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Home » Lifestyle » Sostenibilità, fra attivismo e consulenza. Martina Rogato svela: “Grazie a W20 posso far ‘parlare’ genere e ambiente assieme”

Sostenibilità, fra attivismo e consulenza. Martina Rogato svela: “Grazie a W20 posso far ‘parlare’ genere e ambiente assieme”

Trentasei anni, consulente aziendale per i temi della Corporate Social Responsibility, docente e ora anche portavoce di Women 20. "È stato grazie ai momenti di buio assoluto che ho trovato la luce, la quadra della mia vita. E che ho realizzato i miei sogni".

Marianna Grazi
25 Maggio 2021
Share on FacebookShare on Twitter

Sherpa dell’engagement group Women 20 del G20. Di questa frase pochi capirebbero il vero significato: in parole povere è la “guida” e portavoce del gruppo di interesse che si occupa di parità di genere e women empowerment del G20, il foro internazionale che riunisce le principali economie del mondo che quest’anno si tiene in Itala. Martina Rogato è di origine calabrese, ma da diversi anni gira tra varie città in Italia e all’estero. Ha solo 36 anni e nella vita si occupa di sostenibilità. Una passione che è nata durante gli studi in Relazioni Internazionali alla Luiss di Roma, quando ha conosciuto l’organizzazione no profit Amnesty International, di cui è stata tanti anni attivista. È stata Amnesty, infatti, a portare in Italia il tema dell’impatto delle imprese sui diritti civili e umani delle persone. Su questa tematica Rogato ha scritto la tesi nel 2009 e poi pian piano ha costruito anche il suo percorso di carriera su questo ambito.

Martina Rogato

Martina è tutto questo e anche di più. Si è da sempre distinta per il suo impegno a sostegno della parità di genere, ha co-fondato con un’amica un’associazione per sostenere nella crescita professionale e umana le giovani donne. È Sustainability advisor, da oltre 10 anni accompagna le aziende in progetti di Corporate Social Responsibility. È anche docente, insegna sostenibilità e rendicontazione all’università Lumsa e sostenibilità legata al mondo della moda e del lusso alla 24 Business school.

 

Martina sappiamo che hai una grande passione per il no profit e sei stata a lungo attivista. Ci racconti questo aspetto della sua vita?

“L’incontro con Amnesty per fare la tesi universitaria mi ha un po’ cambiato la vita. Io sarei voluta entrare in organizzazioni no profit come lavoro ufficiale, però non è così facile in Italia, ci sono pochissimi posti, la competizione è altissima e fai anche poca carriera, non c’è una vera valorizzazione del talento. Grazie ad Amnesty ho scoperto che ci sono molte persone che mettono le loro competenze a servizio di una causa sociale o ambientale: da quando li ho incontrati non ho mai smesso di fare la volontaria, di fare attivismo. Amnesty mi ha dato la possibilità di studiare in Italia una materia di cui prima non si parlava minimamente e, devo dire, poi mi ha dato anche tanta esposizione”.

E dopo Amnesty?

“Nel 2012 decido, con una cara amica, di costruire noi una organizzazione no profit giovanile e tiriamo su ‘Young Women Network'”.

Di che si tratta?

“L’idea era quella di creare la prima rete di giovani donne per le giovani donne. Cioè un’organizzazione no profit che desse la possibilità a una ragazza che ha tra i 25 e i 35 anni di fare networking professionale, di fare formazione sulle soft skill (quindi parlare in pubblico, confidenza di sé ecc.). Sembra una banalità ma nel nostro Paese non ci sono percorsi gratuiti per questa popolazione. In genere questi corsi ci sono ma costano tante migliaia di euro; in più in azienda, quando si investe sulle competenze soft delle risorse, lo si fa per i manager. L’idea nasce proprio dall’esigenza primaria di sensibilizzare le ragazze sulla questione del divario di genere e prepararle nel miglior modo possibile a fare carriera nel mondo del lavoro. ‘Young Women Network’ nasce dal basso, oggi conta più di 450 associate, è un’organizzazione no profit riconosciuta e fa 3 cose principali: networking fra pari, percorsi di coaching e mentor sulle abilità soft e mentoring. Abbiamo creato, da diversi anni, un ‘inspiring mentor’, è un programma che mette in relazione one-to-one due generazioni diverse: donne e uomini, i mentori, che seguono in relazione paritaria una ragazza.
Io sono co-fondatrice, sono stata presidentessa fino a novembre e poi ho lasciato il testimone a Francesca Dellisanti. Le colleghe però hanno voluto nominarmi presidentessa onoraria dell’associazione, mi rimane questo grande attaccamento a Young Women a cui devo molto”.

