Lea Codognato è una donna brillante e colta, una donna speciale che ha senza dubbio precorso i tempi. Fiorentina di nascita, si è laureata in Storia dell’arte contemporanea e ha precocemente pensato se stessa in un ruolo che potesse essere un pungolo al contesto sociale in cui vive, con gli occhi ben aperti su orizzonti planetari. Grande viaggiatrice e sempre attratta da nuovi stimoli culturali, che l’hanno spinta a dar vita con Rory Cappelli, Emanuela Mollica e Adriana Luperto alla “Crumb Gallery” nel capoluogo fiorentino, Lea ha iniziato la sua carriera giovanissima ricoprendo la funzione di capo ufficio stampa del Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato, per fondare ben presto, assieme ad Alba Donati, la “Davis & Franceschini“. Fu uno dei primi uffici stampa italiani in assoluto, volto a occuparsi dei più disparati settori di arte, letteratura e spettacolo. Fotografa intelligente e molto attenta alle problematiche sociali, ha esposto nel 2019 con Rory Cappelli quaranta scatti nella mostra “Donne in Farsi“, incentrata sui ‘misteri’ di un Paese estremamente misogino come l’Iran.
Da alcuni anni l’agenzia di Lea Codognato è diventata “Davis & Co.” , vedendo come nuova partner Caterina Briganti, con la quale si è venuto a creare un solido rapporto di intesa e piena condivisione degli obiettivi. Si va dall’ideazione e organizzazione di eventi fino agli ambiti legati a fotografia, letteratura e spettacolo, con sconfinamenti nel campo del turismo e dell’enogastronomia. Una storia aziendale tutta al femminile, dunque, fatta di coraggio, spirito di intraprendenza e costruita su solide basi culturali. E sorretta da tanta passione da spendere quotidianamente senza risparmio di energie. Lea e Caterina: due donne allegre, ironiche, curiose che fanno del loro lavoro una ragione evolutiva per se stesse e per il mondo che le circonda. Perché ad ispirarle nella professione che hanno scelto sono quei rari valori etici che riescono a trasformare una attività qualsiasi in un esempio nobile per un mondo migliore.
Lea, la sua è un’attività imprenditoriale nata sin dall’inizio totalmente al femminile…
“Esatto, proprio al femminile! Mi sono quasi sempre trovata a lavorare con donne, non saprei dire perché, ma così è stato. Le donne sono generalmente più pragmatiche, così i problemi si affrontano e si risolvono nel modo migliore. Ho fondato la nostra agenzia nel 1995, con Alba Donati. Allora non esistevano molti uffici stampa esterni a istituzioni che si occupassero di cultura a 360 gradi – arte, letteratura, festival, spettacoli – come quella struttura che abbiamo voluto e realizzato. Oggi, la società si è trasformata in Davis & Co. e la mia compagna di avventure lavorative è Caterina Briganti. C’è grande solidarietà e comprensione tra di noi. Cate ha il grande pregio di trovare il lato comico delle situazioni, caratteristica non da poco. Anche il mio ultimo progetto, la piccola galleria Crumb Gallery di Firenze, è tutta al femminile perché nata nel 2019 dalla sinergia di quattro donne: io, Rory Cappelli, Emanuela Mollica e Adriana Luperto. Un’iniziativa dedicata esclusivamente ad artiste. Inoltre devo esprimere tutta la mia gratitudine a due donne speciali da cui ho imparato molto professionalmente e non solo: Ida Panicelli, che mi ha scelta come responsabile dell’ufficio stampa del Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci durante la sua direzione, e Roberta Betti, presidente del Politeama Pratese con la quale ho collaborato per circa vent’ anni. Una vera fuori classe”.
Quali difficoltà ha incontrato la sua agenzia proprio per il fatto di essere costituita da donne?
