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Home » Lifestyle » Erika Fernandes: “Le madri trans possono allattare” e posa con il figlio avuto da Roberto Bete

Erika Fernandes: “Le madri trans possono allattare” e posa con il figlio avuto da Roberto Bete

La modella è diventata mamma dopo che il marito, anche lui modello transgender ha portato avanti la gravidanza e partorito il loro bambino, Noah, lo scorso 10 maggio

Marianna Grazi
23 Maggio 2022
Erika Fernandes-mamma-trans

La modella trans Erika Fernandes allatta al seno il figlio Noah avuto dal marito Roberto Bete

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“Le madri trans possono allattare”. Parola di Erika Fernandes, che è, effettivamente, una mamma transgender. L’affascinante modella è sposata con un collega, Roberto Bete, il anche lui trans e soprattutto padre del loro figlio Noah, che lui stesso ha portato in grembo e partorito. Senza dubbio tra le coppie più attenzionate del momento, hanno fatto parlare molto di sé dopo che Bete è stato scelto come testimonial da Calvin Klein per la sua nuova campagna pubblicitaria all’insegna dell’inclusività, lanciata in occasione dell’8 maggio, festa della mamma. Il brand voleva veicolare un messaggio positivo sulla realtà attuale delle famiglie di tutti i tipi e di sicura la coppia Bete-Fernandes ne è un esempio eccezionale.

La testimonianza di Erika Fernandes

Erika Fernandes-mamma-trans
La modella trans Erika Fernandes allatta al seno il figlio Noah avuto dal marito Roberto Bete

Dopo la nascita del piccolo, il 10 maggio scorso, è stata Erika Fernanes, moglie trans del modello transgender Roberto Bete, a prendersi carico dell’allattamento del figlio Noah, dando anche una preziosissima testimonianza sulla possibilità per le madri come lei di allattare. Sulla sua pagina Instagram infatti, nei giorni scorsi la donna ha postato una foto e un video che la ritraggono mentre allatta il neonato e, al contempo, è protagonista di uno shooting che vuole inviare proprio il messaggio di cui si fa portavoce. Nel post, in particolare, si legge:

LE DONNE TRANS POSSONO ALLATTARE!!!

Il primo caso, descritto in letteratura, di una donna trans che produce latte materno risale al 2018. La paziente ha prodotto circa 200 ml di latte al giorno e il bambino è stato allattato esclusivamente al seno per 6 settimane.
L’induzione della lattazione non è una novità in medicina. Si tratta di metodi che prevedono il controllo ormonale e il ricorso ad una pompa di aspirazioni.
Ed è lo stesso trattamento a cui mi sto sottoponendo per riuscire a ottenere l’allattamento, trattamento che è già stato sperimentato nelle donne cis per aiutare le madri adottive, o le madri che, dopo il parto, avevano bisogno di un supporto per allattare naturalmente.
E sì! Il mio latte contiene tutti i nutrienti necessari allo sviluppo di mio figlio, è scientificamente provato, è uguale a qualsiasi latte di una persona cis.
Non è un feticcio, è scienza! Non sono una pedofila come sostiene chi mi sta attaccando per aver voluto fare del mio corpo una forma di nutrimento per mio figlio. Questo è amore.
Adesso non mettete in giro trovate o diffondete false informazioni per mascherare la vostra transfobia. Il fatto che una donna trans possa allattare al seno non vi piace, ma è la natura e non possiamo negarlo. È la natura e non possiamo negarlo.

Le reazioni

Erika Fernandes bacia teneramente il pancione del marito Roberto Bete

La scelta di Erika Fernandes, proprio come quella del marito di mantenere gli organi riproduttivi femminili dopo la transizione di genere, in modo da poter portare avanti la gravidanza, sta facendo discutere e più di una persona non è disposta ad accettare questa realtà. Perché di questo si tratta, come la stessa modella ha voluto spiegare: esistono casi scientifici precedenti, in particolare una trentenne trans che nel 2018 è stata la prima a riuscire ad allattare per sei mesi il figlio avuto da un’altra donna, in cui è evidente che questa azione che per molte mamme è naturale (mentre anche altre donne cisgender non possono svolgerla per altri problemi e non per la loro identità di genere) è possibile anche per le persone transgender, grazie a una terapia sperimentale che dura circa 3 mesi e mezzo e che comprende l’assunzione di un mix di ormoni, di farmaci per la nausea e per la stimolazione del seno. Insomma sono la scienza e la medicina a parlare e negare l’evidenza non è altro che transfobia.

noah fernandes bete
Dopo 12 ore di travaglio Roberto Bete ha dato alla luce il figlio Noah nella stessa data in cui, 3 anni prima, aveva subito l’intervento di mastectomia