E invece ci parli del tuo ruolo nell’engagement group dedicato alla parità di genere del G20?

“Ho lasciato l’associazione perché ho accettato di assumere il ruolo di Sherpa e portavoce di Women 20. Si tratta di uno degli otto engagement group (che sono gruppi di interesse) ufficiali del G20. Ogni gruppo ha un topic specifico, verticale, di cui si occupa: il nostro è l’unico che rappresenta il tema della parità di genere e del women empowerment. Noi siamo 98 delegate nei 20 Stati partecipanti, persone riconosciute nel loro Paese come particolarmente esperte di questioni di genere. Rappresentiamo la società civile nei Paesi del G20 e il nostro compito è quello di fare raccomandazioni al vertice affinché considerino la parità di genere nelle loro decisioni. Dopo l’Arabia Saudita quest’anno il vertice si terrà in Italia, a Roma, a fine ottobre, alla presenza di tutti i 20 Capi di Stato”.

Quando nasce Women 20 e cosa fa in concreto?

“Il gruppo è stato costituito nel 2015, in occasione della presidenza turca del G20. Ora stiamo creando queste raccomandazioni, insieme a 20 delegazioni da tutto il mondo, che presenteremo in occasione di un grande evento che si terrà il 13-14-15 luglio a Roma. Saranno presenti il premier Draghi e altre importanti personalità istituzionali e del mondo dello spettacolo, che discuteranno insieme a noi su temi salienti rispetto alla parità di genere. L’ultimo giorno consegneremo il communiqué (documento con le raccomandazioni) al presidente del Consiglio chiedendogli di farsene carico al G20”.

Quali saranno le proposte e le raccomandazioni?

“Il G20 non si esprime solo nel meeting che si terrà il 30 e 31 ottobre, ma è già un anno che vari ministri, varie personalità istituzionali, si riuniscono per definire quale sarà la linea di dibattito. Il G20 è basato su tre temi principali: people, planet, prosperity. Guarda caso la sostenibilità. Il W20, invece, ha tenuto conto da un lato dell’eredità di questi 5 anni dalla nascita e dei temi attuali, dall’altro del posizionamento tematico dei vertici. Per il 2021 ha scelto di focalizzarsi su 5 temi prioritari e verticali e su 2 tematiche cross-settoriali. I temi prioritari sono: donne e lavoro, digitale, imprenditoria e accesso alla finanza, violenza contro le donne e bambine (prima volta che è definito prioritario da W20) e infine sostenibilità ambientale. È la prima volta che si cerca una liaison tra il genere e la dimensione ambientale. Questo era il mio gol personale, riuscire finalmente a far parlare genere e ambiente assieme”.

Cosa significa legare la sostenibilità ambientale alla questione di genere?

“Nell’immaginario dell’opinione pubblica si pensa sempre all’ambiente, all’emissione di Co2. Manca la dimensione sociale, che anche nelle aziende è ridotta alla filantropia. Invece nella sostenibilità, oltre all’ambiente e a tutte le importantissime tematiche, c’è anche questa dimensione sociale, che parla di diritti delle persone nel lavoro ma anche di non discriminazione. E quindi questioni di genere. Siamo riusciti a collegare questi due argomenti in un unico topic e io sono orgogliosa, entusiasta. Era il mio obiettivo per il 2021”.

