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Home » Lifestyle » “La nostra azienda è fondata sul talento e per esprimerlo offriamo ai lavoratori una sede in cui trovano ogni servizio e un manager che si occupa solo di loro”

“La nostra azienda è fondata sul talento e per esprimerlo offriamo ai lavoratori una sede in cui trovano ogni servizio e un manager che si occupa solo di loro”

Simona Maggini è responsabile per l'Italia di Wpp, colosso del settore pubblicitario: "Il profitto non è più l'unico obiettivo: contano rispetto per l'ambiente e valorizzazione del capitale umano". "Monitoriamo le differenze salariali fra generi puntando a eliminarle". "Gli spot? Inclusivi, ma senza l'esagerazione di voler rappresentare tutti"

23 Giugno 2021
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Inclusione e diversità sono al centro delle politiche aziendali di Wpp, creative transformation company, nonché uno dei principali gruppi di marketing e comunicazione a livello mondiale, con oltre 100 mila dipendenti distribuiti in più di 110 paesi. In Italia ha sede a Roma e a breve aprirà un nuovo campus a Milano negli stabili post-industriali dell’area ex Richard Ginori. “Un’open space multifunzionale, senza barriere architettoniche – spiega Simona Maggini country manager di Wpp Italia – perché la creatività non ne ha bisogno, è necessario favorire lo scambio e la convivenza”. Maggini  iniziò nel 2003 in Young & Rubicam (diventata poi VMLY&R) che fa parte del gruppo e, dopo una serie di esperienze all’estero, viene promossa a ceo di VMLY&R. Da quasi un anno ricopre inoltre il ruolo di capo per l’Italia.

A cosa è dovuto il nuovo approccio focalizzato su inclusione e diversità?

“Wpp affronta il mercato globale e non poteva far altrimenti. Con il protocollo sottoscritto a New York da colossi internazionali è stato ufficialmente sancito che il profitto non è più l’unico obiettivo per le aziende, ma ci sono altri valori a cui ispirarsi come il rispetto per il pianeta e la valorizzazione del capitale umano. Per Wpp, a livello globale, temi come inclusione e diversità non si limitano solo al genere, ma comprendono anche religione, etnia, cultura. Esiste poi un binario locale quello di Wpp Italia che sta affrontando le DE&I cercando una rilevanza rispetto al contesto specifico in cui opera”.

In che modo avete valorizzato la presenza femminile?

“Il gender gap è da anni sul tavolo del gruppo ed è stato declinato nelle varie realtà locali. A livello globale è molto forte l’impegno per garantire la corretta rappresentanza femminile nelle strutture decisionali, Inoltre il salary gap  viene annualmente monitorato ed è  in via di riduzione progressiva. In Italia abbiamo dato vita a Winspire, un programma articolato e capillare con coaching, mentoring e training, rivolte in primis al pubblico femminile di tutte le nostre agenzie e condotte spesso in partnership con Google e Facebook. Tutto questo viene messo a disposizione durante gli orari di lavoro e a titolo totalmente gratuito. Vogliamo supportare le donne nel percorso di self-confidence e di self-awareness (ossia consapevolezza)  professionale. Ad oggi Winspire offre occasioni di crescita a tutto lo staff”.

E l’inclusione di persone disabili nel vostro staff?”

“La stiamo affrontando nel Wpp Diversity & Inclusion Board che si concluderà a novembre: il primo task (compito) è lavorare sul linguaggio (aspetto importante visto che facciamo comunicazione), ma abbiamo intenzione anche di concepire un piano dedicato alle diverse abilità”.

Come si trasforma un luogo di lavoro in occasione di creazione di valore umano?

“Abbiamo un grande macro-obiettivo per i prossimi anni incentrato su ‘people first’: la nostra azienda , più di altre, è fondata sul talento, produce idee e le idee nascono dalle persone, non dalle macchine. Il nuovo campus di Milano, e che accoglierà oltre 2000 persone, è stato pensato per essere la concreta rappresentazione di questo pensiero. Si tratta di uno spazio multifunzionale aperto in cui non esistono separazioni per funzioni o per ruoli. E’ stato definito ‘grattacielo sdraiato’, per dare un’idea della dimensione. Vi sono previste zone chill-out, un sistema di isolamento acustico per garantire minore affaticamento durante l’orario di lavoro, zone ristoro con cucine self-service, bar, un grande ristorante con rotazione di cibi, per rispettare tutte le esigenze, una farmacia dinamica, una tintoria, un supermercato, uno sportello bancomat. Abbiamo pensato anche a un centro medico e a una libreria. Sarà un luogo volto a favorire lo scambio e la convivenza”.