Una data speciale

Roberto Bete e Erika Fernandes hanno dato alla luce il loro piccolo Noah Fernandes Bete lo scorso 10 maggio. Prima della nascita, sui loro profili social, non avevano mai nascosto che fosse il modello e star della tv brasiliana a portare avanti la gravidanza, postando dolci scatti di coppia man mano che il pancione (del papà cavalluccio marino, come vengono definiti in gergo gli uomini trans che decidono di mantenere gli organi riproduttivi femminili per avere gravidanze) cresceva. E dopo la nascita del piccolo i due neo genitori hanno postato sui rispettivi profili Instagram la foto del piedino del nascituro. Un giorno speciale, il 10 maggio, anche perché tre anni prima, in quella stessa clinica, Bete si era sottoposto a una mastectomia, l’operazione di rimozione totale del seno. “Il 10 maggio sarà segnato per tutta la mia vita, le due cose per me più importanti sono accadute in questa data”, ha scritto il modello nella didascalia, ringraziando tutto lo staff medico e sua moglie Erika.

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  • Stando a quanto dicono gli studiosi, i social network sono portatori malati di ansia e depressione. E, diciamocelo, non servivano studi e numeri per capirlo. I più attrezzati di noi a comprendere le dinamiche social e sociali che si nascondono dietro l’algoritmo di Meta già da tempo avevano compreso che “social sì, ma a piccole dosi”.

Eppure la deriva c’è stata e adesso distinguere il virtuale dal reale, l’immagine dallo schermo, il like dall’affetto sembra essere diventata un’operazione assai difficile.

Il senso di inadeguatezza delle persone di ogni età sta dilagando. Pare che il meccanismo sia più o meno questo: l’erba del vicino – di account – è sempre più verde. 

Che poi nella realtà non è così poco importante. A importare è ciò che appare, non ciò che è, tanto da ridurre il dilemma “essere o non essere” a coltissimo equivoco elitario. Cogito ergo sum un po’ poco, verrebbe da dire, se non fosse che la faccenda è seria e grave. 

Lo stress da social è reale e affligge grandi e piccini, senza distinzione di ceto. Una vera e propria sofferenza psicologica che tende a minare le fondamenta dell’intera società. Tra il 2003 e il 2018, i casi di ansia hanno registrato numeri da record, così come quelli di depressione, autolesionismo e problemi di alimentazione. Questo basti per capire che limitarsi a catalogare il problema come questione minore è sbagliato e pericoloso.

Complice il recente lockdown, la corsa verso la psicosocialpatologia ha accelerato il passo. L’unica soluzione a portata di mano, seppur temporanea, è prendersi una pausa dai social e uscire dalla bolla, come Selena Gomez insegna. 

Vivere la vita vera, in Logout, fatta di persone in carne e ossa che di perfetto hanno poco o nulla e che combattono ogni giorno per cercare di assomigliare a ciò che vorrebbero essere. 

E tu quanto tempo passi sui social? 📲

Di Margherita Ambrogetti Damiani ✍

#lucenews #lucelanazione #socialout #viverelavita #nofilter #autoconsapevolezza #stressdasocial #socialdetox
  • Ad appena 3 anni e mezzo, Vincenzo comunica ai genitori il desiderio di indossare vestiti e gonne. Alla richiesta viene inizialmente, quanto inevitabilmente, dato poco peso, come se fosse un gioco… 

Ma 6 anni e mezzo dopo Vincenzo fa un coming out più deciso, chiede di potersi chiamare Emma e di indossare un costume femminile alle lezioni di danza, che condivide con le due sorelle maggiori. Pochi giorni fa, grazie anche alla comprensione e disponibilità della sua insegnante di danza, ha vissuto il suo momento di gloria, esibendosi in un saggio-spettacolo di fine anno costruito su misura, con una coreografia che racconta la sua storia.

La danza, si sa, può essere di grande aiuto per costruire la propria identità, perché è prima di tutto libertà di espressione. 

“Gli anni di pandemia sono stati decisivi per mia figlia. La riflessione è diventata sempre più profonda e, con sofferenza, lo scorso ottobre, è riuscita a parlarci di ciò che davvero le stava a cuore. Le prime sostenitrici sono state proprio le sorelle, più aperte e predisposte mentalmente su questa tematica. Noi genitori ancora pensavano a una latente omosessualità, ma non era così: per nostra figlia la propria identità di genere non coincideva con il sesso assegnatole alla nascita”.

I primi tempi non sono stati facili, per certi aspetti è stato come elaborare un lutto perché Emma volava cancellare tutto il suo passato, buttando via foto e vestiti. La sua è stata una rinascita vera e propria, il suo “no" al nome, al genere maschile, è ormai definitivo. 