E le due tematiche cross settoriali invece, su cosa si incentrano?

“Sono il cambiamento culturale e stereotipi la prima, e l’altra la medicina e salute di genere. Siamo circa 100 persone che scrivono questo communiqué, divise in sottogruppi tematici e poi sui temi portanti abbiamo creato delle commissioni speciali. Per guidarle abbiamo scelto le professoresse Fabiana Giacomotti (cambiamento culturale) e Flavia Franconi (equity in healt)”.

Un gruppo di lavoro di Women 20. Novantotto delegate da 20 Paesi discutono dei temi della parità di genere e del women empowerment

Cosa significa essere Sherpa di W20?

“Io e la professoressa Linda Laura Sabbadini (Chair di Women 20) siamo le portavoce del movimento. Lei è il vero volto pubblico del Women 20, io ho una funzione diversa, nel senso che coordino la delegazione internazionale. Sherpa è un termine rubato dal mondo della diplomazia, che a sua volta l’ha rubato dal mondo turistico. In Himalaya ci sono queste guide che accompagnano i turisti nella visita dalle pendici al vertice: il mio compito è un po’ quello, accompagnare la delegazione di Women 20 rispetto al G20. Quindi ci siamo noi due rappresentanti internazionali e poi 100 delegate divise tra venti nazioni. Ogni delegazione ha la sua head of delegation che la rappresenta.

 

Parità di genere e sostenibilità sono al centro del tuo lavoro in W20, ma anche del dibattito pubblico. È importante che se ne parli?

“È fondamentale per due motivi diversi. Sulla parità di genere c’è un grandissimo equivoco: le donne sono considerate una categoria minoritaria e svantaggiata. In realtà noi siamo la metà esatta del mondo, forse anche qualcosa in più. È surreale essere trattate come se fossimo minoranza numerica: non lo siamo e abbiamo diritto a essere equamente rappresentate in tutte le posizioni apicali dei vari settori. E come tali dovremmo essere valorizzate. La pandemia ha accentuato lo status quo della disparità di genere in termini occupazionali. È necessario un cambiamento culturale che ha bisogno di svilupparsi e affermarsi e consolidarsi. E deve partire già dalle scuole, per creare un approccio diverso. Trovo assurdo che, anche che quando si parla in televisione soprattutto, di casi di stupro e violenza di genere, si passa immediatamente al victim blaming. Non se ne può più”.

E per quanto riguarda l’ambiente?

“Finalmente è entrata nel dibattito pubblico. Ora anche qui c’è qualche malinteso da chiarire. Fino a qualche anno fa si pensava che la sostenibilità fosse una moda passeggera. Molti però l’hanno concepita come un hype, cercando di ‘salire sulla barca prima che salpasse’. Ma spesso senza avere le competenze. Si sente parlare di sostenibilità ambientale e però si dimentica la parte sociale, che rappresenta i diritti dei lavoratori. È assurdo che ci siano ancora oggi morti bianche. Parliamo delle condizioni di lavoro sicure, di un salario dignitoso e equo, di aziende che dovrebbero essere consapevoli che, se producono una maglietta, devono sapere da dove arriva quel cotone e se per coltivarlo non si siano causati impatti negativi sull’ambiente e al contempo si siano rispettati standard nei diritti delle persone. Poi, se ci pensiamo, nessun danno ambientale avviene senza avere anche un danno di tipo sociale. Banalmente, se io inquino vado a arrecare un danno anche al diritto alla salute. E c’è un grande bias nel non capire che la sostenibilità richiede un approccio olistico”.

Ci racconti un sogno che avevi da piccola e si è realizzato e un sogno nel cassetto?