Si è parlato anche di un Chief People Officer. Cosa significa?

“E’ una novità assoluta per Wpp Italia. Una figura che si occuperà di risorse umane non solo in senso amministrativo. È un ruolo complesso che avrà varie sfaccettature, dalla compensation, ai training, ai reward (recupero, addestrtamento, remunerazione) e alla formazione. Le persone devono sapere che ci occuperemo di loro con attenzione e professionalità”.

In passato in alcuni spot pubblicitari sono stati fatti errori che non hanno tenuto conto di temi come diversità e inclusione. Come si riesce a correggere il tiro in questi casi?

“Premettendo che ci sono livelli di gravità e di intenzionalità diversi. Uno scivolone fatto con noncuranza e modalità offensive rischia di essere non recuperabile. Quindi se da una parte stare attenti non fa mai male, dall’altra non bisogna nemmeno andare oltre. Non si può finire nell’esagerazione del ‘bisogna rappresentare tutti’. Così come si deve evitare l’esclusione volontaria e offensiva. Anche se, a dire la verità, nelle campagne pubblicitarie casi di questo tipo non ne ho mai visti onestamente negli ultimi anni. È più probabile che qualche inciampo si verifichi sui social o nel mondo dell’influencer marketing, dove la spontaneità e istantaneità tipiche di questi canali rendono a volte difficile controllarne tutti gli aspetti”.

L.C.

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#lucenews #lucelanazione #bebevio #inclusivity #libera #protesi #tornosubito
  • Maura Nardi, 41 anni a novembre, ed Emanuele Loati, 25, oltre ad essere innamorati, sono due giovani transgender che, dopo una vera e propria odissea, hanno completato insieme la transizione per il cambio di sesso. E ora, nuovi documenti alla mano, coroneranno finalmente il loro sogno d’amore con le nozze.

“Con l’identità di genere non si può scendere a patti: puoi lottarci per un po’, ma alla fine devi accettare quello che sei perché in ballo c’è la tua vita”.

Emanuele e Maura si sono conosciuti 3 anni fa, proprio durante il difficile e lungo percorso che li avrebbe portati alla loro nuova identità. Da quel primo incontro, proprio come in una favola con la freccia di Cupido scoccata che non lascia scampo, i due non si sono più lasciati.

Uniti, supportandosi a vicenda senza mai smettere di amarsi, hanno affrontato tutte le difficoltà che si sono presentate e non sono state poche: prima la sofferenza emotiva (ma anche fisica) per la transizione, aggravata poi dalla burocrazia dello Stato. E dopo tante peripezie la luce è apparsa in fondo al tunnel: l’ufficio anagrafe del comune di Recanati, in provincia di Macerata, ha provveduto a rettificare i loro documenti di identità. Era l’ultimo step da superare prima del via libera al matrimonio. Ora non resta che organizzare.

Se quella di Nardi e Loati è una vicenda già particolarmente travagliata, anche se a lieto fine, per Maura le cose sono state, se possibile, ancora più difficili. Ha iniziato la transizione nel 2016 e quando ha completato il percorso, è stata la prima persona non vedente italiana a riuscirci. Da quando ha 19 anni soffre di una forma di cecità a causa dello sviluppo di una rara malattia alla retina, nel suo caso “è stato più semplice convivere con la cecità che con l’incongruenza di genere”.

E aggiunge: “Nonostante il supporto non è stata una passeggiata: ho avuto diversi momenti di sconforto e paura, altri in cui mi sono sentita in colpa per aver trascinato la mia famiglia in questo cammino così complesso. Oggi so che rifarei tutto. La ciliegina sulla torta è stata l’arrivo del mio compagno. Ora finalmente siamo pronti a sposarci e possiamo pensare a una cosa bella”.

#lucenews #recanati #nozze
  • Quello che molti temevano è purtroppo accaduto: per scoprire le interruzioni di gravidanza negli Usa le autorità stanno facendo ricorso anche ai dati personali contenuti nelle app di messaggistica e sui social. 

A destare scalpore è un caso in Nebraska, dove Celeste Burgess, 18 anni, e sua madre Jessica, 41, sono finite in tribunale per un presunto aborto illegale, con molteplici capi d’imputazione. La polizia ha presentato come prove i messaggi su Facebook che le due donne si sarebbero scambiate e a cui, con l’autorizzazione dei gestori della piattaforma – in questo caso Meta –, ha avuto accesso. Le chat private, secondo le autorità, mostrano le prove di un aborto farmacologico illegale, autogestito alla 28esima settimana di gestazione (settimo mese), e di un piano per nascondere "i resti”.

