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Home » Lifestyle » Margherita Tercon, una vita da sibling: “Ecco cosa significa vivere con un fratello disabile”

Margherita Tercon, una vita da sibling: “Ecco cosa significa vivere con un fratello disabile”

La 32enne riminese, nota sui social con i Terconauti, racconta la complessa condizione, soprattutto da piccoli, di chi si trova ad essere il fratello o la sorella 'normale'

Geraldina Fiechter
27 Dicembre 2022
Margherita Tercon

Margherita Tercon

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“Quando vedo una famiglia con un bambino disabile, con lo sguardo cerco subito di vedere se c’è un fratello o una sorella. E comincio a piangere, è più forte di me”. È uno dei tanti messaggi che arrivano dalla comunità dei sibling, la parola usata in tutto il mondo per definire i fratelli e le sorelle di persone con disabilità. Una vita speciale, la loro, a volte molto complessa, soprattutto nell’infanzia: le famiglie ruotano intorno al figlio più fragile, e loro finiscono spesso in secondo piano. Facile capirlo da grandi, più difficile quando si è bambini. Il rischio è quello di crescere non solo con il senso di colpa per essere ‘normodotati’,  ma anche con la preoccupazione costante di doversi prendere cura del fratello o della sorella disabile, soprattutto nel futuro, quando i genitori non potranno più farlo.

 

Visualizza questo post su Instagram

 

Un post condiviso da Margherita Tercon (@la_panzer)

Ma a chi dire queste cose? Come confessare il travaglio di chi, all’apparenza, è la parte fortunata della famiglia? Margherita Tercon è una di loro e ha fatto un lungo cammino prima di ritrovare il suo nome, la sua identità autonoma e distinta da quella di “sorella di Damiano”, autistico dalla nascita. Ha 32 anni, abita a Rimini e ha scoperto la comunità dei siblings per caso, in un evento a cui era stata invitata con il fratello nella giornata mondiale dedicata alla disabilità. Per la prima volta è diventata lei la protagonista, la persona da ascoltare e aiutare, e le si è aperto un mondo. Oggi è uno dei punti di riferimento dei fratelli e delle sorelle sibling. Ne parla sui suoi profili social (su Instagram: @la_panzer) e in un anno ha ricevuto centinaia di messaggi e richieste di ascolto.

Cosa ha provato quando ha scoperto che qualcuno si occupa anche di voi?
“È stata una grande svolta. È incredibile che nessuno consideri mai i fratelli e le sorelle dei disabili, che sono molto importanti per l’equilibrio della famiglia. Ci sono gruppi di supporto per tutti, ma per i fratelli, che vivono una vita complicata e che spesso sono l’unico futuro di quelle persone, non esiste niente”.

Dovesse elencare le caratteristiche in comune a tutti i sibling?
“La cosa inevitabile in tutte le famiglie in cui c’è un figlio disabile è che il centro dell’attenzione sia lui o lei. E il figlio non disabile passa inevitabilmente in secondo piano. Ma da bambini è difficile capirne il motivo, così come è difficile capire, sempre da bambini, perché il rapporto con il fratello o la sorella non può essere reciproco: perché lui può picchiarmi, ad esempio, e io no? Cosa ho di diverso?”.

Margherita Tercon ospite alla festa di Luce! il 26 novembre al Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio (Fotocronache Germogli)

È stato così anche per lei?
“Mio fratello ha 9 anni più di me, e ciò nonostante io ero mentalmente più grande di lui. Era strano. Non era il classico fratello più grande, protettivo come i fratelli maggiori delle mie amiche. Mi chiedevo: perché?”.

Quando ha cominciato a capire?
“Non è da piccoli che si prende coscienza. Io sono nata con un fratello che era disabile e per me era la normalità. Ho cominciato a rendermene conto più da grande, con il contatto con l’esterno, con altre famiglie. Allora vedevo bene le differenze e mi sono fatta delle domande”.

Di cosa ha sofferto, da sorella di Damiano?
“Mi sono resa conto di essere cresciuta con il senso colpa verso molte persone, soprattutto i genitori. Ricordo certi momenti di tensione e preoccupazione in famiglia e il mio problema era quella di pesare il meno possibile. Ho trovato una lettera che ho scritto a 10 anni ai miei genitori dalla vacanza, dicevo loro che avere un figlio in meno in casa sarebbe stato meglio. Poi il senso di colpa verso il fratello, sempre: se vado in vacanza e non lo porto con me, se riesco a fare cose che lui non può fare, se sto con gli amici senza portarmelo dietro”.