“Allora il sogno per il futuro non te lo posso dire, poi se lo realizzo tra un anno, un anno e mezzo te lo dico -scherza-. I sogni realizzati, in realtà, sono tanti. Uno in particolare è stato quello di fare un Ted Talk, due anni fa a Catania. Quando me lo hanno proposto pensavo si fossero sbagliati, invece era vero, sono stata molto contenta. Poi io ho sempre voluto fare advocacy, che significa fare pressione sulle istituzioni per far avanzare un diritto o una causa sociale. Quando ero all’università pensavo di poterlo fare all’interno di una grande organizzazione, ma in Italia non è così facile. Era quello che mi aveva avvicinato ad Amnesty International. Alla fine, però, è quello che sto facendo con Women 20. Posto che è un incarico pro bono per tutti, che sono la seconda più giovane all’interno del gruppo, il mio sogno di poter ‘stressare’ le istituzioni per chiedere un impegno maggiore rispetto a un diritto umano o una causa sociale alla fine si è avverato”.

Cosa rappresenta, per te, la parola Luce?

“È un tema a me molto caro. Intanto la luce è possibile vederla soltanto perché c’è il suo corrispettivo, il buio. Diciamo che è nei miei momenti di crisi personale e professionale, nei momenti di buio massimo, che ho trovato la quadra della mia vita, quindi la luce. Per quanto noi possiamo programmare e controllare la nostra vita ci sono sempre imprevisti dietro l’angolo che ci rimescolano le carte in gioco e quel buio è fondamentale per vedere la luce. Poi la luce è vita, è tutto. Un messaggio che mi sento di condividere, per tutti, in questo periodo, è che anche sotto un cielo nuvoloso il sole c’è, semplicemente non si vede. Diciamo che io ho fatto di questo atteggiamento uno stile di vita”.

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  • Nino Gennaro cresce in un paese complesso, difficile, famigerato per essere stato il regno del boss Liggio, impegnandosi attivamente in politica; nel 1975 è infatti responsabile dell’organizzazione della prima Festa della Donna, figura tra gli animatori del circolo Placido Rizzotto, presto chiuso e, sempre più emarginato dalla collettività, si trova poi coinvolto direttamente nel caso di una sua amica, percossa dal padre perché lo frequentava e che sporse denuncia contro il genitore, fatto che ebbe grande risonanza sui media. Con lei si trasferì poi a Palermo e qui comincia la sua attività pubblica come scrittore; si tratta di una creatività onnivora, che si confronta in diretta con la cronaca, lasciando però spazio alla definizione di mitologie del corpo e del desiderio, in una dimensione che vuole comunque sempre essere civile, di testimonianza.

Nel 1980 a Palermo si avviano le attività del suo gruppo teatrale “Teatro Madre”, che sceglie una dimensione urbana, andando in scena nei luoghi più diversi e spesso con attori non professionisti (i testi si intitolano “Bocca viziosa”, “La faccia è erotica”, “Il tardo mafioso Impero”), all’inseguimento di un cortocircuito scena/vita. Già il logo della compagnia colpisce l’attenzione: un cuore trafitto da una svastica, che vuole alludere alla pesantezza dei legami familiari, delle tradizioni vissute come gabbia. Le sue attività si inscrivono, quindi, in uno dei periodi più complessi della storia della città siciliana, quando una sequenza di delitti efferati ne sconvolge la quotidianità e Gennaro non è mai venuto meno al suo impegno, fondando nel 1986 il Comitato Cittadino di Informazione e Partecipazione e legandosi al gruppo che gestiva il centro sociale San Saverio, dedicandosi quindi a numerosi progetti sociali fino alla morte per Aids nel 1995.

La sua drammaturgia si alimenta di una poetica del frammento, del remix, con brani che spesso vengono montati in modo diverso rispetto alla loro prima stesura.

Luca Scarlini ✍

#lucenews #lucelanazione #ninogennaro #queer
  • -6 a Sanremo 2023!

Questo Festival ha però un sapore dolceamaro per l
  • Era il 1° febbraio 1945, quando la lotta per la conquista di questo diritto, partita tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, sulla scorta dei movimenti degli altri Paesi europei, raggiunse il suo obiettivo. Con un decreto legislativo, il Consiglio dei Ministri presieduto da Ivanoe Bonomi riconobbe il voto alle donne, su proposta di Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi. 