“Purtroppo, il mondo con cui ti vieni a scontrare è per lo più maschile, o almeno lo era quando abbiamo iniziato. A questo riguardo mi piace raccontare un episodio buffo eppure significativo. Quando la nostra società si chiamava Davis & Franceschini, capitava spesso di essere contattate telefonicamente da persone che chiedevano del signor Davis o del signor Franceschini. A quanto pare i titolari di un’azienda dovevano essere per forza maschi!
Ovviamente le difficoltà soprattutto all’inizio ci sono state, però giocava a nostro vantaggio il fatto di essere all’epoca più giovani e più incoscienti. Ci buttavamo di più senza troppe preoccupazioni perché ci credevamo. Anche oggi continuiamo a credere nel nostro progetto, forse a maggior ragione perché forti di una consolidata esperienza”.
Si è dovuta confrontare con i soliti pregiudizi maschilisti?
“Si certo, è successo. In quanto donna, devi sempre dimostrare di essere all’altezza, brillante, professionale, smart. E magari se sei pure carina non guasta. I luoghi comuni non si contano: le donne sono ciclicamente in balia degli ormoni, hanno ‘inspiegabili’ esigenze di maternità e rimangono incinte e infine, passato qualche annetto, hanno le paturnie da menopausa. Insomma, i soliti cliché. Questo per dire che anche per queste convinzioni dure a morire facciamo il doppio di fatica!”
Qual è il ruolo sociale che svolge una professione come la sua?
“La cultura ha un ruolo sociale fondamentale, aggrega, crea ponti. Fa conoscere ciò che per te potrebbe essere diverso o distante. Lavorando in questo campo e promuovendo progetti culturali ti senti parte di questo ingranaggio e comprendi di poter essere uno dei tasselli utili a diffonderla. L’attività della ‘Crumb Gallery’ risponde in modo preciso a questa domanda. L’impegno che noi tutte mettiamo nell’attività di questo spazio no-profit è quello di dare, nel nostro piccolo, un contributo per sostenere le artiste donne. Abbiamo avuto una madrina formidabile, Letizia Battaglia, che ha abbracciato in pieno le nostre scelte e fatta sua la nostra causa, accettando di esporre da noi i suoi scatti “Corpo di donna” .
Lei si è interessata delle donne dell’Iran attraverso una sua mostra fotografica, Ce ne vuole parlare?
“La mostra s’intitolava ‘Donne in farsi. Viaggio tra i volti dell’Iran’ e si è tenuta alla Crumb Gallery nell’ottobre del 2019, un evento off del festival L’Eredità delle Donne di Serena Dandini. Esponeva foto realizzate da me e Rory Cappelli durante un nostro viaggio in Iran, nel marzo del 2013. Un viaggio che ci è rimasto nel cuore, colpite dal fascino dell’antica Persia. Siamo arrivate a Teheran durante il Nowruz (nuovo giorno), la festa più importante, celebrata da circa tremila anni, risalente all’epoca preislamica che il governo non è riuscito a contrastare né a cancellare. Le foto sono state scattate durante questa festività. In modo particolare siamo state catturate dai volti, dalla gente e soprattutto dalle donne, bellissime e curiose di sapere i motivi del nostro viaggio, quali erano le nostre impressioni sul loro paese e cosa avremmo raccontato una volta tornate in Italia. Ciò che solitamente si sa dell’Iran filtra soltanto attraverso i racconti dei suoi artisti espatriati, mentre chi resta è come se non avesse voce. Invece la voce l’Iran ce l’ha, ed è bella forte. Lo vediamo proprio in questi giorni drammatici di repressione, da regime del terrore, dove le donne hanno svolto un ruolo fondamentale nella protesta: una situazione che purtroppo le accomuna drammaticamente alle donne afghane“.
Come si concilia il lavoro di manager con la vita privata?