E si cresce più in fretta, più bravi?
“Sì, ho sempre avuto la sensazione di dover essere efficiente, più brava possibile, di dover trovare in fretta un lavoro con un buon guadagno, perché un giorno mi sarei dovuta occupare anche di lui“.

Quindi essere un sibling porta a essere più forti?
“A volte sì, questa vita aiuta, porta ad essere più determinati a crescere in fretta per non pesare su una famiglia già appesantita e a raggiungere obiettivi e successi”.

Sui suoi profili social è diventata un punto di riferimento per altri fratelli come lei. Gli esempi più dolorosi?
“Alcuni raccontano di aver fatto cose molto forti per attirare l’attenzione dei genitori, tutta rivolta al fratello o alla sorella disabile. Come cercare di stare male, di ammalarsi, tentare cose pericolose fino ad andare in ospedale”.

Alla Festa di Luce! i Terconauti: Damiano e Margherita Tercon, e Philipp Carboni (Fotocronache Germogli)

Lei non ha avuto bisogno di questi espedienti?
“Per fortuna no, i miei genitori hanno cercato di non farmi sentire il peso di mio fratello. Hanno cercato di farci stare uniti e di puntare su un’alleanza naturale fra fratelli. So di altri che invece sono proprio cresciuti con il compito di diventare caregiver dei loro fratelli disabili. E sono stata io a parlare per prima del futuro, del dopo di loro. Loro non ne hanno mai fatto cenno. Molti sibling sentono che la loro identità è legata a doppio filo con quella del fratello o sorella, cosa che può limitare molto la propria realizzazione personale”.

Cosa consiglia alle famiglie?
“Di lasciare che ogni figlio faccia esperienze fuori dalla famiglia, per formarsi e trovare la loro identità. Io sono stata fortunata, ho potuto studiare in altre città, anche all’estero, sono potuta diventare Margherita, e non solo ‘la sorella di Damiano’. E così quando sono tornata, ho potuto scegliere di stare con lui e non sentirlo come un obbligo o come la risposta ai miei sensi di colpa. Ora stiamo molto insieme e abbiamo progetti comuni”.

Cosa direbbe ai genitori di figli ‘diversi’ come voi?
“Di non concentrarsi solo sui deficit, sulle mancanze del figlio disabile, ma sulle loro capacità e potenzialità. L’obiettivo di tutti, nella vita, è essere felici con se stessi, non in rapporto agli altri. E siccome le persone come mio fratello, che nascono così, non hanno consapevolezza di quello che gli manca, bisogna aiutarlo solo ad essere felice, come tutti noi. Devono cambiare punto di vista. I limiti, a volte, sono nella nostra testa”.

E per Damiano su cosa avete puntato?
“A lui piace stare in mezzo alla gente ed esibirsi, e io ho deciso di farne un lavoro per me e per lui. Ho smesso di guardarlo come quello che non può fare le cose, e siamo felici entrambi”.

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  • Messaggi osceni, allusioni, avances in ufficio e ricatti sessuali. La forma più classica del sopruso in azienda, unita ai nuovi strumenti tecnologici nelle mani dei molestatori. Il movimento Me Too, nel 2017, squarciò il velo di silenzio sulle molestie sessuali subite dalle donne nel mondo del cinema e poi negli altri luoghi di lavoro. Cinque anni dopo, con in mezzo la pandemia che ha terremotato il mondo del lavoro, le donne continuano a subire abusi, che nella maggior parte dei casi restano nell’ombra.

«Sono pochissime le donne che denunciano – spiega Roberta Vaia, della segreteria milanese della Cisl – e nei casi più gravi preferiscono lasciare il lavoro. Il molestatore andrebbe allontanato dalla vittima ma nei contratti collettivi dei vari settori non è ancora prevista una sanzione disciplinare per chi si rende responsabile di molestie o di mobbing».

