciso di fare questo podcast per svariati motivi: io sono arrivata fin qui anche grazie alla mia immagine, ma questa volta vorrei che le persone mi ascoltassero e basta. Quando ho cominciato a raccontare le mie fragilità un sacco di persone mi hanno detto ‘Anche io ho quella para lì!’. Perciò dico parliamone, perché in un mondo in cui sembra che dobbiamo farcela da soli, io credo nel potere della condivisione”.

#lucenews #lucelanazione #millepare #alessialanza #podcast
  • Si è laureata in Antropologia, Religioni e Civiltà Orientali indossando un abito tradizionale Crow, tribù della sua famiglia adottiva in Montana. Eppure Raffaella Milandri è italianissima e ha conseguito il titolo nella storica università Alma Mater di Bologna, lo scorso 17 marzo. 

La scrittrice e giornalista nel 2010 è diventata membro adottivo della famiglia di nativi americani Black Eagle. Da quel momento quella che era una semplice passione per i popoli indigeni si è focalizzata sullo studio degli aborigeni Usa e sulla divulgazione della loro cultura.

Un titolo di studio specifico, quello conseguito dalla Milandri, “Che ho ritenuto oltremodo necessario per coronare la mia attività di studiosa e attivista per i diritti dei Nativi Americani e per i Popoli Indigeni. La prima forma pacifica di attivismo è divulgare la cultura nativa”. L’abito indossato durante cerimonia di laurea appartiene alla tribù della sua famiglia adottiva. Usanza che è stata istituzionalizzata solo dal 2017 in Montana, Stato d’origine del suo popolo, quando è stata approvata una legge (la SB 319) che permette ai nativi e loro familiari di laurearsi con il “tribal regalia“. 

In virtù di questa norma, il Segretario della Crow Nation, Levi Black Eagle, a maggio 2022 ha ricordato la possibilità di indossare l’abito tradizionale Crow in queste occasioni e così Milandri ha chiesto alla famiglia d’adozione se anche lei, in quanto membro acquisito della tribù, avrebbe potuto indossarlo in occasione della sua discussione.

La scrittrice, ricordando il momento della laurea a Bologna, racconta che è stata “Una grandissima emozione e un onore poter rappresentare la Crow Nation e la mia famiglia adottiva. Ho dedicato la mia laurea in primis alle vittime dei collegi indiani, istituti scolastici, perlopiù a gestione cattolica, di stampo assimilazionista. Le stesse vittime per le quali Papa Francesco, lo scorso luglio, si è recato in Canada in viaggio penitenziale a chiedere scusa  Ho molto approfondito questo tema controverso e presto sarà pubblicato un mio studio sull’argomento dalla Mauna Kea Edizioni”.

#lucenews #raffaellamilandri #antropologia
Rawdah Mohamed dice basta. A chi vieta alle donne musulmane di indossare il loro capo più tradizionale, il velo. Basta a chi strumentalizza il loro corpo con politiche distanti dalla realtà che vivono. Basta agli stereotipi che condizionano l'esistenza delle ragazze islamiche. La modella somalo-norvegese ha pubblicato sui social un post, diventato virale, in cui critica la proposta di divieto dell'hijab alle minori di 18 anni in Francia. Grazie a un selfie su Instagram, con "hands off my hijab" (giù le mani dal mio hijab) scritto sulla mano, ha aperto una campagna che ha fatto tendenza anche su Twitter e TikTok.
Rawadah Mohamed ha lanciato la sua campagna sui social Instagram, Twitter e Tik Tok

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La testimonianza della modella contro la retorica politica francese

Su Instagram, canale social sempre più scelto per lanciare campagne trasversali in tutto il mondo, la modella ha tuonato: "Il divieto dell'hijab è una retorica odiosa, che viene dal più alto livello del governo e passerà come un enorme fallimento dei valori religiosi e dell'uguaglianza". E ha poi raccontato un episodio che le è capitato quando andava a scuola, quando le fu detto che non avrebbe dovuto indossare il velo per tutelarsi da fenomeni di bullismo. "Sedersi in una stanza piena di adulti che discutevano del mio corpo e di ciò che potevo e non potevo indossare da ragazza mi ha lasciato più cicatrici del bullismo stesso - ha spiegato -. Ho perso il conto delle molte volte che sono stata rifiutata per un lavoro a causa del mio hijab e non per la mia mancanza di abilità". Proprio parlando della sua esperienza nell'industria della moda, Rawdah Mohamed ribadisce al Guardian di essere stata scartata per molti lavori, perché i clienti temevano un contraccolpo politico o mediatico per aver presentato una donna in hijab nelle campagne pubblicitarie. "Devo costantemente combattere contro la rappresentazione imprecisa e le percezioni distorte che provengono dai piani alti della politica, ulteriormente perpetuata con il pubblico in generale e la moda", ha concluso.
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