“Quale vita privata?! Scherzo, naturalmente. Il nostro è un lavoro che impegna parecchio. Non esistono sabati o domeniche. Gli eventi spesso sono d’estate, in periodi in cui le scuole sono chiuse e tutti gli altri vanno in vacanza. Il cellulare reclama la tua perenne reperibilità, quindi non è facile. Bisogna imparare a staccare quando è il momento. La vita privata è sacrosanta e metto la mia famiglia – mio marito, Tommaso, e le mie figlie, Bianca e Rebecca – al primo posto, anche se non è stato mai facile, soprattutto quando è stata l’ora di gestire bambini piccoli senza poter contare sull’aiuto dei nonni. Per fortuna Tommaso, il mio compagno da sempre (‘il mio attuale marito’, come scherzosamente lo definisco), è un marito e un padre fantastico: ci siamo sempre divisi i compiti equamente e lui mi ha sempre sostenuta nel lavoro, soprattutto nelle prime fasi di costruzione in cui l’impegno si fa più duro”.
Da madre, rifarebbe questa scelta o preferirebbe stare più vicina alle sue figlie?
“Sì, la rifarei. Il mio lavoro mi piace molto, non so dire se sono stata io a sceglierlo oppure lui ha scelto me. Il fatto che mi piaccia così tanto a dispetto delle difficoltà, penso si ripercuota positivamente anche sulle figlie e sui loro interessi che sono riuscite a sviluppare negli anni. Una cosa fondamentale è per me l’indipendenza di ogni donna, non solo di natura economica: principio che credo di aver loro trasmesso. La mia ‘doc’, donna che stimo molto, mi ha sempre detto: ‘Non è la quantità ma è la qualità del tempo che trascorri con le tue figlie’. In ogni caso, non ci si può mai distrarre dai segnali che mandano i figli e bisogna essere pronti ad ascoltarli tutte le volte che sono loro a chiedertelo. In certi momenti avrei voluto essere stata più vicino alle mie ragazze, soprattutto nel passaggio critico dell’adolescenza, ma forse niente sarebbe cambiato sostanzialmente anche se le mie scelte lavorative fossero state diverse”.
Quali sono i problemi maggiori che deve affrontare quotidianamente nel suo lavoro?
“Il nostro è prettamente un lavoro di ufficio stampa e la comunicazione in questo ambito è cambiata tantissimo da quando abbiamo iniziato. Sono saltati i tempi, tutto è più veloce e concitato. Uno degli aspetti più complessi è cercare di conciliare le evidenti esigenze dei nostri committenti, a caccia di massima visibilità, con quelle dei nostri referenti principali: le redazioni dei media di cultura/spettacoli sempre più ridotte e quotidianamente subissate da una massiccia dose di mail, telefonate e messaggi. Per questo occorre sempre cercare di proporre la chiave o il taglio giusto degli argomenti che tratti, evitando la banalizzazione ma anzi approfondendoli. Inoltre non è possibile prescindere dall’uso dei canali social e in questo contesto mi sento decisamente antiquata e piuttosto inadeguata. Per fortuna all’interno dello studio c’è chi è competente e si diverte a gestirli”.
A quale etica si ispira quando organizza eventi, in che modo le piacerebbe cambiare il mondo?
“L’onestà. Essere onesti con i nostri committenti, mai millantare: piuttosto decliniamo un incarico se riteniamo che non sia nelle nostre corde. A volte fare la parte dell’avvocato del diavolo può essere scomodo, eppure tanto necessario. Cambiare il mondo? Sarebbe bello avere una bacchetta magica, ma questo fa parte delle fiabe sempre a lieto fine. Molto meglio cominciare dalle piccole cose: l’educazione, i piccoli gesti , un sorriso in più che non costa nulla, l’essere gentili, il non prevaricare gli altri, prestando attenzione e ascolto a chi ci sta più vicino”.
La sua massima aspirazione?
“Continuare a fare quello che mi piace, continuare ad occuparmi di arte, ma soprattutto trovare una po’più tempo per me e mio marito (per fortuna le ragazze ormai sono grandi), e finalmente avere la possibilità di viaggiare di più!”.