Durante la prima guerra mondiale le donne avevano sostituito al lavoro gli uomini che erano al fronte. La consapevolezza di aver assunto un ruolo ancora più centrale all’interno società oltre che della famiglia, crebbe e con essa la volontà di rivendicare i propri diritti. Già nel 1922 un deputato socialista, Emanuele Modigliani aveva presentato una proposta di legge per il diritto di voto femminile, che però non arrivò a essere discussa, per la Marcia su Roma. Mussolini ammise le donne al voto amministrativo nel 1924, ma per pura propaganda, poiché in seguito all’emanazione delle cosiddette “leggi fascistissime” tra il 1925 ed il 1926, le elezioni comunali vennero, di fatto, soppresse. Bisognerà aspettare la fine della guerra perché l’Italia affronti concretamente la questione.

Costituito il governo di liberazione nazionale, le donne si attivarono per entrare a far parte del corpo elettorale: la prima richiesta dell’ottobre 1944, venne avanzata dalla Commissione per il voto alle donne dell’Unione Donne Italiane (Udi), che si mobilitò per ottenere anche il diritto di eleggibilità (sancito da un successivo decreto datato 10 marzo 1946). Si arrivò così, dopo anni di battaglie per il suffragio universale, al primo febbraio 1945, data storica per l’Italia. Il decreto prevedeva la compilazione di liste elettorali femminili distinte da quelle maschili, ed escludeva però dal diritto le prostitute schedate che esercitavano “il meretricio fuori dei locali autorizzati”.

Le elezioni dell’esordio furono le amministrative tra marzo e aprile del 1946 e l’affluenza femminile superò l’89%. 

#lucenews #lucelanazione #dirittodivoto #womenrights #1febbraio1945
  • La regina del pulito Marie Kondo ha dichiarato di aver “un po’ rinunciato” a riordinare casa dopo la nascita del suo terzo figlio. La 38enne giapponese, considerata una "Dea dell’ordine", con i suoi best seller sull’economia domestica negli ultimi anni ha incitato e sostenuto gli sforzi dei comuni mortali di rimettere in sesto case e armadi all’insegna del cosa “provoca dentro una scintilla di gioia”. Ma l’esperta di decluttering, famosa in tutto il mondo, ha ammesso che con tre figli da accudire, la sua casa è oggi “disordinata”, ma ora il riordino non è più una priorità. 

Da quando è diventata madre di tre bambini, ha dichiarato che il suo stile di vita è cambiato e che la sua attenzione si è spostata dall’organizzazione alla ricerca di modi semplici per rendere felici le abitudini di tutti i giorni: "Fino a oggi sono stata una organizzatrice di professione e ho dunque fatto il mio meglio per tenere in ordine la mia casa tutto il tempo”, e anche se adesso “ci ho rinunciato, il modo in cui trascorro il mio tempo è quello giusto per me in questo momento, in questa fase della mia vita”.

✍ Marianna Grazi 

#lucenews #lucelanazione #mariekondo

Sherpa dell'engagement group Women 20 del G20. Di questa frase pochi capirebbero il vero significato: in parole povere è la "guida" e portavoce del gruppo di interesse che si occupa di parità di genere e women empowerment del G20, il foro internazionale che riunisce le principali economie del mondo che quest'anno si tiene in Itala. Martina Rogato è di origine calabrese, ma da diversi anni gira tra varie città in Italia e all'estero. Ha solo 36 anni e nella vita si occupa di sostenibilità. Una passione che è nata durante gli studi in Relazioni Internazionali alla Luiss di Roma, quando ha conosciuto l'organizzazione no profit Amnesty International, di cui è stata tanti anni attivista. È stata Amnesty, infatti, a portare in Italia il tema dell'impatto delle imprese sui diritti civili e umani delle persone. Su questa tematica Rogato ha scritto la tesi nel 2009 e poi pian piano ha costruito anche il suo percorso di carriera su questo ambito.