Un quadro sconfortante che emerge anche da una rilevazione realizzata dalla Cisl Lombardia, nel corso del 2022, su lavoratrici di diversi settori, attraverso un sondaggio distribuito in fabbriche, negozi e uffici della regione. Sono seimila le donne che hanno partecipato all’indagine, e il 44% ha dichiarato di aver subìto molestie o di «esserne stata testimone» nel corso della sua vita lavorativa.

A livello nazionale, secondo gli ultimi dati Istat, sono 1.404.000 le donne che nel corso della loro vita lavorativa hanno subito molestie fisiche o ricatti sessuali sul posto di lavoro. Quando una donna subisce un ricatto sessuale, nell’80,9% dei casi non ne parla con nessuno sul posto di lavoro. Quasi nessuna ha denunciato il fatto alle forze dell’ordine: appena lo 0,7% delle vittime.

✍🏻di Andrea Gianni

#lucenews #istat #donne #molestie #lavoro #diritti
  • II problema è che sei sola. Arrivi lì persino convinta: è la cosa più naturale che tu, donna, sia mai stata chiamata a fare: partorire. 

Te lo hanno ripetuto per 9 mesi nei corsi preparto, e te l’hanno ripetuto ancora prima che tu venissi al mondo: non c’è niente che sia più naturale, per una donna, nei secoli dei secoli. E il bello è che aver ottenuto la possibilità di scegliere che il tuo parto non sia "medicalizzato", che il tuo neonato non ti sia strappato subito dalle braccia e che resti, subito dopo, al tuo fianco nella tua stanza, e non nella nursery, è il risultato di una lunga battaglia, intrapresa oltre 30 anni fa. 

Una battaglia vinta? No, se si è passati dal troppo medicalizzato all’abbandono. 

Il problema è che c’è un’altra verità – nei secoli dei secoli – ed è il paradosso: nell’esatto momento in cui vieni pervasa dalla furiosa coscienza che sei onnipotente perché sei come Dio e hai dato la vita, vieni pure annientata dalla furiosa consapevolezza che la sopravvivenza di quella vita dipende da te, dipende da te tutto, la sua felicità o la sua infelicità, e non sai se sarai in grado di accudirla, quella nuova vita, come devi, e hai paura, la paura più pura e cristallina e terribile che tu abbia mai provato, e altro che Dio, sei l’ultimo dei miserabili. 

È stata la cultura patriarcale ad aver tramandato la maternità come destino ineluttabile della femminilità: la paura della donna non è mai stata né contemplata, né tanto meno accettata. È stata condivisa tra le donne, quando vi era un tessuto sociale che lo permetteva. È stata omessa dalla contemporaneità anche dalle donne stesse perché ammetterla comporta arretrare dall’emancipazione, dalla rivendicazione della parità: partorisci naturalmente, allatti naturalmente, naturalmente performi due giorni dopo come nulla fosse. 

Ma non c’è nulla di naturale in questo. È un’altra storia di prevaricazione. E una nuova storia di solitudine. Tra le più feroci.

di Chiara Di Clemente✍🏻

#lucenews #editoriale #allattamento #maternita #ospedalepertini
  • Theodore (Teddy) Hobbs vive a Portishead, nella contea inglese del Somerset, insieme ai genitori, mamma Beth, 31 anni, e il padre Will Hobbs, 41 anni. Il piccolo, che ora ha quasi quattro anni, è entrato nel Mensa (l’associazione internazionale fondata nel 1947 per chi ha il Quoziente Intellettivo almeno 1,5 volte quello regolare, ndr) a tre anni dopo aver superato un test del QI e ottenendo un punteggio di 139 su 160 nel test di Stanford Binet, scioccando i suoi genitori, che non avevano idea di quanto fosse intelligente. 

Ma il bambino dei segnali li aveva già dati visto che ha imparato a leggere da autodidatta all’età di soli due anni e quattro mesi e ora è persino in grado di leggere i libri di Harry Potter, quando i genitori glielo permettono, ed è in grado di contare in sei lingue diverse, mandarino compreso. I suoi passatempi preferiti? Le ricerche su Google e recitare le tabelline.