A scuola, ha chiesto e ottenuto di potersi chiamare Emma, così come in società. Fondamentale è stato il supporto della famiglia che, a un certo punto, ha capito che non si trattava di un gioco, malgrado la giovanissima età.

“A chi tuttora continua a ripeterci che avremmo dovuto insistere e iscriverla a calcio, dico con fermezza: i figli vanno ascoltati, è giusto che vivano la loro vita, quella più congeniale al loro sentire, perché tutti meritiamo di essere felici”.

Di Roberta Bezzi ✍

#lucenews #lucelanazione #bologna #emma #transgender #transrights
  • “Trova qualcuno a cui piaci come sei e digli di farsi curare”, scrive Andrea Pinna in uno dei suoi tipici post su Instagram. 

Ma se Andrea Pinna, apprezzato per i suoi aforismi taglienti, “né bello né ricco” come dice lui, è diventato uno degli influencer più originali del web, è anche perché ha fatto entrambe le cose: ha accettato se stesso com’era e ha intrapreso un percorso di cura.

Trentacinque anni, origini sarde e milanese di adozione, ha cominciato il suo cammino partendo dal gradino più basso. 

"Lavoravo a Roma nel mondo dei negozi, commesso e poi vetrinista. Mi hanno mandato in Sardegna, la mia terra, a seguire nuovi negozi, ma poco dopo hanno chiuso tutto lasciandomi senza lavoro. E lì si è scatenata la mia prima fortissima depressione. Che ho affrontato con Facebook, scrivendo status più o meno sarcastici per scaricare la rabbia”.

Non una depressione qualsiasi, ma un malessere profondo che a distanza di anni gli verrà diagnosticato come bipolarismo. 

"Non è stato facile. Ho passato periodi che non dormivo mai e altri in cui stavo sempre a letto. Avere un disagio psichico non è una passeggiata e bisogna raccontarlo, imparare ad ascoltarsi”.

Sul suo profilo Instagram @leperledipinna ha deciso di portare avanti due battaglie: quella per i diritti civili dei gay e l’altra per dare voce ai problemi mentali.

“La prima la combatto in prima persona da tanto tempo, la seconda per far capire che se vai dall’ortopedico quanto ti fa male il ginocchio è giusto andare da uno psicoterapeuta o uno psichiatra quando hai un disagio mentale o psicologico”.

E attraverso le dirette Instagram di psicoterapinna "racconto la mia storia, il mio vissuto, chiamando gli esperti a parlare dei vari problemi psicologici che la gente può avere”.

La storia di chi ha trovato il coraggio di affrontare il bipolarismo e ha saputo rendere i social un luogo in cui sentirsi a proprio agio. Qualunque sia il disagio.

L
  • "L’autismo è un fenomeno che riguarda sì, in primo luogo gli autistici e le loro famiglie, ma anche la società in generale. Un nato o nata ogni 70/80 rientra nello spettro autistico ormai ed è quindi bene che anche i cosiddetti neuro tipici sappiano di cosa si parla”.

Dopo la standing ovation ricevuta lo scorso 2 aprile al Cinema La Compagnia di Firenze e il fortunato tour avviato nei cinema e nei teatri della Toscana, il documentario “I mille cancelli di Filippo” sarà nuovamente proiettato lunedì 27 giugno alle 21, nella Limonaia di Villa Strozzi a Firenze. Al centro della narrazione il figlio del noto autore Enrico Zoi, il giovane Filippo, colpito da spettro autistico.

Con la delicatezza e la magia tipica di uno scrittore che, prima di tutto, è un babbo amorevole, Enrico – insieme a sua moglie Raffaella Braghieri – apre una volta ancora le porte della sua casa per raccontare al mondo la realtà speciale della sua famiglia.

E il consiglio per i genitori che hanno appena ricevuto una diagnosi di autismo sul proprio bambino sarebbe quello di "non chiudersi, di non chiedersi perché, di guardare al mondo esterno, di aprirsi. Chiudersi non serve a niente, anzi… è un po’ come una partita di calcio: se non scendi in campo la perdi a tavolino, se invece accetti il confronto te la puoi giocare!”.

Di Caterina Ceccuti ✍

#lucenews #lucelanazione #enricozoi #imillecancellidifilippo #firenze #autismo #autismawareness
"Le madri trans possono allattare". Parola di Erika Fernandes, che è, effettivamente, una mamma transgender. L'affascinante modella è sposata con un collega, Roberto Bete, il anche lui trans e soprattutto padre del loro figlio Noah, che lui stesso ha portato in grembo e partorito. Senza dubbio tra le coppie più attenzionate del momento, hanno fatto parlare molto di sé dopo che Bete è stato scelto come testimonial da Calvin Klein per la sua nuova campagna pubblicitaria all’insegna dell’inclusività, lanciata in occasione dell'8 maggio, festa della mamma. Il brand voleva veicolare un messaggio positivo sulla realtà attuale delle famiglie di tutti i tipi e di sicura la coppia Bete-Fernandes ne è un esempio eccezionale.