Dopo che la polizia ha ottenuto il materiale dai due mandati di perquisizione, Jessica è stata accusata di altri due reati, induzione all’aborto illegale e pratica dell’aborto come persona diversa da un medico autorizzato, per i quali si è nuovamente dichiarata non colpevole. Attualmente il Nebraska proibisce gli aborti dopo le 20 settimane, una legge in vigore da prima dell’annullamento della sentenza Roe v. Wade.

Il problema di fondo che emerge da questa e da tante altre vicende in materia di diritti ha un duplice aspetto: da una parte c’è l’obbligo di una società di fornire i dati alle forze dell’ordine che ne fanno richiesta per le indagini e dall’altra la possibilità di disporre di questi dati. 

Mai come oggi grandi aziende private possono disporre di informazioni personali relative ai propri utenti, e se queste sono utili per fermare chi commette crimini è un conto, ma se le leggi vengono modificate ciò che può essere giudicato come crimine cambia. Il caso di Celeste Burgess è solo un esempio, ma conferma anche che negare il diritto all’aborto non eradica il fenomeno, ma lo trasporta in una dimensione di illegalità e pericolo per la salute della donna.

#lucenews #lucelanazione #aborto #nebraska #abortion #usa
  • La scelta coraggiosa del calciatore croato Robert Peric-Komsic non poteva non fare il giro del mondo in un baleno. Nel fiore dell’età, e con tutta la vita davanti, a soli 23 anni ha deciso di lasciare il mondo del pallone. La sua non è stata una scelta forzata, è stata intimamente voluta, e se ha detto addio alla sua carriera è stato solo per una scelta d’amore. Dimostrando che la vita della propria madre viene prima di qualunque cosa. Prima della passione per il pallone, prima del successo, prima di ogni carriera.

“Non c’erano altre opzioni, io era l’unica possibilità, l’ultima. Ho avuto ben chiara qual era la mia missione: salvarla.”

L’attaccante del Cibalia Vinkovci non ci ha pensato due volte quando si è trattato di scegliere tra il suo futuro nel mondo calcistico e la salute della sua mamma malata. Per tanto, troppo tempo l’aveva vista lottare contro una malattia al fegato. Ora non c’era più tempo da perdere: si trattava di trovare un donatore compatibile, e al più presto. Lo stomaco della donna si stava oramai riempiendo di acqua, e questo voleva dire che le rimaneva poco tempo, secondo i medici che l’avevano in cura. Questione di qualche giorno appena. Il calciatore della seconda divisione croata era l’unico compatibile. A quel punto Peric-Komsic si è tolto la tuta, ha riposto maglietta e calzoncini da calciatore nella sua valigia e ha preso l’aereo, salendo sul primo volo con destinazione Istanbul. Lì ha trovato sua mamma Ljiljiana che l’aspettava per abbracciarlo, in fin di vita.

“Dopo aver lottato duramente per 13 anni, il vero eroe è lei. Io ho solo fatto quello che chiunque al posto mio avrebbe fatto."

Sono passati quattro mesi e più dall’intervento. Il trapianto è andato benee la signora Ljiljiana è migliorata molto da allora. Giorno dopo giorno ce l’ha messa tutta, e con una straordinaria forza di volontà, animata dall’amore di suo figlio, si sta piano piano riprendendo. E a chi si complimenta per aver fatto qualcosa di straordinario, con l’umiltà dei grandi risponde: “È stata mia madre a darmi la vita. Io l’ho solo estesa a lei”.

#lucenews #lucelanazione #donazionefegato #RobertPericKomsic #donarelavitaperamore

Inclusione e diversità sono al centro delle politiche aziendali di Wpp, creative transformation company, nonché uno dei principali gruppi di marketing e comunicazione a livello mondiale, con oltre 100 mila dipendenti distribuiti in più di 110 paesi. In Italia ha sede a Roma e a breve aprirà un nuovo campus a Milano negli stabili post-industriali dell’area ex Richard Ginori. "Un’open space multifunzionale, senza barriere architettoniche – spiega Simona Maggini country manager di Wpp Italia - perché la creatività non ne ha bisogno, è necessario favorire lo scambio e la convivenza". Maggini  iniziò nel 2003 in Young & Rubicam (diventata poi VMLY&R) che fa parte del gruppo e, dopo una serie di esperienze all’estero, viene promossa a ceo di VMLY&R. Da quasi un anno ricopre inoltre il ruolo di capo per l'Italia.