Martina Rogato

Martina è tutto questo e anche di più. Si è da sempre distinta per il suo impegno a sostegno della parità di genere, ha co-fondato con un'amica un'associazione per sostenere nella crescita professionale e umana le giovani donne. È Sustainability advisor, da oltre 10 anni accompagna le aziende in progetti di Corporate Social Responsibility. È anche docente, insegna sostenibilità e rendicontazione all'università Lumsa e sostenibilità legata al mondo della moda e del lusso alla 24 Business school.

 

Martina sappiamo che hai una grande passione per il no profit e sei stata a lungo attivista. Ci racconti questo aspetto della sua vita?

"L'incontro con Amnesty per fare la tesi universitaria mi ha un po' cambiato la vita. Io sarei voluta entrare in organizzazioni no profit come lavoro ufficiale, però non è così facile in Italia, ci sono pochissimi posti, la competizione è altissima e fai anche poca carriera, non c’è una vera valorizzazione del talento. Grazie ad Amnesty ho scoperto che ci sono molte persone che mettono le loro competenze a servizio di una causa sociale o ambientale: da quando li ho incontrati non ho mai smesso di fare la volontaria, di fare attivismo. Amnesty mi ha dato la possibilità di studiare in Italia una materia di cui prima non si parlava minimamente e, devo dire, poi mi ha dato anche tanta esposizione".

E dopo Amnesty?

"Nel 2012 decido, con una cara amica, di costruire noi una organizzazione no profit giovanile e tiriamo su 'Young Women Network'".

Di che si tratta?

"L'idea era quella di creare la prima rete di giovani donne per le giovani donne. Cioè un'organizzazione no profit che desse la possibilità a una ragazza che ha tra i 25 e i 35 anni di fare networking professionale, di fare formazione sulle soft skill (quindi parlare in pubblico, confidenza di sé ecc.). Sembra una banalità ma nel nostro Paese non ci sono percorsi gratuiti per questa popolazione. In genere questi corsi ci sono ma costano tante migliaia di euro; in più in azienda, quando si investe sulle competenze soft delle risorse, lo si fa per i manager. L'idea nasce proprio dall'esigenza primaria di sensibilizzare le ragazze sulla questione del divario di genere e prepararle nel miglior modo possibile a fare carriera nel mondo del lavoro. 'Young Women Network' nasce dal basso, oggi conta più di 450 associate, è un’organizzazione no profit riconosciuta e fa 3 cose principali: networking fra pari, percorsi di coaching e mentor sulle abilità soft e mentoring. Abbiamo creato, da diversi anni, un 'inspiring mentor', è un programma che mette in relazione one-to-one due generazioni diverse: donne e uomini, i mentori, che seguono in relazione paritaria una ragazza. Io sono co-fondatrice, sono stata presidentessa fino a novembre e poi ho lasciato il testimone a Francesca Dellisanti. Le colleghe però hanno voluto nominarmi presidentessa onoraria dell’associazione, mi rimane questo grande attaccamento a Young Women a cui devo molto".

E invece ci parli del tuo ruolo nell’engagement group dedicato alla parità di genere del G20?

"Ho lasciato l’associazione perché ho accettato di assumere il ruolo di Sherpa e portavoce di Women 20. Si tratta di uno degli otto engagement group (che sono gruppi di interesse) ufficiali del G20. Ogni gruppo ha un topic specifico, verticale, di cui si occupa: il nostro è l’unico che rappresenta il tema della parità di genere e del women empowerment. Noi siamo 98 delegate nei 20 Stati partecipanti, persone riconosciute nel loro Paese come particolarmente esperte di questioni di genere. Rappresentiamo la società civile nei Paesi del G20 e il nostro compito è quello di fare raccomandazioni al vertice affinché considerino la parità di genere nelle loro decisioni. Dopo l’Arabia Saudita quest’anno il vertice si terrà in Italia, a Roma, a fine ottobre, alla presenza di tutti i 20 Capi di Stato".