I genitori ammettono di non essersi mai aspettati che il figlio entrasse nel gruppo e non avevano nemmeno pianificato di fare domanda per l’adesione. “Ci è stato detto che non era mai entrato un membro dell’età di tre anni. A essere onesti, è davvero un colpo di fortuna che sia entrato” sono le parole di mamma Beth che spiega: “Non avevamo intenzione di farlo entrare nella società. Volevamo solo fargli fare un test prima di mandarlo a scuola per capire quale scegliere”. Ad ogni modo, continua la madre, “prima del test gli abbiamo detto che avrebbe dovuto risolvere qualche puzzle con una signora che lo guardava per un’oretta, e lui ne è rimasto felicissimo”.

I genitori del bimbo, che si sono sottoposti alla fecondazione in vitro per concepire il figlio e la sorella minore di Teddy, scherzano persino sul fatto che potrebbe esserci stato un pasticcio alla clinica della fertilità. “Non sappiamo come ha fatto a venire fuori così. Si sta rendendo conto di essere più dotato degli altri bambini. Io e mio marito scherziamo sempre dicendo che al dottore dev’essere sfuggita un’iniezione di qualche tipo. Da grande vuole fare il dottore perché gioca sempre a guarire i suoi giocattoli con il suo amico all’asilo”.

#lucenews #mensa #piccoligeni
  • “La lotta per garantire il diritto fondamentale delle donne all’assistenza sanitaria riproduttiva è tutt’altro che conclusa“.

In occasione del 50° anniversario della Roe v. Wade, lo scorso 22 gennaio, la storica sentenza della Corte Suprema che ha sancito il diritto costituzionale all’aborto, annullata la scorsa estate, la vicepresidente degli Stati Uniti Kamala Harris è stata in Florida per tenere un discorso di commemorazione.

#lucenews #roevwade #usa #abortionrights
“Quando vedo una famiglia con un bambino disabile, con lo sguardo cerco subito di vedere se c’è un fratello o una sorella. E comincio a piangere, è più forte di me”. È uno dei tanti messaggi che arrivano dalla comunità dei sibling, la parola usata in tutto il mondo per definire i fratelli e le sorelle di persone con disabilità. Una vita speciale, la loro, a volte molto complessa, soprattutto nell’infanzia: le famiglie ruotano intorno al figlio più fragile, e loro finiscono spesso in secondo piano. Facile capirlo da grandi, più difficile quando si è bambini. Il rischio è quello di crescere non solo con il senso di colpa per essere 'normodotati',  ma anche con la preoccupazione costante di doversi prendere cura del fratello o della sorella disabile, soprattutto nel futuro, quando i genitori non potranno più farlo.
 
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Un post condiviso da Margherita Tercon (@la_panzer)