A cosa è dovuto il nuovo approccio focalizzato su inclusione e diversità?

"Wpp affronta il mercato globale e non poteva far altrimenti. Con il protocollo sottoscritto a New York da colossi internazionali è stato ufficialmente sancito che il profitto non è più l’unico obiettivo per le aziende, ma ci sono altri valori a cui ispirarsi come il rispetto per il pianeta e la valorizzazione del capitale umano. Per Wpp, a livello globale, temi come inclusione e diversità non si limitano solo al genere, ma comprendono anche religione, etnia, cultura. Esiste poi un binario locale quello di Wpp Italia che sta affrontando le DE&I cercando una rilevanza rispetto al contesto specifico in cui opera".

In che modo avete valorizzato la presenza femminile?

"Il gender gap è da anni sul tavolo del gruppo ed è stato declinato nelle varie realtà locali. A livello globale è molto forte l’impegno per garantire la corretta rappresentanza femminile nelle strutture decisionali, Inoltre il salary gap  viene annualmente monitorato ed è  in via di riduzione progressiva. In Italia abbiamo dato vita a Winspire, un programma articolato e capillare con coaching, mentoring e training, rivolte in primis al pubblico femminile di tutte le nostre agenzie e condotte spesso in partnership con Google e Facebook. Tutto questo viene messo a disposizione durante gli orari di lavoro e a titolo totalmente gratuito. Vogliamo supportare le donne nel percorso di self-confidence e di self-awareness (ossia consapevolezza)  professionale. Ad oggi Winspire offre occasioni di crescita a tutto lo staff".

E l’inclusione di persone disabili nel vostro staff?"

"La stiamo affrontando nel Wpp Diversity & Inclusion Board che si concluderà a novembre: il primo task (compito) è lavorare sul linguaggio (aspetto importante visto che facciamo comunicazione), ma abbiamo intenzione anche di concepire un piano dedicato alle diverse abilità".

Come si trasforma un luogo di lavoro in occasione di creazione di valore umano?

"Abbiamo un grande macro-obiettivo per i prossimi anni incentrato su 'people first': la nostra azienda , più di altre, è fondata sul talento, produce idee e le idee nascono dalle persone, non dalle macchine. Il nuovo campus di Milano, e che accoglierà oltre 2000 persone, è stato pensato per essere la concreta rappresentazione di questo pensiero. Si tratta di uno spazio multifunzionale aperto in cui non esistono separazioni per funzioni o per ruoli. E' stato definito 'grattacielo sdraiato', per dare un’idea della dimensione. Vi sono previste zone chill-out, un sistema di isolamento acustico per garantire minore affaticamento durante l’orario di lavoro, zone ristoro con cucine self-service, bar, un grande ristorante con rotazione di cibi, per rispettare tutte le esigenze, una farmacia dinamica, una tintoria, un supermercato, uno sportello bancomat. Abbiamo pensato anche a un centro medico e a una libreria. Sarà un luogo volto a favorire lo scambio e la convivenza".

Si è parlato anche di un Chief People Officer. Cosa significa?

"E' una novità assoluta per Wpp Italia. Una figura che si occuperà di risorse umane non solo in senso amministrativo. È un ruolo complesso che avrà varie sfaccettature, dalla compensation, ai training, ai reward (recupero, addestrtamento, remunerazione) e alla formazione. Le persone devono sapere che ci occuperemo di loro con attenzione e professionalità".

In passato in alcuni spot pubblicitari sono stati fatti errori che non hanno tenuto conto di temi come diversità e inclusione. Come si riesce a correggere il tiro in questi casi?

"Premettendo che ci sono livelli di gravità e di intenzionalità diversi. Uno scivolone fatto con noncuranza e modalità offensive rischia di essere non recuperabile. Quindi se da una parte stare attenti non fa mai male, dall’altra non bisogna nemmeno andare oltre. Non si può finire nell’esagerazione del ‘bisogna rappresentare tutti’. Così come si deve evitare l’esclusione volontaria e offensiva. Anche se, a dire la verità, nelle campagne pubblicitarie casi di questo tipo non ne ho mai visti onestamente negli ultimi anni. È più probabile che qualche inciampo si verifichi sui social o nel mondo dell’influencer marketing, dove la spontaneità e istantaneità tipiche di questi canali rendono a volte difficile controllarne tutti gli aspetti".

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