Quando nasce Women 20 e cosa fa in concreto?

"Il gruppo è stato costituito nel 2015, in occasione della presidenza turca del G20. Ora stiamo creando queste raccomandazioni, insieme a 20 delegazioni da tutto il mondo, che presenteremo in occasione di un grande evento che si terrà il 13-14-15 luglio a Roma. Saranno presenti il premier Draghi e altre importanti personalità istituzionali e del mondo dello spettacolo, che discuteranno insieme a noi su temi salienti rispetto alla parità di genere. L’ultimo giorno consegneremo il communiqué (documento con le raccomandazioni) al presidente del Consiglio chiedendogli di farsene carico al G20".

Quali saranno le proposte e le raccomandazioni?

"Il G20 non si esprime solo nel meeting che si terrà il 30 e 31 ottobre, ma è già un anno che vari ministri, varie personalità istituzionali, si riuniscono per definire quale sarà la linea di dibattito. Il G20 è basato su tre temi principali: people, planet, prosperity. Guarda caso la sostenibilità. Il W20, invece, ha tenuto conto da un lato dell'eredità di questi 5 anni dalla nascita e dei temi attuali, dall'altro del posizionamento tematico dei vertici. Per il 2021 ha scelto di focalizzarsi su 5 temi prioritari e verticali e su 2 tematiche cross-settoriali. I temi prioritari sono: donne e lavoro, digitale, imprenditoria e accesso alla finanza, violenza contro le donne e bambine (prima volta che è definito prioritario da W20) e infine sostenibilità ambientale. È la prima volta che si cerca una liaison tra il genere e la dimensione ambientale. Questo era il mio gol personale, riuscire finalmente a far parlare genere e ambiente assieme".

Cosa significa legare la sostenibilità ambientale alla questione di genere?

"Nell'immaginario dell'opinione pubblica si pensa sempre all'ambiente, all'emissione di Co2. Manca la dimensione sociale, che anche nelle aziende è ridotta alla filantropia. Invece nella sostenibilità, oltre all’ambiente e a tutte le importantissime tematiche, c'è anche questa dimensione sociale, che parla di diritti delle persone nel lavoro ma anche di non discriminazione. E quindi questioni di genere. Siamo riusciti a collegare questi due argomenti in un unico topic e io sono orgogliosa, entusiasta. Era il mio obiettivo per il 2021".

E le due tematiche cross settoriali invece, su cosa si incentrano?

"Sono il cambiamento culturale e stereotipi la prima, e l’altra la medicina e salute di genere. Siamo circa 100 persone che scrivono questo communiqué, divise in sottogruppi tematici e poi sui temi portanti abbiamo creato delle commissioni speciali. Per guidarle abbiamo scelto le professoresse Fabiana Giacomotti (cambiamento culturale) e Flavia Franconi (equity in healt)".

Un gruppo di lavoro di Women 20. Novantotto delegate da 20 Paesi discutono dei temi della parità di genere e del women empowerment

Cosa significa essere Sherpa di W20?

"Io e la professoressa Linda Laura Sabbadini (Chair di Women 20) siamo le portavoce del movimento. Lei è il vero volto pubblico del Women 20, io ho una funzione diversa, nel senso che coordino la delegazione internazionale. Sherpa è un termine rubato dal mondo della diplomazia, che a sua volta l’ha rubato dal mondo turistico. In Himalaya ci sono queste guide che accompagnano i turisti nella visita dalle pendici al vertice: il mio compito è un po' quello, accompagnare la delegazione di Women 20 rispetto al G20. Quindi ci siamo noi due rappresentanti internazionali e poi 100 delegate divise tra venti nazioni. Ogni delegazione ha la sua head of delegation che la rappresenta.

 

Parità di genere e sostenibilità sono al centro del tuo lavoro in W20, ma anche del dibattito pubblico. È importante che se ne parli?