Ma a chi dire queste cose? Come confessare il travaglio di chi, all’apparenza, è la parte fortunata della famiglia? Margherita Tercon è una di loro e ha fatto un lungo cammino prima di ritrovare il suo nome, la sua identità autonoma e distinta da quella di "sorella di Damiano", autistico dalla nascita. Ha 32 anni, abita a Rimini e ha scoperto la comunità dei siblings per caso, in un evento a cui era stata invitata con il fratello nella giornata mondiale dedicata alla disabilità. Per la prima volta è diventata lei la protagonista, la persona da ascoltare e aiutare, e le si è aperto un mondo. Oggi è uno dei punti di riferimento dei fratelli e delle sorelle sibling. Ne parla sui suoi profili social (su Instagram: @la_panzer) e in un anno ha ricevuto centinaia di messaggi e richieste di ascolto. Cosa ha provato quando ha scoperto che qualcuno si occupa anche di voi? "È stata una grande svolta. È incredibile che nessuno consideri mai i fratelli e le sorelle dei disabili, che sono molto importanti per l’equilibrio della famiglia. Ci sono gruppi di supporto per tutti, ma per i fratelli, che vivono una vita complicata e che spesso sono l’unico futuro di quelle persone, non esiste niente". Dovesse elencare le caratteristiche in comune a tutti i sibling? "La cosa inevitabile in tutte le famiglie in cui c’è un figlio disabile è che il centro dell’attenzione sia lui o lei. E il figlio non disabile passa inevitabilmente in secondo piano. Ma da bambini è difficile capirne il motivo, così come è difficile capire, sempre da bambini, perché il rapporto con il fratello o la sorella non può essere reciproco: perché lui può picchiarmi, ad esempio, e io no? Cosa ho di diverso?".
Margherita Tercon ospite alla festa di Luce! il 26 novembre al Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio (Fotocronache Germogli)
È stato così anche per lei? "Mio fratello ha 9 anni più di me, e ciò nonostante io ero mentalmente più grande di lui. Era strano. Non era il classico fratello più grande, protettivo come i fratelli maggiori delle mie amiche. Mi chiedevo: perché?". Quando ha cominciato a capire? "Non è da piccoli che si prende coscienza. Io sono nata con un fratello che era disabile e per me era la normalità. Ho cominciato a rendermene conto più da grande, con il contatto con l’esterno, con altre famiglie. Allora vedevo bene le differenze e mi sono fatta delle domande". Di cosa ha sofferto, da sorella di Damiano? "Mi sono resa conto di essere cresciuta con il senso colpa verso molte persone, soprattutto i genitori. Ricordo certi momenti di tensione e preoccupazione in famiglia e il mio problema era quella di pesare il meno possibile. Ho trovato una lettera che ho scritto a 10 anni ai miei genitori dalla vacanza, dicevo loro che avere un figlio in meno in casa sarebbe stato meglio. Poi il senso di colpa verso il fratello, sempre: se vado in vacanza e non lo porto con me, se riesco a fare cose che lui non può fare, se sto con gli amici senza portarmelo dietro". E si cresce più in fretta, più bravi? "Sì, ho sempre avuto la sensazione di dover essere efficiente, più brava possibile, di dover trovare in fretta un lavoro con un buon guadagno, perché un giorno mi sarei dovuta occupare anche di lui". Quindi essere un sibling porta a essere più forti? "A volte sì, questa vita aiuta, porta ad essere più determinati a crescere in fretta per non pesare su una famiglia già appesantita e a raggiungere obiettivi e successi". Sui suoi profili social è diventata un punto di riferimento per altri fratelli come lei. Gli esempi più dolorosi? "Alcuni raccontano di aver fatto cose molto forti per attirare l’attenzione dei genitori, tutta rivolta al fratello o alla sorella disabile. Come cercare di stare male, di ammalarsi, tentare cose pericolose fino ad andare in ospedale".
Alla Festa di Luce! i Terconauti: Damiano e Margherita Tercon, e Philipp Carboni (Fotocronache Germogli)
Lei non ha avuto bisogno di questi espedienti? "Per fortuna no, i miei genitori hanno cercato di non farmi sentire il peso di mio fratello. Hanno cercato di farci stare uniti e di puntare su un’alleanza naturale fra fratelli. So di altri che invece sono proprio cresciuti con il compito di diventare caregiver dei loro fratelli disabili. E sono stata io a parlare per prima del futuro, del dopo di loro. Loro non ne hanno mai fatto cenno. Molti sibling sentono che la loro identità è legata a doppio filo con quella del fratello o sorella, cosa che può limitare molto la propria realizzazione personale". Cosa consiglia alle famiglie? "Di lasciare che ogni figlio faccia esperienze fuori dalla famiglia, per formarsi e trovare la loro identità. Io sono stata fortunata, ho potuto studiare in altre città, anche all’estero, sono potuta diventare Margherita, e non solo 'la sorella di Damiano'. E così quando sono tornata, ho potuto scegliere di stare con lui e non sentirlo come un obbligo o come la risposta ai miei sensi di colpa. Ora stiamo molto insieme e abbiamo progetti comuni". Cosa direbbe ai genitori di figli 'diversi' come voi? "Di non concentrarsi solo sui deficit, sulle mancanze del figlio disabile, ma sulle loro capacità e potenzialità. L’obiettivo di tutti, nella vita, è essere felici con se stessi, non in rapporto agli altri. E siccome le persone come mio fratello, che nascono così, non hanno consapevolezza di quello che gli manca, bisogna aiutarlo solo ad essere felice, come tutti noi. Devono cambiare punto di vista. I limiti, a volte, sono nella nostra testa". E per Damiano su cosa avete puntato? "A lui piace stare in mezzo alla gente ed esibirsi, e io ho deciso di farne un lavoro per me e per lui. Ho smesso di guardarlo come quello che non può fare le cose, e siamo felici entrambi".
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