La testimonianza di Erika Fernandes

Erika Fernandes-mamma-trans
La modella trans Erika Fernandes allatta al seno il figlio Noah avuto dal marito Roberto Bete
Dopo la nascita del piccolo, il 10 maggio scorso, è stata Erika Fernanes, moglie trans del modello transgender Roberto Bete, a prendersi carico dell'allattamento del figlio Noah, dando anche una preziosissima testimonianza sulla possibilità per le madri come lei di allattare. Sulla sua pagina Instagram infatti, nei giorni scorsi la donna ha postato una foto e un video che la ritraggono mentre allatta il neonato e, al contempo, è protagonista di uno shooting che vuole inviare proprio il messaggio di cui si fa portavoce. Nel post, in particolare, si legge:
LE DONNE TRANS POSSONO ALLATTARE!!! Il primo caso, descritto in letteratura, di una donna trans che produce latte materno risale al 2018. La paziente ha prodotto circa 200 ml di latte al giorno e il bambino è stato allattato esclusivamente al seno per 6 settimane. L'induzione della lattazione non è una novità in medicina. Si tratta di metodi che prevedono il controllo ormonale e il ricorso ad una pompa di aspirazioni. Ed è lo stesso trattamento a cui mi sto sottoponendo per riuscire a ottenere l'allattamento, trattamento che è già stato sperimentato nelle donne cis per aiutare le madri adottive, o le madri che, dopo il parto, avevano bisogno di un supporto per allattare naturalmente. E sì! Il mio latte contiene tutti i nutrienti necessari allo sviluppo di mio figlio, è scientificamente provato, è uguale a qualsiasi latte di una persona cis. Non è un feticcio, è scienza! Non sono una pedofila come sostiene chi mi sta attaccando per aver voluto fare del mio corpo una forma di nutrimento per mio figlio. Questo è amore. Adesso non mettete in giro trovate o diffondete false informazioni per mascherare la vostra transfobia. Il fatto che una donna trans possa allattare al seno non vi piace, ma è la natura e non possiamo negarlo. È la natura e non possiamo negarlo.

Le reazioni

Erika Fernandes bacia teneramente il pancione del marito Roberto Bete
La scelta di Erika Fernandes, proprio come quella del marito di mantenere gli organi riproduttivi femminili dopo la transizione di genere, in modo da poter portare avanti la gravidanza, sta facendo discutere e più di una persona non è disposta ad accettare questa realtà. Perché di questo si tratta, come la stessa modella ha voluto spiegare: esistono casi scientifici precedenti, in particolare una trentenne trans che nel 2018 è stata la prima a riuscire ad allattare per sei mesi il figlio avuto da un’altra donna, in cui è evidente che questa azione che per molte mamme è naturale (mentre anche altre donne cisgender non possono svolgerla per altri problemi e non per la loro identità di genere) è possibile anche per le persone transgender, grazie a una terapia sperimentale che dura circa 3 mesi e mezzo e che comprende l'assunzione di un mix di ormoni, di farmaci per la nausea e per la stimolazione del seno. Insomma sono la scienza e la medicina a parlare e negare l'evidenza non è altro che transfobia.
noah fernandes bete
Dopo 12 ore di travaglio Roberto Bete ha dato alla luce il figlio Noah nella stessa data in cui, 3 anni prima, aveva subito l'intervento di mastectomia

Una data speciale

Roberto Bete e Erika Fernandes hanno dato alla luce il loro piccolo Noah Fernandes Bete lo scorso 10 maggio. Prima della nascita, sui loro profili social, non avevano mai nascosto che fosse il modello e star della tv brasiliana a portare avanti la gravidanza, postando dolci scatti di coppia man mano che il pancione (del papà cavalluccio marino, come vengono definiti in gergo gli uomini trans che decidono di mantenere gli organi riproduttivi femminili per avere gravidanze) cresceva. E dopo la nascita del piccolo i due neo genitori hanno postato sui rispettivi profili Instagram la foto del piedino del nascituro. Un giorno speciale, il 10 maggio, anche perché tre anni prima, in quella stessa clinica, Bete si era sottoposto a una mastectomia, l’operazione di rimozione totale del seno. "Il 10 maggio sarà segnato per tutta la mia vita, le due cose per me più importanti sono accadute in questa data", ha scritto il modello nella didascalia, ringraziando tutto lo staff medico e sua moglie Erika.
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