"È fondamentale per due motivi diversi. Sulla parità di genere c'è un grandissimo equivoco: le donne sono considerate una categoria minoritaria e svantaggiata. In realtà noi siamo la metà esatta del mondo, forse anche qualcosa in più. È surreale essere trattate come se fossimo minoranza numerica: non lo siamo e abbiamo diritto a essere equamente rappresentate in tutte le posizioni apicali dei vari settori. E come tali dovremmo essere valorizzate. La pandemia ha accentuato lo status quo della disparità di genere in termini occupazionali. È necessario un cambiamento culturale che ha bisogno di svilupparsi e affermarsi e consolidarsi. E deve partire già dalle scuole, per creare un approccio diverso. Trovo assurdo che, anche che quando si parla in televisione soprattutto, di casi di stupro e violenza di genere, si passa immediatamente al victim blaming. Non se ne può più".

E per quanto riguarda l'ambiente?

"Finalmente è entrata nel dibattito pubblico. Ora anche qui c’è qualche malinteso da chiarire. Fino a qualche anno fa si pensava che la sostenibilità fosse una moda passeggera. Molti però l’hanno concepita come un hype, cercando di 'salire sulla barca prima che salpasse'. Ma spesso senza avere le competenze. Si sente parlare di sostenibilità ambientale e però si dimentica la parte sociale, che rappresenta i diritti dei lavoratori. È assurdo che ci siano ancora oggi morti bianche. Parliamo delle condizioni di lavoro sicure, di un salario dignitoso e equo, di aziende che dovrebbero essere consapevoli che, se producono una maglietta, devono sapere da dove arriva quel cotone e se per coltivarlo non si siano causati impatti negativi sull’ambiente e al contempo si siano rispettati standard nei diritti delle persone. Poi, se ci pensiamo, nessun danno ambientale avviene senza avere anche un danno di tipo sociale. Banalmente, se io inquino vado a arrecare un danno anche al diritto alla salute. E c'è un grande bias nel non capire che la sostenibilità richiede un approccio olistico".

Ci racconti un sogno che avevi da piccola e si è realizzato e un sogno nel cassetto?

"Allora il sogno per il futuro non te lo posso dire, poi se lo realizzo tra un anno, un anno e mezzo te lo dico -scherza-. I sogni realizzati, in realtà, sono tanti. Uno in particolare è stato quello di fare un Ted Talk, due anni fa a Catania. Quando me lo hanno proposto pensavo si fossero sbagliati, invece era vero, sono stata molto contenta. Poi io ho sempre voluto fare advocacy, che significa fare pressione sulle istituzioni per far avanzare un diritto o una causa sociale. Quando ero all’università pensavo di poterlo fare all’interno di una grande organizzazione, ma in Italia non è così facile. Era quello che mi aveva avvicinato ad Amnesty International. Alla fine, però, è quello che sto facendo con Women 20. Posto che è un incarico pro bono per tutti, che sono la seconda più giovane all'interno del gruppo, il mio sogno di poter 'stressare' le istituzioni per chiedere un impegno maggiore rispetto a un diritto umano o una causa sociale alla fine si è avverato".

Cosa rappresenta, per te, la parola Luce?

"È un tema a me molto caro. Intanto la luce è possibile vederla soltanto perché c’è il suo corrispettivo, il buio. Diciamo che è nei miei momenti di crisi personale e professionale, nei momenti di buio massimo, che ho trovato la quadra della mia vita, quindi la luce. Per quanto noi possiamo programmare e controllare la nostra vita ci sono sempre imprevisti dietro l’angolo che ci rimescolano le carte in gioco e quel buio è fondamentale per vedere la luce. Poi la luce è vita, è tutto. Un messaggio che mi sento di condividere, per tutti, in questo periodo, è che anche sotto un cielo nuvoloso il sole c’è, semplicemente non si vede. Diciamo che io ho fatto di questo atteggiamento uno stile di vita".

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